Parametri pratici per la trasfusione di concentrati eritrocitari

  I concentrati eritrocitari (CE) sono formati dai globuli rossi separati, di norma, mediante centrifugazione, da un’unita di sangue intero. Ogni unità contiene circa 180-200 mL di CE con, in più, 15-30 mL di plasma (qualora siano aggiunti 100 mL di soluzione additiva, l’Hct finale sarà di circa 55%) oppure 80-100 di plasma mL (nel qual caso l’Hct finale sarà circa del 70%). Tali unità possono essere conservate in emoteca fra 1 e 6 °C sino a 5 settimane se in CPDA-1 o fino a 6 settimane in un sistema che contempli l’impiego di soluzioni additive. Ulteriori manipolazioni condotte a fini specifici comprendono la filtrazione per ridurre in ogni singola unità il numero dei leucociti residui a meno di 5x106, il lavaggio per allontanare quasi completamente il plasma o il congelamento per prolungare al massimo la conservazione. Solo raramente i globuli rossi vengono forniti con trasfusione di sangue intero (il cui Hct è circa del 40%), considerando le migliori condizioni di conservazione con l’uso di soluzioni additive, la necessità di disporre degli altri emocomponenti (ottenibili dopo la preparazione dei CE), la riduzione di possibili complicazioni correlate con l’infusione (non richiesta) di plasma e la perdita di disponibilità del plasma stesso.

Di seguito, vengono elencati le indicazioni per l’uso di CE sottoposti a particolari manipolazioni.

 

Indicazioni per l’uso di CE leucodepleti

  Prevenzione dell’immunizzazione in:

-          Anemie emolitiche congenite

-          Anemie arigenerative richiedenti numerose trasfusioni

-          Anemia aplastica

-          Mielodisplasie

-          Sindromi mieloproliferative

-          Discrasie plasmacellulari

-          Trapianti di cellule staminali (midollari o dal sangue periferico)

-          Emopatie maligne

 

Terapia in soggetti con

-          Ricorrenti reazioni trasfusionali febbrili (non) emolitiche

-          Alloimmunizzazione anti-HLA accertata

 

Altre possibili utilizzazioni

-          Alternativa all’uso di componenti citomegalovirus-negativi

-          Impiego in soggetti con infezione da HIV

 

  Indicazione per emocomponenti sottoposti a irradiazione con raggi γ

 

Ben definite:

-          Trapianti di cellule staminali midollari o dal sangue periferico per immunodeficienze cellulo- mediate (immunodeficienza combinata severa, malattie di Wiskott-Aldrich, sindrome di Di George)

-          Trasfusioni o exsanguino-trasfusioni in utero

-          Trasfusioni “dedicate” provenienti da consanguinei compatibili per gli antigeni HLA

-          Linfomi di Hodgkin

-          Leucemia acuta linfoblastica (in adulti o bambini)

-          Riceventi di trapianti d’organo, se immunocompromessi

 

Indicazioni possibili:

-          Soggetti affetti da neoplasie o riceventi trapianti, trattati con chemioradioterapia

-          Exsanguino-trasfusioni in neonati o uso di membrane per ossigenazione extracorporea in neonati

-          Neonati immaturi o prematuri (peso alla nascita < 1.200g)

-          Pazienti infetti da HIV con infezioni opportunistiche

 

Impiego probabilmente non indicato:

-          Neonati a termine

-          Pazienti con infezione da HIV

 

  Indicazioni per prevenire la trasmissione di CMV da CE sieronegativi o leucoridotti (<5x106)

 

Indicazioni ben definite (pazienti CMV-sieronegativi o con situazione sierologica ignota):

-          Neonati immaturi o prematuri (peso alla nascita <1,200g)

-          Pazienti con infezione da HIV

-          Riceventi sieronegativi di trapianti allogenici d’organo o di cellule staminali (midollari o da sangue periferico) o probabili candidati a trapianti

-          Gravide

-          Trasfusioni intrauterine

 

Indicazioni non assolute (pazienti CMV-sieronegativi o con situazione sierologica ignota:

-          Pazienti affetti da linfomi Hodgkin e non-Hodgkin

-          Pazienti trattati con terapie immunosoppressive

-          Candidati al trapianto autologo di midollo osseo o di cellule staminali da sangue periferico 

