Durante il periodo della reggenza ed in quello successivo, fu principalmente il Tanucci ad avere in mano le redini del Regno ed a continuare le riforme iniziate in età carolina. In campo giuridico, molti progressi furono resi possibili dall' appoggio dato al ministro Tanucci da Gaetano Filangieri, il quale, con la sua opera "Scienza della legislazione" (iniziata nel 1777), può essere considerato tra i precursori del diritto moderno.

Nel 1768 Ferdinando sposò Maria Carolina, figlia dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa e sorella della regina di Francia Maria Antonietta. La nuova regina partecipò attivamente, a differenza del marito, al governo del regno. Gli unici campi, infatti, in cui Ferdinando si impegnò personalmente furono le opere pubbliche, i rapporti con la chiesa e la realizzazione della colonia di San Leucio, interessante esperimento di legislazione sociale e di sviluppo manifatturiero.

Nei primi anni di regno, Maria Carolina si mostrò sensibile alle istanze di rinnovamento e moderatamente favorevole alla promozione delle libertà individuali. Tale tendenza subì, però, una brusca inversione di rotta all'approssimarsi della Rivoluzione Francese e sfociò nella repressione alla notizia della decapitazione dei regnanti francesi. Le misure repressive portarono ad un insanabile frattura tra la monarchia e la fervida classe intellettuale; le pene colpirono non solo i democratici, ma anche i riformisti di sicura fede monarchica che così non esitarono ad abbracciare la causa repubblicana nel 1799.

I Francesi erano già entrati in Italia con Napoleone Bonaparte nel 1796, che era riuscito facilmente ad aver ragione delle armate austriache e dei deboli governi locali. Praticamente ovunque l'avanzata delle truppe francesi portò comunque a forti tensioni tra le fazioni giacobine e quelle antigiacobine e, in alcuni casi, anche a veri e propri movimenti di rivolta popolare contro le truppe d'occupazione francesi. Nel 1798 i francesi occuparono Roma; un intervento di contrasto delle truppe del Regno delle Due Sicilie si risolse in un insuccesso e così i Francesi si trovarono la strada aperta verso Napoli. Il 22 dicembre 1798 il Re in fuga abbandonò Napoli per Palermo, lasciando la città praticamente indifesa; gli unici ad opporsi alle truppe francesi (dal 13 al 23 gennaio 1799) furono i cosiddetti lazzari. La resistenza fu efficace, come riconobbe lo stesso generale francese Championnet, ma inutile. I difensori furono addirittura bombardati dagli stessi giacobini napoletani che erano riusciti a prendere il forte di Castel Sant'Elmo. La difesa della città costò la vita a circa 8000 napoletani e 1000 francesi.

Il 22 gennaio 1799 (per alcuni il 21), mentre i lazzari ancora combattevano contro gli invasori francesi un pugno di giacobini napoletani, tra i quali: Mario Pagano, Domenico Cirillo, Nicola Fasulo, Carlo Lauberg, Giuseppe Logoteta, rinchiusi in Castel Sant'Elmo, proclamarono la repubblica. La Repubblica Napoletana non ebbe lunga vita, mancò infatti l'adesione popolare (a Napoli, a differenza che in Francia, non esisteva un nutrito ceto borghese al quale le riforme rivoluzionarie potessero giovare) e quella delle province non occupate dall'esercito francese. Si trattava in realtà di un governo a sovranità limitata controllato dai francesi (e che non venne riconosciuto neanche dalla stessa Francia) e da questi utilizzato per dare una veste giuridica alla loro occupazione del regno e cosí spogliare il Paese di buona parte delle sue ricchezze. Il governo tentò delle innovazioni (soprattutto sull'eversione della feudalità e sull'ordinamento giudiziario) che però non riuscirono a trovare pratica attuazione nei soli cinque mesi di governo repubblicano. A nulla servirono gli incitamenti ad operare celermente provenienti dal "Monitore Napoletano", il giornale diretto da Eleonora Pimentel Fonseca (che solo qualche anno prima aveva scritto una "ode" dedicata al Re di Napoli). A questo si aggiunse una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che certo non aiutò a conquistare le simpatie popolari (durante i pochi mesi della repubblica vennero condannati a morte e fucilati dopo processi politici 1563 cittadini napoletani).

Il 13 giugno 1799 l'armata Sanfedista e popolare, comandata dal cardinale  Fabrizio Ruffo, riconquistò la città di Napoli (che nel frattempo era stata già abbandonata dai francesi, il 7 maggio, richiamati nel settentrione d'Italia) restituendola alla monarchia borbonica (regnante, durante la Repubblica, sulla sola Sicilia). Nei mesi seguenti, una giunta nominata da Ferdinando cominciò i processi contro i repubblicani: su circa 8000 prigionieri, 105 vennero condannati a morte, di cui 6 graziati, 222 all'ergastolo, 322 a pene minori, 288 a deportazione e 67 all'esilio, da cui molti tornarono, tutti gli altri furono liberati.

