Nel 1848 San Severo contava 16.048 abitanti. La borghesia terriera che era riuscita ad accentrare nelle sue mani gran parte del demanio comunale e che deteneva il potere politico ed economico della città, si schierò su posizioni moderate.  Questi contenti del loro stato, rispettosi delle leggi erano poco amanti delle novità: la loro principale preoccupazione era quella di mantenere la loro posizione di privilegio e perciò esigevano dalla costituzione una più decisa autonomia delle amministrazioni locali onde poter resistere alle pressioni dei contadini che, a loro volta, dal regime costituzionale si attendevano un miglioramento del tenore di vita e intendevano attuare il "comunismo" inteso come spinta all'occupazione e alla ripartizione delle terre dei demani e dei latifondi. Fu proprio il pericolo costituito dalle possibili rivendicazioni dei contadini a mettere momentaneamente da parte le lotte tra i proprietari per far fronte comune contro ogni evenienza.

Con l'abolizione definitiva della Costituzione il 13 marzo 1849, ci fu un graduale ritorno all'antico stato di cose. A San Severo i galantuomini che nel frattempo da liberali erano tornati fedeli sudditi borbonici, si sentirono più tranquilli e gli esponenti delle famiglie più in vista, approfittando del clima di tensione in cui si viveva, ripresero la lotta per il potere nella città.

In questo contesto vanno inseriti due processi a carico di cittadini di San Severo celebrati presso la Gran Corte criminale di Lucera dopo gli avvenimenti del 1848. Processi diversi nelle sentenze, ma entrambi originati da vecchie ruggini esistenti, sempre per questioni di prestigio e di supremazia nell'ambito cittadino, tra gruppi della locale borghesia terriera.

Il primo contro il sindaco Paolo del Sordo ed altri accusati di aver costituito un comitato, prima del 15 maggio 1848, avente per fine la cospirazione e quindi il rovesciamento della monarchia borbonica. In realtà le riunioni di questo comitato erano finalizzate a "frenare la bassa gente nel caso avesse preteso il comunismo e discutere dei bisogni della città e del distretto per farne rappresentanza alle camere". Il processo si concluse con sentenza favorevole agli imputati.

Il secondo contro Vincenzo Cavalli. Già figura di spicco della Carboneria locale, agli inizi del '48 aderì al programma radicale che chiedeva alla costituente una maggiore rappresentatività popolare, una più diretta gestione del potere a parte del popolo. Dopo la concessione della Costituzione, Cavalli intensificò l'azione politica. Durante la successiva reazione borbonica, Cavalli dovette pagare la sua esposizione dei mesi precedenti il marzo '49: un suo nemico, Leonardo Fraccacreta, sottoscrisse una denuncia  da cui conseguì un ordine di arresto. Dopo un periodo di latitanza, Cavalli venne arrestato il 21 dicembre 1850 con l'accusa di "affissione di scritti stampati e discorsi tenuti in luoghi pubblici aventi per oggetto di far cambiare la forma di governo" (si fa riferimento all'affissione in città, nell'aprile del '48, di manifesti inneggianti alla rivolta calabrese successiva ai fatti del 15 maggio). Venne condannato il 5 luglio 1851 a 19 anni di carcere. Morì il 17 ottobre 1855.

sintesi da: G. Clemente, Momenti e figure dell'Ottocento a San Severo, in Studi per una storia di San Severo, San Severo 1989