Storia: dalle origini alle dinastie tinite (3200 a.C.-2778)

Abbonda nell'antico E. la documentazione storiografica (liste di re, annali dei singoli faraoni, iscrizioni biografiche, stele commemorative, documenti amministrativi pubblici e privati, testi letterari), tuttavia il primo a porsi il compito di una narrazione coerente e completa delle vicende del suo popolo, nell'ambito e in funzione della cultura tolemaica, fu Manetone. A lui si deve la divisione dei periodi storici per dinastie, ossia per gruppi o famiglie di sovrani, in numero di 30 da Menes alla conquista di Alessandro Magno. Le fonti a disposizione sono spesso letterarie (dirette o indirette), ma grande peso ha anche la documentazione archeologica. Fonti diverse (da quelle cuneiformi alla Bibbia, alle fonti classiche) integrano i dati indigeni. I problemi di cronologia sono alquanto complessi poiché gli Egiziani non datavano secondo un sistema assoluto, ma per anni di regno, ricominciando il computo a ogni nuovo sovrano. Il calcolo è reso possibile da liste di re che pure possediamo (quella già citata di Manetone, la pietra di Palermo, le liste di Saqqâra e Abido, il Papiro dei Re di Torino); ma lo stato delle fonti e il fatto che, specie in periodi di torbidi, più re regnarono contemporaneamente, rende assai complessa la ricostruzione di un quadro cronologico esatto. Tuttavia si conoscono tre date esatte, basate su osservazioni astronomiche, per i regni di tre faraoni: Sesostri III, Amenofi I e Thutmose III, e concordanze con altri avvenimenti del Vicino Oriente permettono il computo di datazioni assai probabili, anche se con qualche tratto di convenzionalità. L'inizio dell'età storica si situa intorno al 3200-3000 a. C. (o intorno al 2850 secondo la cosiddetta cronologia corta). In tale epoca, dopo un periodo su cui si è molto congetturato, ipotizzando regni del Nord e del Sud, dapprima divisi, poi unificati e di nuovo divisi, il regno del Sud, che aveva come capitale Hierakonpolis, conquistò il Nord, la cui capitale era Buto, unificando il Paese sotto l'autorità personale del sovrano. Le lotte per l'unificazione sono testimoniate da figurazioni più che da testi. Una mostra il re Narmer (forse si tratta del Menes di Manetone, unificatore dell'E. e fondatore di Menfi) con le due corone del Nord e del Sud, segno che l'unificazione è già avvenuta. Le prime due dinastie sono dette tinite (età tinita, 3000-ca. 2778) dalla capitale This, situata nei pressi di Abido, e hanno lasciato imponenti testimonianze archeologiche nelle tombe dei sovrani e dei loro familiari e seguaci rinvenute ad Abido e a Saqqâra. Per quanto le vicende e perfino l'ordine di successione dei sovrani presentino vaste zone di incertezza, si assiste in questo periodo al formarsi di uno Stato centralizzato, sottoposto all'autorità di un re-dio (gli competono infatti i titoli di "Horus" e "Le due Signore" che lo identificano appunto con queste divinità) coadiuvato da una già efficiente schiera di funzionari, il che permette la progettazione e l'attuazione di lavori a largo raggio, come lo scavo di canali e la costruzione di dighe, primo indispensabile passo verso l'ampliamento dell'agricoltura e la trasformazione dell'economia.

Storia: l'Antico Regno (2778 a.C.-2220 ca.)

