-
Biblio.Major
Bollettino
della Biblioteca “Loredana Rossi Molinaro”
Liceo Scientifico Statale “Ettore Majorana”, via C. Avolio, 111- 00128 Roma
Editoriale:
|
Biblionotizie |
Attualmente: |
Buone letture: |
I
fornelli spenti di zia Maraini di
François (A. M. Galiberti) |
Teatro: |
Cinema |
Musica: |
Penna Libera: |
|
Una
biblioteca da…scrivere
La caratteristica di fondo di Biblio.Major è
quella di nascere nella nostra biblioteca e di voler dunque, in primo luogo,
fornire notizie su di essa, sulle sue attività e i suoi servizi, sui libri e i
documenti posseduti. Ma come in tutte le biblioteche che si rispettino, il vero
referente del servizio sono gli utenti. Si sta piano, piano costruendo con loro
un rapporto di scambio e collaborazione quotidiana che passa anche attraverso
l’idea di questo giornale e che fa della biblioteca un centro attivo di
produzione ed elaborazione culturale. Gli utenti possono infatti sfruttare le nostre attrezzature per scrivere
e stampare, i libri posseduti per cercare notizie e spunti per gli articoli, ma
soprattutto la biblioteca è il luogo fisico dove ci si incontra per parlare del
giornale, degli articoli e, è doveroso dirlo anche perché è segno di vivacità
intellettuale, anche discutere e polemizzare sui pezzi scritti. La biblioteca, i
libri, i film, il teatro, la musica sono tutti aspetti differenti ma sullo
stesso piano di un dibattito teorico, continuo, di un flusso di pensiero a più
mani che può essere scritto sulla pagina bianca e attraente che la biblioteca
vuole essere per i suoi utenti.
Così Bibliomajor
è a sua volta una materializzazione, una delle tante possibili, sia ben chiaro,
di ciò che la nostra biblioteca è e di ciò che può essere, di ciò che gira
attorno ad essa e dentro di essa. Perciò ho l’impressione che Bibliomajor rimarrà in qualche modo sempre uguale a se stesso
mutando di continuo: mutano le persone che si occupano della e che frequentano
la biblioteca, variano gli interessi, si arricchiscono e si accumulano i
materiali di cui si vuole parlare…etc. Tutti segni, dico io, che la biblioteca
è viva. Essa dunque vive dei suoi frequentatori e non della burocrazia, perciò
sono consapevole che potrebbe essere ancora più viva e più stimolante, perciò
è importante dedicare alla biblioteca e alle sue attività
tanta attenzione e tempo.
Intanto
eccoci giunti al numero due. Questo giornale o bollettino sta stupendo anche me,
dal piccolo fogliettino, piuttosto spartano in cui si è mostrato al pubblico la
prima volta nel maggio scorso (con il n. 0) siamo arrivati al n. 1 di novembre
con le sue 8 pagine ricche di articoli e testi, numero che ha sollecitato
parecchie reazioni, quasi tutte
positive.
Per il momento voglio segnalare alcune delle
tante novità che si troveranno in questo numero di Bibliomajor.
La prima è un interessante intervento delle colleghe bibliotecarie del
Liceo Plauto di Spinaceto, intervento che dà inizio a una collaborazione fra le
due biblioteche vicine. Un’altra novità è la nascita di una rubrica di
teatro e della grande attenzione che sarà data alla musica, al cinema e alla
critica letteraria… Il resto lo scoprirete da soli e vedrete che non ve ne
pentirete.
Adesso non mi rimane che salutarvi e
ringraziarvi per l’attenzione che state prestando a questa iniziativa.
Le
fotocopie e la nuova legge sul diritto d’autore
La legge n. 248/2000 ha modificato la
precedente normativa italiana riguardo il diritto d’autore in modo abbastanza
significativo. Il 4 dicembre si è svolto nella sede del Provveditorato di Roma
un interessante e utile Seminario sul diritto d’autore, organizzato dall’AIB
(Associazione Italiana Biblioteche) Sezione Lazio, che ha dato modo ai
partecipanti di approfondire la tematica e di apprendere molti aspetti poco noti
della nuova legge. Gli interventi sono stati molti a da varie prospettive. Le
notizie e le riflessioni che seguono sono il “succo” che ho ricavato dalla
partecipazione a suddetto seminario.
Le
leggi sul diritto d’autore tendono sempre a compendiare due sfere diverse di
diritto tra loro anche in competizione: quello del singolo (cioè l’autore) e
quello della collettività. E’ giusto dunque proteggere da uno sfruttamento
indiscriminato le opere d’ingegno e tutelarle, ma è anche giusto che siano
previste eccezioni al fine di permettere una diffusione ampia e libera delle
idee e delle opere d’ingegno. Per questo motivo sono previste delle
“utilizzazioni libere” delle opere, come il prestito in biblioteca dei libri
o dei video, oppure le citazioni di brani, oppure le fotocopie. La l. 248 è
intervenuta su quest’ultimo punto rendendo molto più ristretta la possibilità
di riprodurre un testo. Prima si potevano fotocopiare integralmente i testi,
senza dover corrispondere alcuna retribuzione all’autore o ai suoi eredi,
sempre che la riproduzione avvenisse per fini di studio e lettura personali e
non commerciali.
La nuova legge rende impossibile tutto ciò,
essa limita esplicitamente la possibilità di riprodurre i libri e i periodici e
le pubblicazioni in genere al 15% per cento del totale delle pagine. Ma ciò non
basta, bisognerà anche corrispondere per ogni pagina riprodotta una certa somma
alla SIAE, somma che ancora non è stata stabilita e che verrà decisa da un
Regolamento applicativo. Sono tanti i punti oscuri di questa nuova legge,
infatti, la formulazione dell’art. 2 , quello più importante è un po’
contorta. In primo luogo la legge dice che si può fare una copia integrale del
testo se serve per i “servizi della biblioteca”. Ma cosa si intende per
“servizi della biblioteca”? Le interpretazioni più logiche portano ad
affermare che anche il servizio di prestito può rientrarvi. Perciò si può
fotocopiare un testo da dare poi in prestito, ma chiunque poi volesse da tale
copia fare ulteriori copie non potrebbe, dovrebbe limitarsi al solo 15%.
Altro
punto discusso, tra i tanti, è quello che dice che si possono fotocopiare
integralmente le “opere rare” e quelle “fuori dai cataloghi editoriali”.
A parte che è difficile sapere con certezza se un’opera è rara o fuori da i
cataloghi editoriali, ma è anche vero che un’opera “rara” per definizione
non si può fotocopiare perché si rischia di danneggiarla, si può riprodurre
solo con altri sistemi (più costosi e complessi) come la fotografia. Inoltre i
cataloghi editoriali non sono sempre aggiornati e quindi potrebbero ancora
includere (e avviene!), edizioni oramai introvabili. Senza aggiungere che questo
potrebbe divenire un incentivo (mi rendo conto che il mio realismo sfiora il
cinismo…) per le case editrici a non togliere i libri dal catalogo pure se
esauriti, in modo da ricavarne ancora utili dalle riproduzioni.
Altri problemi riguardano il compenso da
pagare. Per le copisterie dovrebbe essere di circa 200 lire a pagina, cioè il
prezzo ISTAT medio di una pagina di libro. Le 200 lire si sommeranno alle circa
100 lire di fotocopia e il prezzo, minimo minimo, triplicherà. Per le
biblioteche non è stato ancora fissato, ma certo non è ancora chiaro chi
pagherà e come. Si spera che prevalga la logica di un compenso forfettario e
quasi simbolico, magari da devolvere ad istituzioni bisognose.
Rimane l’amarezza di veder messi sullo
stesso piano da questa legge le copisterie le biblioteche, strutture che
svolgono servizi fra loro assai diverse: le prime hanno fini commerciali, le
seconde di servizio pubblico.
Mi piace concludere l’articolo con
l’osservazione che è stata fatta, durante il succitato seminario,
da Domenico Bogliolo dell’associazione AIDA. A suo parere ci penserà
Internet a scardinare queste “mosse degli editori”, come è successo per i
files Mp3: fra pochi anni probabilmente, infatti, non si faranno più fotocopie
perché tutto sarà digitale.
L.C.
P. S. Il testo integrale delle legge 248/2000
potete trovarlo sul sito Internet: www.parlamento.it. Ulteriori notizie si
trovano sul sito dell’AIB: www.aib.it
Corso di aggiornamento per
bibliotecari scolastici
Finalmente
una concreta mossa per le biblioteche scolastiche e per la formazione
professionale dei suoi addetti. Faccio perciò, almeno in parte mea
culpa rispetto al mio editoriale del n.1, in cui lamentavo
la scarsa attenzione a questo problema. Il provveditorato di Roma dà
infatti inizio il 25 gennaio a un corso gratuito di formazione per i
bibliotecari scolastici, aperto a tutti coloro che svolgono tale incarico, ma la
partecipazione e allargata a molte componenti della scuola e delle biblioteche
pubbliche interessate. La circolare di riferimento è del 22 dicembre n. 7356/1
e si può trovare sul sito Internet del Provveditorato: www.provveditorato.roma.quipo.it.
Il
corso durerà fino a maggio e si svolgerà il giovedì pomeriggio con scadenze
quindicinali.
E’
arrivata una prima parte dei libri che abbiamo ordinato per quest’anno, ne
fornisco un elenco per grosse (e forse anche grossolane…) suddivisioni
della classificazioneDewey. Fra qualche settimana saranno disponibili al
prestito.
Classe-000-
Generalità
[Cd
Rom];
Storia
della stampa. Da Guttemberg a Internet;
De Agostini-Multimedia
Gramsci;
Quaderni
dal carcere;
Editori
Riuniti, 1996
Grimal,
Le
garzantine. Mitologia;
Garzanti
Corano;
Rizzoli,
BUR
Il
libro della scala di Maometto,
Studio editoriale
Classe-
300- società;
Averni
;
Proibizionismo
e antiproibizionismo…;
Castelvecchi,
2000
Escohotado
A.;
Piccola
storia delle droghe
;
Donzelli
Lavazza;
Cara
droga. Cannabis, ecstasy, cocaina…;
Franco
Angeli, 1999
Pietropolli
Charmet;
I
nuovi adolescenti;
R.
Cortina Editore
Rifkin,
Fine del lavoro, Baldini
e Castoldi;
Rifkin;
Secolo
biotech,
Baldini e Castoldi;
Ritzer,
La religione dei consumi, Il Mulino
T.
De Mauro;
Il
dizionario della ling.italiana per il terz.mil.;
Paravia
Il
nuovo dizionario Sansoni tedesco-italiano;
Sansoni
Amendola,
Cielo infinito, Sperling
Ball;
H20
una biografia dell'acqua;
Rizzoli
Enzerischerger;
Il
mago dei numeri;
Einaudi
Godel,
Opere, vol. I, Bollati Boringhieri
Grene;
L'universo
elegant;
Einaudi
Guedj;
Il
teorema del pappagallo;
Longanesi
& C.
