Carlo II (1285 - 1309)

Alla morte di Carlo d'Angiò, l'erede al trono Carlo II lo Zoppo, così chiamato perché un pò claudicante, era sempre prigioniero e si era anche temuto per la sua vita. Il reggente Carlo Martello, suo figlio, non aveva che dodici anni ed in tutto il regno regnava il caos più assoluto. La Calabria e la Basilicata, oltre alla Sicilia, erano nelle mani degli Aragonesi, che mantenevano anche i loro presidi nelle isole del golfo di Napoli. A Napoli la ribellione sedata nel sangue non aveva avuto il crisma di un "Vespro" ma aveva provocato l'odio del popolo per i Francesi. La direzione dello stato ritornò allora nelle mani del papa che riuscì, come vedremo, a salvare il salvabile. Martino IV, che riteneva suo dovere intervenire per difendere queste terre, dopo appena un mese dalla morte di Carlo I inviò delle truppe nel regno per cercare di riportare alla ragione quanti fomentavano tumulti, facendo contemporaneamente da cuscinetto fra gli Angioini e gli Aragonesi, sperando che prima o poi il principe ereditario potesse essere liberato e riprendere possesso del regno. Il papa esercitò una super visione sul reggente e il Legato pretendendo che ogni atto portasse sempre la firma congiunta dei due personaggi. In effetti il cardinale Gerardo e Carlo Martello governarono in un clima molto cordiale.
La morte di Martino IV, avvenuta il 29 marzo del 1285, fece temere un cambiamento di politica verso gli Angioini, ma il defunto aveva preparato il terreno per la successione ed il Conclave scelse come nuovo pontefice il cardinale Giacomo Savelli, anch'egli sostenitore degli Angioini, con il nome di Onorio IV (era nipote di Onorio III).

Lo stesso anno morì anche Pietro III d'Aragona e secondo la sua volontà la Sicilia toccò al figlio minore Giacomo, mentre al primogenito, Alfonso III, andarono l'Aragona la Catalogna e Valenza. Giacomo d'Aragona, incoronato a Palermo il 2 febbraio del 1286, fu subito osteggiato dal clero, che sobillava il popolo contro di lui. Poiché gli Aragonesi non si decidevano a liberare il principe Carlo, Onorio IV  nel marzo 1286 bandì una crociata contro di loro e scomunicò Re Giacomo e la regina Costanza, ingiungendogli di lasciare la Sicilia in quanto la Chiesa li riteneva usurpatori e denunziò l'incoronazione di Giacomo d'Aragona, processando anche i vescovi di Cefalù e di Nicastro che lo avevano consacrato. Probabilmente questa severità aveva solo lo scopo di far liberare il futuro re di Napoli. Infatti qualcosa cominciò a muoversi: fra l'Aragonese e il re prigioniero intercorsero dei negoziati. Giacomo d'Aragona chiedeva in cambio della libertà di Carlo, la Sicilia con le altre isole fra le quali Malta, l'Arcivescovado di Reggio ed il tributo di Tunisi e per stringere meglio questo trattato, la figlia maggiore di Carlo avrebbe sposato Giacomo ed il suo primogenito ne avrebbe sposato la sorella, Violante d'Aragona. Onorio IV disapprovò in pieno questo accordo fra i due sovrani e fece continuare la crociata contro gli Aragonesi, ma questi, nonostante tutto, continuavano ad avere la meglio sugli Angioini. 

Dopo la morte di Onorio IV, avvenuta il 3 Aprile 1287, il momento sembrò favorevole per giungere ad un accordo, chiedendo al re d'Inghilterra Eduardo I di offrirsi come mediatore fra le due parti. Fu così deciso di concedere la libertà provvisoria a Carlo dietro un pagamento di 50 mila marchi d'argento, ma per assicurarsi il mantenimento dei patti, Giacomo d'Aragona chiese in ostaggio tre figli dell'Angioino, Carlo Martello, Ludovico e Roberto e 60 nobili provenzali.
Si intese in questo modo dare a Carlo la possibilità di portare a termine il progetto di pace fra re Giacomo e re Alfonso da un lato, ed il suo regno, Roma e la Francia dall'altra parte. L'Angioino si impegnava sul suo onore, qualora non fosse riuscito a concludere questa pace, a riconsegnarsi nelle mani dell'Aragonese, pena la perdita della Provenza.

Il Sacro Collegio di Roma non approvò queste trattative ed anche la Francia non era favorevole ad alcune clausole, sicché i negoziati furono interrotti e ripresi dopo l'elezione di Niccolò IV, avvenuta il 15 febbraio 1288. Il nuovo pontefice invitò subito il re d'Inghilterra a rendersi promotore della liberazione di Carlo d'Angiò e la clausola fu modificata scambiando gli ostaggi: Raimondo di Berengario per Carlo Martello.