Con la III dinastia si entra nell'Antico Regno (2778-2220 ca.) propriamente detto. Il passaggio pare non sia stato violento perché Gioser, il I re della III dinastia, è probabilmente figlio di Khasekhemui. La capitale passa a Menfi e l'organizzazione burocratica dello Stato si amplia con l'apparire di una nuova figura di funzionario, diretto coadiutore del sovrano, che poi si chiamerà tati (visir). Il regno di Gioser I sembra un momento fondamentale nello sviluppo della cultura egiziana, testimoniato dalle costruzioni in pietra della piramide a gradoni di Saqqâra. Più oscuri sono i regni dei successori. La IV dinastia inizia con Snofru, di cui si conoscono spedizioni in Libia, in Nubia e nel Sinai. I regni dei successori, Cheope, Chefren e Micerino, sono noti quasi esclusivamente attraverso le loro imponenti costruzioni funerarie, le piramidi di Gîza, che testimoniano di un'economia accentrata nelle mani del sovrano e di una sapiente organizzazione del lavoro collettivo. Le necropoli annesse alle piramidi ospitano mastabe di funzionari, spesso imparentati col sovrano. I titoli e le funzioni mostrano come il potere sia fortemente accentrato e come, praticamente, tutta la burocrazia ruoti, anche fisicamente, attorno al re. Un sistema così compatto non poteva durare a lungo: la IV dinastia finisce oscuramente e la V dinastia mostra i segni di una crisi ormai in atto. I primi tre sovrani (Userkaf, Sahura e Neferkara), secondo la leggenda, sono figli del dio Râ e della sposa di un sacerdote di Eliopoli e i loro successori, oltre ad avere nomi composti con Râ, portano tra i loro titoli quello di "figlio di Râ", indicando con ciò una dipendenza dal Sole (prima erano invece identificati col dio Horus e le due dee dinastiche). È questo un chiaro segno del potere che il clero (in questo caso il clero eliopolitano) va assumendo a fianco dell'autorità regale. Nello stesso tempo un altro elemento centrifugo si ha nelle grandi famiglie della nobiltà provinciale che si trasmettono ereditariamente, di padre in figlio, le cariche prima assunte per nomina regale. I sovrani della VI dinastia tentano di controllare questa spinta centrifuga, ma sono costretti continuamente a concessioni di autonomia politica e amministrativa verso il clero e famiglie nobiliari. Il primo re di questa dinastia fu Teti, di cui non si sa molto; gli succedettero Userkara, Pepi I e i figli Merenra I e Pepi II. Quest'ultimo, salito al trono a 6 anni, regnò per ben 94 anni, ed è proprio sotto di lui che si compie la decadenza dell'Antico Regno. Nulla sappiamo di preciso sulle cause ultime della fine della dinastia, culminata in una rivoluzione sociale che traeva la sua origine da cause assai più antiche e di cui approfittarono i nobili provinciali per crearsi una loro autonomia nei paesi di origine.

Storia: il Medio Regno (2000 a.C.-1785)

Il I periodo intermedio (2220-2065 ca.) fu un'epoca dalle caratteristiche feudali, in cui l'E. appare frazionato in piccoli potentati autonomi foggiati sul modello della monarchia centrale. Intorno al 2300 a. C. una casata, stabilita in Eracleopoli, controlla la regione centrale (IX e X dinastia), ma viene poi a conflitto coi nomarchi di Tebe, finché, verso il 2065, un re tebano, Mentuhotep I (dell'XI dinastia), afferra di nuovo saldamente nelle sue mani l'E. unificato e dà inizio al Medio Regno (2000-1785 ca.). All'XI dinastia, dei Mentuhotep, succedette la XII, costituita dai membri di una famiglia di visir. Il primo sovrano è Amenemhat I, il cui regno finì bruscamente, pare per una congiura di palazzo. Gli succedette il figlio Sesostri I che intraprese vaste conquiste in Nubia. Meno noti i regni dei successori Amenemhat II e Sesostri II. Sesostri III fu invece uno dei più grandi faraoni della storia egizia e il suo nome ricorre anche nelle leggende narrate dagli storici greci. Fece fortunate campagne in Palestina e in Nubia, dove stabilì fortezze. Il figlio Amenemhat III si occupò principalmente dello sfruttamento agricolo ed economico dell'E., specie del Faiyûm. Sotto i successori Amenemhat IV e Sobekneferura (una regina) avviene una rapidissima decadenza che dà inizio al II periodo intermedio (1785-1580 ca.), periodo che presenta tuttora molti punti oscuri, a cominciare dalla sua durata che oggi è valutata a ca. 200 anni (o ancor meno) in luogo dei 1583 dati da Manetone. L'E. appare di nuovo smembrato: nella regione tebana continua, almeno formalmente, la regalità indigena con la XIII e la XIV dinastia, mentre nel Delta iniziano, dapprima lentamente sotto forma di infiltrazioni e poi in forma sempre più violenta, le invasioni di popolazioni nomadi asiatiche, i cosiddetti Hyksos (principi dei popoli stranieri). Ben presto essi si stabiliscono in Avaris, nel Delta orient., dove costruiscono una fortezza, spingendosi poi fino a Menfi, e a un certo momento fino a Gebelein, a sud di Tebe, forti del possesso di nuove armi, di cavalli e carri da guerra. Una volta sedentarizzati assumono usi e costumi degli Egiziani e costituiscono delle vere e proprie dinastie (la XV e la XVI) con titoli e cerimoniale regali. Per un certo periodo vi furono rapporti di tolleranza reciproca con i Tebani, che avevano anch'essi costituito una dinastia, la XVII. Fu solo intorno al 1580 a. C. che si arrivò allo scontro diretto tra gli Hyksos e gli Egiziani in grado ormai di far leva sul nazionalismo indigeno, mortificato dall'invasione. Uno dei re della XVII dinastia tebana, Seqnenra, probabilmente morì in battaglia (la sua mummia presenta un'ampia ferita alla fronte); il suo successore Kamose continuò la lotta che fu portata a termine da Ahmose, il fondatore della XVIII dinastia. Costui assediò Avaris e la conquistò, inseguendo gli invasori fin nella Palestina meridionale.