Lewis
Carrol;
Una
storia intricata;
Stampa
Alternativa
Lewontin;
La
diversità umana;
Zanichelli,
1987
Lolli,
La crisalide e la farfalla, Bollati Boringhieri
Masini,
Storia della matematica, SEI, 1997
Morin;
La
testa ben fatta;
Raffaello
Cortina Editore
Smullyan,
Qual è il titolo di questo libro?, zanichelli
Tahan;
L'uomo
che sapeva contare;
Salani,
1997
Wertheim,
I pantaloni di Pitagora, Instarlibri, 1996
Zichichi,
Infinito, Pratiche ed.
Classe
700- Arte e Spettacolo
[catalogo];
Sandro
Botticelli, pittore della Divina Com..;
Skira,
2 volumi
Cabrera;
Da
Aristotele a Spielberg;
Bruno
Mondadori
Curi;
Lo
schermo del pensiero;
Raffaello
Cortina Editore
Escobar-L.
Paini;
Gli
anni '90 al cinema. Diz. Dei grandi film;
Raffaello
Cortina Editore
Morandini;
Il
Morandini. Dizionario dei film 2001;
Zanichelli
Dossier
di “Art e dossier” GIUNTI: TIEPOLO,TINTORETTO;
TIZIANO;
PIETRO
DA CORTONA;
PALLADIO;
DONATELLO;
CANALETTO,
Burri, Botticelli, Canova, Durer, Bellini, Cimabue, Miunch, masaccio, Warhol,
Velazquez, Pontormo, Simbolismo, Espressionismo, Impressionismo, Guercino, Klee,
Gaudì, Cezanne, Van Gogh, Raffaello, Manet, Monet, Michelangelo, paolo Uccello,
Giotto
Le
mille e una notte;
Mondadori,
1999
Abbott;
Flatandia;
Adelphi
Castiglione,
Il cortegiano, Garzanti
Delibes,
Diario di un cacciatore, Passigli
Della
Casa;
Galateo;
Rizzoli,
BUR
Gerolamo,
Lettere, Rizzoli
Ibsen,
Casa di bambola,
Lussu;
Un
anno sull'altipiano;
Einaudi,
1997
Matute,
Prima memoria, Sellerio
Mauresing;
Canone
inverso;
Mondadori,
1998
Mauresing;
La
variante di Lunenburg;
Adelphi
Moravia,
Viaggi, articoli (1939-1990), Bompiani
Palacios,
Dante e l’Islam, Il Saggiatore, 1997
Sartre;
La
nausea;
Einaudi,
tasc.
UNGARETTI;
Vita
di un uomo,
viaggi e lezioni;
Mondatori
Woolf,
Orlando, Mondadori
Yehoshua;
Il
potere terribile di un a piccola colpa;
Einaudi
Classe 900-
Storia e geografia
Cardini,
Europa Islam, storia di un malinteso, Laterza, 1999
Gabrieli;
Storici
arabi delle crociate;
Einaudi,
1997
Storia illustrata della Prima Guerra Mondiale, Giunti
Con molto piacere
inauguriamo in questo numero uno spazio di collaborazione e di scambio di
notizie con le gentili colleghe della Biblioteca del Liceo Classico Plauto di
Spinaceto.
La
biblioteca del liceo Plauto
Molto
volentieri accogliamo l’invito del collega, Dott. Leonardo Ciocca,
responsabile della Biblioteca del vicino Liceo Scientifico Statale “Ettore
Majorana”, ad illustrare con un nostro articolo il profilo della Biblioteca
presso la quale prestiamo servizio: quella del Liceo Classico Statale
“Plauto” di Spinaceto in Roma.
La
Biblioteca del Plauto fu istituita nel 1971,
vale a dire due anni dopo l’inizio della attività del primo nucleo
funzionante del Liceo. Già, il Liceo: ora ci accorgiamo che non si può parlare
della Biblioteca senza prima introdurre qualche cenno di storia di Spinaceto e
delle sue scuole superiori, soprattutto sapendo di poter contare sul contributo
del nostro Preside, del
quale si può ben dire sia depositario,
come pochi, della memoria storica del quartiere nelle sue vicende e, in
particolare, di quelle legate alla vita e all’evolvere delle scuole del
Territorio.
Si
era alla fine degli anni sessanta: il quartiere di Spinaceto era nato da poco e
la popolazione, come in tutti i quartieri nuovi, era giovane e la
richiesta di scuole alta. Come accade di solito in questi casi, e come abbiamo
visto anche nella più recente vicenda della edificazione di quartieri
limitrofi, le prime scuole ad essere garantite furono e sono quelle di grado
inferiore: materne, elementari e medie. I ragazzi delle Scuole Superiori,
dovevano recarsi fuori zona affrontando ogni giorno vari disagi, primo tra tutti
la mancanza di trasporti. Quanti
fra di loro seguivano l’indirizzo classico frequentavano il Liceo Classico
Statale “Vivona” oppure il Liceo Privato “Massimo” dell’EUR; coloro che
invece seguivano quello scientifico andavano, nella maggior parte, al
Liceo Scientifico Statale “Cannizzaro”.
Nel
1969, fu finalmente istituita a
Spinaceto, nell’ edificio di Via Renzini 70, allora di recentissima costruzione,
una sezione staccata del già citato Liceo “Vivona” , la quale, nel
1970, si staccò dalla scuola-madre dell’EUR e diventò Liceo autonomo dotato
di propria segreteria e con proprio Preside, il Prof. Eugenio Marotta. Non passò
un anno ed al giovanissimo Liceo, non ancora
denominato “Plauto”,
vennero aggregate alcune classi di liceo scientifico che erano parte integrante
del nostro Liceo Classico. Proprio da quelle classi sarebbe poi decollato il Liceo Scientifico Majorana, che
avrebbe avuto autonomia e propria identità giuridica nel 1974, con la
Presidenza della Prof.ssa Angelini, con propria segreteria, ma ancora ospite
dell'edificio del Plauto. Solo successivamente il Liceo Scientifico Majorana si
sarebbe trasferito nella sede appositamente costruita in Via C. Avolio.
L’origine
dei Licei di Spinaceto, resa comune dalla coabitazione appena descritta, fu
condivisa anche da un’altra scuola superiore: l’Istituto Tecnico Commerciale
“Monti” anch’esso ospitato, all’atto della sua nascita, nell’edificio
del Liceo Classico "Plauto" di Via Renzini.
Da
quanto fino ad ora descritto, si evidenzia che nella sede della nostra scuola è
esistito un curioso “condominio”
di Istituti Superiori
raccolti nello stesso
edificio di tre piani: con tre
presidenze, tre segreterie, tre corpi docenti e tre
diverse popolazioni di alunni: al disopra di tutto c'era l’esigenza di
armonizzare lo svolgersi quotidiano della vita di questi tre diversi organismi
scolastici ciascuno con ritmi di orario e di
vita diversi, con
diverse entrate ed uscite degli alunni e diversi cambi d’ora, scanditi da squilli di campanelle in orari diversi,
all’interno dell’unico edificio-contenitore. In che cosa doveva consistere,
in un caso del genere, l’abilità dei Presidi?
Non tanto nel possedere raffinate
capacità di gestione della scuola, quanto,
piuttosto, nel riuscire
a mettere d'accordo le diverse esigenze di ciascuno dei tre
Istituti e nell'armonizzare il continuo andirivieni di quella Babele di professori, ragazzi e bidelli scandito dal suon di
musica di quelle continue campanelle …
E
si rassicurino i lettori che quanto si va qui affermando non è frutto di
immaginazione, ma contributo di diretta testimonianza,
poiché, tra i docenti impegnati a comporre orari delle lezioni
impossibili, complicati oltre ogni dire dalla condivisione dell’unica sede,
c’era anche l'attuale
Preside del Plauto,
all'epoca giovane professore di Storia e Filosofia nell’altrettanto giovane
Liceo Classico.
Ultima
nota storica: gli alunni dei due Licei indicevano e frequentavano insieme, e a
quei tempi assiduamente, le assemblee…
E
la Biblioteca? Muoveva allora i primi passi come raccolta di libri acquistati
per essere destinati all’aggiornamento dei docenti e, parallelamente ad essa,
venivano istituite nelle classi, sovente con donazioni degli alunni, delle
“bibliotechine di classe” che, alla
fine dell’anno, venivano donate alla Biblioteca dell’ Istituto e cominciavano a costituirne la parte più
importante, quella che, dopo un certo accumulo integrato dai primi acquisti
destinati non più ai soli docenti, ma anche agli alunni,
consentì di dare il via al movimento dei prestiti destinato ai ragazzi.
Ed
ora torniamo all’oggi, venendo finalmente alla
Biblioteca così come ora si presenta e funziona: è costituita da un
patrimonio di circa 8000 volumi, acquisiti prevalentemente per acquisto ed
integrato da alcune significative donazioni. Si tratta, come è ovvio, di una
biblioteca specializzata ad indirizzo prevalentemente umanistico, i libri in
essa contenuti sono organizzati in sezioni che corrispondono alle materie i cui
insegnamenti sono impartiti nel Liceo ed offre una ricca dotazione di autori
classici e di narrativa italiana recente. Grazie alla presenza di due
insegnanti-bibliotecarie può garantire una continua apertura corrispondente
all’orario delle lezioni , vale a dire dalle 8.30 alle 14.00, e due aperture
pomeridiane. Offre i seguenti servizi:
-
prestito
-
consultazione
-
studio individuale
-
consulenza
E’
aperta agli alunni interni (la loro iscrizione al Liceo li rende automaticamente
iscritti anche alla Biblioteca), a quanti lavorano nella scuola ed agli
ex-alunni.
E’
tradizione della nostra Biblioteca proporre alle prime classi del ciclo, al loro
ingresso nella scuola, un incontro programmato che è poi un brevissimo corso di
biblioteconomia ed un’occasione di invito alla lettura ed alla fruizione dei
servizi della stessa. Si usa inoltre, previo appuntamento con i docenti
interessati, mettere la Biblioteca a disposizione di singole classi per lavori
di ricerca, lezioni, rassegne,
conferenze, incontri con gli autori , ecc…
Il
movimento medio del prestito di libri è di oltre 2500 prestiti annui che
riguardano saggistica di tutte le sezioni, autori classici latini e greci e
narrativa italiana e straniera.
Quest’ultima
parte del nostro articolo può esser giudicata frettolosa, in realtà si vuole
che così sia, ci riserviamo, infatti, di riprendere in un successivo articolo,
ed in modo più specifico, gli argomenti che riguardano la Biblioteca che
curiamo: vorremmo, pertanto, dare un seguito allo scambio di notizie che
inauguriamo con queste righe su “BIBLIO.MAJOR”.
