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Biblio.Major

Bollettino della Biblioteca “Loredana Rossi Molinaro”

Liceo Scientifico Statale “Ettore Majorana”, via C. Avolio, 111- 00128 Roma

Indice

Editoriale:

Una biblioteca da…scrivere di L. Ciocca

Biblionotizie

La biblioteca del Liceo Plauto

Attualmente:

La settimana corta di L. Svaluto

Buone letture:

I demoni di Fedor Dostoevskij di D. Capriotti

I fornelli spenti di zia Maraini di François (A. M. Galiberti)

Anni di guerra di V. Grossman di M. Atzori

Teatro:

Perché Teatro a scuola? di V. Spagnolo

Cinema

Follia di R. G. Domenella

Cinema e follia di M. BulliI
Cento Pass i di S. Valeri

I Cento Passi E. M.L.  Mazzocchini

Giovanna D’Arco di R. Nuvolari

Musica:

I Giovani e la musica di L. Beato

Penna Libera:

Io di L. Beato

L’Erbavoglio (3° ed ult. Punt.) di G. Pagliarulo

 

 

Editoriale

Una biblioteca da…scrivere

La caratteristica di fondo di Biblio.Major è quella di nascere nella nostra biblioteca e di voler dunque, in primo luogo, fornire notizie su di essa, sulle sue attività e i suoi servizi, sui libri e i documenti posseduti. Ma come in tutte le biblioteche che si rispettino, il vero referente del servizio sono gli utenti. Si sta piano, piano costruendo con loro un rapporto di scambio e collaborazione quotidiana che passa anche attraverso l’idea di questo giornale e che fa della biblioteca un centro attivo di produzione ed elaborazione culturale. Gli utenti  possono infatti sfruttare le nostre attrezzature per scrivere e stampare, i libri posseduti per cercare notizie e spunti per gli articoli, ma soprattutto la biblioteca è il luogo fisico dove ci si incontra per parlare del giornale, degli articoli e, è doveroso dirlo anche perché è segno di vivacità intellettuale, anche discutere e polemizzare sui pezzi scritti. La biblioteca, i libri, i film, il teatro, la musica sono tutti aspetti differenti ma sullo stesso piano di un dibattito teorico, continuo, di un flusso di pensiero a più mani che può essere scritto sulla pagina bianca e attraente che la biblioteca vuole essere per i suoi utenti.

Così Bibliomajor è a sua volta una materializzazione, una delle tante possibili, sia ben chiaro, di ciò che la nostra biblioteca è e di ciò che può essere, di ciò che gira attorno ad essa e dentro di essa. Perciò ho l’impressione che Bibliomajor rimarrà in qualche modo sempre uguale a se stesso mutando di continuo: mutano le persone che si occupano della e che frequentano la biblioteca, variano gli interessi, si arricchiscono e si accumulano i materiali di cui si vuole parlare…etc. Tutti segni, dico io, che la biblioteca è viva. Essa dunque vive dei suoi frequentatori e non della burocrazia, perciò sono consapevole che potrebbe essere ancora più viva e più stimolante, perciò è importante dedicare alla biblioteca e alle sue attività  tanta attenzione e tempo.

 Intanto eccoci giunti al numero due. Questo giornale o bollettino sta stupendo anche me, dal piccolo fogliettino, piuttosto spartano in cui si è mostrato al pubblico la prima volta nel maggio scorso (con il n. 0) siamo arrivati al n. 1 di novembre con le sue 8 pagine ricche di articoli e testi, numero che ha sollecitato parecchie reazioni,  quasi tutte positive.

Per il momento voglio segnalare alcune delle tante novità che si troveranno in questo numero di Bibliomajor. La prima è un interessante intervento delle colleghe bibliotecarie del Liceo Plauto di Spinaceto, intervento che dà inizio a una collaborazione fra le due biblioteche vicine. Un’altra novità è la nascita di una rubrica di teatro e della grande attenzione che sarà data alla musica, al cinema e alla critica letteraria… Il resto lo scoprirete da soli e vedrete che non ve ne pentirete.

Adesso non mi rimane che salutarvi e ringraziarvi per l’attenzione che state prestando a questa iniziativa.

Le fotocopie e la nuova legge sul diritto d’autore

La legge n. 248/2000 ha modificato la precedente normativa italiana riguardo il diritto d’autore in modo abbastanza significativo. Il 4 dicembre si è svolto nella sede del Provveditorato di Roma un interessante e utile Seminario sul diritto d’autore, organizzato dall’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) Sezione Lazio, che ha dato modo ai partecipanti di approfondire la tematica e di apprendere molti aspetti poco noti della nuova legge. Gli interventi sono stati molti a da varie prospettive. Le notizie e le riflessioni che seguono sono il “succo” che ho ricavato dalla partecipazione a suddetto seminario.

 Le leggi sul diritto d’autore tendono sempre a compendiare due sfere diverse di diritto tra loro anche in competizione: quello del singolo (cioè l’autore) e quello della collettività. E’ giusto dunque proteggere da uno sfruttamento indiscriminato le opere d’ingegno e tutelarle, ma è anche giusto che siano previste eccezioni al fine di permettere una diffusione ampia e libera delle idee e delle opere d’ingegno. Per questo motivo sono previste delle “utilizzazioni libere” delle opere, come il prestito in biblioteca dei libri o dei video, oppure le citazioni di brani, oppure le fotocopie. La l. 248 è intervenuta su quest’ultimo punto rendendo molto più ristretta la possibilità di riprodurre un testo. Prima si potevano fotocopiare integralmente i testi, senza dover corrispondere alcuna retribuzione all’autore o ai suoi eredi, sempre che la riproduzione avvenisse per fini di studio e lettura personali e non commerciali.

La nuova legge rende impossibile tutto ciò, essa limita esplicitamente la possibilità di riprodurre i libri e i periodici e le pubblicazioni in genere al 15% per cento del totale delle pagine. Ma ciò non basta, bisognerà anche corrispondere per ogni pagina riprodotta una certa somma alla SIAE, somma che ancora non è stata stabilita e che verrà decisa da un Regolamento applicativo. Sono tanti i punti oscuri di questa nuova legge, infatti, la formulazione dell’art. 2 , quello più importante è un po’ contorta. In primo luogo la legge dice che si può fare una copia integrale del testo se serve per i “servizi della biblioteca”. Ma cosa si intende per “servizi della biblioteca”? Le interpretazioni più logiche portano ad affermare che anche il servizio di prestito può rientrarvi. Perciò si può fotocopiare un testo da dare poi in prestito, ma chiunque poi volesse da tale copia fare ulteriori copie non potrebbe, dovrebbe limitarsi al solo 15%.

Altro punto discusso, tra i tanti, è quello che dice che si possono fotocopiare integralmente le “opere rare” e quelle “fuori dai cataloghi editoriali”. A parte che è difficile sapere con certezza se un’opera è rara o fuori da i cataloghi editoriali, ma è anche vero che un’opera “rara” per definizione non si può fotocopiare perché si rischia di danneggiarla, si può riprodurre solo con altri sistemi (più costosi e complessi) come la fotografia. Inoltre i cataloghi editoriali non sono sempre aggiornati e quindi potrebbero ancora includere (e avviene!), edizioni oramai introvabili. Senza aggiungere che questo potrebbe divenire un incentivo (mi rendo conto che il mio realismo sfiora il cinismo…) per le case editrici a non togliere i libri dal catalogo pure se esauriti, in modo da ricavarne ancora utili dalle riproduzioni.

Altri problemi riguardano il compenso da pagare. Per le copisterie dovrebbe essere di circa 200 lire a pagina, cioè il prezzo ISTAT medio di una pagina di libro. Le 200 lire si sommeranno alle circa 100 lire di fotocopia e il prezzo, minimo minimo, triplicherà. Per le biblioteche non è stato ancora fissato, ma certo non è ancora chiaro chi pagherà e come. Si spera che prevalga la logica di un compenso forfettario e quasi simbolico, magari da devolvere ad istituzioni bisognose.

Rimane l’amarezza di veder messi sullo stesso piano da questa legge le copisterie le biblioteche, strutture che svolgono servizi fra loro assai diverse: le prime hanno fini commerciali, le seconde di servizio pubblico.

Mi piace concludere l’articolo con l’osservazione che è stata fatta, durante il succitato seminario,  da Domenico Bogliolo dell’associazione AIDA. A suo parere ci penserà Internet a scardinare queste “mosse degli editori”, come è successo per i files Mp3: fra pochi anni probabilmente, infatti, non si faranno più fotocopie perché tutto sarà digitale.

L.C.

P. S. Il testo integrale delle legge 248/2000 potete trovarlo sul sito Internet: www.parlamento.it. Ulteriori notizie si trovano sul sito dell’AIB: www.aib.it

 Corso di aggiornamento per bibliotecari scolastici

Finalmente una concreta mossa per le biblioteche scolastiche e per la formazione professionale dei suoi addetti. Faccio perciò, almeno in parte mea culpa rispetto al mio editoriale del n.1, in cui lamentavo  la scarsa attenzione a questo problema. Il provveditorato di Roma dà infatti inizio il 25 gennaio a un corso gratuito di formazione per i bibliotecari scolastici, aperto a tutti coloro che svolgono tale incarico, ma la partecipazione e allargata a molte componenti della scuola e delle biblioteche pubbliche interessate. La circolare di riferimento è del 22 dicembre n. 7356/1 e si può trovare sul sito Internet del Provveditorato: www.provveditorato.roma.quipo.it.

Il corso durerà fino a maggio e si svolgerà il giovedì pomeriggio con scadenze quindicinali.

Libri appena giunti in biblioteca

E’ arrivata una prima parte dei libri che abbiamo ordinato per quest’anno, ne fornisco un elenco per grosse (e forse anche grossolane…) suddivisioni  della classificazioneDewey. Fra qualche settimana saranno disponibili al prestito.

Classe-000- Generalità

[Cd Rom]; Storia della stampa. Da Guttemberg a Internet; De Agostini-Multimedia

Classe 100- Filosofia

Gramsci; Quaderni dal carcere; Editori Riuniti, 1996

Classe 200-Religione

Grimal, Le garzantine. Mitologia; Garzanti

 Corano; Rizzoli, BUR

Il libro della scala di Maometto, Studio editoriale

Classe- 300- società;

Averni ; Proibizionismo e antiproibizionismo; Castelvecchi, 2000

Escohotado A.; Piccola storia delle droghe ; Donzelli

Lavazza; Cara droga. Cannabis, ecstasy, cocaina…; Franco Angeli, 1999

Pietropolli Charmet; I nuovi adolescenti; R. Cortina Editore

Rifkin,  Fine del lavoro, Baldini e Castoldi;

Rifkin; Secolo biotech, Baldini e Castoldi;

Ritzer, La religione dei consumi, Il Mulino

Classe 400- Liunguistica

T. De Mauro; Il dizionario della ling.italiana per il terz.mil.; Paravia

 Il nuovo dizionario Sansoni tedesco-italiano; Sansoni

CLASSE 500- SCIENZE e Matematica

Amendola, Cielo infinito, Sperling

Ball; 20 una biografia dell'acqua; Rizzoli

Enzerischerger; Il mago dei numeri; Einaudi

Godel, Opere, vol. I, Bollati Boringhieri

Grene; L'universo elegant; Einaudi

Guedj; Il teorema del pappagallo; Longanesi & C.

