Pagine di storia antica

La leva nel mondo antico

Marta Sordi

Nel mondo antico, in Grecia come a Roma, il cittadino partecipa alla vita dello Stato ed è elettore ed eleggibile nella misura in cui partecipa alla sua difesa. L'assemblea popolare deliberante è, originariamente, un'assemblea del popolo in armi. Nella vecchia società omerica, dominata dai grandi signori che combattevano sui carri da guerra, questa assemblea contava molto poco, come dimostra il caso di Tersite. Ma con la riforma oplitica e l'avvento della polis nasce un'assemblea di "uguali", coloro che servono, a loro spese, nella fanteria pesante e hanno il censo per fornirsi le armi. 
Anche a Roma l'inizio della democrazia è elitario e censitario. L'esercito centuriato, che si riuniva nel Campo Marzio per eleggere i magistrati, votare le leggi, decidere della pace e della guerra, è la suprema assemblea di Roma, il comitiatus maximus, che sostituì i comizi curiati, fondati su base genetica e a cui si affiancarono poi i comizi tributi, fondati sui distretti territoriali (tribù) in cui era diviso il corpo civico e il territorio romano. 
Esso risale - e la notizia è certamente attendibile - a Servio Tullio, il Mastarna degli Etruschi, e alla divisione da lui operata dei cittadini in cinque classi di censo sulla base dell'armamento che ciascuno era in grado di procurarsi. 
La prima classe era costituita da 80 centurie, divisa fra juniores (fino a 45 anni) e seniores (dai 45 ai 60), ed era la sola fornita di corazza e di clipeus. La seconda e la terza, prive di corazza e armate di scutum, erano costituite di 20 centurie ciascuna (divise allo stesso modo). La quarta, di 20 centurie, e la quinta, di 30, erano gli armati alla leggera, i velites. 
A queste si aggiungevano 18 centurie di cavalieri e 5 di inermi, coloro che non avevano i mezzi per procurarsi l'armamento, ma che servivano come genio, come suonatori di tromba e di corno, come portatori di bagagli. Si votava partendo dai cavalieri e dalla prima classe e si cessava di votare quando era raggiunta la maggioranza. Cosicché alcune centurie non votavano mai. 
Le guerre puniche e le guerre combattute in regioni lontane nel corso del II secolo a.C., allontanando dalle loro terre per lunghi periodi di leva i piccoli e medi proprietari che formavano il nerbo dell'esercito romano, portarono alla crisi della piccola e media proprietà e alla diffusione del latifondo coltivato da schiavi e, soprattutto, alla diminuzione del numero di adsidui, di coloro, cioè, che avevano il censo sufficiente per rispondere alla leva. 
Le riforme di Tiberio e Caio Gracco ebbero come scopo principale quello di ricostruire la piccola proprietà mediante la redistribuzione dell'agro pubblico, che era dello Stato ma in possesso a privati. Il fallimento di queste riforme e l'inconsistenza del rimedio a cui si preferiva ricorrere abbassando progressivamente il censo minimo richiesto per la quinta classe e ricorrendo, in caso di emergenza, a leve di nullatenenti e di schiavi spiegano la riforma di Mario e la creazione di un esercito professionale e volontario, che è alla radice della caduta della repubblica e dell'avvento dell'impero. 
Con la decisione, presa nel 107 da Mario al tempo della guerra giugurtina, di invitare all'arruolamento i proletarii, cioè coloro che avevano mezzi solo per allevare la prole, e i capite censi, cioè coloro che potevano solo pensare a se stessi, si abolì la barriera censitaria e si posero le basi della "rivoluzione romana". 
Sallustio e Plutarco ci conservano il nucleo autentico del discorso con cui Mario giustificò la sua riforma, facendo di essa l'ultima conquista della plebe, l'ultimo atto della lotta che i maiores avevano condotto per la conquista dei diritti civili e politici: la virtus che è soprattutto valore in guerra, diventa l'unico criterio valido e conforme alla tradizione per attribuire cariche e premi. 
Per partecipare al potere bisogna assumere la propria responsabilità nella res publica. Significa anzitutto arruolarsi e servire la res publica da soldati. La sovranità popolare che Mario e i tribuni a lui vicini affermano con forza ha il suo fondamento nella piena assunzione, da parte del popolo, all'onere militare. Con Mario si stabilisce un rapporto nuovo fra l'esercito e il suo imperator, da cui dipende, con la distribuzione delle prede e delle terre, l'arricchimento dei soldati e la loro promozione sociale. 
Le premesse ideologiche della riforma mariana saranno sviluppate pienamente da Cesare, che creando nei soldati una coscienza politica utilizzerà il potere che la riforma dava all'imperator per sconfiggere la vecchia classe dirigente, divenuta ormai una "fazione di pochi" e dare alla repubblica quella nuova struttura che noi chiamiamo impero.

(Avvenire 5 novembre 2000)

 Pagine di storia antica