E,
poiché la Biblioteca del Plauto manca di una sua pubblicazione periodica,
stiamo pensando di prendere esempio e di dar vita anche noi ad un più modesto
foglio di notizie e informazioni bibliografiche, che speriamo di inaugurare con
un articolo del collega che ora ci ospita e che perciò ringraziamo.
Le Bibliotecarie del PLAUTO
La
settimana corta
di
Laura Svaluto III A
Da
quest’anno agli istituti scolastici è stata concessa piena libertà di
organizzazione in diversi aspetti della vita scolastica.
Il
nostro liceo non se l’è fatto ripetere due volte: siamo rientrati
dalle vacanze un giorno prima degli altri; abbiamo abbandonato il vecchio
quadrimestre per il trimestre/semestre (pare che molti professori se ne siano già
pentiti).
Forse
non tutti sanno che, a tale scopo, al Majorana, come spiega la prof.sa Ranalli,
la Commissione Autonomia si sta occupando anche della c.d. “settimana
corta”. La commissione accoglie ogni tipo critica e gradirebbe avere la
collaborazione degli studenti su questo punto.
Evidentemente
non può bastare una raccolta di firme a garantire la realizzazione di questo
progetto, ma se vogliamo possiamo partecipare attivamente intervenendo con
pareri e proposte concrete.
Non
si tratta semplicemente di venire a scuola un giorno in meno a settimana:
bisogna tener conto che andrà rivista la struttura di tutto l’orario. Le ore
perse il sabato, infatti, dovranno essere recuperate rimanendo a scuola un’ora
in più tutti gli altri giorni.
Se
non si vuole entrare alle 7:00 o uscire alle 15:00 tutti i giorni o quasi sarà
necessario ridurre le ore di 10 min. Così però si accumulano ulteriori ore da
recuperare!. Per ora è stata
esclusa la possibilità di rientri pomeridiani, perciò è stato proposto di
prolungare la durata dell’anno scolastico di un paio di settimane (senza
calcolare autogestione e scioperi vari!)
La
stragrande maggioranza degli studenti sembra essere favorevole, mentre diversi
insegnanti non sono altrettanto convinti.
Il
prof. Pagliarulo, intervistato a questo proposito, sostiene che saremmo noi
studenti a rimetterci. In effetti con la riduzione dei minuti a disposizione per
ogni materia, rimarrebbe a malapena il tempo per le spiegazioni. Alzi la mano
chi di noi si sente così sicuro da rinunciare a molte possibilità di recupero
e di ripasso, soprattutto quando bisognerà prestare attenzione a 6-7, se non 8,
lezioni al giorno con relativi compiti a casa! Tutto ciò significa anche una
maggiore selezione fra gli studenti (leggi “-recuperi+bocciati!”). sempre
secondo il professore di storia&filosofia, l’unica soluzione sarebbe
quella di mantenere le ore di 60 minuti più un paio di rientri pomeridiani a
settimana, ma come abbiamo già visto questa possibilità pare essere, almeno
per il momento, stata esclusa.
Come
è inevitabile, questa ristrutturazione dell’orario riguarda da vicino anche
la didattica. Una proposta è stata quella di suddividere l’anno, sul modello
del trimestre, in moduli di questo tipo: un periodo di due mesi e mezzo di
spiegazioni ed esercitazioni in classe e due settimane di verifiche sul
programma appena svolto. Subito dopo le famiglie riceveranno comunicazione dei
risultati.
Aspettando che questa iniziativa venga ulteriormente definita, pensiamoci bene: siamo proprio sicuri di volerci complicare la vita?
I DEMONI di Fedor Dostoevskij
di Daniele
Capriotti IV D
Ciò
che rende particolarmente interessante il libro è, però, la rappresentazione
dei personaggi. Anche in questa opera di Dostoevskij è descritto un personaggio
principale al di sopra di tutti: Stavrogin (questo è il suo nome). Stavrogin è
sicuramente una creazione fantastica e straordinaria, un tenebroso eroe
vampirico che affascina lo stesso scrittore. Si introduce nelle vicende del
libro come una cascata che turba il corso lieto di un fiume, come un fulmine a
ciel sereno: tutti lo temono, tutti lo conoscono e tutti si aspettano da lui
qualcosa, cosa, però non si sa. Sembra essere una creatura venuta dalle
tenebre, indifferente alle situazioni che avvengono attorno a lui ed agli altri.
Nelle vicende che lo riguardano appare come un personaggio romantico che incanta
con un semplice sguardo. Utopia o realtà? Resta il fatto che una
figura di tal genere fa paura. L’idea che viene in mente è la
personificazione di un Anticristo, capace di adattarsi alla vita terrena e di
poter uscire allo scoperto nel momento più adatto. Questa è l’impressione
che rimane al lettore per buona parte del libro. Sennonché ci si rende conto
che l’autore si è lasciato forse un po’ troppo attrarre dalla figura di
Stavrogin e che la creazione di un personaggio così tenebroso e infernale
andrebbe in contraddizione con la visione religiosa dell’autore, secondo la
quale l’Inferno, e quindi le sue eventuali creature, sono soltanto
un’invenzione razionale. Forse così si può spiegare la confessione del
personaggio che, in una lettera consegnata di persona ad un monaco, chiarisce la
sua vita segnata da strane visioni. In questo modo Dostoevskij vuol rendere più
umana la sua creazione infernale, dandole una dose di debolezza tipica di tutti
gli esseri viventi e mortali.
Stavrogin
non è minimamente legato a vicende politiche e quindi non sarebbe un vero e
proprio personaggio principale rispetto al tema politico. Più indicato di lui a
ricoprire il ruolo di personaggio principale nel libro sembrerebbe essere Pjotr
Stepanovic, colui che organizza tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Comunque
sia appare come un personaggio codardo, che si nasconde ed ha paura del suo
compagno e più acerrimo nemico Stavrogin. Può essere dunque che il personaggio
principale abbia paura e non affronti un altro personaggio? Ed è per questo che
Stavrogin deve essere considerato il personaggio principale, che ha affascinato per ogni
singola sua qualità e per ogni singola sua azione, per quanto banale. Secondo
me il tema principale del libro è in realtà questo: l’esistenza di un
“demone” superiore a tutti in tutto. Ripeto comunque che trattandosi di
un’opera complessa non si può dire con certezza che cosa volesse mettere in
primo piano l’autore, se la politica o un concetto sublime di “demone”. La
più grande complessità è rappresentata da quale sia il tema principale
dell’opera e dalla difficoltà di evincerlo. In conclusione si può parlare di
un libro dove in primo piano troviamo il problema politico e sullo sfondo la
figura emblematica di Stavrogin oppure il contrario: Stavrogin al centro, unico
e magnifico, con attorno altri problemi e personaggi terreni che non lo turbano
assolutamente.
I
Fornelli spenti della zia Maraini
di
Françoise (Anna Maria Galiberti )
Sarà
stata la stanchezza , meglio quell’ assopimento buono che ti prende dove c’è
tanta gente riunita e l’affaticarsi di tanti cervelli in pensieri tutti uguali
sembra sprigionare uno svaporio
leggero che si stende soffice e
rassicurante anche sui pensieri tuoi, sarà stata la commozione per la quieta messa
in piega della zia Maraini, sarà
stato l’intenerimento per la
bottiglietta giallastra del succo di frutta o lo struggimento per quel
vasetto di violette spaesato sul tavolo grande degli scrutini, ma non ho
avuto la forza di alzare la mano e dire in faccia a lei, alla zia,
che i suoi racconti non mi sono piaciuti
proprio per niente.
Robetta. Buoni per le antologie da scuola media ,
quelle “politicamente corrette”, con la loro
lista diligente di problemi: il razzismo, la droga, gli extracomunitari e
via con il raccontino di turno per sdegnarsi e moraleggiare. Buoni per i
collezionisti di figurine panini:
la “Piccola prostituta albanese”, la “Suorina violentata , il Tamburino
sardo, la Piccola vedetta lombarda , Franti.No, non mi sono piaciuti proprio per
niente. E neppure
quelle parole tenute a dieta,
quello stile artificialmente rinsecchito e anoressico (ben diverso dalla
semplicità raggelata e acuminata
di certi scrittori ,dallo stile lucido e affilato come una lama di un Calvino) Mi sono intristita nel leggerli, rinsecchita
anch’io , ma forse non sarà
stata neppure del tutto colpa sua Sarà forse per questo sentirmi a mio agio
solo tra le parole corpose e ridondanti, pesanti e un pò stomachevoli,
per questa nostalgia
di basso Impero che mi fa detestare una certa romanità patinata un pò
A.D. e i suoi cantori e
ricercare i poeti da i cui versi
esala il puzzo della Suburra, l’alito pesante di allium e di garum. quel
fetore di orina e di sangue che doveva sentirsi anche parecchio distante dalle
gradinate dell’anfiteatro.
Viva lo stile comico e
carnevalesco, gli scrittori un pò
anche cuochi che intrugliano
geniali brodaglie di sapori diversi.
Quelli che scrivono e cucinano insieme e lasciano in giro allegramente le impronte delle mani unte.
Me ne vengono in mente, così su due piedi, un paio di questi cuochi scrittori
geniali , Li vedo negli antri
affumicati delle loro cucine , chini sui paioli gorgoglianti
dove riversano
senza risparmio manate di parole.Eccoli che girano e girano le loro
ribollenti poltiglie e dai vapori o
miasmi che esalano dalle sapide brodaglie,
si levano due strane crature,
mostruosi aladini, quasi uguali nella
loro canagliesca deformità: un mezzo gigante ed un nano, volutamente deformati
da un identico proposito blasfemo:
rifiutare la propria crescita. Uno di loro, il nano,
porta al collo un tamburo; Forse li avete riconosciuti.
Sono questi i personaggi che mi piacciono. E’ ora che zia Maraini
impari a cucinare.
