Come afferma Luca Beatrice, gli anni 80, il punk, la new wave, hanno
creato una generazione di artisti che parlano oggi la stessa lingua e che, ognuno a modo
suo, ha condiviso le stesse storie, soprattutto quella del "poter fare molto con
molto poco". Taccuini nasce dalla speranza di fare incontrare questi artisti tra
di loro. Il primo di questi incontri Ë stato quello tra Andrea Chiesi e il Consorzio.
Saranno le sue opere d'arte, abitualmente dipinte su semplici taccuini, le copertine di
ogni volume della collana. Inutile che vi parli di lui, leggete lo scritto di Luca
Beatrice ma soprattutto ammirate i suoi quadri e i suoi taccuini, parlano da soli. La
collana si occuperý di colonne sonore, di teatro, di cinema, di mostre e sonorizzazioni
aliene, del recupero e delle ristampe di vecchie registrazioni, di musica minimale,
strumentale, psichedelica, ambient, solistica, etnica, di sperimentazione, di
collaborazioni impossibili, di deliri e sfoghi d'autore, di musica nostalgica, di
radiodrammi, di poesia, di letture, di opere teatrali improbabili, di arte performativa,
di musica d'occasione, di musica di ricerca, di arte grafica e fotografica, di cd-rom e di
chissý che altro... Taccuini come recita il sottotitolo, sarý una "collana di
musica aliena". Aliena da logiche di mercato, aliena da mode e generi, aliena da
stili e preconcetti, aliena in quanto "altra musica", anche rispetto alle non
certo compiacenti produzioni del Consorzio. La veste dei Taccuini sarý essenziale fino
all'estremo: una busta di cartone, ma una voce narrante, presente su tutti i cd, ci
introdurrý, attraverso una breve guida all'ascolto, nel progetto e nei contenuti di ogni
singolo volume. I testi delle canzoni, nel caso di album cantati, saranno disponibili solo
sulle pagine web del Consorzio. Dodici volumi; quattro in autunno, quattro in inverno,
quattro in primavera.
Ogni volume costerý L. 16.000... si puÚ fare molto con poco!
Gianni Maroccolo
E qualche volta pogano...
Mi piace pensare che i quadri siano come le canzoni e i disegni come le parole. Interno,
non importa se giorno o notte, il vagone di un treno, fumatori, ronza nell'aria una musica
dalle cuffiette di un walkman, in mano un taccuino, una matita nera, un pennarello nero,
una figura, un'altra, una scritta che non leggo bene. Pochi e semplici strumenti che
accompagnano il viaggiatore, la quotidianitý eroica nei piccoli e collaudati gesti del
fare. Da una canzone vien fuori un disegno e da un disegno verrý fuori un quadro. L'uomo
seduto nello scompartimento Ë vestito di nero e si chiama Andrea Chiesi. Ma di lui
parlerÚ dopo. Per ora rifletto sul fatto che da questi anni in qua, siamo intorno al
1996, molti artisti, cineasti, letterati, musicisti parlano la stessa lingua perchÈ sono
di una stesta generazione, perchÈ condividono le stesse storie e ascoltano le stesse
canzoni. Essere di una generazione non Ë tanto avere 20 o 30 anni, quanto riuscire a
tenere tutti insieme questi vari momenti per poi rielaborarli in un unico modo
individuale, libero. Per chi ha ascoltato tanto punk nella sua vita questo dovrebbe
risultare abbastanza semplice. PerchÈ con il punk si Ë formato meglio questo spirito
creativo oltre l'ideologia, e lÏ si Ë potuto scegliere finalmente quel che serviva dove
si voleva. E poi, questa sÏ una cosa veramente diversa da tutti gli altri, poter fare
molto con poco. Con un basso scassato, una camicia di seconda mano, un taccuino da tasca.
