LA BATTAGLIA DI CERIGNOLA

 

Col trattato di Granada del novembre 1500, Luigi XII e Ferdinando il cattolico si accordarono per la spartizione del regno di Napoli. Presa a base dell’accordo l’antica ripartizione dello stesso nelle quattro province di Campania, Abruzzo, Puglia e Calabria, il trattato prevedeva l’assegnazione alla Francia delle prime due e alla Spagna delle altre due. Non si tenne però conto dell’avvenuta creazione di altre due province sotto Alfonso I D’Aragona smembrate dalla Calabria e dalla Puglia: la Basilicata e la Capitanata.

Proprio la Capitanata fu il pomo della discordia.

Infatti in questa provincia, in base a norme risalenti al tempo di Federico II e riformate nel 1447 da Alfonso D’Aragona, transumavano le greggi abruzzesi: venivano cioè a trascorrere l’inverno in zone più calde. Per farle pascolare, i pastori pagavano ingenti tasse agli occupanti attraverso la “dogana delle pecore”. Secondo i Francesi la Capitanata faceva parte dell’Abruzzo perché legata all’economia pastorizia di quella terra, e spettante quindi alla Francia. Per gli Spagnoli era invece parte integrante della Puglia ad essi assegnata.

Le discordie iniziali si tramutano presto in vere e proprie battaglie fra i due eserciti: quello francese guidato da Luigi D’Armagnac duca di Nemours, quello spagnolo guidato da Consalvo da Cordova detto il gran Capitano, siamo nel 1503. Il gran capitano concentra le sue forze in Barletta, mantenendo presidi a Manfredonia, Andria, Canosa e Taranto; ma Canosa è attaccata e costretta alla resa dal Nemours che vi si insedia. Poi sotto Barletta, sfida Consalvo a battaglia in campo aperto; Consalvo rifiuta, i francesi si ritirano allora in Canosa, ma la retroguardia si attarda troppo, e l’astuto Consalvo coglie l’occasione ordinando l’attacco; e con successo vengono fatti molti prigionieri.

Un gentiluomo francese prigioniero, Carlo della Motta, pronuncia frasi d’elogio per gli spagnoli ma oltraggiose per gli italiani ...ne segue la Disfida di Barletta del 13 febbraio 1503. In essa una rappresentativa di 13 italiani, capeggiata da Ettore Fieramosca, sconfigge quella francese. I francesi assediano Barletta già da sette mesi e per gli spagnoli di Consalvo la situazione è ormai precaria, ma uno scontro navale risoltosi a loro favore, permette che a Barletta giungano viveri, mentre la Repubblica di San Marco invia indumenti ed armi. Ancora una volta Consalvo ne approfitta, e il 23 febbraio attacca d’improvviso Ruvo; così dopo 4 ore di bombardamenti e assalti la città è presa e vengon fatte prigioniere 150 lance con 800 fanti; quindi Consalvo ordina di tornare a Barletta. E mentre l’esercito francese si assottiglia sempre più sia per l’invio di 50 lance in Calabria ad arginare gli sbarchi spagnoli a Reggio, sia per la cattura, in agguati del navarro, di altre 50 lance che giungevano in soccorso, quello spagnolo si accresce invece dei 2000 sospirati lanzichenecchi inviati dall’imperatore Massimiliano. Ormai le forze dei due avversari quasi si pareggiano.

Consalvo prepara dunque l’esercito e si dirige verso Cerignola, per dar battaglia ai francesi e probabilmente occupare la città. La partenza avviene tra la notte del 27 e l’alba del 28 aprile 1503. Gli spagnoli seguono la strada vecchia fra Barletta e Cerignola passando l’Ofanto presso la foce e movendo in direzione di San Cassano (poi San Ferdinando), proprio nell’attraversamento dell’Ofanto Consalvo fa riempire d’acqua molte otri, per evitare che durante la marcia i soldati soffrano la sete, essendo la stagione già molto calda. Ma il caldo è eccessivo e l’acqua non è sufficiente. I soldati per la sete risentono ancor più la stanchezza, e cercano ristoro nelle ferule così abbondanti nella zona. Le ferule, usate dagli spagnoli per dissetarsi in questo paese crescono altissime, tanto da nascondere i movimenti delle spie nemiche, infatti, una di loro corre dal duca di Nemours per riferire del passaggio dell’esercito di Consalvo in marcia verso Cerignola.

L’esercito francese può contare sui picchieri svizzeri, di cui era nota l’azione rapida e travolgente in campo aperto. Le picche lunghe fino a sei metri e usate con ambedue le mani, formavano con le prime quattro o cinque righe di combattenti una siepe di punte infrangibile dalla cavalleria nemica. L’avvicinarsi di siffatto quadrato di 7000 uomini esercitava sull’avversario un terribile effetto morale. In pieno assetto di guerra le truppe francesi lasciano Canosa e varcato l’Ofanto si dirigono verso Cerignola affrettandosi incontro al nemico e dopo una faticosa marcia giungono in vista della città.

