«Tetti pubblicitari e pluralismo le garanzie non sono sufficienti»

Mirabelli, presidente emerito della Consulta: il digitale è una grande scommessa ma con esiti incerti

ROMA - Il digitale come «scommessa dagli esiti incerti», incapace di garantire a scatola chiusa quel pluralismo che manca al sistema italiano. E poi quei tetti antitrust, giudicati vaghi, se non addirittura inesistenti, da una molteplicità di soggetti: «Indubbiamente, se fossero definiti in modo più stringente, la legge Gasparri se ne gioverebbe, insieme alle possibilità di sviluppo del mercato». Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, oggi alla guida del Consiglio nazionale degli utenti, organo consultivo istituito in seno all’Autorità per le Comunicazioni, parla del disegno di legge Gasparri sia come esperto di media sia come costituzionalista. Ma le due cose, l’aspetto giuridico e quello più squisitamente tecnico, sono in realtà legate fra loro: «Anche dallo sviluppo concreto del sistema digitale dipenderà in futuro la possibilità di censura costituzionale di questa legge». Lei sembra fare molto affidamento sull’avvento del digitale, non le sembra eccessivo?
«Non credo, il digitale è un’enorme opportunità, forse la più grossa che si sia mai presentata. La moltiplicazione delle possibilità di emittenti creerà un accrescimento del pluralismo, ma il risultato non è acquisibile con certezza, non esistono garanzie sufficienti. Un altro problema è quello della raccolta pubblicitaria e dell’utilizzazione delle risorse, condizioni indispensabili per sopravvivere nel settore».
Anche su questo punto la Gasparri viene criticata.
«Segnalo il caso delle emittenti locali. Sono oltre 600, sono una ricchezza, ma per la loro debolezza complessiva costituiscono un limite di sistema. Così frammentate non riescono a esercitare un ruolo di effettivo pluralismo. Per crescere avrebbero bisogno di risorse e sostegno».
Che la Gasparri non garantisce?
«Sul punto occorre una riflessione aggiuntiva. Ad esempio, alcune di queste tv locali ritengono che sia meglio separare la propria raccolta pubblicitaria rispetto alla raccolta delle emittenti nazionali, per evitare una situazione di subordinazione».
Si è affidato un ruolo eccessivo al digitale?
«Non direi, se si svilupperà realmente, secondo tutte le sue potenzialità, potrà accrescere il pluralismo. Il problema è come garantire che si sviluppi, garanzia che al momento manca».
Anche per tutti questi motivi il Quirinale avrebbe più di un dubbio sulla tenuta costituzionale della legge?
«Non sono interprete del Quirinale».
E come costituzionalista?
«Quella della costituzionalità è una garanzia che non c’è mai, una verifica della Consulta è sempre possibile. Ma la valutazione in questo caso è ancorata al contesto concreto. Bisogna vedere quale testo uscirà dal Parlamento e soprattutto che cosa accadrà: se il digitale fallisce verrebbero meno le condizioni di pluralismo su cui si fonda la legge e riaffiorerebbero i dubbi di legittimità costituzionale».
Mediaset supergarantita, soprattutto di espandersi. Gli editori della carta stampata che non cresceranno mai. Chi accusa Gasparri accredita questa tesi. Condivide?
«Credo sia prematuro dirlo. Sono troppe le domande ancora senza risposta, il mercato è troppo in movimento».
Sui tetti antitrust la critica viene espressa da più parti: dagli editori, all’Ulivo, sino a Tesauro.
«La legge Gasparri è animata dalla consapevolezza che il duopolio non può bastare a garantire la completezza e l’obiettività dell’informazione. Non possiamo dire che sia anche in grado di assicurare un risultato».
Lei è troppo diplomatico: questi tetti antitrust della Gasparri la soddisfano?
«Diciamo che se fossero più stringenti sarebbe meglio».

Marco Galluzzo



Politica

30 luglio 2003