SENTENZA N. 226

10 LUGLIO 1974

CORTE COSTITUZIONALE

 

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1937 n. 156 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 1973 dal pretore di Biella nel procedimento penale a carico di Sacchi Giuseppe, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Sacchi Giuseppe; udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1974 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri

RITENUTO IN FATTO

Nel corso del procedimento penale a carico di Giuseppe Sacchi, imputato del reato di cui all'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (che ha approvato il «Testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni»), per aver installato in Biella un impianto di televisione via cavo senza avere ottenuto la concessione del Ministero delle poste e telecomunicazioni, il pretore di quella città, con ordinanza 16 maggio 1973, accogliendo analoga richiesta del difensore dell'imputato, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 di detto t.u., in riferimento agli artt. 21, 41, 43, 76 e 77 Cost. e disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per il relativo giudizio.

Nell'ordinanza di rinvio le violazioni delle norme costituzionali sono così motivate:

1) Per l'art. 21, in quanto, se si esclude, come mezzo di manifestazione del pensiero, quello televisivo che, nella società attuale è divenuto di gran lunga il più diffuso e penetrante, non si vedrebbe come possa trovare concreta attuazione il principio fondamentale di libertà sancito da questa norma della Costituzione.

2) Per gli artt. 41 e 43 in quanto per la televisione via cavo, dato il suo costo non rilevante e la possibilità di porre in opera cavi coassiali senza limiti di quantità, non sussiste quella inevitabilità di costituzione di monopolio od oligopolio privato, che secondo la sentenza di questa Corte n. 59 del 1960 costituisce uno dei motivi fondamentali di giustificazione del monopolio statale per la televisione via etere.

3) Per gli artt. 76 e 77, in quanto la l. delega 28 ottobre 1970 n. 775, era limitata al coordinamento ed alle modificazioni ed integrazioni delle leggi, da raccogliere in testo unico, necessarie al loro ammodernamento al fine di renderle più accessibili e comprensibili e, quindi, non poteva essere utilizzata al fine di estendere il monopolio statale ad una nuova forma di telecomunicazioni quale quella della televisione via cavo.

4) Infine, argomentando dal dato di fatto che il Sacchi in data 20 aprile 1971 aveva ottenuto dal Tribunale di Biella, ai sensi dell'art. 1 della l. sulla stampa 8 febbraio n. 47, la registrazione del suo impianto via cavo come «giornale periodico di informazioni e cronache riprodotte a mezzo video della testata "Telebiella A 21 TV"» si prospetta la violazione anche dei commi 2 e 3 dell'art. 21 Cost., in quanto il denunziato art. 195 del d.P.R. n. 156 del 1973 richiedendo la concessione e facoltizzando l'Amministrazione a procedere al sequestro degli impianti ed apparecchi, contrasta con le disposizioni di quei due commi secondo le quali la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censura» e non può essere sequestrata se non «per atto motivato dell'autorità giudiziaria».

Si è costituito in giudizio il Sacchi, il di cui patrocinio, con memoria depositata il 31 luglio 1973, riproduce, sostanzialmente, la motivazione dell'ordinanza di rinvio, mettendo in rilievo, per quanto attiene alla prospettata violazione dell'art. 76 Cost., che, comunque, la delega in forza della quale è stato emanato il t.u. n. 156 del 1973 noti si estendeva fino al punto di consentire la previsione di una nuova ipotesi di reato e conclude chiedendo che le questioni con tale ordinanza sollevate vengano dichiarate tutte fondate, anche nel caso che venisse riconosciuto esistente l'eccesso di delega.

E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto d'intervento, depositato il 17 agosto 1973, chiede che le prospettate questioni vengano dichiarate tutte non fondate.

Premesso che nel concetto di «impianto radioelettrico» vanno comprese sia la TV via etere, sia quella via cavo, in quanto entrambi questi tipi di trasmissione si fondano sull'utilizzazione di radio frequenze e si diversificano soltanto per il mezzo usato nella loro propagazione che avviene nel primo caso attraverso l'etere, nel secondo mediante l'incanalazione nel cavo, se ne traggono le seguenti conseguenze:

1) Poiché anche quella via cavo, per quanto precede, deve considerarsi «impianto radioelettrico» viene meno il presupposto sul quale dovrebbe trovar fondamento il denunziato eccesso di delega.