Lewis Carrol; Una storia intricata; Stampa Alternativa

Lewontin; La diversità umana; Zanichelli, 1987

Lolli, La crisalide e la farfalla, Bollati Boringhieri

Masini, Storia della matematica, SEI, 1997

Morin; La testa ben fatta; Raffaello Cortina Editore

Smullyan, Qual è il titolo di questo libro?, zanichelli

Tahan; L'uomo che sapeva contare; Salani, 1997

Wertheim, I pantaloni di Pitagora, Instarlibri, 1996

Zichichi, Infinito, Pratiche ed.

Classe 700- Arte e Spettacolo

[catalogo]; Sandro Botticelli, pittore della Divina Com..; Skira, 2 volumi

Cabrera; Da Aristotele a Spielberg; Bruno Mondadori

Curi; Lo schermo del pensiero; Raffaello Cortina Editore

Escobar-L. Paini; Gli anni '90 al cinema. Diz. Dei grandi film; Raffaello Cortina Editore

Morandini; Il Morandini. Dizionario dei film 2001; Zanichelli

Dossier di “Art e dossier” GIUNTI: TIEPOLO,TINTORETTO; TIZIANO; PIETRO DA CORTONA; PALLADIO; DONATELLO; CANALETTO, Burri, Botticelli, Canova, Durer, Bellini, Cimabue, Miunch, masaccio, Warhol, Velazquez, Pontormo, Simbolismo, Espressionismo, Impressionismo, Guercino, Klee, Gaudì, Cezanne, Van Gogh, Raffaello, Manet, Monet, Michelangelo, paolo Uccello, Giotto

Classe 800- Letteratura

Le mille e una notte; Mondadori, 1999

Abbott; Flatandia; Adelphi

Castiglione, Il cortegiano, Garzanti

Delibes, Diario di un cacciatore, Passigli

Della Casa; Galateo; Rizzoli, BUR

Gerolamo, Lettere, Rizzoli

Ibsen, Casa di bambola,

Lussu; Un anno sull'altipiano; Einaudi, 1997

Matute, Prima memoria, Sellerio

Mauresing; Canone inverso; Mondadori, 1998

Mauresing; La variante di Lunenburg; Adelphi

Moravia, Viaggi, articoli (1939-1990), Bompiani

Palacios, Dante e l’Islam, Il Saggiatore, 1997

Sartre; La nausea; Einaudi, tasc.

UNGARETTI; Vita di un uomo, viaggi e lezioni; Mondatori

Woolf, Orlando, Mondadori

Yehoshua; Il potere terribile di un a piccola colpa; Einaudi

Classe 900- Storia e geografia

Cardini, Europa Islam, storia di un malinteso, Laterza, 1999

Gabrieli; Storici arabi delle crociate; Einaudi, 1997

Storia illustrata della Prima Guerra Mondiale, Giunti

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Con molto piacere inauguriamo in questo numero uno spazio di collaborazione e di scambio di notizie con le gentili colleghe della Biblioteca del Liceo Classico Plauto di Spinaceto.

La biblioteca del liceo Plauto

Molto volentieri accogliamo l’invito del collega, Dott. Leonardo Ciocca, responsabile della Biblioteca del vicino Liceo Scientifico Statale “Ettore Majorana”, ad illustrare con un nostro articolo il profilo della Biblioteca presso la quale prestiamo servizio: quella del Liceo Classico Statale “Plauto” di Spinaceto in Roma.

La Biblioteca del Plauto fu istituita nel 1971,  vale a dire due anni dopo l’inizio della attività del primo nucleo funzionante del Liceo. Già, il Liceo: ora ci accorgiamo che non si può parlare della Biblioteca senza prima introdurre qualche cenno di storia di Spinaceto e delle sue scuole superiori, soprattutto sapendo di poter contare sul contributo  del nostro Preside,  del quale si può ben dire sia  depositario, come pochi, della memoria storica del quartiere nelle sue vicende e, in particolare, di quelle legate alla vita e all’evolvere delle scuole del Territorio.

Si era alla fine degli anni sessanta: il quartiere di Spinaceto era nato da poco e  la popolazione, come in tutti i quartieri nuovi, era giovane e la richiesta di scuole alta. Come accade di solito in questi casi, e come abbiamo visto anche nella più recente vicenda della edificazione di quartieri limitrofi, le prime scuole ad essere garantite furono e sono quelle di grado inferiore: materne, elementari e medie. I ragazzi delle Scuole Superiori, dovevano recarsi fuori zona affrontando ogni giorno vari disagi, primo tra tutti la mancanza di  trasporti. Quanti fra di loro seguivano l’indirizzo classico frequentavano il Liceo Classico Statale “Vivona”  oppure il Liceo Privato “Massimo” dell’EUR; coloro che  invece seguivano quello scientifico andavano, nella maggior parte, al Liceo Scientifico Statale “Cannizzaro”.

Nel 1969,  fu finalmente istituita a Spinaceto, nell’ edificio di Via Renzini 70, allora  di recentissima costruzione,  una sezione staccata del già citato Liceo “Vivona” , la quale, nel 1970, si staccò dalla scuola-madre dell’EUR e diventò Liceo autonomo dotato di propria segreteria e con proprio Preside, il Prof. Eugenio Marotta. Non passò un anno ed al giovanissimo Liceo, non ancora  denominato  “Plauto”, vennero aggregate alcune classi di liceo scientifico che erano parte integrante del nostro Liceo Classico. Proprio da quelle classi  sarebbe poi decollato il Liceo Scientifico Majorana, che avrebbe avuto autonomia e propria identità giuridica nel 1974, con la Presidenza della Prof.ssa Angelini, con propria segreteria, ma ancora ospite dell'edificio del Plauto. Solo successivamente il Liceo Scientifico Majorana si sarebbe trasferito nella sede appositamente costruita in Via C. Avolio.

L’origine dei Licei di Spinaceto, resa comune dalla coabitazione appena descritta, fu condivisa anche da un’altra scuola superiore: l’Istituto Tecnico Commerciale “Monti” anch’esso ospitato, all’atto della sua nascita, nell’edificio del Liceo Classico "Plauto" di Via Renzini.

Da quanto fino ad ora descritto, si evidenzia che nella sede della nostra scuola è esistito un curioso  “condominio” di Istituti  Superiori  raccolti  nello stesso edificio di tre piani: con  tre presidenze, tre segreterie, tre corpi docenti e tre  diverse popolazioni di alunni: al disopra di tutto c'era l’esigenza di armonizzare lo svolgersi quotidiano della vita di questi tre diversi organismi scolastici ciascuno con ritmi di orario e  di vita diversi,  con diverse entrate ed uscite degli alunni e diversi cambi d’ora, scanditi da squilli di campanelle in orari diversi, all’interno dell’unico edificio-contenitore. In che cosa doveva consistere, in un caso del genere, l’abilità dei Presidi?  Non tanto nel possedere  raffinate capacità di gestione della scuola,  quanto, piuttosto,  nel riuscire  a mettere d'accordo le diverse esigenze di ciascuno dei tre  Istituti e nell'armonizzare il continuo andirivieni di quella  Babele di professori, ragazzi e bidelli scandito dal suon di musica di quelle continue campanelle …

E si rassicurino i lettori che quanto si va qui affermando non è frutto di immaginazione, ma contributo di diretta testimonianza,  poiché, tra i docenti impegnati a comporre orari delle lezioni impossibili, complicati oltre ogni dire dalla condivisione dell’unica sede, c’era  anche l'attuale  Preside del  Plauto, all'epoca giovane professore di Storia e Filosofia nell’altrettanto giovane Liceo Classico.

Ultima nota storica: gli alunni dei due Licei indicevano e frequentavano insieme, e a quei tempi assiduamente, le assemblee…

E la Biblioteca? Muoveva allora i primi passi come raccolta di libri acquistati per essere destinati all’aggiornamento dei docenti e, parallelamente ad essa, venivano istituite nelle classi, sovente con donazioni degli alunni, delle “bibliotechine di classe” che,  alla fine dell’anno, venivano donate alla Biblioteca  dell’ Istituto e cominciavano a costituirne la parte più importante, quella che, dopo un certo accumulo integrato dai primi acquisti destinati non più ai soli docenti, ma anche agli alunni,   consentì di dare il via al movimento dei prestiti destinato ai ragazzi.

Ed ora torniamo all’oggi, venendo finalmente alla  Biblioteca così come ora si presenta e funziona: è costituita da un patrimonio di circa 8000 volumi, acquisiti prevalentemente per acquisto ed integrato da alcune significative donazioni. Si tratta, come è ovvio, di una biblioteca specializzata ad indirizzo prevalentemente umanistico, i libri in essa contenuti sono organizzati in sezioni che corrispondono alle materie i cui insegnamenti sono impartiti nel Liceo ed offre una ricca dotazione di autori classici e di narrativa italiana recente. Grazie alla presenza di due insegnanti-bibliotecarie può garantire una continua apertura corrispondente all’orario delle lezioni , vale a dire dalle 8.30 alle 14.00, e due aperture pomeridiane. Offre i seguenti servizi:

-          prestito

-          consultazione

-          studio individuale

-          consulenza

E’ aperta agli alunni interni (la loro iscrizione al Liceo li rende automaticamente iscritti anche alla Biblioteca), a quanti lavorano nella scuola ed agli ex-alunni.

E’ tradizione della nostra Biblioteca proporre alle prime classi del ciclo, al loro ingresso nella scuola, un incontro programmato che è poi un brevissimo corso di biblioteconomia ed un’occasione di invito alla lettura ed alla fruizione dei servizi della stessa. Si usa inoltre, previo appuntamento con i docenti interessati, mettere la Biblioteca a disposizione di singole classi per lavori di ricerca, lezioni,  rassegne, conferenze, incontri con gli autori , ecc…

Il movimento medio del prestito di libri è di oltre 2500 prestiti annui che riguardano saggistica di tutte le sezioni, autori classici latini e greci e narrativa italiana e straniera.

Quest’ultima parte del nostro articolo può esser giudicata frettolosa, in realtà si vuole che così sia, ci riserviamo, infatti, di riprendere in un successivo articolo, ed in modo più specifico, gli argomenti che riguardano la Biblioteca che curiamo: vorremmo, pertanto, dare un seguito allo scambio di notizie che inauguriamo con queste righe su  “BIBLIO.MAJOR”.