Storia: il Nuovo Regno (1580 a.C.-1085)

Si iniziava così, in questo clima di vittoria e nell'esaltata rinascita di uno spirito nazionale, il Nuovo Regno (1580-1085 ca.), uno dei periodi più floridi e fortunati dell'antico Egitto. La profonda crisi del II periodo intermedio non era però passata invano; gli Egiziani cominciarono a rendersi conto che i territori a est dell'E. potevano costituire una minaccia e, per difendersene, occorreva attaccare e sottomettere le popolazioni siro-palestinesi nel loro stesso ambiente. Questa fu la politica attuata dallo stesso Ahmose e seguita dai suoi successori Amenofi I, Thutmose I e Thutmose II. Come prima conseguenza di queste campagne si ebbe in E. un afflusso di ricchezze che, unito alle aumentate conoscenze di popoli diversi, introdusse esigenze di lusso e di raffinatezza assieme a nuove credenze che cambiarono profondamente il modo di vivere. Una battuta di arresto in queste campagne asiatiche si ebbe sotto la regina Hatshepsut, ma il suo successore Thutmose III riprese con eccezionale vigore la politica espansionistica in Asia. Egli portò a termine 17 campagne militari, volte a riconquistare Siria e Palestina e a perseguire i Mitanni che fomentavano le rivolte fin oltre l'Eufrate. Queste campagne avevano scopo intimidatorio più che di vera e propria conquista: il faraone si accontentava infatti di assicurarsi la fedeltà dei capi dei Paesi vinti, attuando così una specie di protettorato. Tuttavia la fluidità del mondo asiatico, teatro di continue lotte locali e continuamente premuto da invasori provenienti da est (prima i Mitanni, poi gli Ittiti e più tardi gli Assiri, i Neobabilonesi e infine i Persiani) rese il sistema assai aleatorio e richiese continui interventi armati. Né si perse di vista la Nubia, che anzi venne annessa più strettamente e posta sotto l'autorità di un viceré, "il Figlio Regale di Kush". A Thutmose III succedettero Amenofi II e Thutmose IV, sotto i cui regni cominciò a profilarsi in Asia la nuova minacciosa potenza degli Ittiti, che cozzando coi Mitanni indussero questi ultimi a riavvicinarsi all'Egitto. Amenofi III, figlio e successore di Thutmose IV, cercò di mantenere in pace l'impero, creando alleanze anche per mezzo di matrimoni con principesse straniere. Intanto all'interno andava sempre più affermandosi il potere del clero di Ammone, al cui tempio affluiva gran parte delle ricchezze asiatiche e nubiane. Intorno al 1350 la crisi scoppiò per opera di Amenofi IV, figlio di Amenofi III, sfociando in una rivoluzione religiosa che abolì tutti i vecchi dei riconoscendo come unico dio Aton, il "disco solare". L'unico intermediario tra Dio e gli uomini divenne il sovrano stesso, ristabilendo così quella figura di re-dio, unico arbitro delle vicende umane, che dalla prima età menfita era andato perdendo ogni vitalità. Insieme venne esautorata anche la vecchia nobiltà, in quanto i funzionari erano di nomina regale e non legati alle vecchie famiglie (almeno formalmente). Il suo distacco dal passato è sottolineato dal cambiamento di nome, da Amenofi (Ammone è in pace) in Ekhnaton (Colui che è giovevole ad Aton), e dalla fondazione di una nuova capitale, Akhetaton (L'orizzonte di Aton). Ben presto tuttavia clero e