Racconti
Naufrago
di Emanuele Atzori
dedicato a Mela
(2a parte del racconto
comparso sul n. prec.)
Riassunto della parte
precedente:
Deilos, giovane romantico e sognatore,
viene visitato in sogno da una bellissima fanciulla, la quale gli da appuntamento
su una collina. Il ragazzo vi si reca di buon mattino fiducioso che ella
verrà. Ma viene la sera e della fanciulla non v'è traccia.
Sembra la fine di tutto e Deilos si butta a terra in lacrime. Eppure qualcosa
deve ancora accadere...
L’albatro si tuffò
nell’acqua uscendone con un piccolo pesce nel becco, quindi, quasi si fosse
accorto di essere osservato, cominciò a fare straordinarie acrobazie:
si gettava in picchiata verso il mare per poi risollevarsi improvvisamente,
arrivando a sfiorare, con le piume del petto, la superficie dell’acqua.
Oppure, sfruttando le correnti ascensionali, cercava, aprendo al massimo
le ali, di restare fermo nell’aria. Vi era quasi riuscito quando una freccia
si conficcò nel petto dell’albatro che, ferito a morte, cadde pesantemente
in acqua.
“No!” urlò Deilos voltandosi
di scatto verso il colpevole: “Perché l’hai ucciso?”
“Accidenti a te ragazzo! Non ti
ho preso sulla mia barca perché te ne stessi a guardare imbambolato
uno stupido uccello. E’ chiaro? E ora fila a pulire il ponte! Avanti, muoviti!”
Deilos, fulminando con lo sguardo
il capitano andò a prendere ramazza e secchio e cominciò
a ripulire il ponte della nave che, a giudicare dal colore grigio nero,
non doveva venir pulito da molto molto tempo.
Il sole, nel frattempo, arrancando
faticosamente stava ormai arrivando al suo zenit, mentre il mare, appena
increspato da un soffio di vento, si univa in un abbraccio appassionato
con l’azzurro del cielo, imperlato da candide nubi.
Quando il giovane finì il
suo lavoro le stelle brillavano ormai alte nel cielo. Deilos sfinito, si
sdraiò sul ponte contemplando quel magnifico spettacolo. Dritto
a prua il gigante Orione, nonostante la ferita alla spalla sinistra, combatteva
senza paura contro il grande Toro; mentre a dritta la piccola Stella Polare
guidava senza posa la rotta della nave che scivolava silenziosa sulla superficie
scura del mare.
Nonostante la stanchezza, il povero
mozzo non riusciva a dormire. Ripensava a quella fatidica sera sulla collina
quando, addormentatosi tra le lacrime, l’aveva rivista in sogno. Si era
avvicinata senza far rumore, quindi, accarezzandolo piano, gli aveva detto:
“Povero amore, quanto devi aver pianto.” E asciugandogli le lacrime aveva
continuato: “Perdonami se non sono riuscita a venire, ma grosse difficoltà
mi hanno trattenuta. Mi trovo in una situazione estremamente difficile
e ho un disperato bisogno d’aiuto. Ti prego, raggiungimi oltre il Grande
mare dell’Ovest o per me sarà troppo tardi. Addio amore mio, addio.”
“Aspetta non te ne andare… Io ti
amo!!!” gridò disperatamente il ragazzo, mentre la fanciulla scompariva
piano in una nuvola bianca “Ti amo… e non so nemmeno il tuo nome.”
Svegliatosi di colpo, non aveva
esitato un attimo e correndo come un pazzo era arrivato al porto, cercando
di imbarcarsi su una nave che andasse verso il Grande mare dell’Ovest.
Alla fine era riuscito a trovare il posto, come mozzo, su una sgangheratissima
barca: il cui nome era illeggibile e il cui equipaggio era formato da un’unica
persona, oltre il capitano ovviamente. E così ora, eccolo lì:
su una nave senza nome, seguendo nuovamente un sogno. Cosa sarebbe accaduto
stavolta? L’avrebbe trovata? E se sì, cosa sarebbe accaduto? Continuò
a tormentarsi per molto tempo finché il sonno, pietoso, lo avvolse
nel suo velo scuro.
