Carlo I d'Angiò (1266 -1285)

Il papa Clemente IV, il francese Gui Foulques, per sbarazzarsi dei discendenti di Federico II, diede in feudo il Regno di Sicilia a Carlo D'Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX (il Santo).

Carlo D'Angiò venuto in Italia, con un forte esercito, sconfisse e uccise  prima Manfredi, figlio naturale di Federico II, a Benevento e successivamente fece decapitare suo nipote Corradino, dopo averlo sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo.

Carlo, dopo essere stato incoronato, nella basilica Vaticana, il 6 gennaio 1266, sovrano "dell'una e dell'altra Sicilia", prese possesso del regno, stabilendo a Napoli la capitale. Essendo l'Angioino il sovrano prescelto dal papa, Napoli, sempre fedele alla Chiesa, si disponeva ad accoglierlo con tutti gli onori.
Prima di entrare in città , si formò un corteo , aperto dal clero con la Croce, mentre quattro nobili reggevano le redini del cavallo dell'Angioino: seguivano la regina Beatrice e tutto il seguito. I reali dopo essersi inginocchiati davanti alle reliquie dei santi patroni e ringraziare il Signore, presero dimora nel Castel Capuano.

Carlo D'Angiò, rimasto vedovo, si risposò con Margherita di Borgogna, figlia del conte di Nevers e di Tonnerre Eudes. Dalla sua prima moglie Beatrice di Provenza, aveva avuto sette figli: Ludovico, nato a Cipro e morto dopo pochi giorni; il futuro Carlo II, che nel 1271 fu nominato dal padre suo luogotenente per la parte continentale del regno; Filippo, che fu uno dei suoi preferiti, ma morì giovanissimo a Trani nel 1277; Roberto, di cui non si sa molto;  Bianca, che sposò Roberto di Fiandra; Beatrice, che andò sposa a Filippo de Courtenay, figlio primogenito di  Baldovino II, imperatore di Costantinopoli ed Elisabetta, nata nel 1270, che fu data per moglie a Ladislao, figlio primogenito di re Stefano d'Ungheria.

Carlo pur dimostrando molta devozione al papa, era un uomo molto ambizioso e con i matrimoni dei  suoi figli cercò parentele che potessero servire ad accrescere i suoi domini e la sua potenza. I primi quindici anni di regno angioino furono contrassegnati da una incessante lotta contro i ghibellini italiani e da una politica dinastica rivolta verso l'Oriente. Inviò truppe in Albania e assunse il titolo di re d'Albania, partecipò ad una disastrosa Crociata nel 1270, ma riuscì a trarne vantaggi e si fece convalidare il titolo di re di Gerusalemme da papa Giovanni XXI (il portoghese Pietro di Giuliano), che favorì la sua espansione in Oriente. 

Nel 1282 Carlo I si accordò con Venezia per far partire truppe terrestri verso l'impero greco. Pochi giorni dopo però iniziarono a Palermo quei moti che furono chiamati "Vespri Siciliani" che costrinsero l'Angioino a dirottare il suo esercito verso la Sicilia, facendo crollare tutti i suoi piani di conquista. Nel regno di Sicilia il governo oppressivo di Carlo D'Angiò provoca lo scontento della popolazione, anche per la forte pressione fiscale, che vede esentati i nobili i provenzali e gli ecclesiastici. Inoltre i Siciliani non perdonano al re di aver trasferito la capitale da Palermo a Napoli. Le opposizioni interne ed esterne contro Carlo D'Angiò sono all'origine della guerra dei Vespri Siciliani (1282-1302), che prende il nome dell'insurrezione scoppiata a Palermo all'ora del Vespro della Pasqua, forse per l'affronto fatto da alcuni soldati francesi a donne del luogo, ma la ribellione era nell'aria e ne approfittarono i seguaci di   Giovanni da Procida, un docente della scuola medica salernitana che era stato Gran Cancelliere del regno Svevo e medico personale di Federico II, sostenuto ed incoraggiato da Pietro III d'Aragona (marito di Costanza di Svevia figlia di Manfredi), che subito dopo l'ascesa al trono nel 1276 dimostrò l'intenzione di scacciare gli Angioini dalla Sicilia. Uomo di talento e di grande coraggio Giovanni da Procida (Signore dell'isola di Procida era nato a Salerno nel 1210) impiegò circa sei anni per preparare diplomaticamente nel più grande segreto questo colpo di stato, o per lo meno volle attendere pazientemente che maturasse il momento giusto. Pietro III d'Aragona con la scusa di voler preparare una crociata, nonostante le minacce del papa e di re Filippo di Francia, sbarcò a Trapani dove fu accolto a braccia aperte dalla popolazione, già preparata da tempo a questa evenienza. Fu quindi riunito il parlamento che lo acclamò re di Sicilia.

