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Nomade Psichico

Intervista a

Antonio Caronia

di Fabrizio Tavernelli

Antonio Caronia (genova, 1944) ha fatto studi di matematica, logica e linguistica (tesi su Chomsky), ed è stato attivo nei movimenti studenteschi e nella sinistra italiana fino alla metà degli anni Settanta. Negli ultimi venti anni si è dedicato allo studio e allíorganizzazione di attività culturali nel campo delle scienze, delle arti e della cultura di massa. Si è occupato così, fra líaltro, di fantascienza, di video e di immagine elettronica, di immaginario scientifico e tecnologico, di realtà virtuali e di reti telematiche. Il suo interesse è rivolto prevalentemente alle trasformazioni delle attività cognitive e della sensibilità in relazione alle trasformazioni tecnologiche, con un taglio antropologico-sociologico che però non esclude la riflessione e la valutazione estetica, non solo delle attività tradizionalmente definite come "artistiche", ma anche dei comportamenti sociali e delle trasformazioni dellíimmaginario.

Eí stato redattore, o ha collaborato, a moltissimi giornali e riviste, di cultura e di informazione. Attualmente è editorialista del mensile Virtual, collabora al mensile Linea DíOmbra, alla rivista díarte Virus e al bimestrale Pulp, e dirige con Daniele Brolli la rivista Alphaville. Ha progettato e diretto una decina di mostre e convegni (da Il Gatto Del Cheshire, Milano 1982, a Variazioni Cosmiche, Vimercate (MI) 1988, da Giù Nel Ciberspazio, Padova 1992 a InCarníAzione, Scandicci 1997). Eístato consulente del Mystfest di Cattolica e del progetto Cyberia dellíARCI di Milano. Collabora con case editrici come Rizzoli, Baldini & Castoldi, Bompiani, Einaudi, e ha tradotto romanzi di Ballard, Rucker, Laidlaw, Kerr, McDonald. Tiene corsi e seminari in parecchie scuole italiane, specialmente di design, e conferenze in università e circoli culturali. Collabora alla trasmissione televisiva MediaMente (RAI 3).

Ha pubblicato Nei Labirinti Della Fantascienza. Guida Critica a cura del collettivo Uníambigua utopia, Milano Feltrinelli, 1979; Il Cyborg. Saggio sullíuomo artificiale, Roma-Napoli, Theoria, 1985; Il Corpo Virtuale, Padova, Aries-Muzzio, 1996; con Domenico Gallo Houdini e Faust. Breve storia del Cyberpunk, Milano, Baldini&Castoldi, 1997. Ha curato líedizione italiana di Attenzione polizia! di Philip K. Dick, Bologna, Telemaco, 1992, e di Virtual Reality, di Sandra K. Helsel e Judith p. Roth, Bologna, Phoenix, 1995.

 

Non credi che oggi il compito della fantascienza non sia più quello di prevedere, predire, profetizzare, ma di informarci su quello che sta accadendo o ci sta accadendo o addirittura rendere noto ciò che è già avvenuto?

Probabilmente la fantascienza ha sempre fatto così, anche quando credeva di prevedere, predire e profetizzare. Non si può parlare mai díaltro che delle proprie esperienze, del mondo come lo vediamo oggi. Anche il mondo come lo vorremmo, o come crediamo che sarà, è un prodotto dellíelaborazione e dellíestrapolazione delle nostre esperienze. Eí vero però che allíinizio e nel pieno della modernità cíera uníidea di futuro, cíera una proiezione, illusoria magari, ma sostenuta appunto dallíesperienza moderna. A noi invece, ormai, il futuro ci è cascato addosso: io non credo che viviamo in un "eterno presente", come si dice, semmai in un eterno futuro. Ma proprio per questo il futuro è svalutato, non ha più niente da dirci, lo viviamo già. Non credo che Johnny Rotten volesse dire proprio questo, col suo no future, ma certo la formula è adatta a essere letta anche così.