Ma non durò a lungo, un calcio
nella schiena lo svegliò di soprassalto.
“Avanti ragazzo in piedi” disse
il capitano.
“Perché, cos’è successo?”
“Tempesta in arrivo a tribordo”
“E adesso… che cosa facciamo?”
“Che cosa facciamo?” disse il capitano
con aria ironica “Che cosa farò, intendi dire. Tu pensa a levarti
dai piedi e a metterti in un punto in cui non darai fastidio.”
“Ma potrei aiutarvi!” ribatté
Deilos punto nell’orgoglio.
“Senti poppante, tu non sai neanche
cosa sia una tempesta, perciò fuori dalle scatole, è chiaro?”
Sbuffando, Deilos si sistemò
alla meno peggio vicino all’albero maestro, aspettando gli eventi, che
non si fecero attendere. La tempesta infatti, si abbatté su di loro
con incredibile violenza. Le onde si alzavano altissime stritolando, come
serpenti, la povera nave che disperatamente cercava di mantenere una rotta,
se si potesse ancora parlare di rotta. La pioggia fitta, come nebbia, faceva
un tal rumore scrosciando, che il povero ragazzo non riusciva a sentire
altro che il battito impazzito del suo cuore che tremava per la paura.
Non sentiva il capitano imprecare perché il legno della sua barca
si stava ormai sfaldando. Non udiva il timoniere gridare perché
non riusciva ad allontanarsi dagli scogli, ormai sempre più vicini.
Non capiva più nulla: rumore, paura, confusione dominavano il suo
spirito. Tutt’a un tratto ci fu un tremendo boato e il giovane si trovò
spazzato fuoribordo a combattere solo contro il mare in tempesta. L’ultima
cosa che sentì prima di perdere i sensi, fu la stretta poderosa
di un braccio attorno alla sua vita, poi il buio.
Il suo risveglio fu graduale, dapprima
il rumore del mare, poi il calore rassicurante della sabbia e, infine,
l’azzurro del cielo. Era ancora vivo. Sentiva l’aria salmastra riempirgli
i polmoni e la sensazione indicibile. Era vivo, vivo, vivo!!! Avrebbe voluto
correre, saltare, gridare, ma non aveva neanche la forza di alzarsi sui
gomiti.
Poi, ecco apparire una figura di
donna. Dapprima non la distinse, confusa nella forte luce del giorno, quindi,
man mano che si avvicinava, cominciò a distinguerne i tratti: i
capelli erano raggi di sole, le sue labbra boccioli di rosa appena schiusi
e i suoi occhi cieli immensi. I suoi movimenti erano leggeri come il battito
d’ali di una farfalla e un dolce sorriso illuminava il suo volto di luna.
Il cuore del giovane cominciò
a battere all’impazzata, quasi volesse fuggire da quel petto troppo piccolo
per contenere l’emozione che stava provando. Avrebbe voluto dire tante
cose, ma non riuscì a pronunciare una parola, avrebbe voluto abbracciarla,
ma non riuscì neanche a mettersi a sedere. Non riuscì a far
altro che guardarla negli occhi chiusi, mentre lei si chinava su di lui
sollevando lievemente la sua testa e accarezzandogli dolcemente il viso
e i capelli ancora bagnati. Rimasero così per molto tempo, anche
se il tempo non aveva più alcun significato per loro, in quanto
annullato dalla forza di quell’amore che legava inscindibilmente i loro
giovani cuori.
Quindi, quando egli fu riuscito
a mettersi a sedere disse: “Sei tu, sei proprio tu.”
Ella annuì, e portando la
mano del ragazzo alla sua guancia disse: “Sei arrivato. Ed ora che tu sei
qui nulla sarà più come prima.”
“Qual è il tuo nome?” chiese
curioso Deilos.
“Secondo te?”
Il giovane pensò al nome
più bello che conosceva, quindi disse: “Emanuela”
La ragazza annuì nuovamente,
spostando un ricciolo ribelle dalla fronte di lui. Quindi i due, guardandosi
negli occhi, avvicinarono pian piano i loro visi, unendosi in un lungo
e dolcissimo bacio.
La Speranza era ora risorta e le
nubi di dolore e tristezza spazzate via dal vento dell’amore.
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