2) Non sussiste violazione dell’art. 21 Cost. sotto alcuno dei profili denunziati con l'ordinanza di rinvio, sia perché la libertà di pensiero non può ritenersi compromessa o violata per effetto di limitazione dei mezzi di espressione giustificata o dalla peculiare natura di tali mezzi o dalla esigenza di composizione con altri interessi costituzionalmente protetti, sia perché non possono trovare applicazione in materia di televisione le norme sulla stampa che, evidentemente, riguardano soltanto l'espressione del pensiero col mezzo «stampa».

3) Poiché non è esatto che gli impianti di trasmissione via cavo siano meno costosi e richiedano minori spese di esercizio di quelli via etere, mentre l'utilizzazione di un numero ben maggiore di canali, almeno allo stato, è meramente teorica, sussistono anche per essa quelle condizioni che rendono necessari monopoli o tutt'al più oligopoli perché ne sia possibile un'inutile gestione, donde anche a questo mezzo, che dà luogo a servizi di interesse pubblico, deve estendersi il monopolio statale, col che viene a cadere la denunziata violazione degli artt. 41 e 43 Cost.

Con altra memoria, depositata il 17 aprile 1974, il patrocinio del Sacchi a confutazione delle deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, di cui all'atto d’intervento sopra riassunto, oppone sostanzialmente quanto segue:

1) Non è esatto che l'impianto e l'esercizio di trasmissioni televisive via cavo richiedono l'impiego di capitali così ingenti che postulano la necessità di monopoli od oligopoli e, quindi, impongono la stessa disciplina - monopolio statale - dichiarata legittima con la sentenza di questa Corte n. 59 del 1960.

Al riguardo viene chiarito che lo "studio di produzione" in edificio già esistente può richiedere un impegno finanziario che si aggira intorno ai cinque milioni di lire; gli impianti per la produzione e la diffusione via cavo dei programmi, siano essi in diretta, registrati o filmati, possono costare intorno ai quindici milioni di lire; la gestione di una stazione che produca programmi per la durata giornaliera di circa 90 minuti si aggira sui tre milioni e mezzo di lire mensili; l'installazione di una rete televisiva via cavo ha un costo, per singolo abbonato, che si può definire tra le cinquemila e le diecimila lire.

Si aggiunge che quanto precede è tanto vero che, sull'esempio di Telebiella A 21 TV, nonostante il divieto dell'impugnato art. 195, si erano già impiantate, in varie regioni, oltre 20 stazioni televisive via cavo, nominativamente elencate nella memoria.

Di qui l'inammissibilità e la illegittimità della parificazione della TV via etere a quella la cavo e dell'assoggettamento anche di quest'ultima al monopolio statale sotto tutti i profili prospettati nell'ordinanza di rinvio.

2) Non è del pari esatto che la TV via cavo sia impianto radioelettrico; di qui il denunziato eccesso di delega che, comunque, sussiste palesemente per l'introduzione del testo unico di un nuovo illecito penale.

Nell'interesse del Sacchi s'insiste, pertanto, nel chiedere che venga dichiarata la fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

Anche l'Avvocatura generale dello Stato, in data 13 maggio 1974, ha depositato una memoria con la quale si ribadiscono le già riassunte deduzioni e se ne aggiungono altre due desunte da fatti nuovi sopraggiunti (sentenza 30 aprile 1974 della Corte di giustizia della Comunità europea e l'imminente presentazione alla Camera dei Deputati del disegno di legge concernente «Nuove norme in materia di servizi pubblici radiotelevisivi" approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 aprile 1974). In sostanza, lo schema logico di tali nuove deduzioni è il seguente:

a) L'art. 8, ultimo comma, 1. 28 ottobre 1970 n. 775, delegava al Governo la potestà di raccogliere in testi unici le disposizioni in vigore, concernenti le singole materie «apportando, ove d'uopo, alle stesse le modificazioni ed integrazioni necessarie per il loro coordinamento ed ammodernamento, ai fini di una migliore accessibilità e comprensibilità».

L'avere soppresso la menzione delle telecomunicazioni «ottiche» e compreso nella generalizzata dizione «telecomunicazioni» la televisione via cavo rientra nel concetto di ammodernamento del testo originario e, pertanto, costituisce adempimento e non eccesso della delega.