nobiltà ripresero il sopravvento e lo stesso sovrano fu costretto a tentare una riconciliazione che però non valse a salvare la sua riforma. Alla sua morte gli succedette, forse solo per pochi mesi, Semenkhara, seguito poi da Tutankhamon. Dopo un breve regno di Ai, la XVIII dinastia terminò con l'ascesa al trono di Horemhab, un ex-generale, proveniente da una famiglia di nomarchi, la cui attività fu volta soprattutto a deprimere le autorità provinciali restaurando il potere centrale assai provato dall'ultima crisi. La XIX dinastia, che con Ramesse I succedette senza scosse a Horemhab, portò al potere una famiglia di militari originaria del Delta. Essi mantennero la capitale a Tebe, ma nello stesso tempo conservarono legami assai stretti con la loro città di origine e, con fine intuito politico, affiancarono al dio nazionale Ammone i loro dei Seth, venerato a Tani, Ptah, il dio dell'antica capitale Menfi, e Râ, il potente dio di Eliopoli. Con ciò ottennero di poter controllare tutto il Paese dalla Vallata al Delta e insieme di limitare, senza troppo urtarne la suscettibilità, l'influenza del clero di Ammone. Il successore di Ramesse I, Seti I, contrastò vittoriosamente le ribellioni in Asia, fomentate dagli Ittiti, e le invasioni delle tribù ariane provenienti dalla Libia. La lotta contro gli Ittiti fu proseguita dal figlio Ramesse II, forse il più famoso dei sovrani egiziani, che ebbe un regno lunghissimo e si segnalò soprattutto per la sua attività di costruttore. Ai primi anni del suo regno, intorno al 1294, risale la famosa battaglia di Qadesh contro gli Ittiti, che ebbe esito incerto anche se poi fu sfruttata da Ramesse, con abile propaganda, come una splendida vittoria personale. Il vero successo della battaglia si ebbe però nella stipulazione di un trattato di pace, suggellato da un matrimonio tra il faraone e la figlia del re degli Ittiti, in cui, oltre alla reciproca convivenza, i due popoli si impegnavano alla mutua difesa, soprattutto in vista di un nuovo pericolo proveniente da Oriente: gli Assiri. La situazione rimase stazionaria sotto il regno di Merenptah, che respinse energicamente dal suolo stesso dell'E. gli invasori Popoli del Mare, provenienti dalla Libia: ma precipitò sotto gli ultimi sovrani della XIX dinastia. Un ultimo soprassalto di energica ripresa si ebbe sotto Ramesse III della XX dinastia che, ispirandosi alle imprese del suo omonimo predecessore, combatté e vinse i Popoli del Mare e le tribù coalizzatesi sul fronte libico, ma la fine oscura del re, perito forse per una congiura di palazzo, dette il via alla decadenza. Ormai l'E. non poteva più contare sul suo isolamento, nuove forze entravano in gioco sconvolgendo gli antichi equilibri, armate potenti premevano sia da Oriente, sia dal mare, sia dalla Libia, fresche di nuove energie e dotate di armi più potenti. Era la crisi del passaggio dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro e l'E., privo di minerali utili e ancorato alle sue tradizioni ormai millenarie, restava al di fuori, sorpassato, mentre la sua stessa estensione e il tradizionale antagonismo tra Delta e Vallata ne impedivano un'efficace difesa. Gli ultimi re della XX dinastia, Ramesse IV-XI, sono comparse insignificanti.