Anni
di guerra di
Vasilij Grossman
di Michele Atzori IIIC
L’intera
vicenda riassunta nel libro tratta la situazione dell’est europeo alle prese
con il dispotico dominio nazista. Oltre a comprendere un periodo di tempo che va
dal 1942 al 1945, il testo mette in risalto i molteplici aspetti che hanno
caratterizzato il nazismo presente nell’Europa orientale: dalla società
contadina a quella di città, dai soldati di trincea ai campi di concentramento,
presenti soprattutto in Polonia. Il resoconto di guerra viene quindi suddiviso
in diverse parti, ognuna destinata a raccontare le diverse realtà sorte sotto
il dominio hitleriano. L’autore inoltre non generalizza subito le varie
situazioni, al contrario, preferisce partire dal particolare: da un vecchio
maestro, da un soldato coraggioso, da un sapiente generale dell’armata rossa,
per poi allargare la prospettiva ad altri individui coinvolti nella medesima
condanna al sacrificio, alla vergogna, al disprezzo, alla morte imposta
dall’inflessibile regime nazista.La prima parte narra di un villaggio
ungherese in bilico tra la vita e la morte, tra la libertà e l’occupazione,
tutto dipendeva infatti dall’esito della campagna nazista in Polonia, la quale
fu la prima a sperimentare l’irrefrenabile odio nazista e la sua macabra
violenza. Il villaggio quindi in poco tempo capì già di essere destinato alla
morte, o perlomeno alla sofferenza, di cui le prime vittime sarebbero stati
senza dubbio gli ebrei, che in quel villaggio formavano una fiorente e numerosa
comunità. Tra questi vi era il vecchio maestro, Boris Issakovic Rosenthal,
conosciuto in tutto il villaggio per la sua grande esperienza, dovuta non solo
all’anzianità ma anche ad anni ed anni di insegnamento e studi. Era
indubbiamente un acuto osservatore ed un uomo colmo di ricordi ma anche di
rimpianti, un uomo però capace anche di apprezzare gli eventi semplici e
quotidiani della vita. Forse questa sua ultima caratteristica era quella che più
contava in quei giorni che lo destinavo inesorabilmente alla morte, in quanto
lui era un intellettuale, un vecchio
ma soprattutto un ebreo. Già dai primi bombardamenti nemici il povero maestro
sapeva di dover morire, ed era proprio per questo che, ogni volta che gli aerei
tedeschi si presentavano minacciosi con il loro carico esplosivo, non si curava
di correre al rifugio, anzi continuava a leggere assorto i suoi libri di Checov
immerso nell’atmosfera gioiosa della natura che lo circondava. Il destino però
lo preservava sempre, forse perché costituiva un cardine fondamentale per
quella società già pericolante, ad ogni incontro infatti, il vecchio saggio,
aveva l’occasione di rincuorare i cuori e le anime dei più timorosi e dei più
spaventati dall’imminente minaccia nazista, un uomo che, anche in momento di
morte, avvenuta in un burrone assieme a molti altri ebrei, infuse un grande
coraggio alla bambina che teneva amorevolmente in braccio e che tentava di
sottrarre inutilmente alle grinfie della morte.
In
questa parte, inoltre, l’autore tenta di analizzare più persone possibili in
modo da rendere il lettore consapevole di tutte le drammatiche realtà che
portava il regime hitleriano persino in quel paese sperduto dell’Ungheria. In
tal modo ci vengono presentati il tenente Victor Voronenko a la moglie Dasha
Semionovna, il primo, travagliato per un’amputazione subita in seguito ai
bombardamenti, e la seconda, sofferente per la
disperata condizione del coniuge e della sua famiglia. O come non parlare
del dottore Veintraub, suicidatosi con tutta la sua famiglia, in quanto timoroso
della violenza del regime: quante vittime come queste ha provocato il nazismo,
persone schiacciate letteralmente sotto il profilo psicologico dall’inclemenza
della macchina nazista.
Da
non trascurare è la figura del ribelle, di colui che, anche nei casi più
disperati, riesce a trovare la forza di dimostrare i propri diritti e, per farli
valere, è anche disposto a combattere rischiando la propria vita. Questo è il
caso del martellatore Kulisch, un uomo abituato ai lavori pesanti che, mentre i
tedeschi accompagnavano il gruppo degli ebrei del paese alla morte, si ribellò
insieme ad uno sparuto gruppo di persone, attaccando i pochi tedeschi che
scortavano la piccola folla. Il tentativo però si dimostrò purtroppo non molto
consistente, infatti i ribelli di lì a poco sarebbero stati prontamente
ricatturati ed inoltre la sommossa provocò un violento disordine che causò la
caduta di diversi ebrei in un profondo burrone.
Nella
seconda parte vengono descritte scene di sofferenza, dolore ma anche di coraggio
quotidiano, in cui sono coinvolti non soltanto i soldati, ma anche operai,
ingegneri e capiofficina.
I primi, facenti parte dell’armata rossa,
combattevano a tu per tu con il nemico che infuriava sul Volga, i secondi,
contraddistinti da non meno coraggio, riuscivano a rimanere nelle fabbriche di
Stalingrado anche sotto i violenti colpi dei bombardieri russi, in tal modo le
truppe impegnate sul fronte per arrestare l’avanzata tedesca potevano sempre
ricevere le armi e gli equipaggiamenti necessari.
Ricordiamo la battaglia di Stalingrado, il
destino del popolo russo e forse anche quello europeo sono stati
contemporaneamente in gioco. In molti infatti hanno da sempre elogiato il grande
coraggio del popolo inglese, che resistette con orgoglio ai continui attacchi
del nemico, ma in pochi si sono resi conto che, se i tedeschi avessero sfondato
la linea difensiva russa, e si fossero appropriati delle loro ingenti risorse,
sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, sconfiggere il terribile
nemico. Nell’asse di tensione principale, così l’autore definisce il Volga,
si intrecciano destini diversi di uomini diversi, tutti però con lo stesso
obiettivo : respingere il nemico. Questo era l’ordine: sconfiggere i tedeschi,
a tutti i costi.
Infine l’autore nell’ultima parte tratta
dell’indicibile catastrofe e sterminio di tutti i tempi, delle fabbriche
costruite esclusivamente per uccidere : i campi di concentramento. In
particolare del campo di Treblinka, in Polonia, un imponente ammasso di camere a
gas pronte ad uccidere, anzi, a sterminare.
Molti ebrei, ma non solo loro, arrivavano lì
ancora del tutto ignari del destino che li attendeva, anzi, i tedeschi volevano
che loro viaggiassero con la consapevolezza che stessero solamente cambiando
casa, in tal modo potevano facilmente controllare la folla e potevano persino
disporre dei bagagli delle persone dirette alla morte, era quasi perfetta la
macchina nazista…quasi.
Molte di queste persone arrivano persino nei
pressi delle camere a gas applaudendo l’immensa costruzione, ignari del loro
destino, finché i tedeschi sin lì molto cordiali, non cominciavano a
pronunciare irosamente parole come “Achtung!” o “Schneller!”, a
denudarli, a strappare letteralmente gli orecchini alle donne, a malmenarli, ad
appropriarsi di tutto ciò che sarebbe potuto essere “utile” per “il
popolo tedesco”. Compito dei soldati era quello di atterrire le poche persone
che, una volta resesi conto della situazione, avrebbero voluto ribellarsi. In
tal modo venivano creati dei mostri come
Swiderski, definito “il campione del martello” che si divertiva ad uccidere
i bambini con forti martellate sul capo, oppure come Zepf che squartava
letteralmente i bambini o li roteava in modo da potergli fracassare meglio la
testa contro il suolo. Dopo aver letto queste pagine mostruose mi sono dovuto
letteralmente bloccare con la lettura, il pensiero cominciava a divenire così
vivido, che cominciavo a vedere le madri dei bambini gridare a squarciagola
contro la pazzia di quegli uomini. Un bambino strappato dalle braccia amorevoli
della propria madre ed ucciso brutalmente davanti ai suoi occhi, cosa c’è di
più orrendo ed infimo a questo mondo, se non vedere il più bel frutto che la
terra possa generare, trattato in un modo in cui neanche la bestia più misera
di questo mondo viene trattata. Pazzia, ecco cos’era il nazismo, solamente ed
esclusivamente pazzia. Un regime in cui i pazzi erano considerati normali ed i
normali erano trattati come pazzi. L’unico aspetto positivo della vicenda, se
così si può definire, è il fatto che i tedeschi non siano riusciti a
cancellare le tracce dei loro sterminio, delle loro violenze, lo stesso Himmler
infatti, il consigliere di Hitler, non riuscì a far sparire le tracce dei suoi
errori. La stessa cenere che si innalzava dai forni crematori e il ripugnante
odore di carne bruciata, infatti, furono visti a chilometri di distanza dal
campo, e migliaia di contadini furono testimoni involontari del grande crimine
commesso dal regime più dispotico e razzista che sia mai esistito sul nostro
pianeta.
Perché
Teatro a scuola?
di Valeria
Spagnolo IV D
Salve!
Mi chiamo Valeria e da oggi terrò la rubrica sul laboratorio teatrale della
nostra scuola. Da 3 anni nella nostra scuola è finanziata questa attività e
noi che facciamo parte del gruppo fin dal primo anno ne siamo molto contenti! I
“duri a morire” del laboratorio sono Guido Lo Torto (5^A), Lina Monaco
(4^E), Valeria Spagnolo (4^D); c’è qualche “figliol prodigo”: Lorenzo
Beato (3^E), Federica Fabrizio (3^E), Mary Elizabeth Lanzi Mazzocchini (5^A),
Valentina Renzi (5^A), Anna Maria Testa (5^A); e come ogni anno ci sono i
“nuovi acquisti”…tra cui c’è anche un esterno, Alessandro Placidi, che,
dopo aver presentato formale richiesta, è stato accolto nel gruppo!
ALESSANDRO SIMONINI. Fanno parte dell’allegra compagnia le professoresse MANNA
& MARIANI con l’importante compito di supervisionare il nostro lavoro! Gli
incontri si tengono una volta alla settimana il mercoledì dalle 14:30 alle
17:30.Nella prima parte della lezione, di solito, si fanno esercizi di
respirazione e di pronunzia, poi c’è la parte più divertente durante la
quale ci si esercita su un testo di cui, di volta in volta, si cambia si
SOTTOTESTO che, come ALESSANDRO insegna, è molto importante poiché è quello
che da’ il significato a qualsiasi testo, frase, parola. D’obbligo sono i 5
o 10 minuti di pausa in cui la minoranza del gruppo esce a fumarsi una sigaretta
( è da sottolineare che il fatto che sono sempre i fumatori ad invocare la
“PAUSA TABACCONE” ) mentre gli altri rimangono a chiacchierare con il
regista, che, oltre ad essere molto bravo, è anche simpaticissimo! Dopo la
pausa si fanno altri esercizi “di pratica” che, a mio parere sembrano più
giochi attraverso i quali conosciamo di più noi stessi ed il nostro corpo,
imparando a controllarci ma allo stesso tempo rilassarci lavorando di fantasia
ed immaginazione. Infatti ci divertiamo sempre tantissimo a “giocare”!
L’argomento principale che viene toccato è quello della
“Visualizzazione”, attraverso la quale è più facile rievocare emozioni,
sentimenti e sensazioni. La compagnia al momento non ha un nome ma siamo sicuri
che questo verrà da solo…magari non scenderà dal cielo ma chissà… Quando
arrivano le 17:30 siamo sempre tristi perché sappiamo di dover aspettare
un’altra settimana prima di ritrovarci per fare una cosa che appassiona tutti!
Mi piacerebbe interagire con voi
all’interno di questa rubrica, quindi se avete domande, dubbi, proposte, o
magari anche critiche vorrei che ci scriveste, vi risponderemo nel prossimo
numero del Nostro giornale!