Né si è creata una nuova figura di reato, essendo state soltanto riprodotte le sanzioni preesistenti.

b) Come risulta dal parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni 9 aprile 1974 n. 476 (in atti depositato), motivato appunto con valutazioni tecniche anche se l'utilizzazione dei cavi per trasmissioni televisive amplierà notevolmente la possibilità di diffondere i relativi programmi, deve evitarsi, come contrario ai principi che regolano l'economicità e l'impiego coordinato dei sistemi di telecomunicazione, la possibilità di consentire la realizzazione di un sistema costituito da una molteplicità di reti, le quali, finendo con l'interessare tutte la medesima utenza potenziale, risulterebbero anche sovrapposte.

Di qui la prospettiva razionale, nell'interesse pubblico, di una estensione della televisione via cavo su base nazionale, che, per l'enorme potenziale dei sistemi, del costo elevatissimo della loro realizzazione, della necessità dello sfruttamento ottimale dei mezzi esistenti e futuri e del diritto di tutti i cittadini di usufruirne, impone che la sua realizzazione e l'esercizio delle relative reti siano effettuati con i criteri adottati per i pubblici servizi di telecomunicazioni, evitando la proliferazione di iniziative isolate e settoriali.

Tutto ciò, che del resto trova conferma nei sistemi adottati nella maggior parte dei Paesi europei (Francia, Germania Federale, Inghilterra, Belgio) implica che anche la TV via cavo vada disciplinata come servizio pubblico d'interesse generale.

Ne consegue la legittimità costituzionale, in riferimento sia all'art. 21, sia agli arti 41 e 43 Cost. in conformità con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.

c) Poiché non possono estendersi in materia le disposizioni sulla stampa viene meno la violazione dell'art. 41 Cost. prospettata sul presupposto di tale estensione.

d) La sentenza 30 aprile 1974 della Corte di giustizia della Comunità europea, emessa sulla domanda di pronunzia pregiudiziale, proposta a norma dell'art. 177 del Trattato Cee, dal Tribunale di Biella nel procedimento penale innanzi ad esso pendente a carico del Sacchi, ha riconosciuto che anche la TV via cavo costituisce servizio essenziale di interesse pubblico.

e) Col disegno di legge concernente "Nuove norme in materia di servizi pubblici radiotelevisivi”, approvato dal Consiglio dei Ministri (del quale è stata depositata copia), si investe il Parlamento della discussione ed approvazione di vaste ed organiche proposte, che attengono sia alla struttura degli organi preposti al servizio, sia al più ampio diritto di accesso all'uso del mezzo radiotelevisivo, sotto la diretta supervisione della Commissione parlamentare di vigilanza opportunamente integrata e potenziata.

All’udienza odierna il rappresentante l'Avvocatura generale dello Stato ha illustrato oralmente le sopra riportate deduzioni, mentre il patrocinio del Sacchi non è intervenuto.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (che ha approvato il "t.u. delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni"), all'art. 1, nell'elencare i servizi che appartengono in esclusiva allo Stato, unifica nella sola voce "telecomunicazioni" tutti i mezzi di comunicazione a distanza che nel precedente testo unico, approvato r.d. 27 febbraio 1936 n. 645, erano specificamente elencati in mezzi telegrafici, telefonici, radioelettrici ed ottici.

In relazione a tale riserva esclusiva, l'articolo 183 del nuovo testo unico statuisce che "nessuno può eseguire od esercitare impianti di telecomunicazioni senza aver ottenuto la relativa concessione" e l’articolo 195 prevede, per chi "stabilisca od eserciti senza la concessione prescritta impianti di telecomunicazioni, l'ammenda da lire 10.000 a lire 100.000 se il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici, l'arresto da tre a sei mesi e l'ammenda da lire 20.000 a lire 200.000 se il fatto riguarda impianti radioelettrici". All'ultimo comma l'art. 195 stabilisce: "Ai fini delle disposizioni del presente articolo, costituiscono impianti radioelettrici anche quelli trasmittenti o ripetitori, sia attivi che passivi, per radioaudizioni o televisione, nonché gli impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi realizzati via cavo o con qualunque altro mezzo".

Come si è riferito in narrativa, il pretore di Biella, nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato del reato preveduto dal citato art. 195 per avere stabilito ed esercitato un impianto di televisione via cavo, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detto art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, in riferimento agli artt. 21, 41, 43, 76 e 77 Cost.