Questa che Ë una storia generazionale finisce per diventare la storia particolare
dell'uomo vestito di nero che disegna sul treno, Andrea Chiesi. Pittore, fumettista e
sceneggiatore, illustratore, azionista, frequentatore di locali notturni della via Emilia,
vicino al teatro d'avanguardia e alla musica di ricerca che non Ë di ricerca per
etichetta ma perchÈ ricerca la meraviglia anche nel breve frammento di una canzone. Di
Chiesi vorrei dire che Ë un intellettuale, autodidatta, antiaccademico e senza rete, che
ha formato le sue esperienza in quel grande bacino di ispirazione che Ë la realtý. E che
fa il Chiesi? dipinge un universo nero, partito anche lui come la meglio musica italiana
dalla radice punk, e che oggi allo stesso modo va alzando il tiro sulla strada delle
tematiche universali, di una corporeitý apocalittica, del senso dell'uomo nella storia.
Storia anzi storie per ragazzi diventati adulti, che ancora battono freneticamente il
tempo con l'anfibio nero quando parte l'assolo di chitarra e qualche volta pogano.
Luca Beatrice
Per quanto mi Ë dato ricordare ho sempre disegnato. Non credo di poter fare altro, almeno
non cosÏ, non in questo modo che Ë divenuto esperienza totale. Anni fa, circa una
decina, forse pi˜, quindici, nella mia giovane etý, ero ingenuo, solitario e introverso.
Ma alcune idee chiave erano giý bene evidenti nella mia testa. Attratto da ciÚ che Ë ai
margini, sito nell'ombra, da ciÚ che non Ë codificato, controllato, imbavagliato,
affascinato dalle cose non banali e cariche di emozioni, conobbi il punk. E non poteva che
essere cosÏ. Iniziai a muovermi, attento e curioso, nel mondo della musica e della
cultura indipendente. Iniziai a raccogliere conoscenza, sogni, illusioni e delusioni,
senza fissa dimora, seguendo una via naturale, la mia natura. Non ho mai smesso di
disegnare, ostinato e ossessionato, offrendo tutto ciÚ che avevo. I CCCP Fedeli alla
Linea sono stati la mia guida spirituale e il post-punk il mio tutore. La storia dell'arte
e il mondo dell'arte li ho studiati poi, da solo. Oggi alcune cose sono cambiate, altre
restano intatte, appena leggermente sfumate. Porto con me un discreto numero di esperienze
e inizio a comprendere meglio quello che mi sta attorno. Ma non Ë facile. Non sono bravo
a scrivere, non sono un poeta, o un filosofo. So perÚ disegnare, questo sÏ, mi riesce. E
nel disegno trovo molte cose, la scrittura, la narrazione, l'intelletto, i concetti, i
pensieri, gli incubi, le ossessioni, i ricordi, le speranze, le gioie. Appaiono figure e
gruppi, come nuove deposizioni, commiati underground, pietý alternative, che seguono
precise linee di forza, tra l'incanto e la riflessione. Ho sempre voluto farlo, ho sempre
disegnato quello che sentivo, e semplicemente continuerÚ a farlo. "Noi non vogliamo
cercare di salvare il mondo, bensÏ soltanto di sopravvivere: questa Ë l'unica reale
avventura che ancora ci resta in questa epoca tarda".
Andrea Chiesi
Blocco, block notes, agenda, rubrica, almanacco e lunario, sono i sinonimi di
"Taccuini", oggetto solitamente cartaceo pronto a contenere idee, pensieri,
follie, sfoghi, stati d'animo, o frasi. Da oggi i "Taccuini" sono anche una
collana di musica piena d'appunti, idee e forse pazzie. Una scadenza quadrimestrale, come
sarý "Il Maciste" nella nuova stagione che ci accingiamo a trascorrere insieme,
un appuntamento ad ogni cambio (circa) di stagione. Quattro volumi per ciascuna uscita,
per un totale di dodici "Taccuini" ad un prezzo imposto di 16.000 lire a compact
disc. Una sfida che nasce controcorrente rispetto alla tendenza del mercato discografico,
una collana che si svilupperý dalle esperienze artistiche e di vita di ogni partecipante,
dalla voglia irrefrenabile di mettere a frutto gli anni trascorsi ad inseguire ideali,
musiche, movimenti, sogni ed incubi. I Palazzi del Potere sono stati abbandonati
nottetempo, le sale sono rimaste vuote, il brulicare ansimante della cultura di Stato si
Ë volatilizzato in un batter d'ala ed ora tocca ai bambini di ieri occupare i Palazzi di
oggi. Non Ë detto che i "Taccuini" riusciranno a cambiare il corso del tempo, o
della storia, perÚ ci provano in sordina. Alla fine di questa avventura vedremo se la
sfida Ë stata vinta, o se dovremo affrettarci alla ritirata. I "Taccuini"
saranno un viaggio tra le pieghe dell'anima, una escursione intimista nei territori di
confine tra il piacere sensoriale e la bellezza esteriore. Una collana che vi farý
riscoprire lavori del passato, nuove entitý e connubi alquanto inusuali. Una collana
pronta a stringervi tra le sua braccia amorevoli, pronta a coccolarvi, pronta a scuotervi
ogni volta lo desideriate. I "Taccuini" sono un viaggio a metý strada tra un
transatlantico superlusso e un'autocorriera peruviana e noi, i passeggeri di questa
vacanza, accecati dal sole, non riusciremo ad avvicinarci all'uscita per poter scendere
alla fermata "amica".
