Parametri
pratici per la trasfusione di concentrati eritrocitari
Di seguito, vengono elencati le indicazioni per l’uso di CE sottoposti a particolari manipolazioni.
- Anemie emolitiche congenite
- Anemie arigenerative richiedenti numerose trasfusioni
- Anemia aplastica
- Mielodisplasie
- Sindromi mieloproliferative
- Discrasie plasmacellulari
- Trapianti di cellule staminali (midollari o dal sangue periferico)
- Emopatie maligne
Terapia in soggetti
con
- Ricorrenti reazioni trasfusionali febbrili (non) emolitiche
- Alloimmunizzazione anti-HLA accertata
- Alternativa all’uso di componenti citomegalovirus-negativi
- Impiego in soggetti con infezione da HIV
Ben definite:
-
Trapianti di cellule staminali midollari o dal sangue periferico
per immunodeficienze cellulo- mediate (immunodeficienza combinata severa,
malattie di Wiskott-Aldrich, sindrome di Di George)
- Trasfusioni o exsanguino-trasfusioni in utero
- Trasfusioni “dedicate” provenienti da consanguinei compatibili per gli antigeni HLA
- Linfomi di Hodgkin
- Leucemia acuta linfoblastica (in adulti o bambini)
- Riceventi di trapianti d’organo, se immunocompromessi
Indicazioni
possibili:
- Soggetti affetti da neoplasie o riceventi trapianti, trattati con chemioradioterapia
- Exsanguino-trasfusioni in neonati o uso di membrane per ossigenazione extracorporea in neonati
- Neonati immaturi o prematuri (peso alla nascita < 1.200g)
- Pazienti infetti da HIV con infezioni opportunistiche
- Neonati a termine
- Pazienti con infezione da HIV
Indicazioni
ben definite (pazienti CMV-sieronegativi o con situazione sierologica ignota):
- Neonati immaturi o prematuri (peso alla nascita <1,200g)
- Pazienti con infezione da HIV
- Riceventi sieronegativi di trapianti allogenici d’organo o di cellule staminali (midollari o da sangue periferico) o probabili candidati a trapianti
- Gravide
- Trasfusioni intrauterine
- Pazienti affetti da linfomi Hodgkin e non-Hodgkin
- Pazienti trattati con terapie immunosoppressive
- Candidati al trapianto autologo di midollo osseo o di cellule staminali da sangue periferico
- Pazienti affetti da immunodeficienze congenite o acquisite
- Neonati sieronegativi a termine
- Gravide sieropositive
Sommario delle
indicazioni per le trasfusioni di CE (esclusi i neonati)
Per dare indicazioni sul dosaggio, bisogna
tener presente che un’unità di CE aumenterà il livello di Hb di 1 g/dL in
una persona di 70 Kg (3-4 mL/Kg di CE). La trasfusione di CE dovrebbe essere
approntata rapidamente al fine di correggere il deficit del trasporto di
ossigeno nelle emorragie acute, tenendo peraltro in considerazione le
conseguenze metaboliche di una infusione rapida e massiva. La rapida infusione
di grandi quantità di sangue a
temperature di 4 °C con un eccesso di potassio extracellulare, con pH ridotto e
con un eccesso di citrato nei vasi pericardiaci può avere conseguenze
indesiderabili sul ritmo e sulla contrattilità del cuore. L’impiego di un
riscaldatore per sangue, il mantenimento di un ritmo infusionale corretto (al
fine di facilitare il metabolismo del citrato) e una particolare attenzione al
bilancio elettrolitico sono in grado di minimizzare le conseguenze di
trasfusioni troppo rapide.
In caso di
emorragie acute:
In caso di anemie
croniche:
5.
Trattare con farmaci specifici (tipo, vitamina B12, acido
folico, eritropoietina ricombinante, ferro) se la diagnosi lo richiede.
6.
Usare le strategie opportune in caso di anemia drepanocitica (vedi oltre)
o talassemia.
7.
Trasfondere per minimizzare i sintomi e i rischi di una anemia
(usualmente a livelli di Hb compresi fra 5 e 8 g/dL).