Un tema ricorrente vede le macchine, in particolare consenzienti computer, sostituirsi allíuomo, dominando ogni processo naturale. In verità i due ambiti, biologico e tecnologico sembrano convivere. Eí una simbiosi vincente?

Vincente per che cosa? Non lo so se è vincente, certo questo è lo stadio attuale dellíevoluzione. Ci sono due cose che mi sembrano importanti. Una è líinterferenza ormai evidente del piano culturale con quello biologico, evidente e massiccia, invasiva, non era mai successo prima nella storia che líuomo potesse influire sui meccanismi naturali, per così dire, "dallíinterno": finora líaveva fatto solo dallíesterno. Le città, la coltivazione dei suoli, le fabbriche, sono delle aggiunte alla natura, certo la modificano, ma in modo quantitativamente inferiore e qualitativamente diverso dalla manipolazione del codice genetico. La seconda cosa è che in questo nuovo stadio dellíevoluzione le macchine (sarebbe meglio dire i computer, che sono una cosa ben diversa dalle macchine dellíera meccanica, e anche di quella elettromeccanica), ecco, i computer diventano dei partner, diciamo così, attivi, e non più passivi dellíuomo. Naturalmente gli incubi di dominazione delle macchine da cui vorrebbero metterci in guardia i tecnofobi non costituiscono un vero pericolo, ma certo sono indicativi delle nostre paure, delle nostre fobie. Non è della dominazione della macchina sullíuomo che dobbiamo avere paura, ma della dominazione dellíuomo sullíuomo, che non è un pericolo del futuro, ma è vecchia quanto la civiltà. Detto questo, so bene che i computer continueranno a fare paura a molti di noi: se líuomo non è riuscito in centinaia di migliaia di anni a liberarsi dalla paura di Dio, che è una creazione dellíuomo infinitamente più sofisticata e complessa delle macchine, come vuoi che possa liberarsi dalla paura delle macchine?

Mutazioni, clonazioni, innesti, multidentità, sono líennesimo passo di un processo evolutivo?

Si e no. Si nel senso della risposta precedente. Però qui cíè un problema grosso. Come ci ha insegnato Darwin, possiamo anche chiamare "processo" quello dellíevoluzione naturale della vita sulla terra, ma non nel senso che sia un processo finalizzato, che ci sia un grande architetto, personale o impersonale, Dio o la Natura, o la Storia, che abbia "progettato" tutto questo. Però uno dei prodotti di questa evoluzione, cioè líuomo, è un essere che "naturalmente" progetta, si pone degli obiettivi e cerca di realizzarli, e tende a leggere tutto quello che accade attorno a lui in questa chiave. Come si innesterà, allora, uníevoluzione per così dire "finalizzata" come quella indotta dalla cultura e dalla tecnica, sullíevoluzione cieca, non finalizzata, che ci ha prodotto? Non so rispondere, naturalmente, ma se pensi a un problema come quello dellíidentità vedi che la dinamica è proprio questa. Líidentità personale è un prodotto dellíevoluzione biologica, rafforzato (nellíuomo) dallíevoluzione culturale. Il fatto che adesso líevoluzione culturale consenta (in un certo senso favorisca) líabbandono dellíidentità monolitica per una concezione più fluida, meno confinata della persona crea naturalmente dei conflitti: conflitti che la cultura del Novecento aveva già abbondantemente trattato (basta pensare a Joyce) ma che adesso si presentano centuplicati perché sono realtà, e non fantasie, adesso che la tecnologia consente, impone a volte, ogni tipo di travestimento, di replica, di mutazione.

Da un lato cíè un nuovo interesse per il corpo e le sue possibilità, dallíaltro un fuoriuscire da questo corpo per intraprendere viaggi immateriali. Come spiegare questa apparente controversia?