-          Pazienti affetti da immunodeficienze congenite o acquisite

 

Non indicati:

-          Neonati sieronegativi a termine

-          Gravide sieropositive

 

Sommario delle indicazioni per le trasfusioni di CE (esclusi i neonati)

 

Strategia trasfusionale

Per dare indicazioni sul dosaggio, bisogna tener presente che un’unità di CE aumenterà il livello di Hb di 1 g/dL in una persona di 70 Kg (3-4 mL/Kg di CE). La trasfusione di CE dovrebbe essere approntata rapidamente al fine di correggere il deficit del trasporto di ossigeno nelle emorragie acute, tenendo peraltro in considerazione le conseguenze metaboliche di una infusione rapida e massiva. La rapida infusione di grandi quantità  di sangue a temperature di 4 °C con un eccesso di potassio extracellulare, con pH ridotto e con un eccesso di citrato nei vasi pericardiaci può avere conseguenze indesiderabili sul ritmo e sulla contrattilità del cuore. L’impiego di un riscaldatore per sangue, il mantenimento di un ritmo infusionale corretto (al fine di facilitare il metabolismo del citrato) e una particolare attenzione al bilancio elettrolitico sono in grado di minimizzare le conseguenze di trasfusioni troppo rapide.

 

In caso di emorragie acute:

  1. Valutare i rischi dell’ischemia e altre condizioni in rapporto alla malattia concomitante.
  2. Stimare o preventivare il grado di perdita ematica, considerando che una perdita superiore al 30-40% della volemia richiede di trasfondere immediatamente CE, mentre una perdita inferiore non dovrebbe richiedere trasfusioni in soggetti precedentemente in buona salute.
  3. Misurare il livello di Hb: se è superiore a 10 g/dL raramente è richiesta la trasfusione di CE, se il livello è inferiore a 6 g/dL la trasfusione si impone; per livelli fra 6 e 10 g/dL la necessità di trasfusioni dipende da altri fattori.
  4. Valutare i sintomi vitali e l’ossigenazione tessutale (particolarmente con valori di Hb compresa fra 6 e 10 g/dL, quando l’entità delle perdite ematiche è sconosciuta). In caso di tachicardia o di ipotensione non corrette da reintegro della volemia, la trasfusione di CE è richiesta se PVO2 < 25 torr, con rapporto di estrazione >50% e spesso richiesta con VO2 > 50% dei valori di base. (PVO2 indica la tensione d’ossigeno del sangue nell’arteria polmonare al completamento dello scarico di O2 mentre VO2 indica il consumo d’ossigeno).

 

In caso di anemie croniche:

5.        Trattare con farmaci specifici (tipo, vitamina B12, acido folico, eritropoietina ricombinante, ferro) se la diagnosi lo richiede.

6.        Usare le strategie opportune in caso di anemia drepanocitica (vedi oltre) o talassemia.

7.        Trasfondere per minimizzare i sintomi e i rischi di una anemia (usualmente a livelli di Hb compresi fra 5 e 8 g/dL).


Indicazioni per le trasfusioni di CE nell’anemia drepanocitica

Trasfusione semplice in casi di sintomatologia acuta

-          Anemia sintomatica indotta da perdite ematiche

-          Crisi dolorose non dominabili con terapia medica

-          Crisi aplastiche

-          Sequestri splenici

-          Emolisi accelerate (simili a quelle dovute a reazioni trasfusionali emolitiche ritardate, alle malattie emolitiche da autoanticorpi caldi)

-          Preparazione a interventi operatori

 

Trasfusioni semplici in casi di sintomatologia cronica

-          Prevenzione delle crisi occlusive ricorrenti (con HbS >30%)

-          Complicanze gravidiche (aborti ricorrenti, gestazioni multiple)

-          Probabile ruolo nella sindrome toracica ricorrente e/o nelle ulcere cutanee

 

Eritroexchange parziale

-          Crisi acute o incombenti compresi attacchi ischemici transitori

-          Emboli grassosi

-          Priapismo acuto non trattabile

-          Sindromi toraciche acute e rapidamente progressive

-          Preparazione a interventi di chirurgia maggiore o a chirurgia oculare

-          Per i casi elencati per le trasfusioni semplici (acute o croniche) in presenza di sovraccarico marziale

 

Linee-guida per le trasfusioni di CE in neonati

  Trasfondere (meno o, comunque, non più di 20 mL/Kg per non superare un ematocrito di 45% o una emoglobina di 15 g/dL) nei casi seguenti.