Andrea Tinti
"La mia anima Ë una misteriosa orchestra, non so quali strumenti suoni e strida
dentro di me corde e arpe, timballi e tamburi. Mi conosco come una sinfonia". F.
Pessoa. Ci fu un momento in cui il mio 'sentire' straripÚ come un fiume in piena,
appesantito da piogge torrenziali come diluvio dell'anima. 'Occorreva un ombrello'. La
musica arrivÚ tempestiva e miracolosa a contenere le acque, a calmare le onde, a
dissipare ogni nube... ma ciÚ non bastava. Fu per abbandono, per debolezza che incontrai
in un angolo, dimenticato, il Teatro. Fu come tradire l'amore essenziale per abbracciare
una sinfonia, ingannato dalla quantitý e da uno specchio distorto. Fu l'incontro tra un
paravento e una vita che voleva nascondersi. Gli anni vennero vissuti con un gran segreto
da sopportare, con cascate di note sussurrate e dimenticate allo stesso tempo. Al posto di
un suono puro misi la parola come se ad essa fosse destinato il nostro riscatto. Ma ciÚ
non bastava. Ovunque incontravo armonie trasparenti, sussurri di energia, sentimenti di
appartenenza, e l'amore vero tornava a chiedere una casa dove riposare, un letto dove
sognare e un cuore dove poter vivere. Era il mistero. PerchÈ tutto lo Ë. Trascinai il
vuoto in attese interminabili dietro a canzoni orecchiate a vite altrui. Ogni giorno in
cui nasceva una musica nuova, facevo a gara per averne un brandello da custodire, facevo a
gara per essere il primo ad averne consolazione. Mentre tutto ciÚ accadeva
silenziosamente, il Teatro andava avanti e mi portava con se. Stonando, stridendo e
inciampando creÚ un vuoto intorno a se. Io ci caddi dentro, muto. Ma non fu la morte, non
fu l'assenza. Incontrai storie meravigliose, passioni dimenticate, dolori in via
d'estinzione. Incontrai anche lÏ ipotesi di vita eterna celata dietro figure mortali.
Qualche cosa rimaneva, c'era sempre. Era l'anima, il soffio, l'essenza. Occorreva un
'luogo di risonanza' per moltiplicare e moltiplicarci; per tracciare un segno nitido sulla
tela. Non siamo noi che dipingiamo... "occulta mano colora in noi qualcuno".
Non siamo noi che suoniamo... "strumenti d'aria i nostri desideri".
Quando alcuni mesi fa, incontrato Gianni Maroccolo durante una notte di creazione, - nella
quale io ero spettatore privilegiato - Ë stato come risalire in superficie, allo
scoperto. Le parole sono uscite ininterrottamente e le vibrazioni hanno assunto un colore
nitido, forte, emozionale. E' stato durante quella felice conversazione che ho conosciuto
i "Taccuini", pensati e voluti 'a cuore aperto per cuori aperti'. Per tutti
coloro che necessitano di scoprire, di ritrovarsi, di ascoltare e ricordarsi, i
"Taccuini" saranno un punto fermo, un punto ideale. Le emozioni, i desideri, si
rincorreranno cascando in una rete infinita, si trasformeranno in ricamo. Le parole che
vivono il Teatro, che vivono in noi, non si nasconderanno pi˜, non verranno ingannate con
troppa facilitý. Le parole avranno un suono sempre pi˜ definito e mai 'finito'.