E, poiché la Biblioteca del Plauto manca di una sua pubblicazione periodica, stiamo pensando di prendere esempio e di dar vita anche noi ad un più modesto foglio di notizie e informazioni bibliografiche, che speriamo di inaugurare con un articolo del collega che ora ci ospita e che perciò ringraziamo.

 Le Bibliotecarie del PLAUTO

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Attualmente

 La settimana corta

di Laura Svaluto III A

 Da quest’anno agli istituti scolastici è stata concessa piena libertà di organizzazione in diversi aspetti della vita scolastica.

Il  nostro liceo non se l’è fatto ripetere due volte: siamo rientrati dalle vacanze un giorno prima degli altri; abbiamo abbandonato il vecchio quadrimestre per il trimestre/semestre (pare che molti professori se ne siano già pentiti).

Forse non tutti sanno che, a tale scopo, al Majorana, come spiega la prof.sa Ranalli, la Commissione Autonomia si sta occupando anche della c.d. “settimana corta”. La commissione accoglie ogni tipo critica e gradirebbe avere la collaborazione degli studenti su questo punto.

Evidentemente non può bastare una raccolta di firme a garantire la realizzazione di questo progetto, ma se vogliamo possiamo partecipare attivamente intervenendo con pareri e proposte concrete.

Non si tratta semplicemente di venire a scuola un giorno in meno a settimana: bisogna tener conto che andrà rivista la struttura di tutto l’orario. Le ore perse il sabato, infatti, dovranno essere recuperate rimanendo a scuola un’ora in più tutti gli altri giorni.

Se non si vuole entrare alle 7:00 o uscire alle 15:00 tutti i giorni o quasi sarà necessario ridurre le ore di 10 min. Così però si accumulano ulteriori ore da recuperare!.  Per ora è stata esclusa la possibilità di rientri pomeridiani, perciò è stato proposto di prolungare la durata dell’anno scolastico di un paio di settimane (senza calcolare autogestione e scioperi vari!)

La stragrande maggioranza degli studenti sembra essere favorevole, mentre diversi insegnanti non sono altrettanto convinti.

Il prof. Pagliarulo, intervistato a questo proposito, sostiene che saremmo noi studenti a rimetterci. In effetti con la riduzione dei minuti a disposizione per ogni materia, rimarrebbe a malapena il tempo per le spiegazioni. Alzi la mano chi di noi si sente così sicuro da rinunciare a molte possibilità di recupero e di ripasso, soprattutto quando bisognerà prestare attenzione a 6-7, se non 8, lezioni al giorno con relativi compiti a casa! Tutto ciò significa anche una maggiore selezione fra gli studenti (leggi “-recuperi+bocciati!”). sempre secondo il professore di storia&filosofia, l’unica soluzione sarebbe quella di mantenere le ore di 60 minuti più un paio di rientri pomeridiani a settimana, ma come abbiamo già visto questa possibilità pare essere, almeno per il momento, stata esclusa.

Come è inevitabile, questa ristrutturazione dell’orario riguarda da vicino anche la didattica. Una proposta è stata quella di suddividere l’anno, sul modello del trimestre, in moduli di questo tipo: un periodo di due mesi e mezzo di spiegazioni ed esercitazioni in classe e due settimane di verifiche sul programma appena svolto. Subito dopo le famiglie riceveranno comunicazione dei risultati.

Aspettando che questa iniziativa venga ulteriormente definita, pensiamoci bene: siamo proprio sicuri di volerci complicare la vita?

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Buone letture 

I  DEMONI di Fedor Dostoevskij

di Daniele Capriotti IV D

 Ciò che rende particolarmente interessante il libro è, però, la rappresentazione dei personaggi. Anche in questa opera di Dostoevskij è descritto un personaggio principale al di sopra di tutti: Stavrogin (questo è il suo nome). Stavrogin è sicuramente una creazione fantastica e straordinaria, un tenebroso eroe vampirico che affascina lo stesso scrittore. Si introduce nelle vicende del libro come una cascata che turba il corso lieto di un fiume, come un fulmine a ciel sereno: tutti lo temono, tutti lo conoscono e tutti si aspettano da lui qualcosa, cosa, però non si sa. Sembra essere una creatura venuta dalle tenebre, indifferente alle situazioni che avvengono attorno a lui ed agli altri. Nelle vicende che lo riguardano appare come un personaggio romantico che incanta con un semplice sguardo. Utopia o realtà? Resta il fatto che una  figura di tal genere fa paura. L’idea che viene in mente è la personificazione di un Anticristo, capace di adattarsi alla vita terrena e di poter uscire allo scoperto nel momento più adatto. Questa è l’impressione che rimane al lettore per buona parte del libro. Sennonché ci si rende conto che l’autore si è lasciato forse un po’ troppo attrarre dalla figura di Stavrogin e che la creazione di un personaggio così tenebroso e infernale andrebbe in contraddizione con la visione religiosa dell’autore, secondo la quale l’Inferno, e quindi le sue eventuali creature, sono soltanto un’invenzione razionale. Forse così si può spiegare la confessione del personaggio che, in una lettera consegnata di persona ad un monaco, chiarisce la sua vita segnata da strane visioni. In questo modo Dostoevskij vuol rendere più umana la sua creazione infernale, dandole una dose di debolezza tipica di tutti gli esseri viventi e mortali.

Stavrogin non è minimamente legato a vicende politiche e quindi non sarebbe un vero e proprio personaggio principale rispetto al tema politico. Più indicato di lui a ricoprire il ruolo di personaggio principale nel libro sembrerebbe essere Pjotr Stepanovic, colui che organizza tutto per raggiungere i suoi obiettivi. Comunque sia appare come un personaggio codardo, che si nasconde ed ha paura del suo compagno e più acerrimo nemico Stavrogin. Può essere dunque che il personaggio principale abbia paura e non affronti un altro personaggio? Ed è per questo che Stavrogin deve essere considerato  il personaggio principale, che ha affascinato per ogni singola sua qualità e per ogni singola sua azione, per quanto banale. Secondo me il tema principale del libro è in realtà questo: l’esistenza di un “demone” superiore a tutti in tutto. Ripeto comunque che trattandosi di un’opera complessa non si può dire con certezza che cosa volesse mettere in primo piano l’autore, se la politica o un concetto sublime di “demone”. La più grande complessità è rappresentata da quale sia il tema principale dell’opera e dalla difficoltà di evincerlo. In conclusione si può parlare di un libro dove in primo piano troviamo il problema politico e sullo sfondo la figura emblematica di Stavrogin oppure il contrario: Stavrogin al centro, unico e magnifico, con attorno altri problemi e personaggi terreni che non lo turbano assolutamente.

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I Fornelli spenti della zia Maraini

di Françoise  (Anna Maria Galiberti )

 

Sarà stata la stanchezza , meglio quell’ assopimento buono che ti prende dove c’è tanta gente riunita e l’affaticarsi di tanti cervelli in pensieri tutti uguali sembra sprigionare uno   svaporio leggero che si stende  soffice e rassicurante anche sui pensieri tuoi, sarà stata la commozione  per la quieta  messa in piega della zia Maraini,  sarà stato l’intenerimento per  la bottiglietta giallastra del succo di frutta o lo struggimento per quel  vasetto di violette spaesato sul tavolo grande degli scrutini, ma non ho avuto la forza  di alzare la mano e dire in faccia a lei, alla zia,    che i suoi  racconti non mi sono piaciuti  proprio per niente.
 
Robetta.
Buoni per le antologie da scuola media , quelle “politicamente corrette”, con la loro  lista diligente di problemi: il razzismo, la droga, gli extracomunitari e via con il raccontino di turno per sdegnarsi e moraleggiare. Buoni per i collezionisti  di figurine panini: la “Piccola prostituta albanese”, la “Suorina violentata , il Tamburino sardo, la Piccola vedetta lombarda , Franti.No, non mi sono piaciuti proprio per niente. E neppure quelle  parole tenute a dieta, quello stile artificialmente rinsecchito e anoressico (ben diverso dalla  semplicità raggelata e  acuminata di certi scrittori  ,dallo stile  lucido e affilato come una lama di un Calvino) Mi sono intristita nel leggerli, rinsecchita anch’io  , ma forse non sarà stata neppure del tutto colpa sua Sarà forse per questo sentirmi a mio agio solo  tra le parole  corpose e ridondanti, pesanti e un pò stomachevoli,  per questa   nostalgia di basso Impero che mi fa detestare una certa romanità patinata un pò  A.D. e i suoi cantori  e ricercare  i poeti da i cui versi esala il puzzo della Suburra, l’alito pesante di allium e di garum. quel fetore di orina e di sangue che doveva sentirsi anche parecchio distante dalle gradinate dell’anfiteatro.
Viva  lo stile comico e carnevalesco,  gli scrittori un pò anche  cuochi che intrugliano geniali brodaglie  di  sapori  diversi.
Quelli che scrivono e cucinano insieme  e lasciano in giro allegramente le impronte delle mani unte. Me ne vengono in mente, così su due piedi, un paio di questi cuochi scrittori geniali ,   Li vedo negli antri affumicati delle loro cucine , chini sui paioli gorgoglianti  dove  riversano   senza risparmio manate di parole.Eccoli che girano e girano le loro ribollenti poltiglie e dai vapori  o miasmi che esalano dalle sapide  brodaglie, si levano due  strane crature, mostruosi aladini, quasi uguali  nella loro canagliesca deformità: un mezzo gigante ed un nano, volutamente deformati da un identico  proposito blasfemo: rifiutare la propria crescita. Uno di loro, il nano,  porta al collo un tamburo; Forse li avete riconosciuti. Sono questi i personaggi che mi piacciono. E’ ora che zia Maraini impari a cucinare.

