Conflitti di potere a San Severo nel XVII e XVIII secolo

Durante il ventennio precedente il terremoto entra in crisi l'intesa tra il castello baronale e la curia vescovile nella prospettiva di una riconversione pastorale dell'economia locale la quale  aveva determinato, alla fine del secolo precedente,  l'infeudamento e l'erezione della diocesi. La decisione di Roma nel 1626 di dissodare e fittare le terre ecclesiastiche - decisione che coincideva con gli interessi del clero secolare e regolare nel senso di privilegiare uno sviluppo agricolo del territorio -  sembra segnare una correzione di tendenza alla rigida impostazione armentaria e feudale prevalsa finora. Le stesse vicende collegate alla costruzione del convento dei Cappuccini sono espressive del contrasto tra queste due propettive di sviluppo. Durante la costruzione del convento, voluta dai Di Sangro e dal vescovo, il vescovo muore e il clero locale ne approfitta per togliere la cappella ai frati cappuccini che furono costretti ad andarsene da San Severo; essendosi poi ribellata la popolazione, i frati vennero richiamati ed i lavorio della chiesa ultimati: poichè la costruzione del convento si inquadrava coerentemente all'interno di una prospettiva di sviluppo pastorale (la Chiesa collocata fuori la porta di Apricena in direzione del grande tratturo), il clero recettizio locale si mostra riluttante nei confronti di una espansione armentaria verso Apricena patrocinata dai Di Sangro e dal Vescovo. Questo evento è indicativo della presenza di un clero recettizio (il patrimonio della chiesa recettizia era costituita da beni, censi, decime; si tratta di un clero geloso della propria "roba" e quindi causa di frequenti conflittualità) autorevole ed agguerrito la cui influenza era andata estendendosi durante l'episcopato di Varallo (1606-1615). Quindi i Cappuccini rimanevano a San Severo, ma non era più il vescovo il loro promotore, bensì il ceto borghese ed intellettuale locale col favore del principe ed in prospettiva pastorale, mentre tutto il mondo ecclesiastico, dalla curia alle chiese ricettizie ed ai conventi, prendeva le distanze e si volgeva al dissodamento delle terre e al fitto di esse.

Il terremoto del 1627 impone a questo stato di cose un armistizio (anche se proprio nell'anno del terremoto si colloca il contrasto tra il vescovo Venturi e i Di Sangro riguardo alla sepoltura di Giovan Francesco).

Durante la signoria di Paolo Di Sangro - interessato a controllare il territorio pastorale e l'ambiente della Dogana da Torremaggiore al Subappennino (feudalità aziendale) -  San Severo sembra lasciata all'egemonia ecclesiastica del vescovo e delle chiese recettizie nel loro difficile e delicato rapporto interno. Troviamo ancora conferma che il clero è energicamente al controllo della vita cittadina dai dati emergenti dagli atti della visita pastorale del 1631. E dai dati delle visite pastorali successive (1637 e 1640) condotte dal nuovo vescovo Sacchetti risulta una sorta di ricambio all'interno della classe dirigente locale. Sia dalla documentazione relativa alla visita ad limina del 1645 che dai fatti che lo videro protagonista nel 1647-48, questo vescovo conferma la sua impostazione antifeudale e imprenditoriale coerente con la vigorosa e vitale libertas sanseverese.

Col successore Severoli assistiamo ad un contrasto col clero ricettizio conclusosi con un'ordinanza a questi ultimi favorevole (1651). Il clero ricettizio dovrà gestire anche la novità ecclesiastica della soppressione dei piccoli conventi (1652). Col vescovo Densa (1659) ritroviamo la polemica del suo predecessore Sacchetti contro il clero regolare e le confraternite a vantaggio del clero ricettizio e del potere vescovile. Ma è un potere debole in quanto a dotazione di risorse (manca anche l'episcopio) e che deve vigilare continuamente per non lasciarsi scavalcare e svuotare dal clero ricettizio (si veda la concordia del 1669).

Una energica politica episcopale viene messa in atto dal successore, il vescovo Fortunato. Col vescovo De Matta si compromette definitivamente la coalizione del vescovo col clero secolare: l'istituzione del seminario a cui i capitoli ricettizi rifiutano di far convergere i propri contributi; il controllo della nuova Chiesa di S. Croce al Mercato che vedrà soccombente il vescovo abbandonando il controllo della città al clero ricettizio.

Col nuovo vescovo Giocoli continua la conflittualità col clero recettizio (1714). La resistenza del vescovo si manifesta anche col rilancio dell'organizzazione delle confraternite (Soccorso, Rosario, Grazie) controllata dal clero ricettizio. Intanto va prendendo piede un nuovo elemento che si potrebbe definire di mediazione tra rigorismo episcopale e potere del clero ricettizio: il disegno spirituale e culturale di egemonia cittadina del clero regolare. I Celestini della Trinità rilanciano la loro chiesa (1705 - 1719) nell'atmosfera devozionale mariana coerente col clima di rivitalizzazione delle confraternite mariane.

Alla situazione di complessiva mediocrità in cui versa la diocesi si pone rimedio con la nomina del vescovo Summantico. La sua azione è caratterzzata dal rigorismo tridentino e da modernità sociale (istituzione del monte frumentario; lotta all'usura). Alla funzione dei Celestini va affiancandosi, nel primo ventennio del '700, una borghesia intellettuale e proprietaria le cui origini sono probabilmente nella burocrazia baronale, ma che il rifiorire delle confraternite ha munito ora di uno strumento di organizzazione e di consenso molto efficace. L'episcopato di Summantico si chiude nel clima dello scontro col clero ricettizio (1734).

Succede il vescovo Scalea e a questi Mollo. Egli governerà la città per più di venti anni durante i quali si assisterà all'affermazione di una nuova classe dirigente. Un uomo rappresenta bene la complessità civile e culturale del momento: l'abate dei Celestini Giuseppe Maria Turco. La ristrutturazione urbanistica di cui è autore (nascita del convento-palazzo dei Celestini con la messa in secondo piano delle chiese di S. Severino e S. Nicola) rappresenta bene la volontà dei Celestini di ricoprire quel ruolo d'interpreti della libertas che il clero ricettizio, impegolato nei suoi contrasti, non seppe ricoprire. Ciò è coerente con quel clima di riforme proprio del settecento: la sistemazione di Ripalta oltre a sviluppare le idee degli illuministi napoletani è indicativa dello sviluppo di quel ceto di massari sanseveresi ed il relativo culto devozionale della Madonna del Soccorso nonchè il problema dell'approvvigionamento di grano per la capitale del Regno.

Il vescovo successore Pallante è protagonista, insieme al clero ricettizio, di una lotta contro l'università che pretendeva di esercitare il patronato sulle tre chiese ricettizie e sul monastero delle benedettine.

Il vescovo Farao si pone in termini distensivi verso i proprietari e gli intellettuali che governano le confraternite ortodosse ed hanno strutturato un'autentica classe dirigente (1778).

 

sintesi da: R. Colapietra, Tra potere feudale e clero recettizio, in Studi per una storia di San Severo, San Severo 1989