Giovanna II (1414 - 1435)

Ladislao non aveva avuto figli, fu quindi acclamata regina per acclamazione del popolo la sorella Giovanna. La fiera consorte del re, Maria d'Enghien, che poteva opporsi alla successione, fu segregata in Castel dell'Ovo e poi confinata nella contea di Lecce dove morì nel 1446. La regina Giovanna di Durazzo aveva 43 anni quando salì al trono e non aveva nessuna pratica di governo. Vedova di Giovanni d'Austria da cui non aveva avuto figli, non si era risposata.

Per riorganizzare l'esercito che dopo la morte di Ladislao si era sbandato, si rivolse a un guerriero di mestiere: Muzio Attendolo Sforza (nato a Cotignola in provincia di Ravenna, legò parte della sua vita al regno di Napoli, a cui rimase fedele fino alla morte). Giovanna fu invitata a prendersi marito nella speranza di dare un erede al trono e la scelta cadde sul francese Giacomo II di Borbone, conte della Marca, che avrebbe dovuto accontentarsi del titolo di vicario generale del regno e duca di Calabria. Dopo alterne vicende in cui Giacomo tento di impossessarsi della corona,  fu praticamente isolato e tenuto quasi prigioniero in Castel Nuovo. Un nuovo e potente amante era entrato nel cuore di Giovanna II: Giovanni Caracciolo, chiamato comunemente "Sergianni", sposo di Caterina Filangieri, figlia del conte di Avellino. Valoroso guerriero ai tempi di Ladislao. Giacomo della Marca, stanco di essere considerato lo zimbello di corte decise di ritornare in Francia e qui indossò il saio francescano.

Il papa Martino V, avendo appreso che la regina Giovanna tramava contro le volontà della chiesa la scomunicò e in valore del suo diritto sul regno di Napoli, decretò che esso passasse a Luigi III d'Angiò, figlio di Luigi II. Nel 1420 anche Muzio Attendolo Sforza passò dalla parte degli Angioini, creando numerose defezioni fra i baroni nel regno. In questo periodo, dalla parte della regina Giovanna, cominciò a mettersi in vista un altro nobile napoletano Antonio Carafa, soprannominato Malizia per la sua abilità in diplomazia. Egli si recò presso il re d'Aragona per chiedere un suo aiuto contro Luigi III, facendogli intravedere che se la risposta fosse stata positiva la regina di Napoli avrebbe potuto designarlo erede al trono. Quindi mentre Luigi III d'Angiò  aiutato dai Genovesi  sbarca sul lido della Maddalena, il 6 settembre del 1420 arriva a Napoli dalla Sicilia un luogotenente di Alfonso V, Ramon Perilos a capo di una imponente flotta. Gli furono affidati immediatamente Castel Nuovo e Castel dell'Ovo e il popolo sofferente per le continue lotte interne giurò fedeltà ed obbedienza alla regina e al suo figlio adottivo Alfonso d'Aragona, mentre Luigi III d'Angiò e Muzio Attendolo Sforza furono costretti a retrocedere ad Aversa. Secondo le direttive di Alfonso d'Aragona il governo napoletano si accordò con Braccio da Montone dandogli l'Aquila e Capua perché prendesse le difese di Napoli contro lo Sforza. Braccio da Montone partito da Perugia giunse a due miglia da Napoli per attendere l'arrivo di Alfonso V. Nella primavera del 1421 decise di attaccare e dopo aver sbaragliato le truppe dello Sforza, il 7 giugno dello stesso anno entrò trionfalmente a Napoli. Per questa vittoria fu ricompensato con il possesso di Castellammare e di Scafati. A Napoli Braccio da Montone scortò il giovane re spagnolo Alfonso d'Aragona, il quale dopo essere stato ricevuto con tutti gli onori dai deputati del popolo si recò a Castel Nuovo dove era atteso dalla regina. Qui fu trascritto l'atto di adozione che gli assicurava la successione al trono.
La guerra fra angioini e aragonesi ebbe una tregua su proposta di Firenze e del papa, durante la quale vi fu un avvicinamento tra i due condottieri (Braccio da Montone e Muzio Attendolo Sforza), Braccio da Montone riuscì a convincere Muzio Attendolo Sforza a rimettersi agli ordini di Giovanna II, tanto più che la posizione degli Angioini era divenuta piuttosto precaria. Lo Sforza fu nominato nuovamente Gran Conestabile, mentre Braccio da Montone ebbe il governo degli Abruzzi.