 

1)       Ematocrito £20% o Hb £7 g/dL e con conta reticolocitaria <4% (o in assoluto, <100.000/mL).

2)       Ematocrito £25% o Hb £8 g/dL e una delle seguenti situazioni.

  1. Episodi di apnea o bradicardia: ³10 episodi nelle 24h o ³ 2 episodi che abbiano richiesto la ventilazione con palloncino.
  2. Tachicardia prolungata (> 180 pulsazioni al minuto) o tachipnea prolungata (> 80 respiri al minuto) per 24 ore con una media di misurazioni ogni 3 ore.
  3. Mancato aumento di peso in 4 giorni (£ 10g/al dì,  nonostante l’introduzione di ³ 420 KJ/Kg al dì).
  4. Sindrome di alterazione respiratoria (RDS) di medio grado con contenuto di O2 inspirato (FIO2) fra 0,25 e 0,35 o presenza di cannula nasale da 1/8 o 1/4 di L/minuto o ventilazione forzata intermittente (IMV) oppure pressione respiratoria positiva continua per via nasale (NCPAP) con pressione respiratoria media (Paw) >6 cm H2O.

3)       Ematocrito £ 30% o Hb £10 g/dL con RDS moderata + FIO2 > 35% o NCPAP o IMV con Paw fra 6 e 8 cm H2O.

4)       Ematocrito £ 35% o Hb £ 12 g/dL con RDS severa richiedente la ventilazione meccanica, una Paw > 8 cm H2O e FIO2 > 50% o grave cardiopatia congenita con cianosi e scompenso cardiaco.

5)       Emorragia acuta con stato di shock; la sostituzione del sangue ristabilisce una volemia adeguata e l’ematocrito al 40%.

 

Non trasfondere per sostituire il sangue prelevato per esami di laboratorio o in caso di ematocrito basso tolti i casi sopra citati.

 

Indicazioni per le trasfusioni di CE in ostetricia

 

Le indicazioni per le trasfusioni di CE in gravide o nel post-partum sono identiche a quelle di pazienti non gravide. A gravide note per essere negativi per i marcatori di CMV o il cui stato al riguardo non è conosciuto dovrebbero essere trasfusi emocomponenti CMV-negativi o unità leucodeplete (vedi sezione precedente).

  

Le linee-guida sono state redatte dalla Commissione per la terapia trasfusionale, istituita dal Collegio dei Patologi Americani. La Commissione era così composta: Toby L Simon, MD; Dale C Alverson, MD; James AuBuchon, MD; Shannon Cooper, MD; Phillip J DeCristopher, MD PhD; Guy C Glenn, MD; Steven A Gould, MD; Chantal R Harrison, MD; John D Milam, MD; Kenneth J Moise Jr, MD; Francis Robert Rodwig Jr, MD; Laurence A Sherman, MD; Ira A Shulman, MD; Linda Stehling, MD.

Al momento, non sono previsti aggiornamenti.

Copie di queste linee-guida possono essere reperite, in forma elettronica, sul Web site del College of American Pathologists o, in forma cartacea, direttamente dal College, 305 Waukegan Road, Northfield, IL, 60093-2750.

Questa sintesi è basata su linee-guida originali soggette a copyright.

(tratti da Arch Pathol Lab Med, 122, 130-8, '98)

 

 

Reazioni trasfusionali

 

     Parametri pratici per il riconoscimento, trattamento e prevenzione degli eventi avversi della trasfusione di sangue

 

I - Reazioni acute che intervengono entro 24 ore

Comportamento in relazione a un evento avverso trasfusionale acuto

Compiti del medico che ha eseguito la trasfusione

In relazione al paziente:

-          ricontrollare i documenti di identificazione relativi alla sacca e al paziente,

-          mantenere pervia la via endovenosa con soluzione fisiologica,

-          prendere contatto con il medico curante per direttive circa il trattamento del paziente,

-          somministrare una terapia (di supporto o definitiva).