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Anni di guerra di Vasilij Grossman

di Michele Atzori IIIC

 L’intera vicenda riassunta nel libro tratta la situazione dell’est europeo alle prese con il dispotico dominio nazista. Oltre a comprendere un periodo di tempo che va dal 1942 al 1945, il testo mette in risalto i molteplici aspetti che hanno caratterizzato il nazismo presente nell’Europa orientale: dalla società contadina a quella di città, dai soldati di trincea ai campi di concentramento, presenti soprattutto in Polonia. Il resoconto di guerra viene quindi suddiviso in diverse parti, ognuna destinata a raccontare le diverse realtà sorte sotto il dominio hitleriano. L’autore inoltre non generalizza subito le varie situazioni, al contrario, preferisce partire dal particolare: da un vecchio maestro, da un soldato coraggioso, da un sapiente generale dell’armata rossa, per poi allargare la prospettiva ad altri individui coinvolti nella medesima condanna al sacrificio, alla vergogna, al disprezzo, alla morte imposta dall’inflessibile regime nazista.La prima parte narra di un villaggio ungherese in bilico tra la vita e la morte, tra la libertà e l’occupazione, tutto dipendeva infatti dall’esito della campagna nazista in Polonia, la quale fu la prima a sperimentare l’irrefrenabile odio nazista e la sua macabra violenza. Il villaggio quindi in poco tempo capì già di essere destinato alla morte, o perlomeno alla sofferenza, di cui le prime vittime sarebbero stati senza dubbio gli ebrei, che in quel villaggio formavano una fiorente e numerosa comunità. Tra questi vi era il vecchio maestro, Boris Issakovic Rosenthal, conosciuto in tutto il villaggio per la sua grande esperienza, dovuta non solo all’anzianità ma anche ad anni ed anni di insegnamento e studi. Era indubbiamente un acuto osservatore ed un uomo colmo di ricordi ma anche di rimpianti, un uomo però capace anche di apprezzare gli eventi semplici e quotidiani della vita. Forse questa sua ultima caratteristica era quella che più contava in quei giorni che lo destinavo inesorabilmente alla morte, in quanto lui era un intellettuale, un  vecchio ma soprattutto un ebreo. Già dai primi bombardamenti nemici il povero maestro sapeva di dover morire, ed era proprio per questo che, ogni volta che gli aerei tedeschi si presentavano minacciosi con il loro carico esplosivo, non si curava di correre al rifugio, anzi continuava a leggere assorto i suoi libri di Checov immerso nell’atmosfera gioiosa della natura che lo circondava. Il destino però lo preservava sempre, forse perché costituiva un cardine fondamentale per quella società già pericolante, ad ogni incontro infatti, il vecchio saggio, aveva l’occasione di rincuorare i cuori e le anime dei più timorosi e dei più spaventati dall’imminente minaccia nazista, un uomo che, anche in momento di morte, avvenuta in un burrone assieme a molti altri ebrei, infuse un grande coraggio alla bambina che teneva amorevolmente in braccio e che tentava di sottrarre inutilmente alle grinfie della morte.

In questa parte, inoltre, l’autore tenta di analizzare più persone possibili in modo da rendere il lettore consapevole di tutte le drammatiche realtà che portava il regime hitleriano persino in quel paese sperduto dell’Ungheria. In tal modo ci vengono presentati il tenente Victor Voronenko a la moglie Dasha Semionovna, il primo, travagliato per un’amputazione subita in seguito ai bombardamenti, e la seconda, sofferente per la  disperata condizione del coniuge e della sua famiglia. O come non parlare del dottore Veintraub, suicidatosi con tutta la sua famiglia, in quanto timoroso della violenza del regime: quante vittime come queste ha provocato il nazismo, persone schiacciate letteralmente sotto il profilo psicologico dall’inclemenza della macchina nazista.

Da non trascurare è la figura del ribelle, di colui che, anche nei casi più disperati, riesce a trovare la forza di dimostrare i propri diritti e, per farli valere, è anche disposto a combattere rischiando la propria vita. Questo è il caso del martellatore Kulisch, un uomo abituato ai lavori pesanti che, mentre i tedeschi accompagnavano il gruppo degli ebrei del paese alla morte, si ribellò insieme ad uno sparuto gruppo di persone, attaccando i pochi tedeschi che scortavano la piccola folla. Il tentativo però si dimostrò purtroppo non molto consistente, infatti i ribelli di lì a poco sarebbero stati prontamente ricatturati ed inoltre la sommossa provocò un violento disordine che causò la caduta di diversi ebrei in un profondo burrone. 

 Nella seconda parte vengono descritte scene di sofferenza, dolore ma anche di coraggio quotidiano, in cui sono coinvolti non soltanto i soldati, ma anche operai, ingegneri e capiofficina.

I primi, facenti parte dell’armata rossa, combattevano a tu per tu con il nemico che infuriava sul Volga, i secondi, contraddistinti da non meno coraggio, riuscivano a rimanere nelle fabbriche di Stalingrado anche sotto i violenti colpi dei bombardieri russi, in tal modo le truppe impegnate sul fronte per arrestare l’avanzata tedesca potevano sempre ricevere le armi e gli equipaggiamenti necessari.

Ricordiamo la battaglia di Stalingrado, il destino del popolo russo e forse anche quello europeo sono stati contemporaneamente in gioco. In molti infatti hanno da sempre elogiato il grande coraggio del popolo inglese, che resistette con orgoglio ai continui attacchi del nemico, ma in pochi si sono resi conto che, se i tedeschi avessero sfondato la linea difensiva russa, e si fossero appropriati delle loro ingenti risorse, sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, sconfiggere il terribile nemico. Nell’asse di tensione principale, così l’autore definisce il Volga, si intrecciano destini diversi di uomini diversi, tutti però con lo stesso obiettivo : respingere il nemico. Questo era l’ordine: sconfiggere i tedeschi, a tutti i costi. I russi non si fecero sorprendere, il loro coraggio fu memorabile, pochi come loro, infatti, sarebbero riusciti a sopportare l’intero arsenale tedesco concentrato in quella zona : “carri pesanti e lanciafiamme, mortai a sei canne, armade di bombardieri in picchiata muniti di sirene urlanti, bombe dirompenti a frammentazione, pallottole esplosive, cannoni anticarro” , Junkers 87 che bombardavano dalle otto alle dodici ore consecutive i poveri ma tenaci russi. Ma i russi rimanevano sempre lì, inchiodati al terreno, ostinati a non cedere nemmeno un metro al nemico e provocando l’ira dei comandanti tedeschi che “ contavano sul fatto che l’essere umano non potesse sopportare a lungo una tensione simile; che non esistessero cuori e nervi capaci di resistere in mezzo a questo inferno di fuoco, di sibili metallici, di terra devastata e di follia”. Ma era chiaro che i tedeschi si sbagliavano, persino le donne davano tutto, non lasciando le loro postazioni, se non su una barella, senza vita. Omsk, Novossibirsk, Krasnojarsk, Barnaul, Sarkission, Skakun, questi sono i nomi della gente comune che lottò contro la minaccia nazista, nomi comuni di contadini, di semplici operai,  che fecero soffrire duramente i tedeschi, costretti a strisciare per tutta la strada che li riportava in Germania, circondati dalla folla dell’armata rossa in festa e dalle popolazioni che li maledicevano e li picchiavano.

Infine l’autore nell’ultima parte tratta dell’indicibile catastrofe e sterminio di tutti i tempi, delle fabbriche costruite esclusivamente per uccidere : i campi di concentramento. In particolare del campo di Treblinka, in Polonia, un imponente ammasso di camere a gas pronte ad uccidere, anzi, a sterminare.

Molti ebrei, ma non solo loro, arrivavano lì ancora del tutto ignari del destino che li attendeva, anzi, i tedeschi volevano che loro viaggiassero con la consapevolezza che stessero solamente cambiando casa, in tal modo potevano facilmente controllare la folla e potevano persino disporre dei bagagli delle persone dirette alla morte, era quasi perfetta la macchina nazista…quasi.

Molte di queste persone arrivano persino nei pressi delle camere a gas applaudendo l’immensa costruzione, ignari del loro destino, finché i tedeschi sin lì molto cordiali, non cominciavano a pronunciare irosamente parole come “Achtung!” o “Schneller!”, a denudarli, a strappare letteralmente gli orecchini alle donne, a malmenarli, ad appropriarsi di tutto ciò che sarebbe potuto essere “utile” per “il popolo tedesco”. Compito dei soldati era quello di atterrire le poche persone che, una volta resesi conto della situazione, avrebbero voluto ribellarsi. In tal modo venivano creati dei mostri  come Swiderski, definito “il campione del martello” che si divertiva ad uccidere i bambini con forti martellate sul capo, oppure come Zepf che squartava letteralmente i bambini o li roteava in modo da potergli fracassare meglio la testa contro il suolo. Dopo aver letto queste pagine mostruose mi sono dovuto letteralmente bloccare con la lettura, il pensiero cominciava a divenire così vivido, che cominciavo a vedere le madri dei bambini gridare a squarciagola contro la pazzia di quegli uomini. Un bambino strappato dalle braccia amorevoli della propria madre ed ucciso brutalmente davanti ai suoi occhi, cosa c’è di più orrendo ed infimo a questo mondo, se non vedere il più bel frutto che la terra possa generare, trattato in un modo in cui neanche la bestia più misera di questo mondo viene trattata. Pazzia, ecco cos’era il nazismo, solamente ed esclusivamente pazzia. Un regime in cui i pazzi erano considerati normali ed i normali erano trattati come pazzi. L’unico aspetto positivo della vicenda, se così si può definire, è il fatto che i tedeschi non siano riusciti a cancellare le tracce dei loro sterminio, delle loro violenze, lo stesso Himmler infatti, il consigliere di Hitler, non riuscì a far sparire le tracce dei suoi errori. La stessa cenere che si innalzava dai forni crematori e il ripugnante odore di carne bruciata, infatti, furono visti a chilometri di distanza dal campo, e migliaia di contadini furono testimoni involontari del grande crimine commesso dal regime più dispotico e razzista che sia mai esistito sul nostro pianeta.

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Teatro

 

Perché Teatro a scuola?

di Valeria Spagnolo IV D

Salve! Mi chiamo Valeria e da oggi terrò la rubrica sul laboratorio teatrale della nostra scuola. Da 3 anni nella nostra scuola è finanziata questa attività e noi che facciamo parte del gruppo fin dal primo anno ne siamo molto contenti! I “duri a morire” del laboratorio sono Guido Lo Torto (5^A), Lina Monaco (4^E), Valeria Spagnolo (4^D); c’è qualche “figliol prodigo”: Lorenzo Beato (3^E), Federica Fabrizio (3^E), Mary Elizabeth Lanzi Mazzocchini (5^A), Valentina Renzi (5^A), Anna Maria Testa (5^A); e come ogni anno ci sono i “nuovi acquisti”…tra cui c’è anche un esterno, Alessandro Placidi, che, dopo aver presentato formale richiesta, è stato accolto nel gruppo! I “nuovi acquisti” sono Federica Mucci (III E), Alessandra Pignalberti (IB), Lorenzo Pezzutti (I F), Adriano Bracale (IIE), Emanuela Dell’Armi (VE). Oltre ai “nuovi acquisti”, nuovo di zecca è anche il regista:
ALESSANDRO SIMONINI. Fanno parte dell’allegra compagnia le professoresse MANNA & MARIANI con l’importante compito di supervisionare il nostro lavoro! Gli incontri si tengono una volta alla settimana il mercoledì dalle 14:30 alle 17:30.Nella prima parte della lezione, di solito, si fanno esercizi di respirazione e di pronunzia, poi c’è la parte più divertente durante la quale ci si esercita su un testo di cui, di volta in volta, si cambia si SOTTOTESTO che, come ALESSANDRO insegna, è molto importante poiché è quello che da’ il significato a qualsiasi testo, frase, parola. D’obbligo sono i 5 o 10 minuti di pausa in cui la minoranza del gruppo esce a fumarsi una sigaretta ( è da sottolineare che il fatto che sono sempre i fumatori ad invocare la “PAUSA TABACCONE” ) mentre gli altri rimangono a chiacchierare con il regista, che, oltre ad essere molto bravo, è anche simpaticissimo! Dopo la pausa si fanno altri esercizi “di pratica” che, a mio parere sembrano più giochi attraverso i quali conosciamo di più noi stessi ed il nostro corpo, imparando a controllarci ma allo stesso tempo rilassarci lavorando di fantasia ed immaginazione. Infatti ci divertiamo sempre tantissimo a “giocare”! L’argomento principale che viene toccato è quello della “Visualizzazione”, attraverso la quale è più facile rievocare emozioni, sentimenti e sensazioni. La compagnia al momento non ha un nome ma siamo sicuri che questo verrà da solo…magari non scenderà dal cielo ma chissà… Quando arrivano le 17:30 siamo sempre tristi perché sappiamo di dover aspettare un’altra settimana prima di ritrovarci per fare una cosa che appassiona tutti! 
Mi piacerebbe interagire con voi all’interno di questa rubrica, quindi se avete domande, dubbi, proposte, o magari anche critiche vorrei che ci scriveste, vi risponderemo nel prossimo numero del Nostro giornale!  