Intanto, sia nelle terre del regno che in quelle del papato, continuavano le ribellioni, nonostante  la scomunica di tutti i nemici di Carlo I, da parte di Papa Martino IV. Carlo d'Angiò, nel tentativo di uscire da questa precaria situazione, giunse ad una proposta, più politica che reale: i due sovrani si sarebbero sfidati a duello, affidando le proprie ragioni al giudizio divino. Il duello doveva avvenire a Bordeaux in presenza del re d'Inghilterra ma il papa, come era ovvio, non approvò lo scontro, per cui tutti questi preparativi sembrarono una messa in scena magistralmente architettata nella speranza di stringere un trattato di pace con gli Aragona con la benedizione del papa, senza perdere molto prestigio. A questo scopo, Carlo I, nominò Vicario del regno suo figlio primogenito Carlo, Principe di Salerno  che insieme al Legato Pontificio ( Cardinale Gerardo),  dovevano concordare la proposta. Il tentativo non andò a buon fine e dopo il finto duello (gli antagonisti fecero in modo di non trovarsi nello stesso tempo sul terreno, così da poter stendere un processo verbale di mancanza della parte avversa), le ostilità  continuavano e l'Aragonese ora spadroneggiava in tutto il regno e minacciava da vicino anche Napoli, ma siccome cominciavano disordini anche a Palermo, Pietro III d'Aragona rientrò in Sicilia. Riunì il parlamento e dichiarò erede dell'isola il suo secondogenito Giacomo, dando così al popolo siciliano l'assicurazione che doveva considerarsi indipendente dai domini spagnoli, che sarebbero andati al primogenito Alfonso. Dopo aver così tranquillizzati  i siciliani se ne tornò in Catalogna, lasciando in Sicilia la moglie Costanza (la figlia di Manfredi poté così riprendersi indirettamente quello che già era suo) con alcuni fedeli ammiragli e funzionari ed assegnò  la Cancelleria a Giovanni da Procida (come abbiamo visto, anche lui fedele ai discendenti Svevi).

Le flotte Aragonesi ed Angioine continuarono a fronteggiarsi nelle acque del mediterraneo e in una battaglia nei pressi di Malta, l'Ammiraglio del re d'Aragona, Ruggero di Lauria distrusse quella Angioina e sulla spinta di questa vittoria riconquistò la Calabria ed occupò le isole di Capri e Ischia, lasciandovi dei presidi.
Questa vittoria fu un'altro duro colpo per il sovrano angioino e l'occupazione delle due isole del golfo destava molta preoccupazione.

Il papa continuava a proteggere il sovrano Angioino e il 21 marzo 1283 dichiarò decaduto dai suoi domini il re Aragonese. Re Carlo aveva l'appoggio di Filippo III di Francia. Re Filippo però, seguendo il consiglio dei vecchi consiglieri di Luigi IX, non mandava aiuti, mentre accettava i regni di Aragona e di Valenza, offertigli all'assemblea di Parigi per il suo secondogenito Carlo Valois. Carlo e i suoi alleati, proclamarono una crociata contro Pietro III, il quale si trovò a dover predisporre contemporaneamente la difesa della Sicilia e del suo paese. Infatti dalla Provenza erano giunte nuove forze, alle quali si erano aggregate quelle che il principe ereditario era riuscito a radunare nell'Italia meridionale e si aspettava una poderosa flotta proveniente dalla Francia, per sferrare un attacco decisivo alla Sicilia. L'Aragonese, ben consigliato, decise di anticiparli e con Ruggero di Lauria si portò con la sua flotta davanti al golfo di Napoli, dove aveva la possibilità di appoggiarsi alle isole. Il 5 giugno del 1284 Ruggero di Lauria cercò di sbarcare a Nisida e verso capo di Posillipo. Il principe di Salerno, nonostante gli si fosse stato consigliato di non impegnare un combattimento vero e proprio finché non fossero giunte le navi Provenzali al comando del padre, non ebbe l'animo di rimanere inerte a guardare il nemico sbarcare nella capitale. Forse non seppe dosare le forze e per di più volle imbarcarsi anch'egli su una delle navi, per dare più coraggio agli uomini che dovevano combattere. Gli Aragonesi avevano fatto solo finta di sbarcare e appena videro che le forze Angioine entravano in azione, si ritirarono verso Castellammare per attirarle in mare aperto. Carlo avrebbe potuto fermarsi, invece preso dalla foga, pensò che il nemico fuggisse e imprudentemente lo seguì. Mentre la flotta napoletana non aveva un vero capo, quella Aragonese era comandata sempre dal prode Ruggero di Lauria, che in breve tempo ne ebbe ragione e fece prigioniero anche il principe ereditario, che fu condotto prima a Sorrento e poi a Messina. Il giorno seguente la battaglia, il 6 luglio del 1284, re Carlo entrava nel golfo di Gaeta con la flotta Provenzale composta da trentaquattro poderose galere e quattro galeoni: entro due giorni quindi, avrebbe potuto raggiungere Napoli.