 

In relazione all’emocomponente:

-          ricontrollare i documenti di identificazione relativi alla sacca e al paziente,

-          disconnettere l’unità dal paziente, rimandare sacca, set ed eventuale sacca di liquidi infusi al Servizio Trasfusionale, qualora indicato,

-          prendere contatto con il Servizio Trasfusionale per indicazioni circa le modalità per l’inchiesta,

-          ottenere campioni di sangue e inviarli al laboratorio con il modulo di richiesta appropriato.

 

Compiti del laboratorio  

-          Controllo dei documenti (sacca. etichette, modulistica di lavoro) e dei campioni.

-          Controllo visivo del plasma pre e post-trasfusione (valido soltanto quando l’Hb presente nel            plasma sia superiore a 50 mg/dL).

-          Eseguire il test diretto all’antiglobulina (TDA) sul campione prelevato dopo la trasfusione.

-          Informare dei risultati il direttore del Servizio Trasfusionale.

-          Eseguire ulteriori esami su indicazione dei medici del Servizio Trasfusionale.

 

1. Emolisi immune intravascolare

Individuazione

-          È normalmente causata da una trasfusione di eritrociti ABO-incompatibili,

-          Brividi, ipotensione, dolori lombari o toracici, emoglobinuria, oliguria, emorragie massive o a nappo (cioè CID) sono sintomi che possono comparire anche solo dopo una somministrazione di 10-15 mL,

-          La morte interviene in circa 1 caso su 30 trasfusioni di emazie ABO-incompatibili.

 

Trattamento

-          Sospendere immediatamente la trasfusione e non tentare di ricominciarla.

-          Mantenere pervia la via endovenosa.

-          La sacca deve essere restituita al Servizio Trasfusionale per le indagini.

-          Si deve seguire la politica istituzionalmente adottata per le indagini e il trattamento di questo tipo di reazione.

-          I principali presidi terapeutici comprendono un trattamento drastico dell’ipotensione e il mantenimento della funzione renale mediante una terapia con dopamina a basse dosi, un monitoraggio della diuresi e la somministrazione di un diuretico (per esempio, furosemide).

-          Se interviene CID, possono essere utili somministrazione di concentrati piastrinici, di plasma fresco congelato di crioprecipitato di fattore VIII.

 

Prevenzione

Precisa identificazione del ricevente dalla raccolta del campione, alla esecuzione della trasfusione e al garanzia che le etichette dei campioni e delle unità da trasfondere sono corrette.

 

2. Emolisi immune extravascolare

Individuazione

-          Il paziente è spesso asintomatico.

-          La diagnosi viene di norma fornita dagli esami di laboratorio: TDA, prove di compatibilità, bilirubina.

Trattamento

-          Di solito non viene richiesto alcun trattamento, benché il paziente possa aver necessità di ulteriori trasfusioni.

-          Una volta identificato il problema, sono da evitare la trasfusioni di emocomponenti incompatibili.

 

3. Emolisi non immune

Individuazione

-          Questo tipo di emolisi può intervenire nel contenitori o durante la infusione per bruschi mutamenti della temperatura, per traumi meccanici o per contatto con soluzioni non isotoniche.

-          L’emoglobinuria può rappresentare l’unico sintomo rilevabile.

Trattamento

-          Si deve sospendere immediatamente la trasfusione e seguire la linea di condotta stabilita istituzionalmente per le indagini relative.

-          Si viene esclusa ogni possibile causa immunologica, si debbono indagare tutte le possibili cause di emolisi non immune.

-          Mantenere il trattamento endovena con soluzioni isotoniche allo scopo di assicurare una diuresi efficace.

Prevenzione

-          L’attenersi scrupolosamente alle corrette tecniche di lavorazione, conservazione e somministrazione degli emocomponenti dovrebbe minimizzare la possibilità di una emolisi non immune.

 

4. Reazioni allergiche

Individuazione

-          La sintomatologia (locale o generale) è caratterizzata generalmente da orticaria accompagnata o meno da prurito e da edema locale.

Trattamento

-          La trasfusione deve essere immediatamente interrotta sino a scomparsa dei sintomi in seguito a terapia con antistaminici.

-          La trasfusione può essere ragionevolmente ripresa in quei pazienti che presentano esclusivamente un’orticaria che abbia risposto alla terapia antistaminica.

Prevenzione

-          Un sistematico trattamento pretrasfusionale con antistaminici non è clinicamente indicato. Tuttavia, in alcuni pazienti che hanno presentato orticaria in precedenti trasfusioni l’uso profilattico di antistaminici può essere benefico. Per certi pazienti può essere necessaria ridurre la quota di plasma negli emocomponenti cellulari o evitare la somministrazione di plasma fresco congelato.