Indicazioni
per le trasfusioni di CE nell’anemia drepanocitica
- Anemia sintomatica indotta da perdite ematiche
- Crisi dolorose non dominabili con terapia medica
- Crisi aplastiche
- Sequestri splenici
- Emolisi accelerate (simili a quelle dovute a reazioni trasfusionali emolitiche ritardate, alle malattie emolitiche da autoanticorpi caldi)
- Preparazione a interventi operatori
- Prevenzione delle crisi occlusive ricorrenti (con HbS >30%)
- Complicanze gravidiche (aborti ricorrenti, gestazioni multiple)
- Probabile ruolo nella sindrome toracica ricorrente e/o nelle ulcere cutanee
- Crisi acute o incombenti compresi attacchi ischemici transitori
- Emboli grassosi
- Priapismo acuto non trattabile
- Sindromi toraciche acute e rapidamente progressive
- Preparazione a interventi di chirurgia maggiore o a chirurgia oculare
-
Per i casi elencati per le trasfusioni semplici (acute o croniche)
in presenza di sovraccarico marziale
1) Ematocrito £20% o Hb £7 g/dL e con conta reticolocitaria <4% (o in assoluto, <100.000/mL).
2) Ematocrito £25% o Hb £8 g/dL e una delle seguenti situazioni.
3)
Ematocrito £
30% o Hb £10
g/dL con RDS moderata + FIO2 > 35% o NCPAP o IMV con Paw fra 6 e 8
cm H2O.
4)
Ematocrito £
35% o Hb £
12 g/dL con RDS severa richiedente la ventilazione meccanica, una Paw > 8 cm
H2O e FIO2 > 50% o grave cardiopatia congenita con
cianosi e scompenso cardiaco.
5)
Emorragia acuta con stato di shock; la sostituzione del sangue
ristabilisce una volemia adeguata e l’ematocrito al 40%.
Non
trasfondere per sostituire il sangue prelevato per
esami di laboratorio o in caso di ematocrito basso tolti i casi sopra citati.
Indicazioni
per le trasfusioni di CE in ostetricia
Le indicazioni per le trasfusioni di CE in
gravide o nel post-partum sono identiche a quelle di pazienti non gravide. A
gravide note per essere negativi per i marcatori di CMV o il cui stato al
riguardo non è conosciuto dovrebbero essere trasfusi emocomponenti CMV-negativi
o unità leucodeplete (vedi sezione precedente).
Le
linee-guida sono state redatte dalla Commissione per la terapia trasfusionale,
istituita dal Collegio dei Patologi Americani. La Commissione era così
composta: Toby L Simon, MD; Dale C Alverson, MD; James AuBuchon, MD; Shannon
Cooper, MD; Phillip J DeCristopher, MD PhD; Guy C Glenn, MD; Steven A Gould, MD;
Chantal R Harrison, MD; John D Milam, MD; Kenneth J Moise Jr, MD; Francis Robert
Rodwig Jr, MD; Laurence A Sherman, MD; Ira A Shulman, MD; Linda Stehling, MD.
Al
momento, non sono previsti aggiornamenti.
Copie
di queste linee-guida possono essere reperite, in forma elettronica, sul Web
site del College of American Pathologists o,
in forma cartacea, direttamente dal College,
305 Waukegan Road, Northfield, IL, 60093-2750.
Questa sintesi è basata su linee-guida originali soggette a copyright.
(tratti da Arch Pathol Lab Med, 122, 130-8, '98)
Parametri
pratici per il riconoscimento, trattamento e prevenzione degli eventi avversi
I - Reazioni acute che intervengono entro 24
ore
Comportamento
in relazione a un evento avverso trasfusionale acuto
Compiti
del medico che ha eseguito la trasfusione
In
relazione al paziente:
-
ricontrollare
i documenti di identificazione relativi alla sacca e al paziente,
-
mantenere pervia la via endovenosa con soluzione fisiologica,
-
prendere contatto con il medico curante per direttive circa il
trattamento del paziente,
-
somministrare una terapia (di supporto o definitiva).
In
relazione all’emocomponente:
-
ricontrollare i documenti di identificazione
relativi alla sacca e al paziente,
-
disconnettere l’unità dal paziente, rimandare sacca, set ed eventuale
sacca di liquidi infusi al Servizio Trasfusionale, qualora indicato,
-
prendere contatto con il Servizio Trasfusionale per indicazioni circa le
modalità per l’inchiesta,
-
ottenere campioni di sangue e inviarli al laboratorio con il modulo di
richiesta appropriato.