Alla nuova dolorosa prova, per la cattura del primogenito, Carlo reagì con la consueta forza d'animo. Mostrò sdegno ed ira verso il figlio che aveva trasgredito i suoi ordini e che lo avrebbe preferito morto in battaglia anziché prigioniero. Carlo avrebbe voluto subito  prendersi la sua vendetta conducendo personalmente l'esercito, mentre una flotta composta dalle navi superstiti e da galere che dovevano giungere da Pisa, avrebbero circondato l'isola. Ciò non fu possibile perché nel napoletano, da Gaeta a Caserta, erano in rivolta ed in altre città come Sorrento era sorto un partito Aragonese chiamato anche siculo-catalano, che ostentava le sue simpatie per Ruggero di Lauria. La rivolta minava alle basi la potenza dell'esercito e metteva Carlo in una condizione di continua incertezza.
Sperando che una dimostrazione di indulgenza e la promessa di riabilitazione ai ribelli potesse allentare la tensione, il re cercò di mostrarsi generoso e magnanimo ma i risultati non furono migliori. Con tutto ciò cercò di sbarcare in Sicilia ma fu preceduto dal solito Ammiraglio Ruggero di Lauria, il quale approfittando che la flotta Angioina era stata dispersa da una furiosa tempesta, con le navi traghettò uomini in Calabria. Carlo fu quindi costretto a ripiegare verso la Puglia, accasciato dal dolore e dalle preoccupazioni. Il morale dei soldati era bassissimo e lo stesso pontefice si era disinteressato delle cose di Sicilia.
Carlo I ritenne quindi più prudente interrompere per il momento le operazioni guerresche e rinviarle alla primavera successiva.

Carlo I  l'11 novembre del 1284 riunì il parlamento a Foggia e poco dopo, il 6 gennaio del 1285, sentendosi prossimo alla morte, esausto e sfiduciato, fece testamento designando alla sua successione il nipote Carlo Martello fino a quando il figlio Carlo fosse rimasto prigioniero. Al fianco del principe avrebbe dovuto esserci un Consiglio di Reggenza con a capo Roberto D'Artois, che era stato già nominato Vicario Generale per la Sicilia nel mese di agosto. Durante la prigionia del principe Carlo le contee di Provenza e di Forcalquier, del Maine e di Angiò, erano affidate al re di Francia. Il giorno seguente, il 7 gennaio 1285, Carlo I d'Angiò morì, lasciando il suo regno in una situazione gravissima. Le sue spoglie, trasferite a Napoli, furono sepolte temporaneamente in un loculo della cattedrale, mentre secondo le disposizioni testamentarie: le sue viscere vennero interrate nella cattedrale di Foggia ed il cuore fu inviato a Parigi nella chiesa de' Jacobin e messo all'interno di una statua che gli era stata innalzata, sulla quale fu incisa questa iscrizione: "le coeur du grand Roi Charles qui concuit la Sicile". Carlo II nel 1296 fece dare degna sepoltura alle spoglie del padre in una cappella della cattedrale, insieme al figlio Carlo Martello ed alla moglie Clemenza.