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Cinema

Progetto “Cinema e Follia”

Follia

Alcuni elementi di riflessione

di R. G. Domenella

 Schizofrenia, depressione e demenza sono i disturbi mentali comunemente ritenuti interesse psichiatrico. Secondo i dati dell'OMS (aggiornati al 1994), più di  45 milioni di persone al mondo soffrono di queste patologie. L'incidenza annuale della schizofrenia è dello 0.1 per mille l'anno nella popolazione tra i 15 e i 54 anni, mentre la frequenza dei disturbi depressivi è molto più alta - anche se per questo gruppo di disturbi le stime sono meno affidabili. Si calcola che nel corso della vita circa 44 persone su mille soffrano di depressione. La frequenza di questo disturbo è tre-quattro volte più alta nelle donne, ed è in aumento negli ultimi decenni, soprattutto nelle classi di età più giovane. Parallelamente sono aumentati anche i suicidi: in Italia, dal 1973 al 1983 la percentuale dei suicidi è passata da 4.62 a 5.01 ogni 100mila abitanti. Un quadro ancora più preoccupante viene tratteggiato per la demenza, e in particolare per la demenza di Alzheimer, la cui percentuale oscilla dal 20% al 50% nella popolazione tra i 75 e gli 80 anni - più frequente nelle donne e in ambo i sessi con bassa scolarità. Tenuto conto dell'invecchiamento progressivo della popolazione e della durata della malattia calcolata in 3/20 anni, si configura già nei primi decenni del 2000 uno scenario preoccupante di intervento sanitario pubblico e assistenziale.Ma che cosa è la follia? Facciamo un passo indietro. Ieri: l'internamento  (ovvero le forme della ragione forte ). E' con l'Illuminismo che si avviano le ricerche delle cause "oggettive" dei disturbi psichici, in base ad una istanza di purificazione dal pregiudizio, dal mito e dalla superstizione. L'internamento dei "diversi", ovvero di quegli altri che la ragione categorizzante rende diversi, praticato per più di due secoli, ha infatti lentamente prodotto la localizzazione e quindi l'identificazione della follia. Inizialmente, nel XVII° secolo, si trattava di una regione ancora indifferenziata, dove convivevano follia, vizio ed empietà: "Tra le mura dell'internamento - scrive Michel Foucault - si trovavano mescolati i sifilitici, i dissoluti, le "pretese streghe", gli alchimisti, i libertini; e anche gli insensati...Si intrecciano parentele, si stabiliscono comunicazioni, e agli occhi di coloro per i quali la sragione sta per diventare oggetto, un campo quasi omogeneo si trova così delimitato"[1]. Su questa regione "neutrale", in cui la vita reale è sospesa, si esercitano la ragione illuminista prima, e positivista poi. Le scuole terapeutiche classiche indagano la materia, secondo le sue caratteristiche qualitative ed esteriori. Lavater pratica la fisiognomica, Gall promuove la frenologia, Lombroso parla di delinquente nato. Vengono elaborati i corrispondenti apparecchi terapeutici: "La gabbia di vimini con un coperchio incavato in alto per la testa, nella quale le mani sono legate, o l'"armadio" che racchiude il paziente in piedi fino all'altezza del collo, lasciando libera soltanto la testa"[2]. Poi, lentamente, "la strana unità che raggruppava tanti volti diversi"[3] si rompe: i folli, già oggetto di cura, diventano oggetto separato di cura. Nasce la malattia mentale. Alla psichiatria del XIX° secolo la follia appare ormai chiaramente identificabile e legata a condizioni di esistenza malsane - sovrappopolazione, alcolismo, promiscuità, eccessi - ed è percepita come fonte di pericolo - per se stessi, per i familiari, per la tutela dell'eredità - . "La psichiatria - scrive Foucault -, più che una medicina dell'anima individuale appare una medicina del corpo collettivo"[4]. Nel XX° secolo, gli stati psichici vengono finalmente concepiti come processi dinamici specifici, l'essere umano si dimostra più profondo e complesso che nel secolo precedente, l'impostazione della ricerca diventa intrapsichica ed introspettiva, ma il modello è sempre deterministico - retrospettivamente si ricercano le cause della patologia - anche se in virtù della dinamica psichica il confine fra sano e malato è diventato più labile. E infatti nel quotidiano fanno il loro ingresso gli atti mancati, i lapsus, i tic, e con essi la psicopatologia. Non è qui il caso di ripercorrere la storia della psichiatria moderna. Ricordo solo che nel Novecento, in opposizione e all'interno della psicanalisi, vengono formulati diversi modelli della psiche umana - biologico, psicodinamico, cognitivo, comportamentale, interpersonale, familiare/sistemico - ed elaborate diverse tecniche terapeutiche. Alle purghe associate alle confessioni, sostituite dalle gabbie e dai legacci, subentrano gli psicofarmaci, le psicoterapie e le socioterapie. Il confine fra biologico, mentale e sociale resta comunque incerto. All'inizio del secolo i pazienti affetti da pellagra e da paralisi per infezione sifilitica riempiono i reparti degli ospedali psichiatrici; alla fine del secolo l'associazione fra condizioni di vita negative - povertà, disoccupazione, guerra - e disagio psichico è evidente. Verso un nuovo paradigma? (dopo la legge 180 ovvero della ragione debole) In Italia, il 13 maggio 1978 è stata approvata una legge che ha imposto un radicale ripensamento di tutta la questione. La legge 180, infatti, non prevede semplicemente la chiusura degli ospedali psichiatrici, ma la costruzione di strutture terapeutiche radicalmente alternative. La legge manicomiale del 1904 prevedeva l'internamento in ospedale psichiatrico obbligatorio ed eseguito dalle forze di pubblica sicurezza quando l'individuo era riconosciuto pericoloso per sé e per gli altri o se era di pubblico scandalo. Dopo un periodo di osservazione, il paziente veniva curato - usualmente con la contenzione e l'elettroshock - quasi sempre per tutta la vita, diventando sempre più remote le possibilità di dismissione con il passare degli anni. La legge 180 del 13 maggio 1978, recepita dalla legge 833 sull'assistenza sanitaria del 23 dicembre 1978, stabilisce che di norma  - cioè con l'eccezione di casi urgenti - tutti gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari. Essi possono essere obbligatori solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere immediati interventi terapeutici, se gli stessi non vengono accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentono di adottare idonee misure sanitarie extraospedaliere. La legge stabilisce la chiusura degli ospedali psichiatrici e l'istituzione di servizi psichiatrici di cura e riabilitazione in presidi extraospedalieri e di diagnosi e cura all'interno delle strutture dipartimentali negli ospedali generali. I folli non sono più riconoscibili dall'appartenenza allo spazio asettico, alienante e spersonalizzante dell'ospedale psichiatrico.  La psicologia, e quindi la psicoterapia, riconoscono oggi l'importanza del paziente e dei suoi familiari nel determinare e mantenere la guarigione, clinica e sociale, e sono centrati sull'insegnamento di competenze - interventi psicoeducativi integrati, tesi al trasferimento di abilità di comunicazione e problem solving, nonché di strategie di gestione delle crisi da parte dei familiari. I tempi degli interventi si accorciano, le terapie diventano brevi e prevedono follow-up e interventi di emergenza. Non si tratta più di dimostrare come la patologia sia presente nella quotidianità - come fece Freud all'inizio del secolo - ma di allargare ed articolare il dominio della normalità, costruendo sul terreno disponibile, e bonificando. Parallelamente il cervello è diventato oggetto di una ricerca scientifica sofisticata e sempre meno invasiva, che ne ha fornito una conoscenza sperimentale via via più precisa, aprendo la strada alla psicofarmacologia - produzione di farmaci sempre più specifici rispetto ai quali l'uso in dosi massicce e non mirate ha lo stesso significato dei mezzi di contenzione fisica. Legami non meno sconcertanti  ma molto più efficienti. Psicoterapie, socioterapie, somministrazione mirata di farmaci sono gli strumenti terapeutici di cui dispone la cura della malattia mentale all’inizio del nuovo secolo. Ma è chiaro che la storia della follia nell'età contemporanea si svolge sui percorsi accidentati della storia della scienza, della politica e dell'etica, e del loro problematico intreccio. Ciò che ha condizionato l'evoluzione delle istituzioni psichiatriche e il movimento della riforma, infatti, è stato non tanto la percezione che l'internamento era non solo inutile, ma anzi dannoso, quanto la graduale affermazione dei diritti politici e civili dei pazienti - il diritto alla libertà delle persone incatenate in manicomio, alla libertà da trattamenti terapeutici crudeli, inumani o degradanti, il diritto alla cura, alla casa, all'istruzione e al lavoro, il diritto di sposarsi, avere figli ed esercitare la paternità e la maternità, di accedere ai propri dati clinici, di avere proprietà, di esercitare il diritto di voto[5]. In questo contesto di riferimento etico e politico - quindi pratico in senso aristotelico - sono nati i movimenti  che hanno portato al cambiamento. In un territorio costellato di contraddizioni, in cui il malato è spesso disorientato, mortificato, disconosciuto, la tutela dei diritti è, nella prassi, affidata soprattutto alla dialettica con cui le istituzioni deboli - le Associazioni dei familiari dei pazienti, degli utenti, i gruppi di volontariato e di auto-aiuto, le Società degli operatori e degli specialisti - come la Società italiana di Psichiatria democratica, la Società di Psicologia della salute - fronteggiano il riorganizzarsi delle Istituzioni nell'ottica della privatizzazione e dell'efficienza. Gli ex-Ospedali psichiatrici - già ex-lebbrosari - ora oggetto di riconversione da parte della Azienda Sanitaria, sono uno dei luoghi in cui si gioca la scommessa sulla possibilità, forse non utopica, di scrivere la fine della storia della follia. Più che appartenere alle strategie psichiatriche o della sanità pubblica, questo esito presuppone però una società in cui l'educazione e la tutela della salute sia patrimonio comune e garanzia per il riconoscimento dei diritti di ciascuno. Ecco perché è importante parlarne.