Né líinteresse per il corpo né la sua svalutazione sono atteggiamenti nuovi, in sé: per esempio, essi convivono nella tarda cultura greca classica e in quella ellenistica (penso a Platone, naturalmente, che è, se non il primo, il più importante pensatore greco ad aver teorizzato uníanima separata dal corpo e superiore ad esso, sul piano dei valori). Da questo punto di vista i viaggi nel ciberspazio, tanto quelli fantastici di Gibson quanto quelli che si possono effettivamente fare oggi, con un casco di realtà virtuale o più prosaicamente in una mailing list o in MUD, perlomeno in parte li possiamo leggere come i corrispettivi delle estasi dei mistici, mediate magari dal nuovo tipo di estasi chimiche che si sono diffuse negli ultimi due secoli riprendendo tradizioni molto più antiche ( e infatti vedi che Elémire Zolla non si è lasciato sfuggire líoccasione). La contraddizione, mi sembra, sta nel fatto che la mediazione culturale fra anima e corpo assicurata per un paio di millenni dal cristianesimo (e per meno tempo dallíislamismo), sta saltando, e sta saltando proprio di fronte ai processi tecnologici di cui abbiamo parlato prima: se la trance è indotta da un esercizio fisico, o dal digiuno, o da modificazioni biochimiche del corpo di cui non siamo coscienti, è relativamente semplice attribuirla a un principio misterioso chiamato anima, o Dio, o angelo, ma se è conseguente allíingestione di una pastiglia o di una tavoletta, con le pur superficiali cognizioni scientifiche che abbiamo tutti, la proiezione sul soprannaturale appare più difficile. Ma tu dirai: e il proliferare delle sette religiose? La New Age? Il successo di monsignor Milingo? Lo so, il programma razionalista della modernità qui ha fallito, ma perché ha sbagliato diagnosi: le religioni storiche sono un nemico, sì, ma la religiosità no. Líimportante è sconfiggere le concezioni dualistiche (cíè líanima e cíè il corpo) e quelle monistiche idealiste (cíè solo lo spirito, la materia è illusione). Una volta affermato un "materialismo fenomenologico" (esiste solo la materia, per quello che possiamo saperne), che male cíè a chiamare "Dio" líintelligenza del mondo, le aspirazioni dellíuomo, la complessità dei fenomeni?

La manipolazione genetica non può creare nuove forme di discriminazione?

Certo, tutte le tecniche dal neolitico in poi sono state utilizzate per discriminare. Ma nessuna battaglia per proibire o mettere fuori legge una tecnica che rispondesse a un bisogno ha mai avuto successo: si possono mettere fuori legge delle tecnologie chimiche come le sostanze psicoattive chiamandole droghe e criminalizzandole, ma esse si rifugiano in altre zone della società, diventano illegali e prosperano lo stesso. Líingegneria genetica, di per sé, non è più discriminatoria di altre tecniche. Ma può diventarlo molto di più se viene proibita, come sognano le commissioni di bioetica: allora se la potranno permettere solo i ricchissimi, nelle lussuose cliniche clandestine in qualche paradiso fiscale o negli stessi paesi avanzati, ben nascoste e mimetizzate.

Dove inizia il lungo processo di artificializzazione del corpo?

Inizia dove inizia líuomo, qualche milione di anni fa nelle pianure dellíAfrica. Quando qualche australopiteco ha capito che se passava qualche giornata ad affilare una selce avrebbe potuto scuoiare le prede con più facilità, invece di staccare la carne a morsi dalla pelle. Un corpo che impugna un utensile, una protesi, come del resto un corpo che parla, che emette dei suoni a cui assegna degli arbitrari significati, è già un corpo in via di artificializzazione. Poi, certo, è questione di gradi, di quantità. Ma líartificialità del corpo umano è inseparabile dal progetto, cioè della "ominità" dellíuomo.

Autori come Ballard, Philip K. Dick, la "New Wave", grazie a loro si evidenzia il passaggio da universi esterni a universi interiori. Questo porta a considerare certi scrittori non più di genere, ma inseriti in una corrente di speculazione esistenziale. Si può parlare di nuova filosofia?