   

5. Reazioni anafilattiche

Individuazione

-          La sintomatologia è caratterizzata da una sindrome respiratoria acuta dovuto a edema laringeo e a broncospasmo con ipotensione arteriosa. Può seguire una morte rapida.

Trattamento

-          La trasfusione deve essere immediatamente sospesa e mai più ripresa.

-          Il paziente deve ricevere un’appropriata ventilazione e un trattamento rianimatorio ulteriore; può essere indicato l’uso di epinefrina.

-          Per i malati IgA-carenti le successive trasfusioni debbono essere approntate con emocomponenti privi di IgA, per quanto possibile.Per gli altri, l’uso di emocomponenti con frazione plasmatica ridotta minimizzerà i rischi di un possibile ripetersi della sintomatologia.

6. Sepsi post-trasfusionale

Individuazione

-          La reazione è causata da batteri presenti nel contenitore o nell’emocomponente e dalle tossine prodotte da questi.

-          La sintomatologia è caratterizzata da febbre alta o altissima, brividi, ipotensione grave, accompagnata spesso da senso di nausea e da diarrea; può seguire morte.

Trattamento

-          La trasfusione deve essere immediatamente sospesa e mai più ripresa.

-          La sacca, il set da trasfusione e ogni liquido infuso deve essere rimandato al Servizio Trasfusionale per indagini immediate, che comprendano anche la colorazione di Gram e l’approntamento di colture del componente rimasto nella sacca ed, eventualmente, dei fluidi infusi endovena. Prima di istituire una terapia antimicrobica, è importante ottenere sangue dal paziente per eseguire una emocoltura dato che rinvenire lo stesso microrganismo nell’emocoltura del paziente e in quella della sacca permette una diagnosi con un alto grado di certezza.

-          Se il ricevente è sotto terapia antibiotica, l’emocoltura dal paziente può risultare negativa per il microrganismo in causa. In considerazione delle alte percentuali di mortalità, si deve istituire una terapia con antibiotici a largo spettro appena sorge il sospetto di una contaminazione batterica.

-          Si deve anche istituire immediatamente una terapia di supporto per eventuali altre sintomatologie associate alla sepsi.

 

7. Reazione trasfusionale febbrile non emolitica

Individuazione

-          Con relativa frequenza si riscontra la comparsa entro 1-2 ore dalla fine della trasfusione, in pazienti non sotto anestesia, di febbre (definibile come un aumento di almeno 1 °C rispetto alla temperatura corporea precedente alla trasfusione) spesso accompagnata da brividi. Tale sintomatologia è più frequente dopo trasfusione di concentrati piastrinici o granulocitari.

Trattamento

-          Dato che la febbre può rappresentare il primo sintomo di una reazione emolitica post-trasfusionale o della contaminazione batterica di un emocomponente, la trasfusione si deve sospendere in attesa di ulteriori valutazioni.

-          Si deve seguire la linea di condotta stabilita istituzionalmente per escludere reazioni più gravi.

 

  8. Transfusion-Related Acute Lung Jnjury (TRALI)

Individuazione

-          Si tratta di una sindrome polmonare acuta caratterizzata da difficoltà respiratorie e dalla comparsa di un edema polmonare bilaterale, accompagnato da ipossia, che si sviluppa entro 2-8 ore dalla trasfusione.

-          Una radiografia toracica evidenzia infiltrati polmonari a livello interstiziale e alveolare sempreché non esista edema polmonare cardiogeno o da altre cause.

Trattamento

-          Una terapia sintomatica di supporto in caso di difficoltà respiratorie comprende ossigenoterapia e può richiedere intubazione e ventilazione meccanica assistita.

 

 

9. Sovraccarico circolatorio

Individuazione

-          La sintomatologia patognomonica è rappresentata da un aumento della pressione venosa centrale e da edema polmonare.

-          Sovraccarico circolatorio dopo trasfusione interviene abbastanza frequentemente in riceventi che soffrono di malattie cardiorespiratorie o di scompenso renale, in piccoli pazienti in soggetti anemici senza emorragie in atto.