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CINEMA E FOLLIA

di Marzia Bulli VC

 Ecco l’elenco dei  film per il Cineforum di quest’anno:

 Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman

Psycho di Alfred Hitchock

Hamlet di Kennet Branagh

Dr. Jekyll & Mr. Hide di R. Mamoulian

Shining di Stanley Kubrick

Diario di una schizofrenica di Nelo Risi

Il grande cocomero di Francesca Archibugi

The Wall di  Alan Parker

Giovanna d’Arco di Luc Besson

Le onde del destino di Lars von Trier

 In questo progetto si trova un po’ di tutto.

Al di là di film destestabili come “Il grande cocomero” -al quale sembra che la regista abbia dato il meglio di se stessa, e se questo è il meglio, figuriamoci il resto…- e “Giovanna d’Arco”- nel quale, se ci si ammazza tutti, perché non dura dieci minuti???- un filo conduttore unico probabile potrebbe essere la Follia. Di certo è con l’intento di DESCRIVERE che il cineforum si divide in quattro sezioni: i “diversi” (The Wall, Giovanna d’Arco), la malattia (Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr.Hyde, Psycho, Hamlet, Qualcuno volò sul nido del cuculo), l’angoscia (Shining, Diario di una schizofrenica), la terapia (Il grande cocomero L). Ma è poi descrivere? Come si può descrivere la follia attraverso un mezzo tanto abbagliante e complicato quanto è il cinema? Chi potrebbe essere in grado di giudicare se il regista, il film, o addirittura gli spettatori sono dei folli? Soprattutto pensando ad un regista, chi si riterrebbe capace di decidere se -sempre supponendo che il film sia palesemente bello!- la sua creazione geniale è frutto: a) di una follia pura e propria del regista come essere umano, b) di una follia insita solamente nel mezzo cinematografico, cioè il film vero e proprio, in cui le immagini e i suoni sono così perfettamente miscelati insieme da condurci a riflettere. E’ proprio l’ultimo film di questo intenso cineforum che può far riflettere sulla totale identificazione della follia nel mezzo come nella vita del regista: “Le Onde del Destino” (Breaking the Waves) ci porta a riflettere su quanto sia labile e indistinto il confine tra l’amore e la follia (…del regista o del film…?). Se allora l’argomento descrivere non ci piace, si può parlare della DISCUSSIONE: di certo è con l’intento di DISCUTERE che il cineforum si divide i quattro sezioni etc. etc. etc… Discutere, alla fine di un film, richiede un lavorio di cellule cerebrali enorme: bisogna innanzi tutto partire dal film, citarne alcune parti che particolarmente ci hanno colpito, ricordarne immagini e parole, bisogna poi passare al “come-è-stato-realizzato”, le tecniche rivelano infatti molti segreti, e infine si giunge al SIGNIFICATO. Il significato, ecco, è talmente personale, contraddittorio e difficile a trovarsi che quasi sempre la discussione è abbandonata a un terzo del lavoro, e il film catalogato tra i tanti -o i pochi, dipende- che si vedono in una stagione intera: il film è “carino”, “scioccante” o “molto stimolante”. E’ con questo sovraccarico di emozioni che si torna alla propria quotidianità: più o meno esausti, sicuramente più folli di prima. Agli spettatori, senza dubbio, è affidato un compito arduo -ricevere, incamerare ed elaborare; comprendere, far proprio e trasmettere- e non è sempre facile perseverare nella decisione di continuare a cercare un significato se non è chiaro a prima vista. Né descrivere né discutere dovrebbero essere allora gli scopi di questo cineforum, bensì, credo, indirizzare verso un piacere della mente quale è il cinema. Il cinema è un PIACERE, si inseguono con piacere i più disparati pensieri, quando ci si prepara alla visione, quando si è coinvolti nella scena, quando il finale si accorda o si discosta dalle nostre personali opinioni. E’ con piacere allora che ci prepariamo a inseguire le strade di questo cinema degli orrori, dei rimedi e delle diversità umane -i sogni e desideri della mente- sperando solamente di mantenere, per quanto possibile…una certa serenità…

 

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I cento passi

di Silvia Valeri VA

 Cento passi è la distanza che separa i due mondi di Cinisi: quello mafioso e quello che vorrebbe essere libero; la casa del boss Tano Badalamenti e quella di Giuseppe Impastato, il protagonista del film. Cento passi: simbolicamente la distanza tra l’oppressione, il servilismo, il ricatto e la libertà. In fondo non è poi così tanto, ma la distanza che intercorre tra due possibilità è soprattutto mentale. Il film di Marco Tullio Giordana è la storia di un fatto realmente accaduto negli anni ’70, il periodo delle Brigate Rosse, del sequestro di Moro, inserita in un contesto di per sé difficile: la Sicilia. I fenomeni mafiosi che ostacolano i processi di sviluppo democratico e che hanno travolto tanti innocenti, hanno bisogno, per essere eliminati, dell’impegno di tutti i cittadini e di un’alta coscienza etica collettiva. Questo è il significato centrale del film, dotato di un’efficacia e di una forza non indifferente, in grado di muovere le coscienze, di sollevare quello strato di indifferenza che ricopre come una spessa polvere i nostri sentimenti. Perché purtroppo è facile assuefarsi all’indifferenza e dall’indifferenza il passo verso l’accettazione delle brutture è breve. Mi riferisco alla scena nella quale Peppino e il suo migliore amico sono seduti in cima alla collina dalla quale si domina il mare di Cinisi. Paesaggio bellissimo: mare che è quasi un tutt’uno col cielo, vegetazione mediterranea rimasta intatta, sulla spiaggia i pescatori. Poco più in là invece c’è l’aeroporto e mentre i due ragazzi parlano, un aereo si alza in volo sopra le loro teste, lascia una scia, quasi a voler sottolineare con una traccia nel cielo il problema delle tangenti e degli appalti legati alla mafia di cui lo stesso aeroporto è il risultato. Perché sono sempre gli interessi che portano a perdere la cognizione di ciò che è bello e ciò che è brutto, che fanno arrivare a deturpare un paesaggio così unico. Non perdiamo la coscienza del bello e, per sinestesia, mi verrebbe da dire, del giusto. Non arriviamo a rinnegare ciò che amiamo e che è parte di noi per paura o semplicemente perché è la scelta più semplice e meno rischiosa. Sappiamo perfettamente che la storia  della mafia in Sicilia è antichissima e intrinsecamente legata al destino e alla struttura politica dell’isola, ma ciò non significa che vada accettata con rassegnazione, come un dato di fatto. La mafia  riguarda l’Italia , non solo la Sicilia. Per sconfiggere la criminalità organizzata non basta quindi ipotizzare soluzioni legislative o di forza, occorre liberare dalla “cultura mafiosa” coloro che vi sono soggetti. Incominciando dalla scuola, per esempio. Tocca ai genitori costruire il loro futuro su valori diversi e imparare a credere nella giustizia e nella libertà, soprattutto. E’ loro dovere auspicarsi una società democratica e civile. Questo fa capire il giovane impastato. Come quando decide di occupare da solo Radio Aut, l’emittente locale attraverso la quale lui e suoi amici del partito propagandavano le proprie idee. In seguito all’arrivo dei “fricchettoni” di Milano infatti, la radio aveva preso un’impronta troppo libertaria, eccessivamente disinvolta e disimpegnata politicamente, perdendo di vista i valori di partenza. Era stata l’occasione per Tano Badalamenti di sottolineare l’inconsistenza e la poca varietà delle idee presentate da Impastato. Ma il giovane, fervidamente convinto dei suoi ideali politici e ancor più spinto dall’intento civile anti-mafioso, con un atto di forza e da solo occupa la radio in segno di protesta. Vuole ristabilire l’ordine, ricondurre l’emittente sulla strada dell’impegno, all’intento che si era originariamente proposto. Diventato oramai troppo scomodo  per il sistema mafioso e in particolare per il boss Gaetano Badalamenti, persa la protezione del padre, affiliato al clan mafioso, il destino di Peppino è segnato. Morirà pestato da alcuni sicari e poi fatto saltare in aria sui binari del treno in uno scenario storico molto complesso, a cavallo tra l’uccisione di Moro e gli attentati delle Brigate Rosse. La morte di questo giovane così scomodo al sistema verrà archiviata come suicidio, nessuna autorità vi darà troppo peso. Ma io che ho visto questo film, così autenticamente ricostruito, non posso non pensare che nelle coscienze degli abitanti di Cinisi qualcosa era cambiato. La personalità del giovane era troppo forte, troppo carismatica per lasciare indifferenti. La sua storia deve per forza aver fatto pensare a aver smosso, soprattutto i giovani. Cento passi. Sembra di vedere Giuseppe che cammina, che conta uno ad uno quei passi, quel “discrimen” tra due realtà. E’ un ribelle, è coraggioso fino alla fine, è tenace. La sua non è una storia a lieto fine e questo ce lo fa sentire ancora più vicino, in una società in cui, con uno scontato qualunquismo, i giovani vengono accusati di disinteresse e noncuranza verso i problemi.

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I cento passi

di Elizabeth Mary Lanzi Mazzocchini VA

 Una storia ignorata, messa da parte o forse mai considerata, è ora sulla bocca di tutti e sugli schermi di tutta Italia. “I cento passi” è già stato visto da molti, ma i cinema continuano ad essere invasi dalla scuole e da tutti coloro che erano giovani allora.
Alla fine degli anni ’70, la morte di Giuseppe Impastato fu considerata un “episodio” da pubblicare in terza pagina. Se oggi però viene fatto un film sulla sua vita, vuol dire probabilmente che essa rappresentata qualcosa di più.  Peppino è un ragazzo in anni di grandi cambiamenti, innovazioni, rivolte. Ha però qualcosa che lo rende molto diverso dagli altri giovani del suo tempo. Vive in Sicilia e la sua è una famiglia  di mafiosi. E’ un figlio della mafia che decide di non diventare un nuovo anello di questa catena storica. La spezza. Si rivolta contro di essa, contro il grembo che l’aveva partorito, contro una madre lo avrebbe protetto e che avrebbe potuto essere un punto di riferimento, una sicurezza per la sua vita. Peppino decide di non conformarsi alle regole e alle tradizioni della mafia. Grida a gran voce di fronte alla casa del più importante boss mafioso di Cinisi, che si trova a “cento passi” dalla sua. Grida al padre mettendogli di fronte agli occhi la sua vita fallita, grida al fratello e se lo fa alleato, grida all’amico pittore la necessità di rimanere fermamente attaccati alla realtà e non ai sogni di generazioni passate, grida alla mafia e la ripudia.