Il successivo quinquennio vede il Regno seguire una politica altalenante nei confronti della Francia napoleonica che, per quanto ormai egemone sul continente, rimane sostanzialmente sulla difensiva sui mari: questa situazione non consente al Regno napoletano - strategicamente posizionato nel Mediterraneo - di mantenere una stretta neutralità nel conflitto a tutto campo fra Inglesi e Francesi.
Dopo la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805, Napoleone regolerà definitivamente i conti con Napoli dichiarando decaduta la dinastia borbonica e nominando suo fratello Giuseppe Bonaparte Re di Napoli.

Ferdinando, rifugiatosi in Sicilia, dovrà ben presto fare i conti con l'insidiosa politica britannica, volta a trasformare l'isola in un protettorato (come nel frattempo avvenuto con Malta, già sotto sovranità siciliana). A Giuseppe Bonaparte, nel 1808 destinato a regnare sulla Spagna (per un gioco del caso, al posto del fratello di Ferdinando, Carlo IV), succederà Gioacchino Murat, regnante sino al maggio 1815. La lotta alla feudalità, ripresa in questo periodo con gran vigore, portò ad un taglio netto col passato ed alla nascita della proprietà borghese. Tuttavia le riforme non riuscirono a raggiungere il loro obiettivo principale: far nascere una piccola e media proprietà contadina. La fine della feudalità portò a notevoli progressi anche in campo giurisdizionale ed amministrativo.

Il secondo ritorno di Ferdinando a Napoli non fu caratterizzato da repressioni. Il sovrano aderì a gran parte delle riforme attuate dai francesi (fu però, ad esempio, abolito il divorzio), ponendosi di fatto così a capo di una più moderna monarchia amministrativa. Unico taglio di rilievo con il periodo napoleonico si ebbe nei rapporti con la chiesa, che tornò ad occupare un ruolo di primo piano nella vita civile del Regno.

Dopo il Congresso di Vienna, l'8 dicembre 1816, Ferdinando IV riunì anche formalmente i regni di Napoli e Sicilia con la denominazione di Regno delle Due Sicilie (già adottata da Murat), abbandonando per sé il nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia ed assumendo quello di Ferdinando I delle Due Sicilie. Tale atto ebbe, tra l'altro, la conseguenza di privare di fatto la Sicilia della Costituzione promulgata dallo stesso Ferdinando nel precedente decennio napoleonico sotto la spinta dell'occupazione inglese dell'isola. In contropartita, però, la più moderna legislazione, introdotta a Napoli durante il Decennio Francese, fu estesa all'isola che era uno dei pochi territori europei, unitamente all'Inghilterra, che non era stata occupata dalle Armate francesi.

Il primo luglio 1820, alla notizia che in Spagna era stata ripristinata la Costituzione concessa nel 1812 da Giuseppe Bonaparte, insorse a Nola un gruppo di militari capeggiato dai sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati. La rivolta fu appoggiata anche da alti ufficiali tra i quali si distinse il generale Guglielmo Pepe.
Ferdinando, constatata l'impossibilità di soffocare la rivolta, concesse la Costituzione spagnola e nominò suo vicario il figlio Francesco. Il primo ottobre iniziò i lavori il parlamento, eletto alla fine di agosto, nel quale prevalevano gli ideali borghesi diffusi nel decennio francese. Tra gli atti del parlamento: la riorganizzazione delle amministrazioni provinciali e comunali ed un provvedimento sulla libertà di stampa e di culto. Le novità introdotte nelle Due Sicilie non furono gradite dai governi delle grandi potenze europee che convocarono Ferdinando a Lubiana. Alla partenza del re si oppose, tra gli altri, il principe ereditario Francesco.

In seguito al Congresso di Lubiana il Regno fu invaso dalle truppe austriache che nel marzo 1821 sconfissero l'esercito costituzionale napoletano comandato dal generale Pepe. A fiaccare lo spirito combattivo dell'esercito duosiciliano valse anche un proclama del re Ferdinando che, al seguito degli Austriaci, invitava a deporre le armi e a non combattere coloro che venivano a ristabilire l'ordine nel Regno. Il 23 marzo 1821 Napoli venne occupata, la costituzione venne sospesa e cominciarono le repressioni: si contarono alla fine 30 condanne a morte (tra cui Pepe, Morelli, Silvati e Carascosa) e 13 ergastoli.

Ferdinando muore nel gennaio del 1825.