Più precisamente il pretore affermando che, in sostanza, con la denunciata norma, si è esteso il monopolio statale alla TV via cavo, contesta la legittimità costituzionale di tale estensione sotto i seguenti profili:

a) la prescrizione della concessione amministrativa per l'esercizio di impianti televisivi via cavo e le sanzioni penali per il caso di esercizio senza concessione, escludendo la libera manifestazione del pensiero attraverso il mezzo televisivo, sono in contrasto con l'art. 21, comma 1, Cost., che sancisce il diritto di tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, nonché - qualora la televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa - anche con i commi 2 e 3 dello stesso art. 21.

b) giacché i canali realizzabile mediante cavo sono illimitati e di costo non rilevante, l'estensione del monopolio statale alla televisione via cavo, non potendo giustificarsi in base all’esistenza di un monopolio di fatto dovuto a ragioni tecniche, come per la televisione via etere, contrasta con gli artt. 41 e 43 Cost.;

c) con la l. 28 ottobre 1970 n. 775, il Governo era stato delegato a raccogliere in testi unici disposizioni vigenti relative a procedimenti amministrativi, apportandovi le modificazioni e integrazioni necessarie per il loro coordinamento al fine di renderle più accessibili e comprensibili: l'articolo 195 eccede tali limiti poiché, esorbitando dalla delega, include tra gli apparecchi radioelettrici gli impianti di televisione via cavo, che tali non sono, ed estende ad essi una normativa che in precedenza non era applicabile, configurando una nuova ipotesi di reato, in violazione degli artt. 76 e 77 Cost.

In relazione a tali questioni si rileva quanto segue.

2. Nonostante il pretore di Biella abbia indicato nell'art. 195 del d.P.R. n. 156 del 1973 la norma impugnata, dal contesto dell'ordinanza di rimessione si rileva che le questioni di legittimità costituzionale sollevate, investono in via generale la stessa riserva allo Stato dell'impianto e dell'esercizio di apparecchi di televisione via cavo, e cioè l'art. 1 del t.u., nella parte in cui ricomprende la televisione via cavo fra i servizi di telecomunicazioni che appartengono in esclusiva allo Stato e l'art. 183, il quale, anche con riferimento agl'impianti di televisione via cavo, stabilisce che “nessuno può eseguire o esercitare impianti di telecomunicazione senza avere ottenuto la relativa concessione”.

Pertanto, ancorché manchi una specifica denuncia di tali norme, essendo queste implicitamente e univocamente contenute nell'ordinanza di rimessione, questa Corte - in conformità con la sua costante giurisprudenza al riguardo - non può esimersi dall'esaminare le questioni sollevate nella loro effettiva ampiezza.

Ciò premesso, va osservato - anche se nell'ordinanza di rinvio è prospettato per ultimo ed il patrocinio della parte privata ha chiesto che, in ogni caso vengano esaminate anche le altre questioni - che pregiudiziale e, se fondato, assorbente è il denunziato eccesso di delega.

Un tale eccesso, però, non sussiste.

Prima dell'emanazione del d.P.R. n. 156 del 1973, l'art. 1 del r.d. 27 febbraio 1936 n. 645, già riservata allo Stato l'esercizio di tutti gli impianti di telecomunicazioni, che i privati potevano esercitare solo previa concessione amministrativa (art. 166); l'art. 178 (vigente nel testo modificato dall'art. 2 l. 14 marzo 1952 n. 196) puniva penalmente la lesione di tale riserva, coli sanzioni diverse a seconda che il fatto riguardasse o non riguardasse impianti radioelettrici. Il nuovo codice postale, mantenendo all’art. 1 la riserva, non ha innovato la precedente disciplina, limitandosi a dare, con la normativa dettata all'art. 195, una interpretazione autentica di essa, stabilendo - allo scopo di eliminare ogni certezza circa l'applicazione delle sanzioni da esso previste - che tutti gli impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi vanno considerati impianti radioelettrici. Non vi è, quindi, violazione degli ant. 76 e 77 Cost., essendosi il legislatore delegato limitato ad apportare alla normativa già vigente quelle interpretazioni necessarie a renderla più comprensibile, come la legge di delegazione lo aveva autorizzato a fare.

Ugualmente disattese vanno le censure prospettate in riferimento all'art. 21, commi 2 e 3, Cost., nel presupposto che la televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa.

Tale presupposto, infatti, non sussiste, in quanto la stampa presenta caratteristiche peculiari, che ne hanno imposta una specifica disciplina, la quale non può di per sé estendersi ad altri mezzi di espressione e comunicazione del pensiero di diversa natura, tra i quali è da annoverarsi la TV via cavo.