Compiti
del laboratorio
-
Controllo dei documenti (sacca. etichette, modulistica di lavoro) e dei
campioni.
-
Controllo visivo del plasma pre e post-trasfusione (valido soltanto
quando l’Hb presente nel
plasma sia superiore a 50 mg/dL).
-
Eseguire il test diretto all’antiglobulina (TDA) sul campione prelevato
dopo la trasfusione.
-
Informare dei risultati il direttore del Servizio Trasfusionale.
-
Eseguire ulteriori esami su indicazione dei medici del Servizio
Trasfusionale.
1. Emolisi immune intravascolare
Individuazione
-
È normalmente causata da una trasfusione di eritrociti ABO-incompatibili,
-
Brividi, ipotensione, dolori lombari o toracici, emoglobinuria, oliguria,
emorragie massive o a nappo (cioè CID) sono sintomi che possono comparire anche
solo dopo una somministrazione di 10-15 mL,
-
La morte interviene in circa 1 caso su 30 trasfusioni di emazie
ABO-incompatibili.
Trattamento
-
Sospendere immediatamente la trasfusione e non tentare di ricominciarla.
-
Mantenere pervia la via endovenosa.
-
La sacca deve essere restituita al Servizio Trasfusionale per le
indagini.
-
Si deve seguire la politica istituzionalmente adottata per le indagini e
il trattamento di questo tipo di reazione.
-
I principali presidi terapeutici comprendono un trattamento drastico
dell’ipotensione e il mantenimento della funzione renale mediante una terapia
con dopamina a basse dosi, un monitoraggio della diuresi e la somministrazione
di un diuretico (per esempio, furosemide).
-
Se interviene CID, possono essere utili somministrazione di concentrati
piastrinici, di plasma fresco congelato di crioprecipitato di fattore VIII.
Prevenzione
Precisa identificazione
del ricevente dalla raccolta del campione, alla esecuzione della trasfusione e
al garanzia che le etichette dei campioni e delle unità da trasfondere sono
corrette.
2.
Emolisi immune extravascolare
Individuazione
-
Il paziente è spesso asintomatico.
-
La diagnosi viene di norma fornita dagli esami di laboratorio: TDA, prove
di compatibilità, bilirubina.
Trattamento
-
Di solito non viene richiesto alcun trattamento, benché il paziente
possa aver necessità di ulteriori trasfusioni.
-
Una volta identificato il problema, sono da evitare la trasfusioni di
emocomponenti incompatibili.
3.
Emolisi non immune
Individuazione
-
Questo tipo di emolisi può intervenire nel contenitori o durante la
infusione per bruschi mutamenti della temperatura, per traumi meccanici o per
contatto con soluzioni non isotoniche.
-
L’emoglobinuria può rappresentare l’unico sintomo rilevabile.
Trattamento
-
Si deve sospendere immediatamente la trasfusione e seguire la linea di
condotta stabilita istituzionalmente per le indagini relative.
-
Si viene esclusa ogni possibile causa immunologica, si debbono indagare
tutte le possibili cause di emolisi non immune.
-
Mantenere il trattamento endovena con soluzioni isotoniche allo scopo di
assicurare una diuresi efficace.
Prevenzione
-
L’attenersi scrupolosamente alle corrette tecniche di lavorazione,
conservazione e somministrazione degli emocomponenti dovrebbe minimizzare la
possibilità di una emolisi non immune.
4.
Reazioni allergiche
Individuazione
-
La sintomatologia (locale o generale) è caratterizzata generalmente da
orticaria accompagnata o meno da prurito e da edema locale.
Trattamento
-
La trasfusione deve essere immediatamente interrotta sino a scomparsa dei
sintomi in seguito a terapia con antistaminici.
-
La trasfusione può essere ragionevolmente ripresa in quei pazienti che
presentano esclusivamente un’orticaria che abbia risposto alla terapia
antistaminica.
Prevenzione
-
Un sistematico trattamento pretrasfusionale con antistaminici non è
clinicamente indicato. Tuttavia, in alcuni pazienti che hanno presentato
orticaria in precedenti trasfusioni l’uso profilattico di antistaminici può
essere benefico. Per certi pazienti può essere necessaria ridurre la quota di
plasma negli emocomponenti cellulari o evitare la somministrazione di plasma
fresco congelato.