Carlo si recò prima a Parigi, poi a Genova e Firenze e quindi presso il papa a Rieti, dove fu incoronato con il titolo di Carlo II, il  29 maggio del 1289.
Ritornò a Napoli nel mese di luglio, senza alcuna solennità, dopo un'assenza di ben cinque anni.  Il 5 settembre si riunì a Napoli il Parlamento Generale e fu sancito per il giorno 8 la consegna del cingolo militare e l'elezione a cavaliere del primogenito Carlo Martello, in seguito nominato Vicario del Regno.
Poiché Carlo II non riuscì ad ottenere la pace trattata e sperata, si presentò alla frontiera per consegnarsi simbolicamente al re d'Aragona e siccome nessuno lo arrestò, Carlo II dopo aver fatto mettere per iscritto che nessuno gli contestava l'arresto, tornò indietro e denunciò il trattato.

Frattanto morì anche Niccolò IV, il 4 aprile del 1292, e la sede papale rimase vacante. La sua successione fu molto travagliata, perché fra i cardinali vi era chi propendeva per la causa angioina e altri che avrebbero voluto un papa che nel fare le sue scelte non fosse influenzato dagli interessi del regno di Napoli. Per il grande antagonismo esistente fra le famiglie patrizie dei Colonna e degli Orsini  si inserì un terzo incomodo, che non parteggiava ne per i d'Angiò' ne per gli Aragonesi ma unicamente per la Chiesa, questi era il cardinale Benedetto Caetani. Per oltre un anno, cambiando varie sedi, i cardinali non riuscirono a trovare un accordo, allora volle intervenire in conclave Carlo II per perorare la causa del Cardinale Matteo Rosso degli Orsini, protetto di Niccolò IV e suo buon amico, ma Caetani, senza mezzi preamboli gli fece capire che l'elezione del papa non era cosa che riguardasse alcuno al di fuori del Concistoro. Visti i scarsi risultati Carlo II nel tornare a Napoli, pensò di aggirare la situazione, si recò sul Morrone in Abruzzo dove viveva un eremita in fama di santità. Con astuzia il re gli fece scrivere una lettera ai cardinali in conclave perché non s'indugiasse oltre sulla scelta del Pastore della Cristianità. Questa lettera scritta dal dolce e ignaro vecchio,  fu per i cardinali del conclave come un lampo che squarcia le tenebre: Pietro del Morrone, oltre ad essere universalmente rispettato, era molto avanti negli anni, dunque perché non elevare proprio lui al soglio di Pietro, per superare il momento di immobilismo? Questi, candido e innocente, nel suo rifugio montano, era l'ultimo ad immaginare che potesse accadergli una cosa del genere: tuttavia dopo lo sgomento e la sorpresa iniziali, accettò la volontà del Signore, ponendo come condizione di non essere incoronato nello sfarzo di Roma ma tra i suoi monti, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio a l'Aquila. Alla sua incoronazione, Pietro del Morrone, prese il nome di Celestino V  e alla la prima benedizione non mancarono re Carlo II e suo figlio  Carlo Martello, che sollecitarono l'onore di poter far da scorta al nuovo eletto e di potergli dare ospitalità nella loro reggia a Napoli. Il papa accettò e subito dopo l'incoronazione, il corteo che lo accompagnava s'incamminò verso Napoli, dove il Santo Padre giunse cavalcando una mula bianca tenuta per la cavezza dai due Angioini, l'uno a destra e l'altro a sinistra e lo seguiva la sua corte di cardinali. In Castel Nuovo, la reggia Angioina, al pontefice fu assegnato un appartamento regale, ma egli, ricusando ogni onore ed ogni pompa, chiese che gli venisse destinata una umile cella.

Nel suo castello Carlo II poteva farsi ricevere dal pontefice quanto i cardinali, della massima parte Celestino non aveva in gran stima, egli creò anzi nuovi porporati per avere al fianco persone da potersi fidare, ma la sua vita diveniva giorno per giorno sempre più difficile. Tutti, sovrani e porporati, cercavano di ingraziarselo per i loro fini e riuscirono a fargli emanare editti dei quali, nella sua grande bontà, il vecchio non vedeva gli scopi reconditi. Pur nella sua grande semplicità a poco a poco comprese che in realtà l'unico di cui potersi fidare era proprio il duro cardinale Caetani. Sembra che Celestino V a lui si confidasse e gli chiedesse come avrebbe potuto fare per cedere il suo oneroso compito e ritornare alla sua vita di preghiera. Non esisteva una legge che permettesse al pontefice di dimettersi, ma data l'occasione se ne propose una che gli desse questa possibilità e Celestino V, l'approvò e si dimise.