Trattamento

-          Sospendere la trasfusione, porre il paziente in una posizione più eretta possibile, somministrare ossigeno e, se necessario, diuretici.

-          I sintomi dell’edema polmonare acuto debbono essere trattati in maniera drastica.

-          In alcuni casi, si dovrà procedere a salasso terapeutico.

-          La diagnosi differenziale dovrebbe poter escludere altre cause di edema polmonare come la TRALI o un infarto miocardico.

 

Prevenzione

-          La prevenzione riguarda uno studio pretrasfusionale approfondito dei pazienti a rischio, l’abuso di liquidi, l’impiego di emocomponenti concentrati e ritmi di infusione appropriati.

 

 10. Altre reazioni

 

Altre possibili reazioni trasfusionali acute sono:  

a)       ipotermia (il riscaldare i liquidi che si infondono, gli apparecchi da infusione che si utilizzano e i gas che si fanno inalare così come l’aumentare la temperatura ambiente sono mezzi che possono portare sollievo al paziente ed evitare la comparsa di coagulopatie);

b)       tossicità da citrato (ipocalcemia e ipomagnesemia debbono essere trattati con terapia sostitutiva);

c)       iperpotassiemia (non è necessario istituire misure preventive; può essere razionale utilizzare concentrati eritrocitari conservati per non più di 7 giorni o sottoposti a lavaggio in pazienti opportunamente selezionati);

d)       embolia gassosa (il porre la massima attenzione all’apparecchio da infusione rappresenta la misura preventiva più efficace per riconoscere ed evitare l’embolia).

 

II - Reazioni ritardate o a lungo termine (che intervengono dopo 24 h dalla trasfusione)

 

 1. Alloimmunizzazione eritrocitaria

Individuazione

-          Frequentemente, l’alloimmunizzazione eritrocitaria è asintomatica, essendo riconosciuta soltanto in laboratorio ma non clinicamente.

-          Nelle forme con emolisi ritardata, i pazienti segnalano una mancanza inspiegabile di effetto benefico dalla terapia trasfusionale e possono presentare esami di laboratorio alterati.

Trattamenti/Prevenzione

a) Emolisi ritardata

-          L’unica terapia riguarda l’alleviamento dei sintomi, comprendente anche possibili ulteriori trasfusioni utilizzando eritrociti privi dell’antigene responsabile dell’immunizzazione.

-          Una prevenzione non è attualmente possibile.

b) Formazione di anticorpi

-          Escludendo i pazienti che debbono essere trasfusi per lunghi periodi, non è richiesta alcuna misura per prevenire l’alloimmunizzazione. È importante registrare l’esistenza di ogni anticorpi svelato e informarne paziente e medico curante, perché, col tempo, il titolo degli immunoanticorpi può abbassarsi sotto il livello di individuazione.

-          Sono possibili due strategie da adottarsi nel caso di pazienti anemici per cause genetiche. Alcuni Servizi Trasfusionali procedono a una tipizzazione eritrocitaria approfondita prima di iniziare la terapia trasfusionale e utilizzano esclusivamente emazie antigeneticamente identiche (quanto meno per i principali sistemi gruppoematici) a quelle del ricevente, al fine di evitare l’alloimmunizzazione. In alternativa, si può trasfondere questi pazienti senza alcuna previdenza sino alla comparsa dell’immunizzazione, dopo di che si utilizzeranno esclusivamente eritrociti antigene-negativi.

 

  2. Alloimmunizzazione piastrinica

Refrattarietà

Individuazione

-          Non si ottiene l’incremento piastrinico atteso.

-          È un evento che interviene in pazienti che abbisognano di ripetute trasfusioni con concentrati piastrinici.

Trattamento

-          La refrattarietà dovuta a immunizzazione viene convenzionalmente trattata o utilizzando piastrine HLA-compatibili da singolo donatore (che risultano efficaci in oltre il 90% dei casi) o concentrati che si dimostrano compatibili a una prova crociata piastrinica.

-          Forme severe di refrattarietà che non rispondano al trattamento sopra specificato richiedono l’impiego di alte dosi di Ig endovena o il ricorso al plasma-exchange.