Mah, negli anni Sessanta qualcuno propose di sostituire il termine science fiction (fantascienza) con quello di speculative fiction (narrativa speculativa), almeno per quanto riguardava una certa fantascienza più impegnata a dibattere idee, ipotesi sullíuniverso e sulla realtà. Fra gli autori che hai citato, il più "filosofo" è senzíaltro Dick, che aveva delle tematiche e degli interessi che si potrebbero definire senzíaltro metafisici (e insieme, come sai, era probabilmente anche il più fuori di testa, il più matto in senso clinico). Ballard, dico anche il Ballard degli anni Sessanta e Settanta, quello di Atrocity Exhibition e Crash, non è tanto interessato a fare ipotesi sulla natura ultima della realtà, quanto sulle trasformazioni dellíuomo e della psiche in relazione allíimmaginario sociale: per restare nella tua metafora, direi che è più "sociologo" che "filosofo" (e negli ultimi romanzi questa cosa si vede ancora più chiaramente). Gli altri autori della New Wave inglese e americana degli anni Sessanta (Moorcock, Ellison, Zelazny, Delany) accentuavano, soprattutto alcuni, la ricerca formale e stilistica, in un tentativo di ancorarsi alle espressioni della cultura giovanile di quegli anni, per esempio quella musicale. Il loro rapporto con il genere è abbastanza diverso: sia Ballard che Dick diventarono autori di fantascienza un poí per caso, ma poi Dick restò fedele al genere per tutta la vita, mentre Ballard se ne staccò già negli anni Ottanta. Comunque, se la si studia più da vicino, la fantascienza è un genere molto più ricco e complesso di quanto appaia a prima vista, molto stratificato, onnivoro. Il programma di Ballard dei primi anni Sessanta (analizzare lo "spazio interno") per certi versi è nato e morto con lui, per altri versi ha creato un rinnovamento tematico nella fantascienza che arriva sino a Gibson (meno a Stephenson).

Prima era il termine sulla bocca di tutti, oggi è pronunciato con stanchezza. Qualíè il vero significato del cyberpunk?

Eí il destino di tutti i movimenti innovativi, venir stritolati, consumati, esauriti da un uso intensivo e parossistico dei mass media. Non è successo così anche al punk? O alla house, alla cultura dellíecstasy? Il cyberpunk ha mostrato un modello che, appunto, era già stato del punk, e che negli stessi anni fu della musica house, dellíhip hop, e che credo vedremo ancora nelle culture dellíuniverso giovanile nei prossimi decenni: líintrecciarsi e il potenziarsi reciproco di tendenze artistiche e movimenti sociali. Credo che sia una delle manifestazioni della crisi della politica alla fine della modernità (o, per i più ottimisti, della trasformazione della politica).

Dallíhomunculus alchemico allíandroide. Líintervento umano nei meccanismi genetici è la sostituzione alla creazione naturale?

No, certo che no, è il suo prolungamento, il suo potenziamento, la sua ibridazione. Il che non vuol dire che i suoi effetti siano meno dirompenti.

Il lavoro di artisti e performers sul corpo e sui suoi segreti è arte? Scienza? Vita?

Vedi, io sogno un tempo in cui non si potrà più dire: arte, scienza, filosofia, letteratura, come sfere autonome, separate e contrapposte alla vita. Se cíè un interesse nel lavoro di Orlan, di Stelarc, di Franko B, di Marcel. Lì Antunez (molto diversi fra loro, per carità), e di altri ancora, è proprio la tensione alla ricongiuzione di arte e vita. Non è una cosa nuova neanche questa, era una delle componenti della pratica e della teoria delle avanguardie storiche. La novità è che oggi la tecnologia offre vie incomparabilmente più potenti per percorrere questa strada. Ma il senso, anche drammatico, del lavoro sul proprio corpo che tutti questi artisti fanno è proprio il tentativo di ridare allíarte quel senso sociale, collettivo, che essa ha avuto per tanti secoli, e che ha perso con la modernità.

Ho molto apprezzato i tuoi interventi su Media-mente (Rai 3), programma che si occupa di comunicazione e reti telematiche. Non credi che ci siano troppo ottimistiche aspettative da parte di un mezzo che già nasce come "regalo" delle tecnologie sperimentate per scopi bellico-militari?