Vivranno. Galleggeranno in uno spazio artificiale dove le coordinate cambieranno
costantemente, tracciando itinerari di mondi possibili in cui abitare. Le parole, la
musica, le voci - sogni di noi tutti - attraverso i "Taccuini" avranno
finalmente maggior riparo. Non lasceremo pi˜ fuggire via nulla. C'Ë un enorme bisogno di
raccogliere, generosamente intorno a noi, tracce di vita per camminare ad occhi chiusi.
Fernando Maraghini
"Il linguaggio del suono e del colore Ë il linguaggio dell'anima il colore e il
suono sono il linguaggio della vita" Sufi Inayat Khan, Music
Nell'universo digitale delle immagini e dei suoni, le tendenze culturali, come quelle mercantili, vengono riprogrammate con semplici database. A milioni di soggetti viene proposto lo stesso modello prodotto su scala industriale.
Una collana di CD dedicata all'interdisciplinarietý delle arti ha la stessa preziositý di un "Libro d'artista", rispetto ad un popolare best-seller in edizione economica.
In pi˜, aggiungo che solo l'ibridazione delle culture e l'innovazione dei linguaggi ci permette di stare qualche passo davanti al mercato. Certo, Ë un po' stressante dover sempre starne avanti, ma se volete tirare un po' il fiato, fermatevi un attimo e, con calma, segnate qualcosa sul vostro "taccuino".
Mario Bufano
Centro Per l'Arte Contemporanea "Luigi Pecci"
Kom Fut Manifesto agisce, curioso, dribblando il "sottile muro d'ombra" che
avvolge la nostra generazione afasica, stremata da giungle di segni, implosioni di
sentimenti, desertificazioni culturali, continui smottamenti e smarrimenti
psico-storico-geografici. La rotta tracciata sulla nostra mappa psichica, ci sussurra,
invece, di fragili e tenere appartenenze; ci suggerisce di costruire "senso" sul
terreno sconnesso di poetiche generazionali mutanti, oblique, ipercinetiche; ci bisbiglia
di cliccare su sperimentazioni e ricerche di nuovi linguaggi, nuovi segni e comunanze,
nuovi percorsi intersecanti come in un crossover impazzito. Un'altro altrove in cui
"nessun centro, nessun confine, nessuna certezza del reale" esista. "Un
viaggio nel quale ci accorgiamo di essere contemporaneamente dentro e fuori, in nessun
posto e in tutti i posti, al centro e in periferia...". (E. Francalanci da
"Forme di Horror Vacui"). Dal 1990, fumetto, grafica, produzioni discografiche,
eventi multimediali, "radio sermonettes", mostre di arti visive, Red'ko e
Maffia, libri, queste le nostre attivitý. Con navigazione a vista, ottimi compagni di
viaggio, energie e stupore intatti. Come intatta Ë rimasta la voglia e il bisogno di
comunicare.
Kom-Fut Manifesto
Conosco Andrea Chiesi da cinque anni, da quando, assieme ad altri, abbiamo allestito a
Palazzo Ruini una mostra/riflessione sul tema "nostalgia di muri". Di come lo
sbriciolarsi delle barriere tra le razze aiutasse a consolidare mille solitudini nuove, in
alcune cittý campione: Babilonia, Berlino, Reggio Emilia. Quello che mi piace nella sua
pittura Ë l'idea di moltitudine, di corpi che si intrecciano, e la loro locazione in un
tempo e spazio indeterminati, senza oggetti, senza utensili, senza panorami. L'unica
scenografia Ë il vuoto, un vuoto blu, o viola, con improvvisi squarci di bianco come
carta rotta. Mi piace l'indaco, e i rigagnoli neri che colano sulle pagine come pioggia
greve. I suoi taccuini non sono leziosi, hanno perso l'oro sulla costa, il cordoncino
rosso, il cuoio, per riscoprire l'essenza di uso. Carta spessa che si logora, copertine
ruvide e nere, e quando li tocchi comunicano al tatto l'idea di un artigianato
esistenzialista. A volte penso, solo a tenerli tra le dita, di sapere giý cosa ci sarý
dentro. Sbaglio sempre, ma non di molto, che l'umanitý che li abita avrý sembianze di
eroe sconfitto, di sentinelle inutili che hanno giý tirato le somme da tempo. Sanno
quello che manca, e manca molto, meglio di quel che c'È. E' un popolo assente mimetizzato
tra le moltitudini, lo incontri di rado, non fa opinione. Sono guerrieri fragili, in
un'epica silenziosa. CosÏ sono i Taccuini di Chiesi, e la sua umanitý. Io vorrei che
fossero cosÏ anche i nostri, e la nostra.
