Pagine di storia antica

Gli etruschi?
Amati dai cristiani

Marta Sordi
Nel I secolo a.C. il popolo etrusco era arrivato, secondo le profezie dei suoi aruspici, all'ultimo secolo della sua storia, il decimo: la lingua etrusca, fra il I secolo a.C. e il primo dopo viene abbandonata e le principali opere etrusche tradotte in latino. Gli etruschi, che col 90 a.C. avevano ormai ottenuto la piena cittadinanza, si integrano pienamente nello stato romano, rivendicando anzi a se stessi, con la discendenza troiana, la pratica dei valori vetero romani: questa operazione culturale e politica, che Mecenate aveva incoraggiato facendo dell'Etruria, insieme al Lazio della vecchia lega Latina e all'Umbria, la base del reclutamento dei pretoriani (che rappresentavano la milizia scelta del regime augusteo e che esalteranno più tardi, nei loro diplomi, i valori rivendicati dall'Etruria dichiarando di avere svolto il loro servizio fortiter et pie), continuò ed anzi si rafforzò con Claudio, l'imperatore etruscologo, che volle salvare l'identità naturale del popolo etrusco, ormai affidata alla sua religione, potenziando con un senatoconsulto del 47 l'Etrusca disciplina, la più antica d'Italia con la restaurazione del collegio degli aruspici.
L'Etrusca disciplina, a cui i Romani avevano dato sempre molta importanza politica, si fondava su una "rivelazione" scritta e sull'esegesi dei libri sacri, che, tradotti in latino, furono letti fino alla tarda antichità: prima ancora che un'azione rituale, essa era una concezione globale e religiosa del mondo, della storia e della natura, una teologia e una fisiologia che, per mantenere il suo prestigio e la sua credibilità in ambienti colti e non scadere nella ciarlataneria e nella volgare superstizione, aveva bisogno del supporto di una filosofia, ma di una filosofia che ammettesse l'esistenza di una divinità disposta a comunicare agli uomini la sua volontà e i suoi segni: questa filosofia, che sino alla fine della repubblica fu probabilmente il pitagorismo, sembra nel I secolo d.C. da identificare con lo stoicismo e, più tardi, col neoplatonismo.
L'Etrusca disciplina dal III secolo in poi sarà la principale avversaria, in campo pagano, del Cristianesimo; nel primo secolo, invece, sono proprio gli stoici etruschi (il volsiniese Musonio Rufo, il volterrano Persio, il padovano Trasea, imparentato con donne di Volterra) a rivelare con la loro religiosità, tutta ad esclusivamente centrata sul Dio supremo, Giove-Tinia, con la loro vita (furono perseguitati negli stessi anni con i cristiani da Nerone) e con le loro idee, una grande affinità con i cristiani.
Tra questi stoici etruschi credo che una menzione particolare meriti Musonio Rufo, il più ammirato ed amato dai cristiani del II secolo: Giustino lo proclamava martire del Logos seminale, Origene «uomo di ottima vita». Clemente Alessandrino attingeva a piene mani nel suo Pedagogo temi, idee e addirittura espressioni verbali delle sue Diatribe, soprattutto per la morale sessuale e familiare. Cavaliere romano e maestro di filosofia con molti seguaci fra i giovani (la sua opera ci è conservata negli appunti di un allievo, in greco), perfettamente integrato politicamente nel mondo romano al punto da mettersi in mezzo agli eserciti flaviani e vitelliani per scongiurare la guerra civile, Musonio restava un etrusco, allo stesso modo che i Greci restavano Greci, anche quando erano cittadini romani. Uno dei frammenti di Musonio, che è conservato, oltre che da Stobeo, da un papiro, è intitolato: «Bisogna allevare tutti i figli che nascono» e presenta come una colpa verso la città, la famiglia e Giove protettore della famiglia, impedire la nascita dei figli: «Chi è ingiusto verso la propria stirpe pecca contro Giove protettore della famiglia, che veglia sui peccati contro la generazione».
Il frammento confuta in modo esplicito un attacco di Teopompo (storico greco del IV secolo a.C.) che accusava gli Etruschi di tryphè (lusso e corruzione) proprio perché allevavano tutti i bambini che nascevano, senza preoccuparsi di chi fosse il padre di ciascuno di essi. La critica di Teopompo era collegata con l'incomprensione, tipica dei Greci, della dignità e della libertà delle donne etrusche, ritenute da loro di facili costumi perché godevano di diritti che, in Grecia, erano garantiti solo alle etere; una critica che, come rivelano certi spunti oraziani, era rinata in certi ambienti dell'Italia meridionale dopo la guerra sociale. La dignità e la parità che Musonio riconosce alla donna (la legge morale - egli dice - è uguale per gli uomini e per le donne e la donna ha ricevuto dalla divinità la stessa intelligenza degli uomini) hanno le loro radici nella mentalità e nella cultura da cui Musonio proviene: il quadro della famiglia, fondata sul matrimonio e numerosa, aderisce a quello che il mantovano ed etrusco Virgilio coglie nelle Georgiche (II 523 sgg.) come caratteristico della fortis Etruria e nasce da una stima profonda per la donna.

(Avvenire 15 ottobre 2000)

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