 

Porpora Post-Trasfusionale (PPT)

Individuazione

-          Porpora, ematomi o emorragie mucose inspiegabili che intervengono dopo 2-14 giorni da una trasfusione (usualmente dopo una trasfusione di concentrati eritrocitari non filtrati) indirizzano verso una diagnosi di PPT:

-          È un’evenienza che riguarda in particolare pluripare o soggetti politrasfusi che siano negativi per il più comune antigene specifico piastrinico (HPA-1a, precedentemente designato come PlA1).

Trattamento

-          Può richiedere l’uso di Ig endovena.

-          In alcuni casi ha avuto successo l’impiego di plasma-exchange.

-          È attualmente impossibile identificare, con i metodi correnti, i soggetti a rischio di PPT. Una volta che interviene la porpora, il paziente a rischio deve essere trasfuso soltanto con emocomponenti negativi per l’antigene in causa.

3. Graft versus Host Disease (GvHD) associata alla trasfusione (TA-GvHD)

Individuazione

-          I segni patognomonici di una TA-GvHD sono rappresentati da eruzioni cutanee (rash), febbre sintomatologia gastrointestinale e grave citopenie ematologiche che compaiono dopo 4-10 giorni da una trasfusione

-          La TA-GvHD interviene, con ogni probabilità quando vengono trasfusi emocomponenti provenienti da soggetti omozigoti per un aplotipo HLA presente nel ricevente, o da soggetti consanguinei o, ancora nel trattamento trasfusionale di pazienti gravemente immunocom-promessi.

  Trattamento

-          Dato che la TA-GvHD è quasi sempre fatale (mortalità fra il 92 e il 100% dei casi), in seguito alla severa aplasia midollare che provoca, una terapia specifica non è chiaramente definita e, comunque, raramente efficace.

  Prevenzione

-          La prevenzione è relativamente semplice: impiego di emocomponenti irradiati con almeno 25 Gy (Grays) al centro della sacca. L’uso di radiazioni ionizzanti inibisce la proliferazione dei linfociti senza alterare le altre funzioni cellulari. La leucodeplezione con i filtri attualmente disponibili non previene la TA-GvHD.

 

4. Effetti immunomodulanti della trasfusione

Una possibile relazione fra terapia trasfusionale e possibile aumento delle infezioni o delle ricadute neoplastiche non è ancora stata accertata con sicurezza.

 

5. Sovraccarico marziale

Individuazione

-          L’emosiderosi di origine trasfusionale (per accumulo di Fe nei tessuti) può decorrere in modo silente sino allo stadio avanzato.

-          Un sistematico monitoraggio della ferritina risulta utile nella determinazione del carico totale di Fe.

-          Possono intervenire disfunzioni epatiche e delle ghiandole endocrine.

-          La più grave complicanza è la cardiotossicità, che causa aritmie, scompenso cardiaco congestizio e morte.

  Trattamento

-          L’emosiderosi può essere prevenuta nei pazienti che necessitano di un trattamento trasfusionale a lungo termine. La terapia si basa sull’impiego di agenti ferro-chelanti, quali la desferrosamina per via parenterale, impiego che deve iniziare precocemente nel corso di una trattamento trasfusionale cronico, quando il livello sierico della ferritina raggiunge 1.000/2.000 µL/L. Il mantenimento del livello di ferritina al di sotto di 2.500 µL/L assicura una più lunga sopravvivenza del ricevente.

-          La splenectomia nei quei pazienti con ipersplenismo può risultare utile per ridurre le necessità trasfusionali in un programma di terapia a lungo termine. L’impiego di eritroaferesi riduce il carico marziale nei pazienti affetti da anemia drepanocitica, anche se si tratta di una pratica costosa e che aumenta l’esposizione a più donatori. Promettenti alternative alla trasfusione di concentrati eritrocitari sono rappresentate dall’uso di eritropoietina ricombinante, da quello di idrossiurea nei soggetti drepanocitici e dal ricorso al trapianto allogenico di midollo osseo.

 

6. Malattie infettive trasmissibili con la trasfusione

1 Epatiti

Individuazione

-          Le epatiti post-trasfusionali possono essere clinicamente evidenti, ma nella maggioranza dei casi decorrono in maniera subclinica.

-          Un certo numero di casi esita in forme croniche.

-          Le epatiti più frequentemente riscontrate sono quelle da virus B e da virus C. Il virus A è solo raramente in causa.

-          I primi sintomi sono spesso rappresentati da un aumento inspiegabile delle ALT e da una occasionale iperbilirubinemia.