Massimo Zamboni
"Profondamente radicati alla terra e aperti alla pioggia e al vento"
(Leopold Sedar Senghor)
Nel 1985 proposi a un giovane e giý affermato gruppo rock fiorentino, di scrivere la "storia sonora" di uno spettacolo teatrale e di partecipare, dal vivo, alla rievocazione onirica di quell'incontro fra suono e parola. Quel gruppo erano i Litfiba e lo spettacolo "Il compagno dagli occhi senza cigli" tratto da G. D'Annunzio. Seguirono altre contaminazioni e altri fumosi incontri nelle cantine e nelle sale di registrazione: "Mercier e Camier" di Beckett, ancora D'Annunzio con "Il Notturno" e "Chaka", con un'incredibile, eterogeneo ensemble di musicisti africani che poi confluÏ nell'incontro con altri musicisti senegalesi a Dakar. E inoltre radio, video, sperimentazioni, notti perdute insieme ad alcuni musicisti a cui sono molto vicino, da pi˜ di dieci anni. Mi fa piacere pensare che qualche frammento del nostro lavoro, in particolare l'insistenza fra parola e musica, possa confluire in questo affascinante percorso dei "Taccuini". Erba, pietre, acqua, manoscritti e scritture sonore: i "Taccuini" mi portano al recupero, dentro la mia memoria di segni e tracce di un'epoca passata, e scavano, nella babele del presente, un lungo tunnel verso il futuro dei linguaggi.
Massimo Luconi
Ass. alla Cultura, Comune di Prato
Mi piace l'aggettivo "aliena", attribuito alla musica. Aliena e necessaria. C'Ë
qualcosa di polemico, ma anche di positivo, in questa definizione (ma Ë una
definizione?). "Fece guerra con le armi sue e non con le aliene", sottolineava
NiccolÚ Machiavelli, non so cosa c'entri ma mi suona bene... Una musica di altri,
rispetto alla consuetudine dei suoni che ci circondano senza intervallo, un'altra musica
rispetto ai cloni di chi vuole dominare. Una musica di documentazione.
Nella fantascienza l'alieno Ë tale se appare ripugnante e pericoloso. Quindi estraneo, ma
a cosa? Da "Cronache Marziane" di Ray Bradbury (grande autore, quello di
"Fahrenheit 451", uno scrittore che comunque non appare mai interessato ad
energie negative...) a Star Trek, regnano mostri e mostruosi cattivi (anche se alla fine i
pi˜ cattivi hanno quasi sempre rassicuranti sembianze umane). Mi immagino che anche la
musica "aliena", in fondo, debba volere quel piccolo processo mentale che
richiede la lettura della fantascienza, un particolare stato chiamato "sospensione
dell'incredulitý". E' un'adesione che coinvolge qualunque altra forma d'arte, dal
cinema alla pittura al teatro, e che vuole un'accettazione incondizionata del punto di
vista dell'autore, un bagno assoluto nell'opera, per un suo onesto e semplice godimento.
Uno stato perfetto per l'ascoltatore di musiche non convenzionali.
Per quanto mi riguarda essere alieno alla musica conformista, vuol dire non esservi
inclinato, non essere disposto assolutamente a farla. Rifuggirne. Non esserne capace,
diciamo la veritý.