La sua vita è un continuo gridare. Il suo grido aumenta sempre più di tono e di volume. E’ come quella figura deforme e impersonale che Munch dipinge ne “L’urlo”, con pennellate lunghe e pesanti. Un uomo con la bocca completamente spalancata, intento a urtare con la sua forza. Giuseppe Impastato è simbolo di tutti coloro, soprattutto tra i giovani, che hanno dedicato la vita all’impegno sociale, facendo ogni giorno della vita un passo in più verso la morte. Questa è la fine inevitabile a cui andarono incontro tutti quelli che senza timore decisero di lottare. La morte gli arrivò come un sigillo. Essa è la prova che la sua è stata una vita attiva, che si distingue per una completa dedizione all’impegno che si era preso; una vita fatta anche di piccoli successi. Una vita pericolosa per alcuni più potenti di lui.

Peppino non si estraniò, come fecero altri (frikkettoni, hippies) dalla realtà, ma agì concretamente nel contesto in cui viveva. Cinisi, una città felicemente inginocchiata alla mafia. La sua morte risvegliò una coscienza di massa. Al corteo della scena finale del film è presente tutta Cinisi. “La mafia uccide, il silenzio pure” dicono tutti gli striscioni. Il silenzio assordante che imperava su Cinisi, si trasformò in un coro di voci altrettanto assordante. La storia di Giuseppe Impastato viene oggi a scuotere nuovamente le coscienze della massa e a incoraggiare, soprattutto i giovani di oggi, a rompere il silenzio e a gridare anch’essi.

 

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GIOVANNA D’ARCO”

di Rachele Nuvolari III°A

 

Durante questa prima parte dell’anno abbiamo studiato nel programma di storia le vicende di Giovanna D’Arco e perciò abbiamo visto un film dedicato a questo personaggio.

Nel film “Giovanna D’Arco”, il celebre regista Luc Besson ha diretto un cast d’eccezione composto da Milla Jovovich, nelle vesti di Giovanna D’Arco, Dustin Hoffman che interpreta la coscienza, Jhon Malkovich, nel ruolo di Carlo VII e Faye Dunaway nei panni di Iolanda D’Aragona. Si affiancano a questi straordinari interpreti, Pascal Greggory, Vincent Cassel, Tchéky karyo, Richard Ridings e Desmond Harrington. Realizzato nell’arco di dodici mesi questo film è, dal punto di vista visivo, particolarmente spettacolare. Una volta affidata la parte di protagonista a Milla Jovovich, il regista ha allestito dei provini per ricercare gli altri interpreti.

Per creare la coscienza di Giovanna, Besson desiderava avere un attore americano che avesse il talento per interpretare un così difficile ruolo ma che non mettesse in ombra la figura della giovane “pulzella” che sarebbe dovuta rimanere sempre al centro di tutte le scene. Le riprese sono state iniziate il 15 giugno 1998 presso le rovine della città di Bruntal a est di Praga. Trattandosi di una ricostruzione storica, alcune battute dei dialoghi sono state tratte direttamente da documenti dell’epoca e da realizzazioni precedenti sullo stesso soggetto. Il regista ha voluto dare il massimo realismo anche alle scenografie infatti egli si è recato a Orléans per osservare il paesaggio della Loira. Inoltre sono state effettuate molte ricerche nelle biblioteche francesi ma soprattutto nel museo dedicato interamente alla “giovane pulzella”. Un esperto ha seguito tutte le ricerche convalidandole, in modo che l’opera diventasse eccellente sia sul piano logico che sul piano estetico. Il nucleo centrale del film è composto dalle scene di battaglia che sono state molto difficili da realizzare.

Il regista afferma però che la cosa più complicata è stata far abituare gli attori ad indossare le pesanti armature e ad impugnare le armi dell’epoca su cavalli bardati di tutto punto. Infine è importante osservare i costumi di scene che sono stati realizzati da Catherine La terrier. Sono stati realizzati complessivamente tremila costumi completi, inclusi cento costumi per i personaggi principali, cinquecento gioielli, mille e settecento elmetti per i soldati, cento cappelli e cinquecento acconciature per i cittadini e i contadini, quarantacinque mitrie per la scena dell’incoronazione, novecento paia di guanti, centocinquanta copricapo religiosi e duemila paia di scarpe e stivali.

Secondo me questo film è da considerare un’opera cinematografica tra le più belle degli ultimi anni e a mio avviso merita un’attenta e accurata visione. Bellissime e piene di significato sono le scene di battaglia ma quelle che mi hanno affascinata di più sono state quelle che rappresentavano le visioni di Giovanna. Nonostante la lunga durata della pellicola consiglio vivamente a tutti di vederla.  

N.B. Chiunque volesse acquisire informazioni su questa rappresentazione cinematografica può visitare il sito internet della Miramax.

 

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Musica

 

I giovani e la musica

 di Lorenzo Beato III E

 Oggi purtroppo stiamo assistendo ad una commercializzazione di massa della musica ed a una strumentalizzazione dei giovani.

Infatti ai giorni d’oggi i giovani si trovano a dover scegliere la loro musica in una lista piuttosto ristretta che in confronto al passato è più “selezionata”. Ora vi spiego meglio…:

Oggi le case discografiche pagano le emittenti radio, televisive (internet è l’unico mezzo che ancora si salva) per programmare soltanto la musica “sicura”, quella che potrebbe essere di sicuro successo.

Mentre nel passato, soprattutto negli anni’80, le case discografiche rischiavano di più e mandavano sul mercato tantissimi personaggi che non erano costruiti nell’immagine e nella musica che proponevano.

Oggi in più assistiamo ad una ignoranza completa per quanto riguarda i generi. Spesso si usa il termine “Rock” per collocare artisti come i Nirvana e altri!!! Quello che i tanti fans  di questi gruppi chiamano Rock, non è in realtà altro che una forma “decadente” ed “ermetista” del vero Rock che risale agli anni ’50 (Elvis ve lo ricordate?). Non sto assolutamente contestando la musica che queste band propongono e state attenti a non fraintendere i termini “decadentista” ed “ermetista” che in realtà servono per dare una definizione al genere e collocarli quindi con ordine. Infatti per “decadentista” mi riferisco soprattutto ai contenuti dei testi e del loro significato ( sapete spesso di cosa parlano le loro canzoni, no?), mentre per “ermetista” mi riferisco invece al livello compositivo e sonoro: in questo rock infatti sono principalmente usati toni molto acuti quasi striduli che tendono a stonare (attenzione a non fraintendere anche qui): la variazione di questi canoni determinerebbe un’uscita al di fuori di questi e la canzone non sarebbe più dello stesso genere; da ciò capiamo e giustifichiamo la piattezza compositiva di queste band ( salvo eccezioni ) che non potendo variare sono costrette a mantenersi su canoni principalmente simili tra loro.

I giovani si trovano quindi disorientati in un mondo della musica che dovrebbe essere loro, dove invece chi comanda sono le case discografiche. Bisognerebbe ogni tanto spegnere la televisione e la radio, smetterla di farsi abbindolare da MTV, da RDS etc. …

E’ stato sottoposto agli utenti della biblioteca un questionario riguardante la musica. Nelle risposte prevale il genere Hard Rock, Heavy Metal soprattutto per i ragazzi che vanno dai 16 ai 18 anni; l’intramontabile Pop si destreggia bene ed è apprezzato da quasi tutti i giovani anche un po’ più piccoli, ragazze in testa. Assieme al Pop, in discesa, troviamo la musica commerciale da discoteca e non. Apprezzata anche la musica Etnica, New Age e Punk in coda.

E’ doveroso citare anche la musica classica che è ascoltata soprattutto da ragazze un po’ più grandicelle ed infine la “Musica del Passato” purtroppo poco conosciuta ma a sorpresa abbastanza ascoltata: sembra infatti che le ragazze di 16/17 anni in particolare conservino un posizione discreta per la musica anni ’80 soprattutto (anche se some ho detto prima, la conoscono molto poco per quanto riguarda la storia e gli autori); impareggiabile il Pop anni ’60 (Ben King, The Foundation!) che rimane sempre in nel cuore di tanti e la musica 70’s, Beatles, Rolling Stones soprattutto per le ragazze.

 

Risultati del Questionario sulla Musica

N.B. Ad alcune domande si potevano dare più risposte

Totale sondaggi consegnati……73

Che genere di musica ascolti? 

Rock

51

Pop

42

Anni ‘80

29

Anni ‘90

29

Commerciale

28

Hip Hop

21

Anni ‘70

21

Heavy metal

18

Hard Rock

16

Anni ‘60

15

Classica

9

Rap

8

Punk

8

Funky

7

New Age

5

 Chi è a tuo avviso il personaggio musicale del millennio?

Freddy Mercury

11

Beatles

8

Bob Marley

8

Jimmy Handrix

8

Jim Morrison

7

Kurt Cobain

7

John Lennon

6

Madonna

6

Backsteet Boys

5

U2

4

Eros Ramazzotti

3

Mariah Carey

3

Axl Rose

2

Elvis Presley

2

Micheal Jackson

2

Mozart

2

W. Huston

2

Armstrong

1

Bon Jovi

1

Cranberries

1

Mameli

1

Oasis

1

Pearl Jam

1

Rem

1

Rollig Stones

1

Skin

1

 Suoni qualche strumento? 23 si, 50 no

Gli strumenti più suonati risultano il pianoforte e la chitarra.

 Quanti Cd musicali compri l’anno?

 

Da 0 a 5

20

Da 5 a 10

24

Da 10 a 15

7

Da 15 a 20

7

Oltre 20

28

 Se hai la possibilità di navigare su internet, quali siti visiti maggiormente?

  

Cantanti & gruppi preferiti

52

Hi-fi, strumenti musicali, spartiti, testi

18

Storia della musica

3

 

Se mai andato/a a qualche concerto?

17 no, 56 sì

(N.B. si poteva dare più di una risposta)

Rock

32

Pop

27

Leggera

13

Classica

5

Punk

4

Altro

4

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Penna Libera

Io

di Lorenzo Beato III E 

“Figlio” di Morfeo signore dei sogni, amo chiudere gli occhi e sprofondare nell’inconscio.

Vagare, scrutare, sentire.

Vincere, incoraggiare, godere.

Immaginare, intonare, invocare.

< …e l’anima se ne va verso l’eternità… >

La sera con gli occhi al cielo, chiusi, parlare con le stelle.

Passeggiare sulla spiaggia, dal fluttuare delle onde farmi trasportare.

Chiudere gli occhi e partire.

Per prati o deserti.

Per steppe o per monti.

Nella luce e nel buio.

In cielo e in terra.

Ove il pensier mi porta

<…a confabular del vento con Eolo…a fare le matte risate con il belzebù…> 

Ove il cielo è terra e la terra il mare. Dove ogni cosa è e non è.

< Ecco un fulmine! Io lo vedo: è ammagliante. Io lo sento: è frastuono è calore: vita!