Progetto “Cinema e
Follia”
Follia
Alcuni
elementi di riflessione
di R. G. Domenella
Schizofrenia,
depressione e demenza sono i disturbi mentali comunemente ritenuti interesse
psichiatrico. Secondo i dati dell'OMS (aggiornati al 1994), più di
45 milioni di persone al mondo soffrono di queste patologie. L'incidenza
annuale della schizofrenia è dello 0.1 per mille l'anno nella popolazione tra i
15 e i 54 anni, mentre la frequenza dei disturbi depressivi è molto più alta -
anche se per questo gruppo di disturbi le stime sono meno affidabili. Si calcola
che nel corso della vita circa 44 persone su mille soffrano di depressione. La
frequenza di questo disturbo è tre-quattro volte più alta nelle donne, ed è
in aumento negli ultimi decenni, soprattutto nelle classi di età più giovane.
Parallelamente sono aumentati anche i suicidi: in Italia, dal 1973 al 1983 la
percentuale dei suicidi è passata da 4.62 a 5.01 ogni 100mila abitanti. Un
quadro ancora più preoccupante viene tratteggiato per la demenza, e in
particolare per la demenza di Alzheimer, la cui percentuale oscilla dal 20% al
50% nella popolazione tra i 75 e gli 80 anni - più frequente nelle donne e in
ambo i sessi con bassa scolarità. Tenuto conto dell'invecchiamento progressivo
della popolazione e della durata della malattia calcolata in 3/20 anni, si
configura già nei primi decenni del 2000 uno scenario preoccupante di
intervento sanitario pubblico e assistenziale.Ma che cosa è la follia? Facciamo
un passo indietro. Ieri: l'internamento
(ovvero le forme della ragione forte ).
E' con l'Illuminismo che si avviano le ricerche delle cause
"oggettive" dei disturbi psichici, in base ad una istanza di
purificazione dal pregiudizio, dal mito e dalla superstizione. L'internamento
dei "diversi", ovvero di quegli altri
che la ragione categorizzante rende diversi, praticato per più di due
secoli, ha infatti lentamente prodotto la localizzazione e quindi
l'identificazione della follia. Inizialmente, nel XVII° secolo, si trattava di
una regione ancora indifferenziata, dove convivevano follia, vizio ed empietà:
"Tra le mura dell'internamento - scrive Michel Foucault - si trovavano
mescolati i sifilitici, i dissoluti, le "pretese streghe", gli
alchimisti, i libertini; e anche gli insensati...Si intrecciano parentele, si
stabiliscono comunicazioni, e agli occhi di coloro per i quali la sragione sta
per diventare oggetto, un campo quasi omogeneo si trova così delimitato"[1].
Su questa regione "neutrale", in cui la vita reale è sospesa, si
esercitano la ragione illuminista prima, e positivista poi. Le scuole
terapeutiche classiche indagano la materia, secondo le sue caratteristiche
qualitative ed esteriori. Lavater pratica la fisiognomica, Gall promuove la
frenologia, Lombroso parla di delinquente nato. Vengono elaborati i
corrispondenti apparecchi terapeutici: "La gabbia di vimini con un
coperchio incavato in alto per la testa, nella quale le mani sono legate, o
l'"armadio" che racchiude il paziente in piedi fino all'altezza del
collo, lasciando libera soltanto la testa"[2].
Poi, lentamente, "la strana unità che raggruppava tanti volti diversi"[3]
si rompe: i folli, già oggetto di
cura, diventano oggetto separato di
cura. Nasce la malattia mentale. Alla psichiatria del XIX° secolo la follia
appare ormai chiaramente identificabile e legata a condizioni di esistenza
malsane - sovrappopolazione, alcolismo, promiscuità, eccessi - ed è percepita
come fonte di pericolo - per se stessi, per i familiari, per la tutela
dell'eredità - . "La psichiatria - scrive Foucault -, più che una
medicina dell'anima individuale appare una medicina del corpo collettivo"[4].
Nel XX° secolo, gli stati psichici vengono finalmente concepiti come processi
dinamici specifici, l'essere umano si dimostra più profondo e complesso che nel
secolo precedente, l'impostazione della ricerca diventa intrapsichica ed
introspettiva, ma il modello è sempre deterministico - retrospettivamente si
ricercano le cause della patologia - anche se in virtù della dinamica psichica
il confine fra sano e malato è diventato più labile. E infatti nel quotidiano
fanno il loro ingresso gli atti mancati, i lapsus,
i tic, e con essi la psicopatologia.
Non è qui il caso di ripercorrere la storia della psichiatria moderna. Ricordo
solo che nel Novecento, in opposizione e all'interno della psicanalisi, vengono
formulati diversi modelli della psiche umana - biologico, psicodinamico,
cognitivo, comportamentale, interpersonale, familiare/sistemico - ed elaborate
diverse tecniche terapeutiche. Alle purghe associate alle confessioni,
sostituite dalle gabbie e dai legacci, subentrano gli psicofarmaci, le
psicoterapie e le socioterapie. Il confine fra biologico, mentale e sociale
resta comunque incerto. All'inizio del secolo i pazienti affetti da pellagra e
da paralisi per infezione sifilitica riempiono i reparti degli ospedali
psichiatrici; alla fine del secolo l'associazione fra condizioni di vita
negative - povertà, disoccupazione, guerra - e disagio psichico è evidente. Verso
un nuovo paradigma? (dopo la legge 180 ovvero della ragione debole)
In
Italia, il 13 maggio 1978 è stata approvata una legge che ha imposto un
radicale ripensamento di tutta la questione. La legge 180, infatti, non prevede
semplicemente la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma la costruzione di
strutture terapeutiche radicalmente alternative. La legge manicomiale del 1904
prevedeva l'internamento in ospedale psichiatrico obbligatorio ed eseguito dalle
forze di pubblica sicurezza quando l'individuo era riconosciuto pericoloso per sé
e per gli altri o se era di pubblico scandalo. Dopo un periodo di osservazione,
il paziente veniva curato - usualmente con la contenzione e l'elettroshock -
quasi sempre per tutta la vita, diventando sempre più remote le possibilità di
dismissione con il passare degli anni. La legge 180 del 13 maggio 1978, recepita
dalla legge 833 sull'assistenza sanitaria del 23 dicembre 1978, stabilisce che
di norma - cioè con l'eccezione di
casi urgenti - tutti gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari.
Essi possono essere obbligatori solo se esistono alterazioni psichiche tali da
richiedere immediati interventi terapeutici, se gli stessi non vengono accettati
dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentono di
adottare idonee misure sanitarie extraospedaliere. La legge stabilisce la
chiusura degli ospedali psichiatrici e l'istituzione di servizi psichiatrici di
cura e riabilitazione in presidi extraospedalieri e di diagnosi e cura
all'interno delle strutture dipartimentali negli ospedali generali. I
folli non sono più riconoscibili dall'appartenenza allo spazio asettico,
alienante e spersonalizzante dell'ospedale psichiatrico. La psicologia, e quindi la
psicoterapia, riconoscono oggi l'importanza del paziente e dei suoi familiari
nel determinare e mantenere la guarigione, clinica e sociale, e sono centrati
sull'insegnamento di competenze - interventi psicoeducativi integrati, tesi al
trasferimento di abilità di comunicazione e problem solving, nonché di
strategie di gestione delle crisi da parte dei familiari. I tempi degli
interventi si accorciano, le terapie diventano brevi e prevedono follow-up
e interventi di emergenza. Non si tratta più di dimostrare come la patologia
sia presente nella quotidianità - come fece Freud all'inizio del secolo - ma di
allargare ed articolare il dominio della normalità, costruendo sul terreno
disponibile, e bonificando. Parallelamente il cervello è diventato oggetto di
una ricerca scientifica sofisticata e sempre meno invasiva, che ne ha fornito
una conoscenza sperimentale via via più precisa, aprendo la strada alla
psicofarmacologia - produzione di farmaci sempre più specifici rispetto ai
quali l'uso in dosi massicce e non mirate ha lo stesso significato dei mezzi di
contenzione fisica. Legami non meno sconcertanti
ma molto più efficienti. Psicoterapie, socioterapie, somministrazione
mirata di farmaci sono gli strumenti terapeutici di cui dispone la cura della
malattia mentale all’inizio del nuovo secolo. Ma è chiaro che la storia della
follia nell'età contemporanea si svolge sui percorsi accidentati della storia
della scienza, della politica e dell'etica, e del loro problematico intreccio.
Ciò che ha condizionato l'evoluzione delle istituzioni psichiatriche e il
movimento della riforma, infatti, è stato non tanto la percezione che
l'internamento era non solo inutile, ma anzi dannoso, quanto la graduale
affermazione dei diritti politici e civili dei pazienti - il diritto alla libertà
delle persone incatenate in manicomio, alla libertà da trattamenti terapeutici
crudeli, inumani o degradanti, il diritto alla cura, alla casa, all'istruzione e
al lavoro, il diritto di sposarsi, avere figli ed esercitare la paternità e la
maternità, di accedere ai propri dati clinici, di avere proprietà, di
esercitare il diritto di voto[5].
In questo contesto di riferimento etico e politico - quindi pratico
in senso aristotelico - sono nati i movimenti
che hanno portato al cambiamento. In un territorio costellato di
contraddizioni, in cui il malato è spesso disorientato, mortificato,
disconosciuto, la tutela dei diritti è, nella prassi, affidata soprattutto alla
dialettica con cui le istituzioni deboli
- le Associazioni dei familiari dei pazienti, degli utenti, i gruppi di
volontariato e di auto-aiuto, le Società degli operatori e degli specialisti -
come la Società italiana di Psichiatria democratica, la Società di Psicologia
della salute - fronteggiano il riorganizzarsi delle Istituzioni nell'ottica
della privatizzazione e dell'efficienza. Gli ex-Ospedali psichiatrici - già
ex-lebbrosari - ora oggetto di riconversione da parte della Azienda Sanitaria,
sono uno dei luoghi in cui si gioca la scommessa sulla possibilità, forse non
utopica, di scrivere la fine della storia della follia. Più che appartenere
alle strategie psichiatriche o della sanità pubblica, questo esito presuppone
però una società in cui l'educazione e la tutela della salute sia patrimonio
comune e garanzia per il riconoscimento dei diritti di ciascuno. Ecco perché è
importante parlarne.
di Marzia Bulli
VC
Ecco
l’elenco dei film per il
Cineforum di quest’anno:
Qualcuno
volò sul nido del cuculo di Milos Forman
Psycho di Alfred Hitchock
Hamlet di Kennet Branagh
Dr. Jekyll & Mr. Hide di R.
Mamoulian
Shining di Stanley Kubrick
Diario
di una schizofrenica di Nelo Risi
Il
grande cocomero di Francesca Archibugi
The Wall di
Alan Parker
Giovanna
d’Arco di Luc Besson
Le
onde del destino di Lars von Trier
In questo progetto si trova un po’ di
tutto.