L'alleanza fra Giovanna II e Alfonso V d'Aragona nel 1422 andò in crisi a causa delle pretese di Sergianni Caracciolo che non voleva rinunziare a spadroneggiare. L'aragonese a sua volta deciso a non sopportare che gli si mettessero bastoni fra le ruote, convocò a Castel Nuovo il favorito della regina e lo fece dichiarare in arresto, subito dopo si recò a Castel Capuano per arrestare anche Giovanna, ma questa informata dell'intenzione del figlio adottivo riuscì a non farlo entrare nel castello: il popolo venuto a conoscenza di queste manovre, insorse contro Alfonso ed il suo seguito e fu costretto a rinchiudersi in Castel Nuovo. Muzio Attendolo Sforza, riuscito ad entrare in Castel Capuano prese sotto la sua protezione la regina e la scortò ad Aversa. I Catalani impossessatisi anche di Castel Capuano rimasero padroni della città. Sergianni riuscì ad ottenere la libertà in cambio di venti nobili spagnoli   prigionieri dello Sforza e indusse la regina a revocare l'adozione, che rendeva Alfonso V erede al trono, e la convinse a cercare un accordo con Luigi III d'Angiò.  Giovanna di Durazzo quindi il 14 settembre del 1423 adottò l'angioino e il nuovo erede prese stanza nel castello di Aversa. Alfonso V, non si fece impressionare e riprese contatto con Braccio di Montone, invitandolo a venire in suo aiuto, mentre i suoi cavalieri si univano ai fanti del condottiero napoletano Jacopo Caldora. Lo Sforza con il figlio Francesco invece cercarono di avvicinarsi a Napoli sfruttando il fatto che Alfonso V dovette ripartire per la Spagna perché i suoi possedimenti erano minacciati dal sovrano di Castiglia, suo cognato. A Napoli rimase come  luogotenente di Alfonso V,  il fratello Pietro, con l'appoggio del Coldora.

Si preparavano grandi scontri, ancora una volta i due famosi condottieri (Braccio da Montone e Sforza), si ritrovarono in campo avverso. Si era nel 1424 e il 4 gennaio morì Muzio Attendolo Sforza, annegato nell'attraversare un ruscello. Che venne subito sostituito da suo figlio Francesco. Il 5 giugno 1424 morì anche Braccio da Montone, in seguito ad una ferita subita in battaglia in Abruzzo.  Il giovane Sforza riuscì a far rientrare la regina a Napoli e l'infante Pietro d'Aragona decise di tornarsene in Sicilia.  Dopo la partenza di Alfonso V, Sergianni riuscì a mettere le cose in modo da avere il governo completamente nelle sue mani, barcamenandosi fra l'uno e l'altro dei pretendenti. Si fece concedere il ducato di Venosa e la città di Capua e concluse vantaggiosi matrimoni per i suoi figli dando una sua figliola in moglie ad un figlio di Jacopo Caldora (diventato nel frattempo Capitano Generale dell'esercito napoletano), ed un'altra al fratello del principe di Taranto, che era stato uno dei fautori di Alfonso d'Aragona.

Nel 1431 a Martino V successe Eugenio IV, l'agostiniano Gabriele Condulmer di Venezia, nipote di Gregorio XII. Il nuovo pontefice fece subito capire di non approvare i maneggi del favorito della regina.  L'ostilità di Eugenio IV verso Sergianni fece prendere coraggio ad un gruppo di cortigiani, ( la duchessa di Sessa, Covella Ruffo, Ottino Caracciolo, il giureconsulto Marino Boffa e i fratelli Mormile) che già da tempo cercavano un'occasione per potersi liberare di lui, poiché anche la stessa regina era stanca dei ricatti e delle angherie a cui la sottoponeva il suo amico.  Durante i festeggiamenti per il matrimonio del suo unico figlio maschio, Trojano, con una figlia del Caldora,  per rinforzare la sua posizione, i congiurati entrarono in azione.  La notte del 19 agosto del 1432, bussarono alla porta dell'appartamento di Sergianni in Castel Capuano, comunicandogli di accorrere perché la sovrana stava morendo. Appena fuori fu immediatamente assassinato a colpi di spada. Questo assassinio, anche se non ebbe il benestare preventivo della regina, ebbe senz'altro la sua approvazione. I congiurati non furono puniti ed anzi furono confiscati agli eredi i feudi che la regina aveva donato a Sergianni e fu persino istruito un processo di lesa maestà alla sua memoria che terminò con la condanna a morte per tradimento. La vedova di Sergianni, Caterina Filangieri, ebbe un indennizzo per la confisca dei feudi.