Mentre invece quel rivoletto d’acqua con la sua monotonia. Ora una goccia ora un’altra. Sembra che passi la sua esistenza a percuotere, colpire, picchiare. Logorare. Paziente lui pulsa il tempo che passa e consuma. Ma in fondo non è cattivo.

Ma ecco nell’aria risuonare il vento che senza pietà sembra voglia preparar vendetta.

Un foglia non tiene la stretta e si lascia cadere giù seguita dalle sue compagne.

Ma oggi ha deciso di essere clemente e placando la sua ira il cielo si apre e un raggio di sole riflette sull’acqua del piccolo rivo, il rivo che sembra ora accompagnare un risveglio.

I fiori si aprono la rugiada risplende e scivola via tintinnando quasi a formare un eco nell’aria e nell’acqua che si anima creando figure gioiose.

E d ‘improvviso  una schiera di cavalli si slancia per la prateria dando vita a forme quasi angeliche.

Il sole scende pian piano sotto l’orizzonte e nella foresta una nuova vita riprende a vibrare scandita sempre a tempo del rivo.

In cielo le stelle questa sera sono più luminose che mai. Sembra che il buon Dio abbia voluto regalar ancora un giorno da vivere.

Uno soltanto.

La notte è lunga e tutta da assaporare. Alcuni vanno a dormire altri fiori invece aprono la loro chioma alla luna.

Qua e la lucciole colorano a festa la notte.

Vorresti ballare, farti avvolgere da questa immensa danza che avrà fine soltanto al destarsi del giorno.

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L'erbavoglio

(Soap Opera per le scuole)

Terza e ultima puntata

di Giovanni Pagliarulo

Riassunto della puntata prec.:

 Belbidello è alla ricerca dell’Erbavoglio, in questa avventurosa ricerca finisce in una voragine dove incontra il suo Capo d’Istituto, Presidé, il quale è sconfortato perché ha appreso che il Ministero gli ha rubato l’idea di una  riforma iperliberale che avrebbe voluto applicare lui per primo. Entra in scena un nuovo personaggio: il giovane ragazzo popolano, Lazzaro. Ama calarsi nelle buche del terreno del suo quartiere e soprattutto nei sotterranei dei ruderi di un castello in rovina. Nei sotterranei incontra Laura, la ragazza da lui amata e mentre camminano insieme incontrano un nuovo tunnel, ma inciampano ben presto in un cadavere….

[…]10. Laura, rialzatasi senza una parola e aiutato Lazzaro a sollevarsi, gli prese la lampada dalle mani e puntò il fascio di luce sulla donna stesa immobile. Un pugnale era conficcato tra le scapole, neanche una goccia di sangue sul terreno, ma molto sui vestiti. Giaceva riversa con il capo sull'anta di una porta aperta. Aveva gli occhi aperti, e in mano stringeva qualcosa.

   La ragazza le pose le dita sul collo. Ancora calda, ma irrimediabilmente morta. Lazzaro si copriva gli occhi con le mani.

   Laura si chinò sulla donna assassinata e, senza incontrare eccessiva resistenza, le aprì la mano. Aveva un'agenda elettronica, che la ragazza lasciò scivolare nella tasca dei suoi jeans. Rizzatasi, sommessamente chiamò Lazzaro, e si guardarono intorno in cerca di qualcosa o qualcuno che potesse aiutarli.

   Sentirono in lontananza delle voci. Vinta l’esitazione, s'incamminarono cautamente nella direzione da cui provenivano, sembrando loro, via via che s'avvicinavano, che fossero voci conosciute. Erano infatti il Capo Istituto e Belbidello che, finalmente ritrovatisi, stavano giustificandosi vicendevolmente per la prolungata lontananza. Laura e Lazzaro, pensando allargare il cuore al sentire la voce dei due e, convinti a quel punto che li alla Provvidenza di manzoniana memoria, fecero per correre loro incontro ma subito si fermarono captando nel tono delle voci qualcosa che non andava.

   "Dove sei stato? Quando ho riaperto gli occhi non c'eri più"

   "Ho sentito dei rumori, e ho cercato di capire cosa fosse. Comunque, quando son tornato, anche lei non c'era più"

   "Che vuoi dire con questo?"

   "Niente, Presidé, chi dice niente. Dico solo che lei non c'era ed è tornato dopo parecchio"

   Presidé sollevò gli occhi al cielo assumendo quell'atteggiamento ormai usuale in chi lo conosceva, valido per tutte le occasioni imbarazzanti. Fastidio per l'interlocutore, invocazione ai cieli, tutte e due le cose o qualcos'altro?

   "Le incombenze di un capo d'istituto sono gravi e neanche qui mi è permesso dimenticarle. Anch'io ho sentito dei rumori, voci alterate ed urla man mano che mi avvicinavo alla fonte. Illuminata da una luce fioca, da lontano ho visto una donna  litigare con sagome oscure e minacciose. La voce della donna cresceva acuta e impaurita, rivendicando la sua importanza pubblica e la sua vocazione democratica ed egualitaria «I servizi da me erogati debbono essere uguali per tutti» diceva «non ci sto ad erogarne migliori per i benestanti e mediocri per i più poveri. La Costituzione della Repubblica italiana, nata dalla Resistenza, afferma che i cittadini sono tutti eguali. Le vostre pretese sono inaccettabili...» e continuava con questo tono soffocando le proteste degli altri, il cui gesticolare era reso più pauroso dalle ombre gigantesche proiettate sui muri"

   "E allora che ha fatto?"

   "Aspetta, non ho finito. A questo punto un uomo, così mi è sembrato...”

All’improvviso Presidé si fece zitto, vedendo in lontananza baluginare una luce, e gli venne in mente Virgilio, e si trovò a suo agio nei panni di Dante. Chissà che Virgilio non gli avrebbe indicato la strada per inserirsi nel Progetto, senza dover dividere nulla con quell'inculturato di Belbidello? Quando la luce si fece sufficientemente vicina, fu con dolore che Presidé si rese conto che a sostenerla non era Dante, ma Lazzaro, alunno della terza B, accompagnato da quella "gatta morta" di Laura.

I quattro, dopo imbarazzati saluti, si avvicinarono cauti alla donna assassinata.

Era una donna dalle forme forti, una cinquantina d'anni d'età, lineamenti regolari, sconvolti ancora per la sorpresa e il dolore, i capelli striati di bianco; indossava vestiti dai colori autunnali, di un'eleganza un po' démodé, e scarpe dal tacco basso e largo. I quattro, scavalcato il corpo della donna, s’incamminarono silenziosi nel cunicolo su cui si apriva la porta aperta, arrivando in un'altra caverna perfettamente in asse col Palazzo dello Sport e dello Spettacolo.

Lì una Donna, un Grande Vecchio e il loro Servo Fedele, seduti ad un tavolo tondo con tre gambe, le mani appoggiate al piano e toccantesi tra loro per i pollici e i mignoli, guardavano assorti dentro una fumosa palla di vetro trasparente e pronunciavano astruse parole che sembravano formule magiche.

L’odore di zolfo rendeva l’aria irrespirabile.

L'impiantito dell'antro era pieno di tabulati accatastati alla rinfusa, sui tavoli accostati ai muri tremolavano gli schermi lattei dei computer senza operatori, al muro era appesa una carta geografica del Belpaese su cui erano puntate delle bandierine nere e rosse.

Un colpo d'occhio e Belbidello, intuita la verità, con vigoria e rapidità imprevedibili, prende in ostaggio il Grande Vecchio e impone agli altri due di smetterla con le loro alchimie.

Nella colluttazione la donna perde il velo e la parrucca, cade a terra tramortita e si rivela essere D’Alema travestito; il Grande Vecchio è una sorta di Giano polifronte con sembianze ad ogni istante cangianti malgrado sia anche lui colpito da svenimento. A Belbidello sembra di riconoscere quelle di Cossutta, Gelli, La Malfa e Cossiga. Non si riesce però a svelare l'identità del Servo Fedele che, nella confusione, sfugge alla cattura borbottando frasi incomprensibili in un accento meridionale e avvolgendosi in un mantello con collo di pelliccia.

11. Le sequenze si susseguono a tale velocità che confondono Laura, Lazzaro e Presidé che se ne stanno accostati al muro sbalorditi dal ritmo incalzante impresso loro da Belbidello che, storditi e legati i complottardi, si impossessa della sfera magica, con questa fa cadere in un sonno ipnotico i suoi spettatori ed ottiene i semi dell’Erbavoglio.

Si dota quindi di una cospicua rendita a vita, di una villa a Frascati, un rifugio sulle Dolomiti, una tenuta in Toscana e posti di lavoro per figli e nipoti. Poi, tornato a scuola e acclamato da tutti come un eroe per aver riportato Presidé sulle sue braccia ancora svenuto e colpito da una grave forma di amnesia (la stessa che aveva colpito Laura e Lazzaro), distribuisce agli altri bidelli semi di trifoglio con cui inseminare il prato professorale.

Presidé, quando si riprende dal sonno ipnotico, tende le sue mani al cielo con gesto ieratico, e invita i bidelli e gli insegnanti a proseguire nella ricerca della Cera che'ncera, senza la quale la scuola non sarebbe entrata nel Mercato.

 Ogni cosa sembra tornata al suo posto.

Belbidello ha approfittato della situazione a suo vantaggio; Presidé, in apparente stato di confusione mentale, si è accordato con i cospiratori entrando anche lui a far parte del gioco, mantenendo però l'immagine d'uomo probo.

La scuola della repubblica, quella donna pugnalata alle spalle, è veramente morta? Come utilizzerà Laura i contenuti dell’agenda elettronica? Laura e Lazzaro troveranno un lavoro? Si sposeranno?

Chi vuol dare un seguito a questa Soap opera si metta in contatto con l’autore.

 (L'idea iniziale venne, durante un’okkupazione, al sottoscritto e ad Anna Maria Rava, collega colpita dal primo taglio delle classi nel 1993 e costretta al trasferimento. Ciao, Rava, prima o poi toccherà a tutti noi.)

inizio



[1]Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica, Rizzoli, Milano 1998, p.108

[2]Ivi,p.98

[3]Ivi, p.111

[4]Michel Foucault, "La personalità pericolosa: nascita ed evoluzione di una nozione", in Scienze dell'interazione, 1, N.2-3, 1994, p.173.

[5]La Riforma in Italia è stata accompagnata e seguita dal riconoscimento ed ampliamento dei diritti del malato di mente, ad opera di Organismi Internazionali. Ricordo la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone mentalmente ritardate, 1971; la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili, 1975; la "Carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale",1976 ; la Risoluzione delle Nazioni Unite 46/119  per "La protezione delle persone con malattia mentale e la promozione della cura della salute mentale", 1991; la Raccomandazione 1235 sulla Psichiatria e i diritti umani, del Consiglio d'Europa, 1994.