-          La diagnosi conclusiva viene posta dai test sierologici specifici (che correlano con gli intervalli di incubazione).

  Trattamento

-          Non vi sono trattamenti terapeutici precisi per le forme virali acute, mentre l’uso di interferon alfa si è dimostrato utile nelle forme croniche.

  Prevenzione

-          La trasmissione trasfusionale dei virus B e C dell’epatite non può essere totalmente prevenuta con i metodi attualmente impiegati. Tali metodi comprendono: una approfondita inchiesta anamnestica al donatore su possibili eventi infettanti o su precedenti esami positivi, un accurato controllo dello stato clinico del donatore, l’impiego delle più recenti versioni dei test sierologici di screening per HBsAg, anti-HBc, anti-HCV e di appropriati test di conferma.

-          Sono disponibili validi vaccini per i virus A e B. Il secondo è particolarmente raccomandato nei coniugi di soggetti infettati da virus B.

 

2. Infezione da HIV/1-2

Individuazione

-          La diagnosi finale di una infezione da HIV trasmessa con il sangue viene posta da una sieroconversione che intervenga da 4 a 12 settimane dopo una trasfusione, in assenza di ogni altro possibile fattore di rischio. Le tecniche di biologia molecolare possono dimostrare la reale identità fra i ceppi virali presenti nel donatore e nel ricevente.

-          La diagnosi di una infezione da HIV trasmessa per via trasfusionale viene usualmente posta con un accurato look-back condotto sul ricevente. L’instaurarsi di sintomi quali infezioni opportunistiche, bassi conteggi di CD4 o presenza di particolari neoplasie classiche della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) può rappresentare la prima indicazione di una infezione da HIV.

-          In alcuni riceventi, il tempo intercorso fra la trasfusione e la comparsa di un AIDS sintomatico può essere di soli 2-3 anni.

 

3. Infezioni da HTLV-I/II

Individuazione

-          Sono state occasionalmente riportate, nel mondo occidentale, forme di mielopatie dovute a infezioni da virus HTLV-I e intervenute 2 anni dopo una trasfusione, mentre non sono mai stati descritti casi di leucemie/linfomi a cellule T.

Prevenzione

-          Sono disponibili test registrati di screening per individuare donatori positivi per HTLV-I/II. Sono ancora in studio test di conferma.

 

4. Infezioni da citomegalovirus (CMV)

Individuazione

-          L’infezione da CMV può provocare malattie mortali, multisistemiche in pazienti immunocom-promessi, in neonati di peso inferiore a 1.250 Kg, in soggetti sottoposti a trapianto di midollo osseo o di cuore-polmone e in soggetti affetti da AIDS CMV-negativi.

-          Le manifestazioni cliniche in questi pazienti sono rappresentate da: epatiti, polmoniti (la più frequente complicazione mortale), retiniti, malattie del SNC, gastrointestinali o ematologiche.

-          La diagnosi definitiva di infezione da CMV viene posta dall’isolamento dell’antigene virale o del DNA specifico in urine o saliva.

Prevenzione

-          Il rischio di un’infezione da CMV trasmessa con la trasfusione può essere eliminato con l’impiego di emocomponenti sottoposti a leucodeplezione (sino a <5x106 globuli bianchi) o che siano CMV-negativi. L’uso di una di queste metodiche viene raccomandato nei pazienti a rischio di acquisire una forma grave di infezione da CMV.

 

(tratti da Arch Pathol Lab Med, 124, 61-70, 2000)  

Queste linee-guida sono state redatte dalla Commissione per la terapia trasfusionale, istituita dal Collegio dei Patologi Americani. La Commissione era così composta: Kathleen Sazama, MD; Phillip J DeCristopher, MD, PhD; Roger Dodd, PhD; Chantal R Harrison, MD; Ira A Shulman, MD; Shannon Cooper, MD; Richard J Labotka, MD; Harold A Oberman, MD; Christopher M Zahn, MD; A Gerson Greenburg, MD, PhD; Linda Stehling, MD; Karla J Lauenstein, MT(ASCP)SBB; Thomas H Price, MD; Lee K Williams, RN, MS.

Copie di queste linee-guida possono essere reperite, in forma elettronica, sul Web site del College of American Pathologists o, in forma cartacea, direttamente dal College, 305 Waukegan Road, Northfield, IL, 60093-2750.

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