Storia: la Bassa Epoca (1085 a.C.-332)

Verso il 1085 (bassa epoca, fino al 332 a. C.) il potere passò nelle mani di un sommo sacerdote di Ammone, Herihor, che, pur in presenza di una misera figura di re, Smendes (fondatore della XXI dinastia), assunse titoli regali. Vi furono così due capitali, una religiosa a Tebe e una politica a Tani, nel Delta, mentre le istituzioni si andavano sfasciando sotto la vana copertura di accademici orpelli. Si rappezzarono templi, si nascosero le mummie dei faraoni perché non si riusciva più a difenderle nelle loro tombe, si trafficava con i Paesi orient., ma non si poteva impedire che i messi egiziani venissero vilipesi in terra straniera. Nel frattempo mercenari di origine libica, prestanti servizio nell'esercito, si erano stabiliti a Eracleopoli e tra essi emerse una famiglia i cui membri assunsero cariche sacerdotali e civili finché, intorno al 950 a. C., uno di loro, Sheshonq, occupò il trono fondando la XXII dinastia che assunse i caratteri di una dittatura militare, avente come capitale Bubasti nel Delta. Sheshonq riprese anche le campagne in Asia, arrivando fino a Gerusalemme, di cui saccheggiò il tempio, e riuscì anche, per un certo tempo, ad assicurarsi un controllo sul clero di Ammone, creando una nuova figura sacerdotale da contrapporre al gran sacerdote di Ammone: la "Divina Adoratrice" o "Sposa del Dio", scelta tra le principesse della famiglia reale. Ciò però non valse a frenare i torbidi e le divisioni interne, ormai troppo radicate nel Paese, al punto da dare di nuovo origine a una società di tipo feudale, che perdurò nelle dinastie XXIII e XXIV. La situazione si complicò con l'arrivo in E. di conquistatori nubiani (forse discendenti da sacerdoti egiziani esiliatisi a Napata), con a capo Piankhy, figlio di Kashta. Egli penetrò in E. presentandosi come restauratore della genuina tradizione egiziana; se ne tornò quindi a Napata, lasciando a Tebe, in sua vece, un governatore. Le ribellioni ripresero, costringendo il figlio di Piankhy, Shabaka, a riprendere la lotta. A Shabaka succedettero Shabataka e poi Taharqa, sotto il cui regno gli Assiri invasero l'E. due volte (671 e 669), questa volta spingendosi fino a Tebe. Sotto Tanutamon, l'ultimo sovrano della XXV dinastia, gli Assiri conquistarono per la terza volta l'E. (664), respingendo la dinastia etiopica nel Paese d'origine, dove poi diede vita al regno meroitico. Nel 663 un principe di Sais, Psammetico, approfittando delle divisioni interne degli Assiri e forte dell'aiuto del re di Lidia Gige, che gli inviò mercenari greci e carii, riuscì a ristabilire l'unità interna dell'Egitto fondando la XXVI dinastia, l'ultimo periodo di fioritura dell'E., in cui un cosciente ritorno alle tradizioni riportò nella letteratura e nell'arte i modi e il linguaggio dell'Antico e Medio Regno, vagheggiati come favolosa età dell'oro. I Greci penetrarono in E. come mercenari e mercanti, ampliando gli orizzonti della cultura indigena. All'esterno intanto la potenza neobabilonese si era sostituita a quella assira e con essa cozzarono Nekao, che fu sconfitto da Nabucodonosor, e Apries, che fu poi detronizzato dal suo generale Amasi. Il figlio di Amasi, Psammetico III, fu a sua volta sconfitto dal re persiano Cambise, che nel 525 invase l'E., installandovi una satrapia. La XXVII dinastia di Manetone è appunto costituita dai sovrani persiani Cambise, Dario I, Serse, Artaserse, Dario II (525-404). L'E. fu reso di nuovo indipendente da Amirteo di Sais, l'unico re della XXVIII dinastia (404-398), e riuscì, pur con alterne vicende, a conservare la libertà per altre due dinastie indigene, la XXIX con capitale Sebennito e la XXX con capitale Mendes (entrambe nel Delta). Tuttavia nel 341 l'E. ricadde sotto il dominio persiano cosicché Alessandro Magno, quando nel 332 conquistò il Paese, apparve come un liberatore e fu proclamato "Figlio di Ammone" dall'oracolo dell'oasi di Sîwa.