Un conclave immediatamente  riunito in Castel Nuovo prescelse come suo successore proprio il cardinale Caetani, che si era fatto valere per la sua personalità, che prese il nome di Bonifacio VIII. Subito dopo l'incoronazione, Bonifacio VIII,  ringraziando il re di Napoli per la sua ospitalità, gli comunicò la sua decisione di ritrasferire il soglio pontificio a Roma. Il 12 giugno del 1295 Carlo II si recò presso il papa ad Anagni e lì fu conclusa la tanto sospirata pace con Giacomo d'Aragona, che il pontefice pubblicò il 27 giugno. Giacomo consegnava la Sicilia alla Chiesa, avrebbe sposato Bianca d'Angiò, la figlia di re Carlo, e avrebbe rimesso in libertà i suoi fratelli. Il papa si ritenne soddisfatto e concesse la sua amicizia a re Giacomo e alla regina madre Costanza e a tutti i Siciliani.
Le clausole di questo trattato furono rispettate e i figli del sovrano Angioino vennero messi in libertà, ma proprio quando sembrava che il pericolo maggiore fosse passato morì il figlio primogenito di Carlo II, Carlo Martello, per cui fu nominato Vicario generale del regno il terzogenito Roberto d'Angiò che prese il titolo di duca di Calabria. Il papa ne riconobbe il diritto alla successione sul trono di Napoli e in ottemperanza al trattato celebrò poi a Roma il suo matrimonio con Violante d'Aragona, figlia del re Pietro e di Costanza di Svevia.

In Sicilia intanto nacque un dissidio fra Giacomo d'Aragona che ormai era imparentato ed alleato degli angioini e suo fratello Federico d'Aragona che non accettò la soluzione, per cui avendo dalla sua parte il Parlamento, lo riunì a Catania e si fece riconoscere e proclamare re. Il 25 marzo del 1296, si fece incoronare a Palermo. Un altro avvenimento di rilievo, dopo la rottura dei due fratelli,   fu la decisione di Ruggero di Lauria di rimanere con Giacomo d'Aragona, per cui avrebbe difeso anche gli interessi degli Angioini. Per questo  Carlo II volle nominarlo Grande Ammiraglio. Questo valoroso condottiero  in uno scontro con la flotta di Federico presso Milazzo, mandò a picco quasi tutte le galere siciliane e poco mancò che non fosse preso prigioniero anche Federico. Nel 1300 Ruggero di Lauria ebbe la meglio anche in un'altra epica battaglia navale a Ponza contro le galee genovesi e siciliane, catturando anche l'ammiraglio genovese Corrado Doria. Re Carlo II per queste vittorie, il 22 febbraio del 1301,  concesse a Ruggero di Lauria la città di Castellammare.

Il pontefice desiderava che il problema siciliano si risolvesse e si diede incarico a Carlo di Valois ( soprannominato Carlo "senza Terra" in quanto pur essendo figlio, fratello e padre di sovrani non ebbe per sé nessun trono), fratello del re di Francia di riconquistare la Sicilia, con la promessa di poter ereditare l'impero d'Oriente. Dopo le prime vittorie alle dipendenze di Roberto d'Angiò, Carlo II lo autorizzò a trattare la pace con Federico d'Aragona. I preliminari furono esaminati a Castronuovo il 19 agosto del 1302. Il 29 agosto a Caltabellotta, Roberto d'Angiò, quale Vicario del Regno e Federico d'Aragona firmarono il trattato, il quale prevedeva che alla morte di Federico la Sicilia passasse agli Angioini e che l'Aragonese sposasse Eleonora, sorella di Roberto e liberasse Filippo di Taranto insieme ad altri baroni (fatti prigionieri in una precedente battaglia). Questa pace che sembrava decisa con tanta convinzione da ambo le parti, fu invece incrinata poco tempo dopo da un accordo di Federico con il fratello Giacomo per la successione in Sicilia e nella penisola iberica. Nel 1303 furono celebrate le nozze fra Federico ed Eleonora d'Angiò, e l'anno dopo Roberto, che era rimasto vedovo di Violante, e sua sorella Maria, sposarono i figli di Giacomo II d'Aragona Sancio e Sancia.

Nel 1304 quindi la famiglia Angioina aveva stretto saldi legami di parentela sia con gli Aragona di Trinacria, che con quelli di Spagna (la Sicilia sotto gli Aragonesi fu chiamata Trinacria per distinguerla dal regno di Napoli, che era Angioino). Carlo II il 6 marzo del 1308 era in Provenza quando sentendosi malfermo di salute volle dettare il suo testamento. Il 26 aprile si imbarcò per tornare a Napoli. Qui dopo una breve permanenza a Castel Nuovo, volle trasferirsi nella residenza di campagna, che si era fatta costruire nei pressi di Poggioreale, la sua "Casanova", forse sperando che quell'aria potesse giovare alla sua salute, ma vi morì all'alba del 5 maggio.  Nel testamento il re ribadiva la sua volontà che gli succedesse il figlio Roberto. Le sue spoglie furono temporaneamente tumulate nella chiesa di San Domenico Maggiore per essere poi traslate ad Aix in Provenza.