Pagine di storia antica


L'Onu dei greci (e le sue debolezze)

Marta Sordi

L'importanza del principio dell'autonomia e dell'eleutheria, della libertà di governarsi con proprie leggi e di non subire imposizioni nella politica estera, corrisponde, nel mondo greco dell'età classica, all'importanza che il mondo moderno dà all'affermazione dei «diritti dell'uomo» o a quei diritti fondamentali dei popoli che, dopo la prima e la seconda guerra mondiale, ha cercato di salvaguardare con la Società delle Nazioni e con l'Onu.
Allo stesso modo i Greci, dopo le terribili guerre per l'egemonia che sconvolsero l'Ellade fra la seconda metà del V secolo e i primi decenni del IV, cercarono una formula che assicurasse la pace fra le città: la prima «pace comune» (koiné eirene), detta anche «pace del Re» (il Re di Persia che ne fu il primo garante, o «pace di Antalcida» dal plenipotenziario spartano che la trattò, o eirene ep'autonomia dal principio ideale su cui la pace era fondata) è del 387/6 e pose fine alla guerra di Corinto. Dal testo, conservatoci da Senofonte, sembra un diktat persiano: «Il re Artaserse ritiene giusto che le città dell'Asia siano sue e, delle isole, Clazomene e Cipro; che le altre città greche, piccole e grandi, siano autonome, salvo Lemno, Imbro e Sciro, che devono essere, come in passato, degli Ateniesi. Contro quelli che non accetteranno questa pace il Re combatterà, insieme a quelli che vogliono queste medesime cose, per terra e per mare, con le navi e col denaro».
Anche se la pace del 387/6 nasceva da un compromesso e salvaguardava soprattutto gli interessi persiani e spartani, la formula prescelta era profondamente greca e, rinnovata più volte con precisazioni e modifiche, fu adottata, nei loro rapporti con i Greci, anche dai Macedoni e poi dai Romani. Dichiarazione astratta di diritto e garanzia armata del diritto proclamato (l'autonomia delle città greche piccole e grandi) sono elementi costitutivi della pace, che, proprio perché fondata su un principio di diritto, riguarda sin dall'inizio tutti i Greci e non i soli belligeranti e fonda una comunità internazionale (sarebbe meglio dire intercittadina, ma intendendo città come polis, città-Stato) a carattere panellenico.
Il garante cambia di volta in volta: nella prima pace è formalmente il Re di Persia (di fatto Sparta finanziata dal re), che si impegna a intervenire «con chi lo vuole»; dopo la sconfitta spartana a Leuttra, nel 371, sarà Atene, che convocando presso di sè i delegati delle città che vogliono partecipare alla pace, impone a tutti il giuramento di intervenire in caso di violazione. Più tardi, dopo, la sconfitta dei Greci a Cheronea, sarà Filippo di Macedonia e l'intervento sarà ancora obbligatorio per tutti; dopo la pace di Fenice del 205 saranno i Romani, che, in difesa del principio dell'autonomia sancito dalla pace, saranno invocati dagli stessi Greci ed avranno il motivo formale per intervenire prima contro la Macedonia, poi contro la Siria.
Decisa da un congresso di delegati, convocati inizialmente di volta in volta dal re e poi dalla polis che prende l'iniziativa della pace, la koinè eirene si arricchiscono dopo Cheronea di un sinedrio permanente, stabilito a Corinto (che era stata nel 481 la sede del primo congresso di poleis che avevano deciso la resistenza contro la Persia e dove nel 196 i Romani, vincitori della Macedonia, proclameranno la libertà e l'autonomia per tutti i Greci). Anche il principio ideale su cui la pace è fondata viene col tempo a precisarsi: si è visto che nel 387/6 si era parlato solo di autonomia, ma Sparta, che d'accordo con la Persia era la custode della pace, recepì il principio dell'autonomia solo come pretesto per sciogliere le leghe avversarie (quella Beotica, controllata da Tebe, quella fra Argo e Corinto, quella Calcidese controllata da Olinto); si sentì così il bisogno, dopo Leuttra, di precisare il concetto di autonomia, e lo fece Atene, nella pace del 371/70, spiegando che autonomia e libertà significavano «governarsi con la costituzione che ciascuno vuole, senza accogliere un presidio, né subire un governatore, né pagare un tributo».
Dopo la sconfitta di Sparta a Mantinea, nella pace del 362 (che Sparta non volle giurare), furono poste come condizione la libertà e l'autonomia dei Messeni, che i Tebani avevano sottratto al dominio spartano; nella pace seguita a Cheronea nel 338/7 l'autonomia fu identificata con il mantenimento delle costituzioni vigenti al momento della pace, cioè di una situazione favorevole ai Macedoni, visto che le democrazie erano state abbattute dovunque, dopo la sconfitta, salvo che ad Atene. Nel 196 i Romani tornarono invece ad una definizione dell'autonomia del tutto simile a quella ateniese, dichiarando i Greci «liberi, senza presidi, senza tributi, padroni di governarsi con le leggi patrie».
Un aspetto interessante della koinè eirene, che non è, come si è visto una pace unilaterale, ma una pace comune, è che l'intervento contro i violatori si configura, fin dall'inizio, come un intervento per la pace: «aiutare la pace» è la formula con cui nei giuramenti coloro che aderiscono alla pace si impegnano ad intervenire in armi contro chi la viola. In realtà, nonostante l'aderenza della «pace sulla base dell'autonomia» alle esigenze più profonde dei Greci, essa si rivelò inefficace, anche quando fu liberamente negoziata fra le poleis, a causa dell'incapacità degli stessi Greci di rinunciare alle aspirazioni all'egemonia: un'esigenza altrettanto profonda e connaturata nella polis di quella all'autonomia. Di qui i continui rinnovamenti e la sconsolata conclusione delle Elleniche di Senofonte dopo Mantinea: «La mancanza di discernimento e il disordine erano più grandi in Grecia dopo la battaglia di prima».
(Avvenire 1 ottobre 2000)

Pagine di storia antica