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VISITA AL CENTRO “WE ARE THE FUTURE”
Lì ci aspettava già un folto gruppo di ragazzi ed era tutto pronto: abbiamo piantato un albero tutti noi insieme ai ragazzi ruandesi.
E’ stato molto emozionante mettere le nostre mani bianche e nere nella terra rossa ruandese esprimendo così un gesto di pace.
Sorpresi dalla pioggia ci rifugiamo in una stanza; è un laboratorio d’informatica e ci sono tanti bambini ai monitor che disegnano con “Paint” le loro case, i loro sogni, la loro fantasia. Ci avviciniamo ad alcuni di loro, tentiamo una conversazione, e tra inglese, francese e gesti riusciamo a scambiarci le nostre emozioni e alla fine tutte le nostre e-mail. Ci manderanno i loro disegni.
Alcuni disegnano, altri ci afferrano le mani, ci parlano e io non li capisco, parlano un po’ di francese (ma questa mi manca) e qualcuno parla inglese. Vogliono sapere come ci chiamiamo, vogliono le nostre e-mail e ci danno le loro strappando pezzettini di carta su cui scrivere, facciamo collezione di e-mail. È incredibile, veramente, questa è l’ultima cosa che avrei pensato di trovare in Africa. Il GLOCAL FORUM con “We are the future” ha fatto veramente un gran lavoro, ci hanno collegato, hanno portato la tecnologia, internet, un ponte col mondo. Comunicare per essere ascoltati, per essere tenuti in considerazione, ricordati e coinvolti.
I bambini ci hanno preso per mano e portato insieme con loro sul palco. Abbiamo ballato cercando di imitare i loro movimenti bellissimi: sono braccia, corpo, gambe, piedi e un sorriso a 1000 denti che spicca come uno spicchio di luna nel buio della notte. È un tutto armonico, impossibile per noi da imitare. La pioggia tropicale e l’umidità hanno reso l’aria pesante quasi irrespirabile, ma a noi non interessava, bagnati di sudore balliamo, non sentiamo la fatica né il caldo talmente grande è la gioia di condividere quel momento. Per un attimo anche il sindaco Veltroni è stato catturato e spinto a ballare al centro del cerchio che si era formato. È stato divertentissimo visto che il sindaco era imbarazzatissimo!
Era proprio difficile dover andare via. Un conflitto di emozioni c’era dentro di me, felicità e tristezza. Sentivo come una colpa e un’angoscia; essere passati nella vita di questi ragazzi come un flash, come un lampo, in quel momento non mi sembrava giusto, sentivo di dover lasciare un segno, lì, subito, qualcosa che ci ricordasse come se quello che era stato fatto non fosse abbastanza, ma poi mi accorsi che non era quello il momento, che già molte persone stavano lavorando e che il mio compito sarebbe stato un altro. Al mio ritorno avrei lottato per loro la battaglia contro l’indifferenza e l’ignoranza, perché la consapevolezza non ci renda più complici. |
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