Al
di là di film destestabili come “Il grande cocomero” -al quale sembra che
la regista abbia dato il meglio di se stessa, e se questo è il meglio,
figuriamoci il resto…- e “Giovanna d’Arco”- nel quale, se ci si ammazza
tutti, perché non dura dieci minuti???- un filo conduttore unico probabile
potrebbe essere la Follia. Di certo è con l’intento di DESCRIVERE che il
cineforum si divide in quattro sezioni: i “diversi” (The Wall, Giovanna
d’Arco), la malattia (Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr.Hyde, Psycho, Hamlet,
Qualcuno volò sul nido del cuculo), l’angoscia (Shining, Diario di una
schizofrenica), la terapia (Il grande cocomero L).
Ma è poi descrivere? Come si può descrivere la follia attraverso un mezzo
tanto abbagliante e complicato quanto è il cinema? Chi potrebbe essere in grado
di giudicare se il regista, il film, o addirittura gli spettatori sono dei
folli? Soprattutto pensando ad un regista, chi si riterrebbe capace di decidere
se -sempre supponendo che il film sia palesemente bello!- la sua creazione
geniale è frutto: a) di una follia pura e propria del regista come essere
umano, b) di una follia insita solamente nel mezzo cinematografico, cioè il
film vero e proprio, in cui le immagini e i suoni sono così perfettamente
miscelati insieme da condurci a riflettere. E’ proprio l’ultimo film di
questo intenso cineforum che può far riflettere sulla totale identificazione
della follia nel mezzo come nella vita del regista: “Le Onde del Destino” (Breaking
the Waves) ci porta a riflettere su quanto sia labile e indistinto il confine
tra l’amore e la follia (…del regista o del film…?). Se allora l’argomento descrivere non ci
piace, si può parlare della DISCUSSIONE: di certo è con l’intento di
DISCUTERE che il cineforum si divide i quattro sezioni etc. etc. etc…
Discutere, alla fine di un film, richiede un lavorio di cellule cerebrali
enorme: bisogna innanzi tutto partire dal film, citarne alcune parti che
particolarmente ci hanno colpito, ricordarne immagini e parole, bisogna poi
passare al “come-è-stato-realizzato”, le tecniche rivelano infatti molti
segreti, e infine si giunge al SIGNIFICATO. Il significato, ecco, è talmente
personale, contraddittorio e difficile a trovarsi che quasi sempre la
discussione è abbandonata a un terzo del lavoro, e il film catalogato tra i
tanti -o i pochi, dipende- che si vedono in una stagione intera: il film è
“carino”, “scioccante” o “molto stimolante”. E’ con questo
sovraccarico di emozioni che si torna alla propria quotidianità: più o meno
esausti, sicuramente più folli di prima. Agli spettatori, senza dubbio, è
affidato un compito arduo -ricevere, incamerare ed elaborare; comprendere, far
proprio e trasmettere- e non è sempre facile perseverare nella decisione di
continuare a cercare un significato se non è chiaro a prima vista. Né
descrivere né discutere dovrebbero essere allora gli scopi di questo cineforum,
bensì, credo, indirizzare verso un piacere della mente quale è il cinema. Il
cinema è un PIACERE, si inseguono con piacere i più disparati pensieri, quando
ci si prepara alla visione, quando si è coinvolti nella scena, quando il finale
si accorda o si discosta dalle nostre personali opinioni. E’ con piacere
allora che ci prepariamo a inseguire le strade di questo cinema degli orrori,
dei rimedi e delle diversità umane -i sogni e desideri della mente- sperando
solamente di mantenere, per quanto possibile…una certa serenità…
di Silvia Valeri
VA
Cento
passi è la distanza che separa i due mondi di Cinisi: quello mafioso e quello
che vorrebbe essere libero; la casa del boss Tano Badalamenti e quella di
Giuseppe Impastato, il protagonista del film. Cento passi: simbolicamente la
distanza tra l’oppressione, il servilismo, il ricatto e la libertà. In fondo
non è poi così tanto, ma la distanza che intercorre tra due possibilità è
soprattutto mentale. Il film di Marco Tullio Giordana è la storia
di un fatto realmente accaduto negli anni ’70, il periodo delle Brigate Rosse,
del sequestro di Moro, inserita in un contesto di per sé difficile: la Sicilia.
I fenomeni mafiosi che ostacolano i processi di sviluppo democratico e che hanno
travolto tanti innocenti, hanno bisogno, per essere eliminati, dell’impegno di
tutti i cittadini e di un’alta coscienza etica collettiva. Questo è il
significato centrale del film, dotato di un’efficacia e di una forza non
indifferente, in grado di muovere le coscienze, di sollevare quello strato di
indifferenza che ricopre come una spessa polvere i nostri sentimenti. Perché
purtroppo è facile assuefarsi all’indifferenza e dall’indifferenza il passo
verso l’accettazione delle brutture è breve. Mi riferisco alla scena nella
quale Peppino e il suo migliore amico sono seduti in cima alla collina dalla
quale si domina il mare di Cinisi. Paesaggio bellissimo: mare che è quasi un
tutt’uno col cielo, vegetazione mediterranea rimasta intatta, sulla spiaggia i
pescatori. Poco più in là invece c’è l’aeroporto e mentre i due ragazzi
parlano, un aereo si alza in volo sopra le loro teste, lascia una scia, quasi a
voler sottolineare con una traccia nel cielo il problema delle tangenti e degli
appalti legati alla mafia di cui lo stesso aeroporto è il risultato. Perché
sono sempre gli interessi che portano a perdere la cognizione di ciò che è
bello e ciò che è brutto, che fanno arrivare a deturpare un paesaggio così
unico. Non perdiamo la coscienza del bello e, per sinestesia, mi verrebbe da
dire, del giusto. Non arriviamo a rinnegare ciò che amiamo e che è parte di
noi per paura o semplicemente perché è la scelta più semplice e meno
rischiosa. Sappiamo perfettamente che la storia
della mafia in Sicilia è antichissima e intrinsecamente legata al
destino e alla struttura politica dell’isola, ma ciò non significa che vada
accettata con rassegnazione, come un dato di fatto. La mafia
riguarda l’Italia , non solo la Sicilia. Per sconfiggere la criminalità
organizzata non basta quindi ipotizzare soluzioni legislative o di forza,
occorre liberare dalla “cultura mafiosa” coloro che vi sono soggetti.
Incominciando dalla scuola, per esempio. Tocca ai genitori costruire il loro
futuro su valori diversi e imparare a credere nella giustizia e nella libertà,
soprattutto. E’ loro dovere auspicarsi una società democratica e civile.
Questo fa capire il giovane impastato. Come quando decide di occupare da solo
Radio Aut, l’emittente locale attraverso la quale lui e suoi amici del partito
propagandavano le proprie idee. In seguito all’arrivo dei “fricchettoni”
di Milano infatti, la radio aveva preso un’impronta troppo libertaria,
eccessivamente disinvolta e disimpegnata politicamente, perdendo di vista i
valori di partenza. Era stata l’occasione per Tano Badalamenti di sottolineare
l’inconsistenza e la poca varietà delle idee presentate da Impastato. Ma il
giovane, fervidamente convinto dei suoi ideali politici e ancor più spinto
dall’intento civile anti-mafioso, con un atto di forza e da solo occupa la
radio in segno di protesta. Vuole ristabilire l’ordine, ricondurre
l’emittente sulla strada dell’impegno, all’intento che si era
originariamente proposto. Diventato oramai troppo scomodo
per il sistema mafioso e in particolare per il boss Gaetano Badalamenti,
persa la protezione del padre, affiliato al clan mafioso, il destino di Peppino
è segnato. Morirà pestato da alcuni sicari e poi fatto saltare in aria sui
binari del treno in uno scenario storico molto complesso, a cavallo tra
l’uccisione di Moro e gli attentati delle Brigate Rosse. La morte di questo
giovane così scomodo al sistema verrà archiviata come suicidio, nessuna
autorità vi darà troppo peso. Ma io che ho visto questo film, così
autenticamente ricostruito, non posso non pensare che nelle coscienze degli
abitanti di Cinisi qualcosa era cambiato. La personalità del giovane era troppo
forte, troppo carismatica per lasciare indifferenti. La sua storia deve per
forza aver fatto pensare a aver smosso, soprattutto i giovani. Cento passi.
Sembra di vedere Giuseppe che cammina, che conta uno ad uno quei passi, quel
“discrimen” tra due realtà. E’ un ribelle, è coraggioso fino alla fine,
è tenace. La sua non è una storia a lieto fine e questo ce lo fa sentire
ancora più vicino, in una società in cui, con uno scontato qualunquismo, i
giovani vengono accusati di disinteresse e noncuranza verso i problemi.
di Elizabeth Mary
Lanzi Mazzocchini VA
Una storia
ignorata, messa da parte o forse mai considerata, è ora sulla bocca di tutti e
sugli schermi di tutta Italia. “I cento passi” è già stato visto da molti,
ma i cinema continuano ad essere invasi dalla scuole e da tutti coloro che erano
giovani allora.
Alla fine degli anni ’70, la morte di Giuseppe Impastato fu considerata un
“episodio” da pubblicare in terza pagina. Se oggi però viene fatto un film
sulla sua vita, vuol dire probabilmente che essa rappresentata qualcosa di più.
Peppino è un ragazzo in anni di grandi cambiamenti, innovazioni, rivolte. Ha
però qualcosa che lo rende molto diverso dagli altri giovani del suo tempo.
Vive in Sicilia e la sua è una famiglia di mafiosi. E’ un figlio della mafia che decide di non
diventare un nuovo anello di questa catena storica. La spezza. Si rivolta contro
di essa, contro il grembo che l’aveva partorito, contro una madre lo avrebbe
protetto e che avrebbe potuto essere un punto di riferimento, una sicurezza per
la sua vita. Peppino decide di non conformarsi alle regole e alle tradizioni
della mafia. Grida a gran voce di fronte alla casa del più importante boss
mafioso di Cinisi, che si trova a “cento passi” dalla sua. Grida al padre
mettendogli di fronte agli occhi la sua vita fallita, grida al fratello e se lo
fa alleato, grida all’amico pittore la necessità di rimanere fermamente
attaccati alla realtà e non ai sogni di generazioni passate, grida alla mafia e
la ripudia.
La sua vita è un continuo gridare. Il suo
grido aumenta sempre più di tono e di volume. E’ come quella figura deforme e
impersonale che Munch dipinge ne “L’urlo”, con pennellate lunghe e
pesanti. Un uomo con la bocca completamente spalancata, intento a urtare con la
sua forza. Giuseppe Impastato è simbolo di tutti coloro, soprattutto tra i
giovani, che hanno dedicato la vita all’impegno sociale, facendo ogni giorno
della vita un passo in più verso la morte. Questa è la fine inevitabile a cui
andarono incontro tutti quelli che senza timore decisero di lottare. La morte
gli arrivò come un sigillo. Essa è la prova che la sua è stata una vita
attiva, che si distingue per una completa dedizione all’impegno che si era
preso; una vita fatta anche di piccoli successi. Una vita pericolosa per alcuni
più potenti di lui.
