" Per quattro giorni avanti del terremoto si vidde una quiete d'aria grandissima,  che non spiravano venti, nemmeno una minima aura, ed i caldi erano eccessivi, e quasi insopportabili. Il sole tanto al nascere, quanto al tramontare, si vede carico di vapori grossi, in maniera,  che facilmente senza offensione vi si poteva fissare gli occhi; e il giorno del terremoto fu assai maggiore il caldo, la  quiete e l'adombramento dei vapori attorno al sole.

Cominciarono ad udirsi, ma leggermente, i terremoti sin dall'anno precedente 1626, in ottobre, novembre e dicembre; in gennaio del '27, in febbraio, in marzo ed aprile: non s'udirono poi il maggio, e il giugno, sino a' 30 di luglio. E più di venti giorni prima fu una grandissima pioggia nella Puglia, e maggiore nelle nostre parti, che, ancorché fusse di mezza està, si vedevano le campagne piene di acque, che da lungi parevano laghi, e paludi, a cui poi seguirono caldi eccessivi.

A 27 di luglio, tre giorni precedenti, fu l'ecclissi della luna, che si oscurò tutta l'orbita, e dal principio dell'oscurazione sino alla fine vi passarono sei ore.

Si guastarono le acque de' pozzi e, con maraviglia e stupore di chi le gustava, davano odore sulfureo, e grave. E il giovedì, giorno precedente, si udirono molti lampi a guisa di tuoni occupati sotto alla terra; e specialmente l'udirono alcuni gentiluomini, che stavano, pel caldo grandissimo, nel Monistero de' Celestini a passare il tempo con que' Padri. E credo che vi sia stato anche il segno che suol precedere a terremoti, delle nubi lineate e bianche, o al nascere o al tramontare del sole, ma a questi segni non si pose cura  ...

A 30 di luglio dell'anno 1627, il venerdì, che, come si disse, con maggior forza che nei giorni precedenti il sole faceva sentire il suo calore, e maggiori erano anche la quiete e la serenità del cielo, ogni persona avendo destinato, chi se ne stava chiuso in casa, e chi in alcun luogo fresco; e molti si erano ritirati nelle strade, dove gli edifici davano ombra, per fuggire a gran caldo io per alcuni affari mi ridussi in un orto all'incontro della chiesa di Santa Maria delle Grazie, ove erano da dieci altre persone. Giunta l'ora fatale, 16 del giorno, si udì muggir la terra non a guisa d'un toro, ma di grandissimo tuono, che non si saprebbe dare altra comparazione, poiché offuscava la mente e l'udito; ed appresso subito si vide ondeggiare la terra a guisa che sogliono l'onde nel maggior agitamento del mare, in maniera che io ed i miei compagni fummo battuti da quell'impeto di faccia a terra, e, senza mancare niente il muggito, nell'alzarci si sollevò ondeggiando di nuovo la terra, e di nuovo cadimmo; ma assai più la terza volta, che ondeggiò con maggior rabbia che a me parse cadere da sopra un colle. Diede poi una scossa sì grande e terribile verso ostro, che rovinò in un subito tutta la città;  e noi avanti a' nostri occhi vidimmo, e udimmo, la ruina della chiesa delle Grazie. Seguitò poi lentamente il tremore, ed alzati, che fummo, si vide ingombrata, e coverta di una densissima caligine di polvere la città e così si vidde sopra Torremaggiore, San Paolo, Serracapriolo, Apricena e Lesina; con che quelle terre diedero segno ancora di loro ruina. Tutti, restati sbigottiti e pieni di timore andammo con sollecito piede verso la città per soccorrere i nostri parenti e cittadini, se si poteva;  e durò tanto il tremore che giunsimo nella città, lontana da quel luogo quasi uno stadio, ed allora quel venticello fresco rinforzò, e quella polvere s'alzò in aria, la quale riverberando i raggi del sole, pareva di lontano, che fusse in volta di fiamma di fuoco, e si potevano chiaramente vedere le ruine della misera città abbattuta e fracassata; e in un subito si rappresentò a languidi occhi caso di molta pietà e compassione; poiché oltre le alte e lamentevoli grida, che s'udivano per tutto dei salvi, che piangevano la comune e privata disgrazia, si vedevano uscir fuori della città le meste genti impolverate in maniera che non vi si poteva in modo alcuno scorgere effigie umana, e sembrava ognuno un ammasso di polvere; il che si aggiungeva maggiore pietà e compassione vedendosi scaturire dalle ferite di quei miseri fonti anzi rivi di sangue, che scorrendo di sopra quella polvere, parevano tanti ruscelli, che corressero per arenose campagne. Si vedevano altri portar fuori corpi morti, altri semivivi, ed altri storpiati, che non potevano camminare; e li buttavano per la campagna con tanti lamenti e pianti, che occupavano le menti, e poteva dirsi aver cuor d'aspro macigno chi non accompagnava loro con lamenti e pianti. " 

da: N. Checchia (a cura), A. Lucchino, Del terremoto..., Foggia 1938