3. Prima di passare all'esame delle altre questioni prospettate con l'ordinanza di rinvio, occorre a questo punto precisare che la differenza pratica di maggior rilievo ai fini del presente giudizio, fra televisione via cavo e televisione via etere, è data dalla limitatezza dei canali realizzabili via etere e dall'illimitatezza dei canali realizzabili via cavo, potendosi questi aumentare indefinitamente moltiplicando il numero dei cavi, com'è pacificamente e universalmente riconosciuto.

In Europa la televisione via cavo non ha avuto finora attuazione e diffusione su vasta scala, essendo ancora allo stato sperimentale ed incominciando a sorgere solo da poco impianti di un qualche interesse. Essa ha avuto, invece, un notevole sviluppo in Giappone e negli Stati Uniti d'America, dove la sua realizzazione è affidata all'iniziativa privata, previa licenza governativa. In entrambi questi Stati l'impiego della televisione via cavo è attualmente limitato all'integrazione della televisione via etere - le cui trasmissioni vengono fatte pervenire via cavo in località lontane o isolate - nonché a trasmissioni autonome a corto raggio, interessanti agglomerati urbani.

E’ di particolare interesse rilevare che negli Stati Uniti, dove è in atto un largo uso della televisione via cavo e tale mezzo di comunicazione si va sviluppando da oltre vent'anni, le reti di televisione via cavo hanno tutte carattere locale e le famiglie da esse servite, alla fine del 1971, non superavano la cifra di 5.900.000 su oltre 200 milioni di abitanti.

L'ordinanza di rinvio e la parte privata, richiamandosi ai principi affermati con la sentenza n. 5 del 1960 di questa Corte, a sostegno della dedotta questione di legittimità costituzionale, pongono appunto in evidenza che, se anche per la televisione via etere permane tuttora il limite derivante dagli accordi internazionali vigenti in materia, è invece possibile realizzare via cavo un numero notevole d'impianti televisivi. Con la conseguenza che per la televisione via cavo non sussisterebbe quel pericolo di costituzione di monopoli od oligopoli privati, di fronte al quale, secondo la citata sentenza, esigenze prevalenti d'interesse pubblico giustificherebbero il monopolio statale.

L'Avvocatura dello Stato, per contro, obietta che il pericolo dell'oligopolio è insito nel costo degli impianti e vi è un interesse pubblico a che la televisione via cavo sia realizzata secondo una prospettiva globale, che eviti dispersione di risorse e "duplicazione" di impianti e comprenda, coordinandoli, tutti i sistemi di telecomunicazione su piano nazionale. A sostegno di tale tesi è stato allegato un parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel quale appunto si afferma l'opportunità di evitare iniziative settoriali, che darebbero luogo ad una proliferazione di reti parziali, financo sovrapposte, con conseguente dispersione di mezzi che andrebbero, invece, convogliati tutti al fine della realizzazione di un'unica rete nazionale, comprensiva della totalità degli impianti di telecomunicazioni e non solo di quelli televisivi.

In relazione a dette affermazioni va rilevato che il costo di un impianto di televisione via cavo, il quale comprenda l'intero territorio nazionale o comunque la massima parte di esso, potrebbe essere talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli d'insorgenza di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione non resti riservata allo Stato ma sia intrapresa da privati.

Pertanto le stesse ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della radiotelevisione via etere giustificano la riserva allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi indicate.

Va peraltro aggiunto che siffatta riserva, per essere costituzionalmente legittima, deve essere accompagnata da una disciplina che, nei sensi richiesti dalla sentenza n. 225 depositata in data di oggi, è essenziale per garantire che la gestione sia indirizzata ai fini in vista dei quali è consentita la sottrazione alla libera iniziativa dei privati. A tale proposito la Corte rinvia alle indicazioni contenute in quella decisione non senza aggiungere che, in relazione alla maggiore disponibilità dei canali di trasmissione, deve essere dato più ampio spazio al diritto di accesso.

4. Diverso discorso deve essere fatto per quanto riguarda l'installazione e l'esercizio di reti radiotelevisive via cavo a raggio limitato che, per la loro dimensione locale, non integrino, nei sensi innanzi detti, quella fattispecie per la quale legittimamente può disporsi la riserva allo Stato.