Peppino non si estraniò, come fecero altri (frikkettoni,
hippies) dalla realtà, ma agì concretamente nel contesto in cui viveva. Cinisi,
una città felicemente inginocchiata alla mafia. La sua morte risvegliò una
coscienza di massa. Al corteo della scena finale del film è presente tutta
Cinisi. “La mafia uccide, il silenzio pure” dicono tutti gli striscioni. Il
silenzio assordante che imperava su Cinisi, si trasformò in un coro di voci
altrettanto assordante. La storia di Giuseppe Impastato viene oggi a scuotere
nuovamente le coscienze della massa e a incoraggiare, soprattutto i giovani di
oggi, a rompere il silenzio e a gridare anch’essi.
Durante
questa prima parte dell’anno abbiamo studiato nel programma di storia le
vicende di Giovanna D’Arco e perciò abbiamo visto un film dedicato a questo
personaggio.
Nel
film “Giovanna D’Arco”, il celebre regista Luc Besson ha diretto un cast
d’eccezione composto da Milla Jovovich, nelle vesti di Giovanna D’Arco,
Dustin Hoffman che interpreta la coscienza, Jhon Malkovich, nel ruolo di Carlo
VII e Faye Dunaway nei panni di Iolanda D’Aragona. Si affiancano a questi
straordinari interpreti, Pascal Greggory, Vincent Cassel, Tchéky karyo, Richard
Ridings e Desmond Harrington. Realizzato nell’arco di dodici mesi questo film
è, dal punto di vista visivo, particolarmente spettacolare. Una volta affidata
la parte di protagonista a Milla Jovovich, il regista ha allestito dei provini
per ricercare gli altri interpreti.
Per
creare la coscienza di Giovanna, Besson desiderava avere un attore americano che
avesse il talento per interpretare un così difficile ruolo ma che non mettesse
in ombra la figura della giovane “pulzella” che sarebbe dovuta rimanere
sempre al centro di tutte le scene. Le riprese sono state iniziate il 15 giugno
1998 presso le rovine della città di Bruntal a est di Praga. Trattandosi di una
ricostruzione storica, alcune battute dei dialoghi sono state tratte
direttamente da documenti dell’epoca e da realizzazioni precedenti sullo
stesso soggetto. Il regista ha voluto dare il massimo realismo anche alle
scenografie infatti egli si è recato a Orléans per osservare il paesaggio
della Loira. Inoltre sono state effettuate molte ricerche nelle biblioteche
francesi ma soprattutto nel museo dedicato interamente alla “giovane
pulzella”. Un esperto ha seguito tutte le ricerche convalidandole, in modo che
l’opera diventasse eccellente sia sul piano logico che sul piano estetico. Il
nucleo centrale del film è composto dalle scene di battaglia che sono state
molto difficili da realizzare.
Il
regista afferma però che la cosa più complicata è stata far abituare gli
attori ad indossare le pesanti armature e ad impugnare le armi dell’epoca su
cavalli bardati di tutto punto. Infine è importante osservare i costumi di
scene che sono stati realizzati da Catherine La terrier. Sono stati realizzati
complessivamente tremila costumi completi, inclusi cento costumi per i
personaggi principali, cinquecento gioielli, mille e settecento elmetti per i
soldati, cento cappelli e cinquecento acconciature per i cittadini e i
contadini, quarantacinque mitrie per la scena dell’incoronazione, novecento
paia di guanti, centocinquanta copricapo religiosi e duemila paia di scarpe e
stivali.
Secondo
me questo film è da considerare un’opera cinematografica tra le più belle
degli ultimi anni e a mio avviso merita un’attenta e accurata visione.
Bellissime e piene di significato sono le scene di battaglia ma quelle che mi
hanno affascinata di più sono state quelle che rappresentavano le visioni di
Giovanna. Nonostante la lunga durata della pellicola consiglio vivamente a tutti
di vederla.
N.B.
Chiunque volesse acquisire informazioni su questa rappresentazione
cinematografica può visitare il sito internet della Miramax.
I giovani
e la musica
di
Lorenzo Beato III E
Oggi
purtroppo stiamo assistendo ad una commercializzazione di massa della musica ed
a una strumentalizzazione dei giovani.
Infatti
ai giorni d’oggi i giovani si trovano a dover scegliere la loro musica in una
lista piuttosto ristretta che in confronto al passato è più “selezionata”.
Ora vi spiego meglio…:
Oggi
le case discografiche pagano le emittenti radio, televisive (internet è
l’unico mezzo che ancora si salva) per programmare soltanto la musica
“sicura”, quella che potrebbe essere di sicuro successo.
Mentre
nel passato, soprattutto negli anni’80, le case discografiche rischiavano di
più e mandavano sul mercato tantissimi personaggi che non erano costruiti
nell’immagine e nella musica che proponevano.
Oggi
in più assistiamo ad una ignoranza completa per quanto riguarda i generi.
Spesso si usa il termine “Rock” per collocare artisti come i Nirvana e
altri!!! Quello che i tanti fans di
questi gruppi chiamano Rock, non è in realtà altro che una forma
“decadente” ed “ermetista” del vero Rock che risale agli anni ’50 (Elvis
ve lo ricordate?). Non sto assolutamente contestando la musica che queste band
propongono e state attenti a non fraintendere i termini “decadentista” ed
“ermetista” che in realtà servono per dare una definizione al genere e
collocarli quindi con ordine. Infatti per “decadentista” mi riferisco
soprattutto ai contenuti dei testi e del loro significato ( sapete spesso di
cosa parlano le loro canzoni, no?), mentre per “ermetista” mi riferisco
invece al livello compositivo e sonoro: in questo rock infatti sono
principalmente usati toni molto acuti quasi striduli che tendono a stonare
(attenzione a non fraintendere anche qui): la variazione di questi canoni
determinerebbe un’uscita al di fuori di questi e la canzone non sarebbe più
dello stesso genere; da ciò capiamo e giustifichiamo la piattezza compositiva
di queste band ( salvo eccezioni ) che non potendo variare sono costrette a
mantenersi su canoni principalmente simili tra loro.
I
giovani si trovano quindi disorientati in un mondo della musica che dovrebbe
essere loro, dove invece chi comanda sono le case discografiche. Bisognerebbe
ogni tanto spegnere la televisione e la radio, smetterla di farsi abbindolare da
MTV, da RDS etc. …
E’
stato sottoposto agli utenti della biblioteca un questionario riguardante la
musica. Nelle risposte prevale il genere Hard Rock, Heavy Metal soprattutto per
i ragazzi che vanno dai 16 ai 18 anni; l’intramontabile Pop si destreggia bene
ed è apprezzato da quasi tutti i giovani anche un po’ più piccoli, ragazze
in testa. Assieme al Pop, in discesa, troviamo la musica commerciale da
discoteca e non. Apprezzata anche la musica Etnica, New Age e Punk in coda.
E’
doveroso citare anche la musica classica che è ascoltata soprattutto da ragazze
un po’ più grandicelle ed infine la “Musica del Passato” purtroppo poco
conosciuta ma a sorpresa abbastanza ascoltata: sembra infatti che le ragazze di
16/17 anni in particolare conservino un posizione discreta per la musica anni
’80 soprattutto (anche se some ho detto prima, la conoscono molto poco per
quanto riguarda la storia e gli autori); impareggiabile il Pop anni ’60 (Ben
King, The Foundation!) che rimane sempre in nel cuore di tanti e la musica
70’s, Beatles, Rolling Stones soprattutto per le ragazze.
N.B.
Ad alcune domande si potevano dare più risposte
Totale
sondaggi consegnati……73
Rock |
51 |
Pop |
42 |
Anni
‘80 |
29 |
Anni
‘90 |
29 |
Commerciale |
28 |
Hip
Hop |
21 |
Anni
‘70 |
21 |
Heavy
metal |
18 |
Hard
Rock |
16 |
Anni
‘60 |
15 |
Classica |
9 |
Rap |
8 |
Punk |
8 |
Funky |
7 |
New
Age |
5 |
Chi
è a tuo avviso il personaggio musicale del millennio?
Freddy Mercury |
11 |
Beatles |
8 |
Bob Marley |
8 |
Jimmy Handrix |
8 |
Jim Morrison |
7 |
Kurt Cobain |
7 |
John Lennon |
6 |
Madonna |
6 |
Backsteet Boys |
5 |
U2 |
4 |
Eros
Ramazzotti |
3 |
Mariah
Carey
|
3 |
Axl Rose |
2 |
Elvis Presley |
2 |
Micheal Jackson |
2 |
Mozart |
2 |
W. Huston |
2 |
Armstrong |
1 |
Bon Jovi |
1 |
Cranberries |
1 |
Mameli |
1 |
Oasis |
1 |
Pearl
Jam
|
1 |
Rem |
1 |
Rollig Stones |
1 |
Skin |
1 |
Suoni
qualche strumento? 23
si, 50 no
Gli
strumenti più suonati risultano il pianoforte e la chitarra.
Quanti
Cd musicali compri l’anno?
Da 0 a 5
|
20 |
Da
5 a 10 |
24 |
Da
10 a 15 |
7 |
Da
15 a 20 |
7 |
Oltre
20 |
28 |
Se
hai la possibilità di navigare su internet, quali siti visiti maggiormente?
Cantanti
& gruppi preferiti |
52 |
Hi-fi,
strumenti musicali, spartiti, testi |
18 |
Storia
della musica
|
3 |
17
no, 56 sì
(N.B. si poteva dare più di una risposta)
Rock |
32 |
Pop |
27 |
Leggera |
13 |
Classica |
5 |
Punk |
4 |
Altro |
4 |
Io
di
Lorenzo Beato III E
“Figlio”
di Morfeo signore dei sogni, amo chiudere gli occhi e sprofondare
nell’inconscio.
Vagare,
scrutare, sentire.
Vincere,
incoraggiare, godere.
Immaginare,
intonare, invocare.
<
…e l’anima se ne va verso l’eternità… >
La
sera con gli occhi al cielo, chiusi, parlare con le stelle.
Passeggiare
sulla spiaggia, dal fluttuare delle onde farmi trasportare.
Chiudere
gli occhi e partire.
Per
prati o deserti.
Per
steppe o per monti.
Nella
luce e nel buio.
In
cielo e in terra.
Ove
il pensier mi porta
<…a
confabular del vento con Eolo…a fare le matte risate con il belzebù…>
Ove il cielo è
terra e la terra il mare. Dove ogni cosa è e non è.
<
Ecco un fulmine! Io lo vedo: è ammagliante. Io lo sento: è frastuono è
calore: vita!