Storia: l'età greco-romana

Dopo la morte di Alessandro Magno, iniziò il regno dei sovrani tolemaici, nato dalla spartizione dell'impero di Alessandro tra i suoi generali (i Diadochi) e dall'assegnazione della regione a Tolomeo Lago, che nel 304 vi assunse il titolo di re sull'esempio di quanto aveva fatto Antigono di Siria. La dominazione tolemaica rappresentò nel complesso un periodo di pace e di benessere e durò per tre secoli, fino al 31 a. C., quando la flotta di Cleopatra e Marco Antonio fu sconfitta ad Azio da Ottaviano. I Tolomei, fin dai primi tempi della loro dominazione, cercarono di ingraziarsi la popolazione indigena proclamandosi eredi dei faraoni e assumendone tutto il cerimoniale, professando ossequio agli antichi dei (molti templi, tra i più importanti dell'E., furono rifatti o costruiti ex novo in questo periodo) e creando addirittura divinità ibride come Zeus-Serapide, ma non arrivarono mai a fondere le due popolazioni. Si ebbero così due culture che vissero affiancate, senza amarsi e senza comprender si: da una parte il mondo ellenistico che ha trovato in Alessandria la sua più brillante capitale, e dall'altra il mondo egiziano, sopravvissuto a se stesso e chiuso ormai in un accademico e bigotto isolamento. Dell'amministrazione faraonica, i Tolomei conservarono e potenziarono l'organizzazione burocratica, il sistema fiscale, il carattere ufficiale imposto anche alle trattative private con la stesura di contratti depositati presso un notaio. Vi sono notizie di rivolte, specie nella Tebaide, la regione più lontana dal potere centrale e in cui più viva restava la tradizione, specie sacerdotale, finché nell'84 a. C. Tebe fu distrutta da Tolomeo IX Latiro. Un tentativo di far leva sul nazionalismo più vasto fu compiuto dall'ultima regina d'Egitto, Cleopatra VII, l'unica che parlasse la lingua egizia, ma il suo sogno finì con la sconfitta di Azio. I Romani, conquistato l'E., ne fecero una provincia a statuto speciale rispetto alle altre province dell'Impero, governata dagli stessi imperatori per mezzo di un prefetto di rango equestre. Inoltre il territorio era interdetto ai personaggi di rango senatorio. E gli imperatori, come già i Tolomei, si considerarono eredi dei faraoni e si fecero spesso rappresentare in abito e stile egizi, col nome in geroglifici racchiuso in un cartiglio. Le istituzioni tolemaiche furono generalmente conservate e ci si appoggiò più all'elemento greco che a quello indigeno, tanto che, quando nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti i cittadini dell'impero, gli Egiziani, tranne i più illustri, ne restarono esclusi. Nei sec. I e II l'E. fu considerato "il granaio dell'impero" e da questa pesante situazione uscì fortemente impoverito, mentre sempre più si accentuava lo sfacelo delle classi abbienti, costrette a compiti amministrativi di cui dovevano sostenere anche le spese. Con la riforma dioclezianea l'E. venne diviso in tre province e venne a far parte della Diocesis Orientis governata da un prefetto avente sede in Antiochia. In questo periodo l'elemento ellenizzato, tranne che in Alessandria, andò perdendo la sua supremazia, mentre si fece strada di nuovo quello indigeno. Nello stesso tempo si andava sempre più diffondendo, specie tra gli indigeni, il cristianesimo e si sviluppava una nuova lingua erede dell'antico egiziano, ma scritta in caratteri greci: il copto. Tuttavia anche l'avvento del cristianesimo non placò le lotte civili; anzi, dapprima si ebbero le fanatiche persecuzioni degli ultimi pagani, poi le contese, sempre violente, tra melchiti e monofisiti in cui si rispecchiava forse la sempre viva tensione tra mondo alessandrino e mondo indigeno, contadino, il primo volto a raffinate speculazioni teologiche, mentre il secondo, più rozzo ed elementare, diede vita al fenomeno del monachesimo. Nel 451 la ribellione del patriarca Dioscoro, che, avendo accettato l'eresia monofisita, era stato condannato dal Concilio di Calcedonia, staccò definitivamente la Chiesa copta dall'autorità di Bisanzio, sanzionando un conflitto che era anche politico. Nel 616 i Persiani, guidati da Cosroe, invasero l'E., tenendolo in loro potere fino al 628 e, dopo una brevissima riconquista bizantina, intervennero gli Arabi che nel 641 lo invasero al comando di !Amr ibn al-As, battendo i Bizantini a Heliopolis.