5.
Reazioni anafilattiche
Individuazione
-
La sintomatologia è caratterizzata da una sindrome respiratoria acuta
dovuto a edema laringeo e a broncospasmo con ipotensione arteriosa. Può seguire
una morte rapida.
Trattamento
-
La trasfusione deve essere immediatamente sospesa e mai più ripresa.
-
Il paziente deve ricevere un’appropriata ventilazione e un trattamento
rianimatorio ulteriore; può essere indicato l’uso di epinefrina.
-
Per i malati IgA-carenti le successive trasfusioni debbono essere
approntate con emocomponenti privi di IgA, per quanto possibile.Per gli altri,
l’uso di emocomponenti con frazione plasmatica ridotta minimizzerà i rischi
di un possibile ripetersi della sintomatologia.
6.
Sepsi post-trasfusionale
Individuazione
-
La reazione è causata da batteri presenti nel contenitore o
nell’emocomponente e dalle tossine prodotte da questi.
-
La sintomatologia è caratterizzata da febbre alta o altissima, brividi,
ipotensione grave, accompagnata spesso da senso di nausea e da diarrea; può
seguire morte.
Trattamento
-
La trasfusione deve essere immediatamente sospesa e mai più ripresa.
-
La sacca, il set da trasfusione e ogni liquido infuso deve essere
rimandato al Servizio Trasfusionale per indagini immediate, che comprendano
anche la colorazione di Gram e l’approntamento di colture del componente
rimasto nella sacca ed, eventualmente, dei fluidi infusi endovena. Prima di
istituire una terapia antimicrobica, è importante ottenere sangue dal paziente
per eseguire una emocoltura dato che rinvenire lo stesso microrganismo nell’emocoltura
del paziente e in quella della sacca permette una diagnosi con un alto grado di
certezza.
-
Se il ricevente è sotto terapia antibiotica, l’emocoltura dal paziente
può risultare negativa per il microrganismo in causa. In considerazione delle
alte percentuali di mortalità, si deve istituire una terapia con antibiotici a
largo spettro appena sorge il sospetto di una contaminazione batterica.
-
Si deve anche istituire
immediatamente una terapia di supporto per eventuali altre sintomatologie
associate alla sepsi.
7.
Reazione trasfusionale febbrile non emolitica
Individuazione
-
Con relativa frequenza si riscontra la comparsa entro 1-2 ore dalla fine
della trasfusione, in pazienti non sotto anestesia, di febbre (definibile come
un aumento di almeno 1 °C rispetto alla temperatura corporea precedente alla
trasfusione) spesso accompagnata da brividi. Tale sintomatologia è più
frequente dopo trasfusione di concentrati piastrinici o granulocitari.
Trattamento
-
Dato che la febbre può rappresentare il primo sintomo di una reazione
emolitica post-trasfusionale o della contaminazione batterica di un
emocomponente, la trasfusione si deve sospendere in attesa di ulteriori
valutazioni.
-
Si deve seguire la linea di condotta stabilita istituzionalmente per
escludere reazioni più gravi.
Individuazione
-
Si tratta di una sindrome polmonare acuta caratterizzata da difficoltà
respiratorie e dalla comparsa di un edema polmonare bilaterale, accompagnato da
ipossia, che si sviluppa entro 2-8 ore dalla trasfusione.
-
Una radiografia toracica evidenzia infiltrati polmonari a livello
interstiziale e alveolare sempreché non esista edema polmonare cardiogeno o da
altre cause.
Trattamento
-
Una terapia sintomatica di supporto in caso di difficoltà respiratorie
comprende ossigenoterapia e può richiedere intubazione e ventilazione meccanica
assistita.
9.
Sovraccarico circolatorio
Individuazione
-
La sintomatologia patognomonica è rappresentata da un aumento della
pressione venosa centrale e da edema polmonare.
-
Sovraccarico circolatorio dopo trasfusione interviene abbastanza
frequentemente in riceventi che soffrono di malattie cardiorespiratorie o di
scompenso renale, in piccoli pazienti in soggetti anemici senza emorragie in
atto.