Gran parte delle tecnologie nascono così, specie nellíepoca moderna e contemporanea, ma poi "la strada", come dicono Gibson e Sterling, le spiazza, ne inventa usi diversi. Poi, che Internet fosse allíinizio una tecnologia militare è vero solo in parte. Líimpulso venne dai militari, è vero, che volevano una rete non centralizzata, perché non potesse essere messa fuori uso da un ipotetico first strike dei russi che la decapitasse colpendone il centro, ma la rete venne effetivamente costruita dalle università, e già nelle università, nel corso degli anni Settanta, cominciarono a farsi strada utilizzi spontanei che non erano né militari né accademici ma socializzanti (alludo ai primi newsgroup, alle liste di discussione, quello che sarebbe stato Usenet). Per tornare a una risposta che ti ho dato prima, il fatto che líuomo faccia un progetto, costruisca qualcosa per un certo scopo, e poi nel corso del suo sviluppo questo strumento cambi uso e destinazione, acquisti valenze, significati, usi, diversissimi, a volte anche opposti a quelli che gli avevano i suoi creatori, ecco questo mi convince che cíè al lavoro una logica per così dire "sistemica" che va al di là delle intenzioni dellíuomo, non una logica finalizzata, per carità, una logica "cieca". Ma, vedi, il possibile è sempre più forte e più aperto del necessario, se la si sa vedere cíè sempre una via díuscita dalla logica della totalità e del controllo. O Dio, sempre... sempre forse no, in tanti casi...

Anche internet è destinato a seguire il modello di rapporto con líinformazione più famigliare allíutente, tipo quello televisivo? Le informazioni vengono spinte verso di noi e quindi già selezionate, visionate, depurate. La passività sta entrando in rete? Come in ogni autostrada, anche in quelle digitali ci sarà uníinvasione di segnali pubblicitari?

Temo proprio di sì. In parte è inevitabile che le nuove tecnologie vengano interpretate e usate, allíinizio, alla luce delle vecchie, è sempre successo così: il cinema degli inizi è teatro filmato, la televisione è una radio con le immagini, e così via. Nel caso di Internet, però, cíè un problema più complesso: la telematica ha una potenzialità orizzontale, democratica, ugualitaria, collettiva, che fa a pugni con la logica industriale, del monopolio, e che forse, siamo sinceri, fa anche paura agli attuali detentori del potere mediatico ed economico. La centralità del nuovo mezzo, il gran parlare che se ne fa, etc., spingono quindi verso Internet una certa quota di investimenti: ma Internet, per il momento, non ripaga questi investimenti nellíimmediato, e ci sono dubbi che possa farlo anche a medio termine. Se líindustria del divertimento attendesse uno sviluppo, diciamo così, "spontaneo" di Internet seguendo líattuale modello, cioè un allargamento delle comunità telematiche così come sono oggi, avrebbe difficoltà a produrre profitti come sa fare lei, e allora tenta di cambiare modello, cerca di favorire líingresso in Internet di fasce di popolazione dalle modalità di consumo più tradizionali, diciamo televisive per capirci, ma con un potere díacquisto più elevato. Ecco spiegate le tecnologie push a cui alludi, la televisione interattiva, e così via: tutte cose molto pericolose, secondo me, una perversione dellíinterattività orizzontale e autentica, in cui líutente diventa davvero produttore di informazione, a favore di un modello in cui la divisione fra produzione e consumo viene mantenuta, appena rivestita di qualche trucco aggiornato. Sostanzialmente, Internet come la vede líindustria cinematografica e televisiva, è solo una televisione con un poí di scelta in più. Per non essere troppo pessimisti, diciamo che abbiamo ancora una finestra di qualche anno (cinque, forse dieci) per combattere la battaglia della democrazia e dellíorizzontalità in Internet: poi, se perdiamo, temo che avremo qualche altro decennio di buio, non proprio orwelliano ma quasi.