Dopo la morte del Gran Siniscalco, la duchessa di Sessa divenne arbitra dei destini del regno, per la grande influenza che aveva sulla debole e inetta regina Giovanna. Ella convinse Giovanna a lasciare Luigi III d'Angiò in Calabria anzichè chiamarlo nella capitale.  Ma quando, dopo qualche tempo, la regina cambiò ancora la designazione dell'erede, revocando Luigi III a favore di Alfonso V d'Aragona, poiché questo sconvolgeva i suoi interessi, la spinse nuovamente a revocare l'Aragonese a favore di Luigi d'Angiò.  Nel mese di novembre del 1434  Luigi III d'Angiò era ancora in Calabria ed era in procinto di sposare Margherita di Savoia, quando inaspettatamente morì.  Nel febbraio del 1435 morì anche Giovanna di Durazzo, dopo aver mutato per l'ennesima volta il suo testamento, riconoscendo come erede il fratello di Luigi, Renato d'Angiò.

La morte della regina Giovanna lasciava il regno nella più completa anarchia, conteso fra il pretendente angioino e quello aragonese.  Renato d'Angiò, quando morì Giovanna, aveva soltanto 26 anni e si trovava nelle prigioni del duca di Borgogna, per un fallito tentativo di impossessarsi di quel ducato, avendo sposato  Isabella, la figlia del duca di Lorena.

In attesa di chiarire la situazione il regno venne governato provvisoriamente da un consiglio composto da 18 rappresentanti 10 nobili e otto del popolo, che durò molto poco per gli opposti interessi dei componenti il consiglio, per cui  nobili presero contatti con gli aragonesi e quelli del popolo con Isabella di Lorena, invitandola a prendere la reggenza in attesa della liberazione di Renato d'Angiò.  Isabella di Lorena giunse a Gaeta nell'ottobre del 1435 e di lì proseguì per Napoli, accolta trionfalmente il 25 ottobre 1435.  Prese residenza in Castel Capuano e ricevette il giuramento di fedeltà.  La reggenza di Isabella durò dall'ottobre 1435 al maggio 1438.  Il 4 ottobre del 1437 i nobili napoletani giurarono fedeltà a Renato d'Angiò, finalmente liberato dietro il pagamento di un pesante riscatto.  Il re sbarco a Napoli al ponte della Maddalena e si diresse a Castel Capuano, rimandando al 22 maggio del 1438, giorno dell'Ascensione, il suo ingresso trionfale nella capitale.  Il suo regno fu molto breve dal maggio 1438 al giugno 1442, ma il giovane sovrano riuscì a conquistarsi subito le simpatie dei suoi sudditi. Intanto Alfonso d'Aragona si avvicinava a Napoli, dopo aver conquistata Caserta e riconquistata Scafati, guerreggiando in tutto il regno con gli Angioini con alterne fortune.  Renato d'Angiò, sempre oberato di debiti, non riusciva più a mantenere le truppe dei condottieri: Francesco Sforza andò a combattere in Lombardia e inutilmente Renato tentò di ricevere il suo aiuto dopo un ennesimo assedio da parte di Alfonso V, che intanto era riuscito ad accaparrarsi i servigi di Niccolò Piccinini, rivale dello Sforza. La mattina del 2 giugno del 1442 le truppe aragonesi riuscirono ad entrare in città. Renato dopo aver tentato un'ultima difesa della città si trincerò in Castel Nuovo con pochi uomini che gli erano rimasti fedeli. Ottenne poi una tregua di 10 giorni, col patto che allo scadere avrebbe consegnato anche gli altri castelli.  I napoletani stremati dall'assedio e dalla carestia non opposero resistenza ed attesero passivamente i nuovi dominatori. Il 4 giugno 1442 Alfonso V d'Aragona ricevette l'omaggio dei sudditi in cattedrale e poi prese possesso di Castel Nuovo, che Renato aveva affidato ad un genovese, con l'autorizzazione di cederlo al nemico. Così finisce il regno angioino su Napoli.