Trattamento
-
Sospendere la trasfusione, porre il paziente in una posizione più eretta
possibile, somministrare ossigeno e, se necessario, diuretici.
-
I sintomi dell’edema polmonare acuto debbono essere trattati in maniera
drastica.
-
In alcuni casi, si dovrà procedere a salasso terapeutico.
-
La diagnosi differenziale dovrebbe poter escludere altre cause di edema
polmonare come la TRALI o un infarto miocardico.
Prevenzione
-
La prevenzione riguarda uno studio pretrasfusionale approfondito dei
pazienti a rischio, l’abuso di liquidi, l’impiego di emocomponenti
concentrati e ritmi di infusione appropriati.
10.
Altre reazioni
Altre possibili reazioni
trasfusionali acute sono:
a)
ipotermia (il riscaldare i liquidi che si
infondono, gli apparecchi da infusione che si utilizzano e i gas che si fanno
inalare così come l’aumentare la temperatura ambiente sono mezzi che possono
portare sollievo al paziente ed evitare la comparsa di coagulopatie);
b)
tossicità
da citrato (ipocalcemia e
ipomagnesemia debbono essere trattati con terapia sostitutiva);
c)
iperpotassiemia (non è
necessario istituire misure preventive; può essere razionale utilizzare
concentrati eritrocitari conservati per non più di 7 giorni o sottoposti a
lavaggio in pazienti opportunamente selezionati);
d)
embolia
gassosa (il porre la massima attenzione all’apparecchio da infusione
rappresenta la misura preventiva più efficace per riconoscere ed evitare
l’embolia).
II - Reazioni
ritardate o a lungo termine (che intervengono dopo 24 h dalla trasfusione)
Individuazione
-
Frequentemente, l’alloimmunizzazione eritrocitaria è asintomatica,
essendo riconosciuta soltanto in laboratorio ma non clinicamente.
-
Nelle forme con emolisi ritardata, i pazienti segnalano una mancanza
inspiegabile di effetto benefico dalla terapia trasfusionale e possono
presentare esami di laboratorio alterati.
Trattamenti/Prevenzione
a) Emolisi ritardata
-
L’unica terapia riguarda
l’alleviamento dei sintomi, comprendente anche possibili ulteriori trasfusioni
utilizzando eritrociti privi dell’antigene responsabile dell’immunizzazione.
-
Una prevenzione non è attualmente
possibile.
b) Formazione di anticorpi
-
Escludendo i pazienti che debbono
essere trasfusi per lunghi periodi, non è richiesta alcuna misura per prevenire
l’alloimmunizzazione. È importante registrare l’esistenza di ogni anticorpi
svelato e informarne paziente e medico curante, perché, col tempo, il titolo
degli immunoanticorpi può abbassarsi sotto il livello di individuazione.
-
Sono possibili due strategie da
adottarsi nel caso di pazienti anemici per cause genetiche. Alcuni Servizi
Trasfusionali procedono a una tipizzazione eritrocitaria approfondita prima di
iniziare la terapia trasfusionale e utilizzano esclusivamente emazie
antigeneticamente identiche (quanto meno per i principali sistemi gruppoematici)
a quelle del ricevente, al fine di evitare l’alloimmunizzazione. In
alternativa, si può trasfondere questi pazienti senza alcuna previdenza sino
alla comparsa dell’immunizzazione, dopo di che si utilizzeranno esclusivamente
eritrociti antigene-negativi.
Refrattarietà
Individuazione
-
Non si ottiene l’incremento piastrinico atteso.
-
È un evento che interviene in pazienti che abbisognano di ripetute
trasfusioni con concentrati piastrinici.
Trattamento
-
La refrattarietà dovuta a immunizzazione viene convenzionalmente
trattata o utilizzando piastrine HLA-compatibili da singolo donatore (che
risultano efficaci in oltre il 90% dei casi) o concentrati che si dimostrano
compatibili a una prova crociata piastrinica.
-
Forme severe di refrattarietà che non rispondano al trattamento sopra
specificato richiedono l’impiego di alte dosi di Ig endovena o il ricorso al plasma-exchange.
