I. Già turbava la quiete de’ principi e delle genti la cominciata rivoluzione di Francia; e già con ali agili e preste, valicate le Alpi, batteva alla porta della impaurita reggia di Napoli. Moti politici in Sansevero preparavansi, e Crescenzio de Ambrosio avea presi accordi con tutti gli amici delle nuove cose nelle provincie di Molise, di Avellino, di Bari e di Lecce. E i de Ambrosio e i Galiani loro congiunti aprirono le case loro a geniali convegni serali, ove intervenivano quanti si asserivano teneri del progresso.

Ma quei convegni, nuovi per Sansevero, parvero strani a molti non ammessi o dominati da volgari pregiudizi; e più parvero strani quando la lieta brigata fece una serenata sotto alle ferrate finestre delle suore benedettine invitandole a non obliare lor diritti nelle romite celle. Cantore della ballata fu Antonio Santelli, il quale disposò la sua bella voce di tenore agli accordi della chitarra francese; istrumento nuovo a Sansevero, ove altri non si conosceano, ed è bene tenerne ricordo, se non la chitarra battente, il liuto, il mandolino, il salterio, il cembalo e gli strumenti da fiato.

 

II. Con questi inizi i congiurati, avendo a capo i de Ambrosio, i’ Galiani, i Santelli, riunitisi agli 8 febbraio 1799, ed accompagnati da’ delegati de’ vicini paesi eressero nella piazza della Trinità ed innanzi al palazzo municipale, attualmente teatro, l’Albero della libertà, emblema allora di reggimento repubblicano. Servi un alto cipresso che fu ‘svelto nel giardino dei Cappuccini; e l’albero coltivato dal1’ umile frate segnò l’abbattimento di una barracca, che il principe di Sangro tenea pel riscuotimento de’ diritti feudali; la quale più non dovea rialzarsi, perciocchè a’ 2 agosto 1806  fu da Giuseppe Napoleone promulgata la legge abolitiva della feudalità.

Era il terzo dì delle feste della repubblica, nelle quali prendevano parte uomini e donne, benchè non use a mostrarsi volentieri in pubblico: regge va governo comunale provisorio; pareva esservi concordia di doveri, e di diritti. Ma per ubbie cittadine ed affetto al vecchio regime si fece credere al popolo, che in quel giorno sarebbero state convocate tutte le giovanette del paese sotto l’Albero della libertà, e intorno ad esso avrebbero avuto luogo danze sfrenate abbracciameati e nozze. E si aggiungea che a’ repubblicani connubi auspice sarebbe stata la statua della Santa Vergine, all’ uopo preparata da Vincenzo Faralla, noto per ricchezze nella regione, il quale sventuratamente tenea in sua casa il simulacro della Madonna.

Le perfidi insinuazioni infiammarono d’ira la plebe, e sommossa da Nicolò e Vincenzo Matteo Russo, soli istigatori apparenti di quelle voci, insorse in armi; ed abbattuto l’Albero della libertà trascinò a morte i principali partegiani della repubblica. Così furono trucidati Antonio e Giovanni Santelli;  Crescenzio, Carlo ed Ambrogio de Ambrosio; Vincenzo e Raimondo Galiani; Vincenzo Faralla, ed alcun altro di minor nota. Nel fosso in cui. era stato impiantato l’Albero della libertà furon messi i capi degli uccisi, e sopra si posò una grossa pietra col venerato segno della Croce, il quale è non di rado la bandiera che covre la cattiva merce.

Essi caddero per la  libertà  della patria; e non una la­pide ricorda il loro nome. Votata dal municipio tre anni dietro, si ebbe la solita sorte de’ pensieri generosi. Atene a’ suoi migliori promettea monumenti, Roma le corone, Maometto gli  amplesssi delle Uri: Sparta nulla. Trecento cadono alle  Termopoli: essa vi colloca nuda pietra, scolpendovi: Hanno fatto il loro dovere; e così sia de’ patrioti sanseveresi morti a’ 10 febbraio 1799: ma non è men glorioso chi soccombe per via , di chi arriva lottando alla meta.

Botta nella storia d’Italia scrive, che i Sanseveresi uccisero anche il vescovo; ma era vescovo della diocesi Gian Gaetano del Muscio, dotto e filantropo, il quale campò la vita nascondendosi in umile casa di contadini insieme al frate minorita Michelangelo Manicone autore della Fisica Appula, anch’egli ricercato per la eccellenza dell’ingegno. Monsignor del Muscio per questi casi piacquesi indi dell’arcivescovado di Manfredonia, e morì in Napoli nel 1808 .

Nè i tristi contentaronsi di quegli eccidi, ma irruppero nelle case degli uccisi dandovi il sacco, che si proseguì in quante altre erano civili e ricche, e nello stesso episcopio. Ed in casa Faralla non si scordarono della statua della Madonna, la quale dovea presedere a’ republicani connubi: infame pretesto di ire tanto sfrenate, di strazi tanto crudeli, di latrocini tanto violenti, di uccisioni tanto disumane.

 

III. Gli atroci fatti avvenivano in Sansevero, quando in vari punti dello stato avean luogo ribellioni ed armamenti e levavansi torme di tristi, che andando in scorreria con motivo di. fede allo antico re, arricchivano di bottino e di spoglio; e già grosse stavano nella Puglia. Laonde una squadra di Francesi mosse per la Puglia; e il generale Duhesme fu eletto capo di quella schiera, che numerava 6000 soldati., Troia, Lucera e Bovino, deposte le armi, si dettero in podestà de’ repubblicani: Manfredonia, che tenea per’ la repubblica, fu rianimata; Foggia, città amica, accolse festivamente i Francesi. E da Foggia Duhesme preparò gli assalti a Sansevero, accelerandoli in ‘nome della umanità e della libertà i giovani Giovanni de Ambrosio e Colomba Galiani , colà accorsi per sostenere gli ordini repubblicani a Sansevero.

All’alba del 25 febbraio la squadra francese apparve nelle vicine campagne; e vani furono i consigli, per indurre il popolo a prudente  proposito; chè  vollesi  uscire in armi alla resistenza fuori le porte di Lùcera e di Foggia, animosamente guerreggiando.            

Accorse in aiuto per la via di Lucera altra squadra francese comandata dal generale La Forest, mentre Duhesme assaltò in gran giro la città con arti nuove a’ difensori; e così finì la’ guerra e cominciò la strage e la rapina durate per tre giorni. Strage d’inermi, di donne, di fanciulli, e la città messa a ruba ed a sacco: erano soldati francesi che vendicavano la morte de’ patrioti_sanseveresi del 20 febbraio e gli oltragi alla libertà, ma la liberta rifiutò il contaminato olocausto. Era intenzione dì Duhesme di ardere Sansevero, nel che avea anche per confortatore il conté di Ruvo’; ma allo spettacolo miserando di una moltitudine di donne e di fanciulli in abito squallido’ e lugubre, venuti a chiedere umilmente ed instantemente al vincitore la vita de’padri; de’ mariti, de’ figliuoli loro, con pietà nuova si comandò che cessassero. le ferite e le morti, anco perché era Sansevero terra grossa e fiorente.

 

Dal cap. XXV di De Ambrosio, La città di Sansevero memorie storiche, Napoli 1875