Consalvo ha sempre avuto accanto a sé Prospero Colonna, suo braccio destro, mentre Fabrizio Colonna, altro valoroso condottiero italiano, ha protetto il fianco dell’esercito verso l’Ofanto; ai due condottieri italiani è affidata la scelta del luogo ove schierare l’esercito, ed essi appostano le truppe sulle lievi ondulazioni coltivate a vigneto, davanti alla città; le vigne sono delimitate da un piccolo fosso che Fabrizio e Prospero fanno approfondire alzando con la terra di riporto un piccolo argine.

La piccola guarnigione di francesi di stanza a Cerignola cerca di disturbare i lavori campali spagnoli a colpi di cannone e di spingarda; manca poco al tramonto, l’esercito di Consalvo è perfettamente schierato e solo ora si profilano all’orizzonte le truppe del Nemours. Il duca sa di essere arrivato in ritardo, non ha assalito gli spagnoli in marcia e neppure li coglie appena giunti stanchi sul posto, quindi decide di fermare immediatamente il suo esercito e rimandare all’indomani la battaglia, ma il resto degli ufficiali non è d’accordo, e quindi si decide di attaccare comunque.

A Cerignola si scontrano non solo due eserciti ma anche due differenti concezioni tattiche, i francesi fanno affidamento quasi esclusivamente sulla forza di sfondamento della fanteria e sul principio tattico dell’arma bianca; gli spagnoli, invece, sperimentano l’azione distruttiva dell’arma da fuoco ed un maggiore coordinamento d’azione delle tre armi: la fanteria, la cavalleria e gli archibugieri.

Manca appena un’ora al tramonto del sole quando ha inizio la battaglia, l’artiglieria francese esplode le prime salve, e altrettanto fa quella spagnola, ma entrambe senza effetti decisivi. L’avanguardia francese procede imperterrita ma d’improvviso trova l’ostacolo del fosso e del rialzo di terra, ed ecco un’altra micidiale scarica provenire dalla seconda riga di archibugieri spagnoli; il Nemours cerca affannosamente nell’incerta luce crepuscolare, fra il fumo degli spari e la polvere sollevata dai cavalli, di aggirare l’ostacolo, ma, colpito da una pallottola di archibugio, cade esanime, nella cavalleria francese la confusione è al colmo, avanza intanto irresistibile, irto di picche, il quadrato svizzero-francese, ripetute scariche d’archibugio si abbattono sul mastodontico quadrato che ad onta delle perdite gravissime avanza ancora, ma il fosso sbarra inesorabilmente la strada. Ora i tiratori spagnoli si ritirano a destra e sinistra, lasciando libero il terreno ai lanzichenecchi; l’impeto del quadrato svizzero si arresta di colpo. La cavalleria spagnola varca ora il fossato in un punto prestabilito, si getta sulla superstite cavalleria francese e l’annienta. Consalvo invece alla testa delle sue 400 lance assale di fianco il quadrato svizzero mentre i fanti spagnoli coadiuvati dai ginetti, si gettano sull’altro fianco. Stretti come da una tenaglia, la destra e il centro francesi sono annientati, e in pochi minuti lasciano sul campo migliaia di morti. Ivo D’Alègre comandante della retroguardia, vista la disfatta rinunzia ad entrare in azione e fugge verso Melfi inseguito da Prospero Colonna che in meno di mezz’ora ha la meglio e così l’esercito francese viene annientato.

All’alba del giorno seguente, Consalvo ordina la sepoltura dei caduti. Privo dell’armatura e delle vesti viene rinvenuto il corpo dello sfortunato duca di Nemours: con lui, morto a soli 30 anni, si estingueva la stirpe degli Armagnac. Solenni esequie gli vengono tributate dallo spagnolo vincitore.

Con la battaglia di Cerignola, e con quella del Garigliano del dicembre 1503, Consalvo conquista il regno di Napoli alla Spagna, che si afferma ancor più come grande potenza europea. Ma la battaglia di Cerignola costituisce altresì un preciso punto di riferimento nella storia dell’arte militare. Dopo Cerignola saranno per lungo tempo determinanti nelle battaglie l’ostacolo fisso, la disciplina del fuoco degli archibugi, l’assalto finale.

Della battaglia di Cerignola del 28 aprile 1503 di durata assai breve, ma decisiva per le sorti dell’Italia meridionale permangono tracce nella nostra città: una vasta zona posta a nord-ovest dell’abitato porta ancor oggi il nome di Tomba dei Galli; e nella chiesetta campestre di S. Maria delle Grazie, chiamata anche Padre Eterno su una parete interna un graffito narra ancora al visitatore la disfatta francese e il trionfo spagnolo.