Che cosa ti ha più colpito ultimamente. Letteratura, cinema, musica.

Riesco a leggere sempre meno di quello che vorrei, soprattutto nella narrativa, quindi forse mi sono perso delle cose fondamentali, ma non mi sembra che gli anni Novanta stiano già cristallizzando in prodotti adeguati líenorme ricchezza dei processi da cui sono attraversati. Alla rinfusa: Snow Crash di Neal Stephenson per la narrativa (non ho ancora letto Diamond Age, però); nel cinema non ho visto nulla di veramente interessante dopo Natural Born Killers di Stone e Strange Days della Bigelow (devo dire però che Titanic non è affatto il film stupidino e strappalacrime che dipinge la Bignardi su Repubblica, e che The Addiction di Abel Ferrara è notevole); per la musica sono un ascoltatore troppo distratto e ignorante per dire qualcosa, però confesso che mi piacciono i Chumbawamba. Devo dire che líincontro più emozionante degli ultimi anni lího fatto a teatro, con Catrame e poi con Orlando Furioso del gruppo Motus: hanno uníenergia, una cattiveria e una tenerezza che mi lasciano senza fiato.

Antonio Caronia è prodotto o nato?

Eí nato per produrre, ma siccome è molto pigro produce meno di quello che potrebbe.

