MAGGIORANZA AL BIVIO

di SABINO CASSESE

 
«Il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata». Questo articolo è contenuto nel titolo primo della seconda parte della Costituzione, quello relativo al Parlamento, non nel titolo secondo, che riguarda invece il presidente della Repubblica. I costituenti volevano così sottolineare che, con il controllo mediante richiesta di riesame, il presidente della Repubblica partecipa a pieno titolo (ma con precisi limiti) all’esercizio della funzione legislativa. Questo potere di controllo è stato esercitato finora 55 volte (4 di queste dal presidente Ciampi). Di 43 leggi è stato richiesto il riesame per motivi di legittimità costituzionale. Per altre 12 la richiesta è stata motivata da ragioni di merito. La Costituzione, infatti, lascia libero il presidente della Repubblica nella scelta dei motivi della richiesta. Solo in 4 casi il Parlamento non ha tenuto conto della richiesta, approvando la legge nello stesso testo.
Prima conclusione: la richiesta di riesame è strumento ordinario di esercizio della funzione legislativa. Il presidente della Repubblica, se ha dubbi, di qualunque natura, su una legge, deve chiederne il riesame. Correttamente il presidente Ciampi ha ritenuta doverosa la sua iniziativa.
Il motivo principale della richiesta di riesame della legge Gasparri - ad un primo esame - è semplice: la Corte Costituzionale aveva richiesto un termine definitivo, certo, non prorogabile del periodo transitorio; la legge fissa il 31 dicembre 2003 come data di inizio, non di fine, di una fase transitoria, dà un altro anno ancora per accertare se si è realizzato il pluralismo, ma, poi, non dice che cosa accadrà se si accerterà che il pluralismo televisivo non si è realizzato. A questo motivo principale il presidente della Repubblica ne aggiunge altri due: composizione del Sistema integrato delle comunicazioni e raccolta pubblicitaria. Tutti i motivi ruotano intorno al problema aperto da venti anni: la posizione dominante di Rai e Mediaset ai fini del pluralismo informativo (da non confondere con il duopolio economico, rilevante per l’antitrust).
A questo punto, il Parlamento ha due strade. Può riapprovare la legge senza modificarla. Ma così rifiuterebbe di apportare alla legge la correzione che serve a porla al riparo del prevedibile giudizio costituzionale. La decisione sarebbe tanto più suicida in quanto il presidente della Repubblica ha adoperato un argomento - quello dell’assenza di un preciso potere amministrativo al termine dell’accertamento delle «modalità della definitiva cessazione del regime transitorio» - che non era stato sollevato dinanzi alle Camere, durante il dibattito parlamentare.
Può, al contrario, modificarla nei punti necessari. Può abbreviare il termine per gli accertamenti e consentire un intervento sanzionatorio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, se concluderà che il pluralismo televisivo non si è realizzato. Può diminuire le dimensioni del Sistema integrato delle comunicazioni o ridurre la quota di cui ogni operatore può disporre. Può porre limiti alla pubblicità televisiva. Tutto ciò senza stravolgere l’impianto della legge e con il vantaggio di poter ottenere, domani, un giudizio positivo sulla sua costituzionalità.
Seconda conclusione: il Parlamento ha spazi di manovra per ricondurre la legge entro i termini di costituzionalità indicati dalla Corte, e alla maggioranza parlamentare conviene sfruttarli.


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16 dicembre 2003