Dopo l’armistizio dell’8 settembre, i tedeschi, nell’Italia Meridionale, si trovarono a fronteggiare una situazione certo diversa da quella esistente nel Nord, dove essi furono favoriti dalla presenza di un ricostituito governo fascista.

Qui fu maggiore lo sbandamento dei comandi militari e delle truppe dislocate nelle varie città, perché più rapida apparve ed anche più traumatizzante la reazione dei tedeschi, che aggredirono non solo le caserme e le truppe isolate e prive di precisi orientamenti operativi, ma spesso operarono contro le popolazioni, facendo accrescere sia il timore di più feroci rappresaglie sia il generale sbandamento.

A San Severo le truppe tedesche operarono con immediatezza, proprio all’indomani dell’armistizio; dopo aver agito con terrore addirittura la sera stessa dell’8 settembre in altri centri della provincia di Foggia, soprattutto a Troia, dove il comando tedesco controllava e gestiva in proprio un grande panificio, che provvedeva all’approvvigionamento dei vari aeroporti dislocati nel Tavoliere e delle truppe qua e là interessate alla difesa delle vie di maggiore comunicazione con il Nord.

A Troia, inoltre, già da qualche settimana, si erano trasferiti da Foggia, a causa dei violenti bombardamenti aerei e della distruzione quasi totale della città, alcuni uffici ed enti militari. Anche San Severo era certamente nelle mire del piano di emergenza dei tedeschi, perché qui si era trasferito il Distretto Militare di Foggia, sempre per le conseguenze dei bombardamenti aerei: era prevista una operazione di guerra vera e propria mediante la distruzione di taluni impianti e installazioni di rilevanza civile e militare, da attuarsi dopo aver reso inoffensivo il piccolo presidio militare del 107° Battaglione Territoriale Mobile.

Il  9 settembre sparsasi ormai la voce, sin dalla sera precedente della reazione dei tedeschi contro le   truppe italiane e contro i comandi militari della provincia, il reparto che aveva alloggio nell’ex caserma di Corso Garibaldi e che dipendeva dal Comando Sottozona aveva provveduto sin dal mattino a tenere ben chiuso il portone della caserma, istituendo anche un servizio di sentinella. Il reparto, oltre la sentinella, che aveva il compito soprattutto di lanciare l’allarme, nel caso si fossero avvicinati soldati tedeschi alla caserma, aveva anche provveduto ad organizzare qualche posto di difesa vicino alle finestre dell’edificio e lungo il muricciolo del terrazzo, deciso com’era ad evitare la consegna delle armi.

Alle ore 14 circa, i tedeschi con una pattuglia di pochi uomini, avvicinatisi al portone chiedono ad alta voce l’apertura della caserma e la consegna delle armi. Alla finestra sovrastante il portone c’era il Cap. Piccoli e un soldato, mentre gli altri ufficiali Attanasio e Clara, con tutti i soldati si erano appostati sul terrazzo dell’edificio, avendo a disposizione i propri fucili e 4-5 cassette di bombe a mano. Alla richiesta dei tedeschi, comunque, il Cap. Piccoli, che era a minor distanza, rispondeva negativamente dall’interno della finestra, verso la quale giungeva immediatamente una scarica di fucile mitragliatore.

Dì fronte a tale reazione il Cap. Piccoli e il soldato che stava con lui raggiungevano anch’essi il terrazzo dell’edificio, piuttosto terrorizzati. I due giovani ufficiali, però, consigliarono di rispondere al fuoco sia per prendere tempo sia per non apparire alla mercè totale dei tedeschi.

Infatti, furono sparate scariche di fucileria e lanciate alcune bombe a mano che fecero pensare per un po’ che i tedeschi essendo pochi, volessero andare via. Il che non avvenne, perché dopo un breve momento di silenzio fu notato, purtroppo, l’arrivo di altri tedeschi e soprattutto di alcune autoblinde.

Intanto, il piccolo gruppo dei soldati italiani, data anche la scarsezza delle munizioni e il pericolo derivante dall’esporsi sul muricciolo del terrazzo cessò di fare uso dei fucili e si limitò ad operare con le bombe a mano, che venivano lanciate a tempo intermittente, mentre i tedeschi iniziavano tiri con le armi pesanti in dotazione alle autoblinde.

Anche un aereo da ricognizione sorvolava nel frattempo la caserma, guidando forse il tiro delle armi a terra. Dopo circa due ore di una situazione, certo drammatica per i pochi soldati italiani, e nella constatazione che le bombe a mano stavano per finire, si delineò in tutta la sua durezza il problema della soluzione a cui giungere. Arrendersi? Attendere o sperare che i tedeschi si allontanassero per raggiungere altri obiettivi? Fu allora che un soldato, aggirandosi sul terrazzo e rifacendo la scalinata che portava verso gli alloggi, scoprì che verso la parte posteriore della caserma, dopo il magazzino di casermaggio c’era ‘la possibilità, attraversando qualche finestra, di accedere ad un piccolo chiostro dal quale forse si poteva giungere ad una uscita posteriore. Immediatamente, ‘appresa la informazione, un graduato ed altri soldati esplorarono non solo tale possibilità, ma cercarono di accertare soprattutto che la parte posteriore dell’edificio non fosse sotto la sorveglianza dei tedeschi. L’esito della ispezione esplorativa si rivelò favorevole ai nostri  I soldati e gli ufficiali, infatti, riuscirono ad allontanarsi fortunatamente approfittando sia delle stradette vicine, tortuose e strette, sia soprattutto dell’aiuto di cittadini che abitavano nelle immediate adiacenze, i quali fecero entrare a gara l’uno o l’altro dei soldati nelle loro case con enorme loro rischio e pericolo.