Mentre
invece quel rivoletto d’acqua con la sua monotonia. Ora una goccia ora
un’altra. Sembra che passi la sua esistenza a percuotere, colpire, picchiare.
Logorare. Paziente lui pulsa il tempo che passa e consuma. Ma in fondo non è
cattivo.
Ma
ecco nell’aria risuonare il vento che senza pietà sembra voglia preparar
vendetta.
Un
foglia non tiene la stretta e si lascia cadere giù seguita dalle sue compagne.
Ma
oggi ha deciso di essere clemente e placando la sua ira il cielo si apre e un
raggio di sole riflette sull’acqua del piccolo rivo, il rivo che sembra ora
accompagnare un risveglio.
I
fiori si aprono la rugiada risplende e scivola via tintinnando quasi a formare
un eco nell’aria e nell’acqua che si anima creando figure gioiose.
E
d ‘improvviso una schiera di
cavalli si slancia per la prateria dando vita a forme quasi angeliche.
Il
sole scende pian piano sotto l’orizzonte e nella foresta una nuova vita
riprende a vibrare scandita sempre a tempo del rivo.
In
cielo le stelle questa sera sono più luminose che mai. Sembra che il buon Dio
abbia voluto regalar ancora un giorno da vivere.
Uno
soltanto.
La
notte è lunga e tutta da assaporare. Alcuni vanno a dormire altri fiori invece
aprono la loro chioma alla luna.
Qua
e la lucciole colorano a festa la notte.
Vorresti
ballare, farti avvolgere da questa immensa danza che avrà fine soltanto al
destarsi del giorno.
(Soap
Opera per le scuole)
Terza e ultima
puntata
di
Giovanni Pagliarulo
Riassunto
della puntata prec.:
Belbidello
è alla ricerca dell’Erbavoglio, in questa avventurosa ricerca finisce in una
voragine dove incontra il suo Capo d’Istituto, Presidé, il quale è
sconfortato perché ha appreso che il Ministero gli ha rubato l’idea di una
riforma iperliberale che avrebbe voluto applicare lui per primo. Entra in
scena un nuovo personaggio: il giovane ragazzo popolano, Lazzaro. Ama calarsi
nelle buche del terreno del suo quartiere e soprattutto nei sotterranei dei
ruderi di un castello in rovina. Nei sotterranei incontra Laura, la ragazza da
lui amata e mentre camminano insieme incontrano un nuovo tunnel, ma inciampano
ben presto in un cadavere….
[…]10. Laura,
rialzatasi senza una parola e aiutato Lazzaro a sollevarsi, gli prese la lampada
dalle mani e puntò il fascio di luce sulla donna stesa immobile. Un pugnale era
conficcato tra le scapole, neanche una goccia di sangue sul terreno, ma molto
sui vestiti. Giaceva riversa con il capo sull'anta di una porta aperta. Aveva
gli occhi aperti, e in mano stringeva qualcosa.
La ragazza le pose le dita sul collo. Ancora
calda, ma irrimediabilmente morta. Lazzaro si copriva gli occhi con le mani.
Laura si chinò sulla donna assassinata e,
senza incontrare eccessiva resistenza, le aprì la mano. Aveva un'agenda
elettronica, che la ragazza lasciò scivolare nella tasca dei suoi jeans.
Rizzatasi, sommessamente chiamò Lazzaro, e si guardarono intorno in cerca di
qualcosa o qualcuno che potesse aiutarli.
Sentirono in lontananza delle voci. Vinta
l’esitazione, s'incamminarono cautamente nella direzione da cui provenivano,
sembrando loro, via via che s'avvicinavano, che fossero voci conosciute. Erano
infatti il Capo Istituto e Belbidello che, finalmente ritrovatisi, stavano
giustificandosi vicendevolmente per la prolungata lontananza. Laura e Lazzaro,
pensando allargare il cuore al sentire la voce dei due e, convinti a quel punto
che li alla Provvidenza di manzoniana memoria, fecero per correre loro incontro
ma subito si fermarono captando nel tono delle voci qualcosa che non andava.
"Dove sei stato? Quando ho riaperto gli
occhi non c'eri più"
"Ho sentito dei rumori, e ho cercato di
capire cosa fosse. Comunque, quando son tornato, anche lei non c'era più"
"Che vuoi dire con questo?"
"Niente, Presidé, chi dice niente.
Dico solo che lei non c'era ed è tornato dopo parecchio"
Presidé sollevò gli occhi al cielo
assumendo quell'atteggiamento ormai usuale in chi lo conosceva, valido per tutte
le occasioni imbarazzanti. Fastidio per l'interlocutore, invocazione ai cieli,
tutte e due le cose o qualcos'altro?
"Le incombenze di un capo d'istituto
sono gravi e neanche qui mi è permesso dimenticarle. Anch'io ho sentito dei
rumori, voci alterate ed urla man mano che mi avvicinavo alla fonte. Illuminata
da una luce fioca, da lontano ho visto una donna
litigare con sagome oscure e minacciose. La voce della donna cresceva
acuta e impaurita, rivendicando la sua importanza pubblica e la sua vocazione
democratica ed egualitaria «I servizi da
me erogati debbono essere uguali per tutti» diceva
«non ci sto ad erogarne migliori per i benestanti e mediocri per i più poveri.
La Costituzione della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza, afferma che i
cittadini sono tutti eguali. Le vostre pretese sono inaccettabili...» e
continuava con questo tono soffocando le proteste degli altri, il cui
gesticolare era reso più pauroso dalle ombre gigantesche proiettate sui
muri"
"E allora che ha fatto?"
"Aspetta, non ho finito. A questo punto
un uomo, così mi è sembrato...”
All’improvviso
Presidé si fece zitto, vedendo in lontananza baluginare una luce, e gli venne
in mente Virgilio, e si trovò a suo agio nei panni di Dante. Chissà che
Virgilio non gli avrebbe indicato la strada per inserirsi nel Progetto, senza
dover dividere nulla con quell'inculturato di Belbidello? Quando la luce si fece
sufficientemente vicina, fu con dolore che Presidé si rese conto che a
sostenerla non era Dante, ma Lazzaro, alunno della terza B, accompagnato da
quella "gatta morta" di Laura.
I quattro, dopo
imbarazzati saluti, si avvicinarono cauti alla donna assassinata.
Era una donna
dalle forme forti, una cinquantina d'anni d'età, lineamenti regolari, sconvolti
ancora per la sorpresa e il dolore, i capelli striati di bianco; indossava
vestiti dai colori autunnali, di un'eleganza un po' démodé, e scarpe dal tacco
basso e largo. I quattro, scavalcato il corpo della donna, s’incamminarono
silenziosi nel cunicolo su cui si apriva la porta aperta, arrivando in un'altra
caverna perfettamente in asse col Palazzo dello Sport e dello Spettacolo.
Lì una Donna, un
Grande Vecchio e il loro Servo Fedele, seduti ad un tavolo tondo con tre gambe,
le mani appoggiate al piano e toccantesi tra loro per i pollici e i mignoli,
guardavano assorti dentro una fumosa palla di vetro trasparente e pronunciavano
astruse parole che sembravano formule magiche.
L’odore di
zolfo rendeva l’aria irrespirabile.
L'impiantito
dell'antro era pieno di tabulati accatastati alla rinfusa, sui tavoli accostati
ai muri tremolavano gli schermi lattei dei computer senza operatori, al muro era
appesa una carta geografica del Belpaese su cui erano puntate delle bandierine
nere e rosse.
Un colpo d'occhio
e Belbidello, intuita la verità, con vigoria e rapidità imprevedibili, prende
in ostaggio il Grande Vecchio e impone agli altri due di smetterla con le loro
alchimie.
Nella
colluttazione la donna perde il velo e la parrucca, cade a terra tramortita e si
rivela essere D’Alema travestito; il Grande Vecchio è una sorta di Giano
polifronte con sembianze ad ogni istante cangianti malgrado sia anche lui
colpito da svenimento. A Belbidello sembra di riconoscere quelle di Cossutta,
Gelli, La Malfa e Cossiga. Non si riesce però a svelare l'identità del Servo
Fedele che, nella confusione, sfugge alla cattura borbottando frasi
incomprensibili in un accento meridionale e avvolgendosi in un mantello con
collo di pelliccia.
11. Le sequenze
si susseguono a tale velocità che confondono Laura, Lazzaro e Presidé che se
ne stanno accostati al muro sbalorditi dal ritmo incalzante impresso loro da
Belbidello che, storditi e legati i complottardi, si impossessa della sfera
magica, con questa fa cadere in un sonno ipnotico i suoi spettatori ed ottiene i
semi dell’Erbavoglio.
Si dota quindi di
una cospicua rendita a vita, di una villa a Frascati, un rifugio sulle Dolomiti,
una tenuta in Toscana e posti di lavoro per figli e nipoti. Poi, tornato a
scuola e acclamato da tutti come un eroe per aver riportato Presidé sulle sue
braccia ancora svenuto e colpito da una grave forma di amnesia (la stessa che
aveva colpito Laura e Lazzaro), distribuisce agli altri bidelli semi di
trifoglio con cui inseminare il prato professorale.
Presidé, quando
si riprende dal sonno ipnotico, tende le sue mani al cielo con gesto ieratico, e
invita i bidelli e gli insegnanti a proseguire nella ricerca della Cera che'ncera,
senza la quale la scuola non sarebbe entrata nel Mercato.
Ogni
cosa sembra tornata al suo posto.
Belbidello ha
approfittato della situazione a suo vantaggio; Presidé, in apparente stato di
confusione mentale, si è accordato con i cospiratori entrando anche lui a far
parte del gioco, mantenendo però l'immagine d'uomo probo.
La
scuola della repubblica, quella donna pugnalata alle spalle, è veramente morta?
Come utilizzerà Laura i contenuti dell’agenda elettronica? Laura e Lazzaro
troveranno un lavoro? Si sposeranno?
Chi
vuol dare un seguito a questa Soap opera si metta in contatto con l’autore.
(L'idea iniziale venne, durante un’okkupazione, al sottoscritto e ad Anna Maria Rava, collega colpita dal primo taglio delle classi nel 1993 e costretta al trasferimento. Ciao, Rava, prima o poi toccherà a tutti noi.)
[4]Michel Foucault, "La
personalità pericolosa: nascita ed evoluzione di una nozione", in Scienze
dell'interazione, 1, N.2-3, 1994, p.173.
[5]La Riforma in Italia è stata accompagnata e seguita dal riconoscimento ed ampliamento dei diritti del malato di mente, ad opera di Organismi Internazionali. Ricordo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone mentalmente ritardate, 1971; la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili, 1975; la "Carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale",1976 ; la Risoluzione delle Nazioni Unite 46/119 per "La protezione delle persone con malattia mentale e la promozione della cura della salute mentale", 1991; la Raccomandazione 1235 sulla Psichiatria e i diritti umani, del Consiglio d'Europa, 1994.