Pagine si storia antica

Orazio e Virgilio divisi sull'Avvento

Marta Sordi

In un'0razione databile fra il 313 e il 325 l'imperatore Costantino, ormai convertito al Cristianesimo, dette un'interpretazione cristiana della IV Egloga di Virgilio cogliendo in essa una profezia dell'Incarnazione e della Redenzione di Cristo. Su questa linea lo segue Dante, quando nel Purgatorio, nell'incontro di Virgilio con Stazio, che cita appunto la IV Egloga, fa dire a quest'ultimo (XXII, 67 sgg.) «Facesti come quei che va di notte / che porta un lume dietro di sé e non giova / ma dopo sé fa le persone dotte».
Sulle fonti della IV Egloga si è molto discusso. Anche senza presupporre da parte di Virgilio la conoscenza delle profezie messianiche ebraiche (che peraltro, attraverso Pollione, poteva conoscere) io credo che la concezione etrusco-romana dei
saecula e la ripresa del carme 64 di Catullo bastino a spiegare la genesi dell'Egloga e, rivelandone l'adesione alle esigenze più profonde dell'anima umana e alle attese religiose del mondo romano nei decenni che precedettero l'avvenimento della nascita di Cristo, facciano di essa il canto più alto dell'Avvento pagano.
Il carme trova il suo centro nella rappresentazione e nel vagheggiamento di nozze umano-divine: è l'epitalamio di Peleo e di Teti, nella cui coperta nuziale sono rappresentate le nozze di Arianna con Dioniso. Un uomo con una dea, una donna con un dio; gli dei scendono dall'Olimpo per il banchetto nuziale e le Parche cantano per il bambino che dovrà nascere. Dentro la cornice mitologica ed ellenistica si manifesta però lo spirito nuovo con cui Catullo rivive il mito e il suo rimpianto accorato per l'età degli eroi, sentita come vera età dell'oro in cui la divinità visitava gli uomini e li faceva partecipi delle sue nozze e della sua mensa. L'intimità fra una divinità presente e gli uomini, lancinante ricordo dell'età felice, viene contrapposto all'oggi disperato delle guerre civili, della cupidigia e dell'ingiustizia, ad un mondo in cui gli affetti familiari sono calpestati e traditi, ad un'umanità in cui il lecito e l'illecito, sconvolti e mescolati con empio furore, hanno allontanato la divinità capace di giustificare (iustificam... mentem... deorum), ne hanno spento la luce nel mondo.
Nozze divine e banchetto divino sono immagini che tornano spesso nell'Antico e nel Nuovo Testamento per esprimere l'intima unione dell'uomo con Dio. Ed è questo il significato che, sia pure con diversa consapevolezza, esse assumono nel carme catulliano e nella ripresa cosciente che Virgilio ne fa nella IV Egloga, in cui l'avvento di una nuova età dell'oro porta come segno distintivo la cancellazione del peccato degli uomini (v. 13) e, conforme alle aspirazioni di Catullo, una nuova intimità dell'uomo con la divinità (v. 15 sgg.) simboleggiata proprio come in Catullo nella partecipazione alla mensa divina e alle nozze divine (v. 63).
Non c'è dubbio pertanto che Virgilio riprende consapevolmente Catullo e intende annunciare il superamento imminente della crisi epocale di cui Catullo aveva colto, nelle guerre civili, il simbolo più atroce.
Catullo aveva scritto poco prima della guerra fra Cesare e Pompeo, mentre era ancora vivo il ricordo di Catilina e dei conflitti seguiti alla lotta fra Mario e Silla; Virgilio scriveva nel 40 a.C. mentre era in corso o si era da poco compiuta la guerra di Perugia fra Ottaviano e Lucio Antonio, quando la distruzione dell'antica città etrusca fu sentita come un segno della fine imminente.
Nella concezione etrusco-romana della storia ad ogni individuo e a ogni popolo era assegnata una durata prestabilita. Agli etruschi erano stati assegnati 10 saecula. Nel 40 l'angoscia di una catastrofe imminente fu particolarmente viva e Orazio negli Epodi VII e XVI annunzia questa fine.
Diversamente da Orazio, Virgilio afferma che la fine dell'ultimo secolo coincide non con la catastrofe, ma con l'avvento di una nuova umanità, più cara agli dei della precedente. La gens aurea, la nuova generazione che nasce nel mondo è colta, secondo l'uso etrusco, nell'individuo che ne è simbolo, il misterioso puer dell'egloga, la cui crescita umana procede con la progressiva liberazione del mondo dal male: il momento al quale le terre, il cielo, il mare, la stessa sfera terrestre con la sua convessa mole guardano con trepidante attesa è il momento in cui il puer raggiungerà l'età dei magni honores.
Nel riordinamento augusteo della carriera senatoria i magni honores, pretura e consolato, potevano essere raggiunti a 30 e 33 anni. Il momento al quale per Virgilio, che scrive nel 40, l'universo intero guarda con ansiosa letizia, ci porta così a una data fra il 10 e il 7 a.C., molto vicina, com'è noto, alla data effettiva della nascita di Cristo.

(Avvenire - 26 Novembre 2000)


Pagine si storia antica