Non Ë "alienazione", cioË il processo che porta l'umanitý moderna ad
estranearsi da sÈ stessa, dai fini e dai mezzi della cosiddetta civiltý, condizione
valida ancor'oggi in epoca di massima presenza tecnologica: non riconosciamo pi˜ i beni
materiali che pure abbiamo contribuito a produrre, ci sentiamo estranei anche verso tutto
quello che facciamo, giungendo infine ad una rottura dolorosa della propria identitý. Uno
stato mentale che non mi riguarda.
La musica, (necessariamente aliena) e la vita del musicista (con vocazione all'essere
alieno), bisogna viverle come un viaggio (a proposito: mai partire senza un taccuino per
appuntare sensazioni ed esperienze!), un sogno, dal quale ogni giorno uscire per tornare
poi nei luoghi in cui si riprende il rasserenante contatto con la realtý. Alieno ma
presente.
Giampiero Bigazzi
C'Ë chi considera il Consorzio Produttori Indipendenti come una sorta di luogo eletto
dall'Utopia, una repubblica governata da artisti e poeti; c'Ë anche chi, al contrario,
tende a ricondurre questa esperienza ai termini pi˜ prosaici e concreti del cosiddetto
"mercato". In Italia non accadeva qualcosa di simile da moltissimi anni e i
fatti parlano da soli: tante band diversissime tra loro hanno trovato una casa e un
appoggio, tanti ottimi dischi sono stati pubblicati e hanno avuto un riscontro positivo...
non si tratta solo di "filosofia", dunque, ma anche di quel numero e di quelle
cifre che piacciono tanto ai sostenitori del "mercato" a oltranza.
L'iniziativa dei Taccuini rientra perfettamente nell'attitudine cosÏ pragmatica delle
"teste pensanti" del Consorzio. Dove Ë scritto che la qualitý e
l'originalitý, magari sostenute da un costo accessibile al pubblico pi˜ giovane, non
possano pagare?
Dare spazio e voce a chi rischia continuamente di trovarsi davanti delle porte sbarrate
significa anche contribuire alla crescita culturale del nostro bizzarro paese, significa
rimboccarsi le maniche con serietý e umiltý e uscire dalla logica dell'assistenzialismo,
quella stessa che tante volte ha impedito che in Italia nascesse e prosperasse un vero
circuito della musica autoprodotta. Le "teste pensanti" di cui si diceva non si
sono accontentate di riposare sui meritatissimi allori e hanno voluto
"inventare" questa collana. Strana, apparentemente incoerente e sicuramente
fuori da ogni logica evidente, eppure affascinante, coraggiosa ed eclettica. Per questo,
per la musica che i Taccuini stanno diffondendo, ci sembra che questa idea sia come un
piccolo, solido gradino nell'edificazione di una scala che ci condurrý all'Utopia, alla
mai dimenticata e tante volte sognata Repubblica degli artisti e dei poeti.
Giancarlo Susanna
Dire la propria, rendere l'idea, esprimere un desiderio, lasciare il segno: in quanti modi
abbiamo bisogno di comunicare, di aprire e lasciar leggere quel messaggio che galleggia
nella bottiglia della nostra anima. L'arte e l'amore, la violenza e l'odio nascono tutti
da un fragile sentimento.
La scrittura Ë il pi˜ antico documento di prova delle nostre avventure e dei nostri errori; i nostri diari sono pieni di ricordi lasciati da altri, di speranze da affidare ad altri. Ogni pagina Ë indirizzata all'umanitý intera, lei sola Ë capace di tenere a galla il peso della nostra trasparente bottiglia.
Per noi che siamo passati attraverso la rivoluzione dei sensi, la musica Ë il linguaggio; oh sÏ, le musiche che oggi finalmente risuonano tutte insieme dentro la pelle. E urliamo sempre dentro un corno, battiamo i pugni su un tamburo, accarezziamo i seni di un violino.
I "Taccuini" ribaltano il gioco delle parti: sono loro a tracciare segni sul nostro cuore, lasciare semi sulla nostra mente, serrare il sangue con la forza delle note. Quando occorre, i "Taccuini" si portano alle orecchie per ascoltare l'eco del mondo. I "Taccuini" sono la memoria e il futuro.
Fernando Fanutti
Musicus Concentus