Invero l'art. 41 Cost. statuisce, al comma 1, che l'iniziativa economica privata è libera. L'art. 43 statuisce che solo a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente allo Stato, a Enti pubblici e a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. L’art. 21, comma 1, statuisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Orbene, gli impianti di televisione via cavo a carattere locale non hanno, entro certi limiti, un costo non sostenibile da singole imprese, come dimostrano l'espe­rienza estera e la stessa modesta esperienza italiana al riguardo. Il che è riconosciuto anche nel sopra menzionato parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel quale si afferma che, in mancanza della riserva allo Stato, in Italia gli impianti di televisione via cavo sarebbero destinati a proliferare, dando luogo ad una pluralità di reti parziali e non, quindi, a situazioni di monopolio od oligopolio.

Di fronte a tale situazione, consegue che va rilevata, limitatamente all'installazione e all'esercizio di reti locali di televisione via cavo, la carenza di quei fini di utilità generale che potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, legittimarne a norma dell'art. 43 Cost. la riserva allo Stato, disposta dall'art. 1 del d.P.R. n. 156 del 1973, ribadita dall'art. 183 e sanzionata penalmente dall'art. 195. Non si vede infatti quale «utilità generale» possa avere, nel nostro ordinamento costituzionale, inibire, comprimendo l'iniziativa privata, la realizzazione di una pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le quali sia più largamente attuata la libertà di manifestazione del pensiero sancita dal comma 1 dell'art. 21 Cost.

Tale "utilità generale" va ulteriormente sottolineato, come non può essere ravvisata nell'esigenza di evitare il pericolo del costituirsi di oligopoli privati - il quale non sussiste e comunque, anche a volere aderire alle opinioni più pessimistiche, non è più grave di quello esistente per la stampa quotidiana e periodica, attività questa che nessuno osa pretendere di riservare allo Stato - così non è neppure ravvisabile nell'opportunità di realizzare il sopra menzionato progetto, tuttora in fase di elaborazione, di organizzare un servizio globale di telecomunicazioni. Lo Stato, infatti, ben può procedere alla sua realizzazione pur senza vietare gli impianti locali privati di televisione via cavo e senza comprimere le libertà garantite dagli artt. 21 e 41 Cost.

Ciò non significa, peraltro, che il legislatore non possa disciplinare con legge la installazione e l'esercizio delle reti private di televisione via cavo, essendo tale installazione od esercizio strettamente collegati ad interessi generali e dovendo perciò essere attuati in armonia e non in contrasto con i suddetti interessi.

Quindi, anche se non sussistono per le reti locali di televisione via cavo - come del resto per la generalità delle attività imprenditoriali - ragioni di "utilità generale" che ne giustifichino una riserva allo Stato, la loro installazione e il loro esercizio possono essere senz'altro legittimamente ed opportunamente disciplinati con legge, in modo da assicurare che, nel rispetto della libertà di manifestazione del pensiero e d'iniziativa economica, siano salvaguardati gli interessi pubblici, che, in varia guisa, possono entrare in gioco.

All'uopo, pertanto, potrà stabilirsi che sia l'installazione sia l'esercizio siano subordinati ad autorizzazione amministrativa, da rilasciarsi ove sussistano le condizioni previste dalla legge.

Naturalmente, quando concorrano tali condizioni, l'autorizzazione è vincolata e non meramente discrezionale, con tutte le conseguenze che tale sua natura comporta nel nostro ordinamento.

5. In conseguenza di quanto fin qui si è detto la riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi via cavo, così come disposta dalle norme impugnate, risulta illegittima per il concorso di due fondamentali motivi: a) perché essa include anche attività che, nei sensi anzidetti, non possono essere sottratte all'iniziativa dei privati; b) perché, nella parte di legittima operatività, essa non soggiace ad una disciplina sufficiente a garantire il raggiungimento dei fini in vista dei quali la Costituzione la consente.

Va dichiarata, in conseguenza, nei sensi di cui in motivazione, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui riserva allo Stato anche l'installazione e l'esercizio di reti locali di televisione via cavo; dell'art. 183 di detto decreto, nella parte in cui vieta l'installazione e l'esercizio di tali reti senza avere previamente ottenuto la relativa concessione; dell'art. 195 di tale decreto, nella parte in cui punisce tale installazione ed esercizio senza la previa concessione.

P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 (col quale è stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative, in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nelle parti relative ai servizi di televisione via cavo.