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GENERAZIONE DIGERATA*

Di Davide Bregola

I Digerati sono la nuova élite intellettuale, tecnologica, industriale e finanziaria che sta creando, plasmando e colonizzando il cyberspazio.
Díaccordo, cyberspazio è una parola di cui non se ne può più perché pur essendo così nuovo, il termine si è visto, scritto e citato in tutti i luoghi dove è possibile comunicare, ma è anche vero che non va sottovalutata la sua importanza nel presente e soprattutto per il nostro futuro rapportato alle comunicazioni di massa.
Nellíaprile del 1997 la Garzanti editrice ha dato alle stampe un libro di John Brockman dal titolo DIGERATI. Brockman è stato trentíanni fa tra gli animatori delle performances multimediali e dellíExpanded Cinema Festival. Eí autore e curatore di parecchi libri, ha fondato la Brockman Inc., una agenzia letteraria e di software; è inoltre fondatore e presidente di una casa editrice attiva sul Web. Questo suo ultimo libro è composto da dialoghi con gli artefici della nuova frontiera elettronica, tra gli intervistati cíè Bill Gates, fondatore della Microsoft, John Perry Barlow, un tempo paroliere dei Grateful Dead e poi fondatore della EFF (Electronic Frontier Foundation), Louis Rossetto, animatore della rivista americana Wired, Danny Hillis, progettista di giocattoli e ai vertici della Disney, Jaron Lanier, musicista e profeta della realtà virtuale. Brockman nel suo libro dice: Quella che domina la nuova frontiera elettronica è una strana aristocrazia. E già questa frase infastidisce, perché líaristocrazia si pensava messa a macerare nel mondo reale, mentre il libro testimonia la vittoria delle classi privilegiate anche nel campo informatico ad appannaggio della popolazione che, se non si muove immediatamente, rischia di perdere il controllo della situazione facendo sì che anche la rete delle reti sia un non-luogo atto alla speculazione monetaria a scapito dei più deboli.
Rendiamoci conto di una cosa: líinformazione è propagata dalle multinazionali che ne mantengono anche il controllo e il monopolio. La produzione di accurate informazioni è la chiave dei sistemi economici ed il controllo dei media è importante quanto quello dei mezzi di produzione. Appurato ciò apro il dibattito: è meglio usare contro mosse sotto forma di rivoluzione o di insurrezione?
Eí una grande domanda che bisogna farsi quando si vuole provare a mutare situazioni precostituite sulla soglia della patologizzazione.
Rivoluzione o insurrezione? Ci si deve chiedere quando si ascolta una notizia alla televisione e ogni telegiornale offre punti di vista che danno adito a diverse interpretazioni su una stessa notizia. Rivoluzione o insurrezione quando si legge un quotidiano e ci si accorge dellíambiguità. Rivoluzione o insurrezione quando le multinazionali si impossessano della rete facendola diventare da libera circolazione di idee e notizie a nuova autostrada del capitalismo.
Ragioniamo: la rivoluzione è un movimento organizzato e violento col quale si instaura un nuovo ordine sociale e politico. In senso più ampio, ogni processo storico anche graduale che finisce per determinare il mutamento di un assetto sociale o politico.
Líinsurrezione è un moto collettivo, violento e deciso di ribellione. Líazione più immediata senza compromessi sembra líinsurrezione, anche perché instaurare un nuovo ordine sociale e politico vuol dire venire meno alla libertà soggettiva dal momento in cui un ordine nuovo si sostituisce ad un potere battuto con la finalità di ottenere un assetto a misura di nuovi capi.
La strada più sicura sembra essere quella dellíinsurrezione fatta di piccole modifiche, ossia deve essere sì un moto collettivo, ma non violento e deciso a prendere le redini dei media e gestirli democraticamente. Ma come fare? La migliore soluzione è agire dallíinterno mirando a diventare il cuore di una nuova medialità e crescendo allíinterno del guscio corrotto della vecchia.
La massa si è abituata alla menzogna, assorbe notizie di ogni genere prendendo per oro colato la parola del sistema di comunicazione che glielo propina agendo sulla passività delle persone. Una soluzione pragmatica contro lo stato di cose che vuole líuomo educato alla menzogna è : non essere precipitosi nellíassimilare notizie, non restare ostinatamente alle prime impressioni.
Il media è anestetizzante, educa allíassimilazione e distoglie dalla verità. Agisce per conto di un potere precostituito (i nuovi aristocratici) e le persone che ne fanno parte sono un ingranaggio del grande macchinario.
Costituendo un nucleo insurrezionale si potrà lavorare per occupare sempre più tempo e spazio ai media di massa, si potrà giocare rimanendo invisibili assumendo la forma di nuclei autonomi costituiti orizzontalmente . Karen Eliot potrebbe andare benissimo, bisogna solo cercare di non diventare visibili e farsi prendere dallíambizione di popolarità come è accaduto allíessere multiplo Luther Blissett nel 1996/97. Il nucleo insurrezionale è apartitico, ma deve essere consapevole che le azioni compiute sono inevitabilmente politiche, il nucleo insurrezionale è metodologico; líidea è quella di suscitare interesse nelle azioni fasulle che si progettano per sfuggire dal carcere degli eventi e crearne di nuovi. Tutto ciò è ironico, ci si prende gioco dei mezzi di comunicazione per riaffermare líuomo. Partendo da ciò bisogna agire esaminando una situazione costruita mediante premeditazione e svilupparla con una strategia culturale comprensibile a tutti: Vivere il media, umanizzare la comunicazione, utilizzarla al meglio invece di esserne violentati. Il nucleo insurrezionale mira alla massima diffusione ed efficacia della situazione, sfrutta la vulnerabilità delle agenzie stampa e le dicerie disseminate ad arte.
Ogni cosa deve essere valutata alla stregua del volere degli uomini con attenzione e grandezza díanimo. Quelli che vogliono essere perfetti non credono a chiunque parla e comunica perché conosce la debolezza umana portata alla malevolenza e troppo facile a blaterare.
Quanto più uno sarà umile, tanto più sarà saggio, non precipitoso, ponderato e pacato in ogni cosa e digerato potrà esserlo anchíesso.

Bibliografia:
Digerati - J.Brockman ed Garzanti 1997
Internazionale Situazionista - AAVV ed Nautilus 1994
NEOJAHVA - ed autoprodotta V. Quasimodo 5 46028 Sermide (MN) Tel,0386/62511
Imitazione di Cristo - AAVV ed Paoline 1995
Neoism, plagiarism e praxis - S. Home ed AK press 1995
Xmanifesto - Seeker 1 ed Theoria 1996

* Dallíinglese Digit = numero.

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