Porpora
Post-Trasfusionale (PPT)
Individuazione
-
Porpora, ematomi o emorragie mucose inspiegabili che intervengono dopo
2-14 giorni da una trasfusione (usualmente dopo una trasfusione di concentrati
eritrocitari non filtrati) indirizzano verso una diagnosi di PPT:
-
È un’evenienza che riguarda in particolare pluripare o soggetti
politrasfusi che siano negativi per il più comune antigene specifico
piastrinico (HPA-1a, precedentemente designato come PlA1).
Trattamento
-
Può richiedere l’uso di Ig endovena.
-
In alcuni casi ha avuto successo l’impiego di plasma-exchange.
-
È attualmente impossibile identificare, con i metodi correnti, i
soggetti a rischio di PPT. Una volta che interviene la porpora, il paziente a
rischio deve essere trasfuso soltanto con emocomponenti negativi per
l’antigene in causa.
3.
Graft versus Host Disease (GvHD) associata
alla trasfusione (TA-GvHD)
Individuazione
-
I segni patognomonici di una TA-GvHD sono rappresentati da eruzioni
cutanee (rash), febbre sintomatologia gastrointestinale e grave citopenie
ematologiche che compaiono dopo 4-10 giorni da una trasfusione
-
La TA-GvHD interviene, con ogni probabilità quando vengono trasfusi
emocomponenti provenienti da soggetti omozigoti per un aplotipo HLA presente nel
ricevente, o da soggetti consanguinei o, ancora nel trattamento trasfusionale di
pazienti gravemente immunocom-promessi.
-
Dato che la TA-GvHD è quasi sempre fatale (mortalità fra il 92 e il
100% dei casi), in seguito alla severa aplasia midollare che provoca, una
terapia specifica non è chiaramente definita e, comunque, raramente efficace.
-
La prevenzione è relativamente semplice: impiego di emocomponenti
irradiati con almeno 25 Gy (Grays) al
centro della sacca. L’uso di radiazioni ionizzanti inibisce la proliferazione
dei linfociti senza alterare le altre funzioni cellulari. La leucodeplezione con
i filtri attualmente disponibili non previene la TA-GvHD.
4.
Effetti immunomodulanti della trasfusione
Una possibile relazione
fra terapia trasfusionale e possibile aumento delle infezioni o delle ricadute
neoplastiche non è ancora stata accertata con sicurezza.
5.
Sovraccarico marziale
Individuazione
-
L’emosiderosi di origine trasfusionale (per accumulo di Fe nei tessuti)
può decorrere in modo silente sino allo stadio avanzato.
-
Un sistematico monitoraggio della ferritina risulta utile nella
determinazione del carico totale di Fe.
-
Possono intervenire disfunzioni epatiche e delle ghiandole endocrine.
-
La più grave complicanza è la cardiotossicità, che causa aritmie,
scompenso cardiaco congestizio e morte.
-
L’emosiderosi può essere prevenuta nei pazienti che necessitano di un
trattamento trasfusionale a lungo termine. La terapia si basa sull’impiego di
agenti ferro-chelanti, quali la desferrosamina per via parenterale, impiego che
deve iniziare precocemente nel corso di una trattamento trasfusionale cronico,
quando il livello sierico della ferritina raggiunge 1.000/2.000 µL/L. Il
mantenimento del livello di ferritina al di sotto di 2.500 µL/L assicura una più
lunga sopravvivenza del ricevente.
-
La splenectomia nei quei pazienti con ipersplenismo può risultare utile
per ridurre le necessità trasfusionali in un programma di terapia a lungo
termine. L’impiego di eritroaferesi riduce il carico marziale nei pazienti
affetti da anemia drepanocitica, anche se si tratta di una pratica costosa e che
aumenta l’esposizione a più donatori. Promettenti alternative alla
trasfusione di concentrati eritrocitari sono rappresentate dall’uso di
eritropoietina ricombinante, da quello di idrossiurea nei soggetti drepanocitici
e dal ricorso al trapianto allogenico di midollo osseo.
6.
Malattie infettive trasmissibili con la trasfusione
1
Epatiti
Individuazione
-
Le epatiti post-trasfusionali possono essere clinicamente evidenti, ma
nella maggioranza dei casi decorrono in maniera subclinica.
-
Un certo numero di casi esita in forme croniche.
-
Le epatiti più frequentemente riscontrate sono quelle da virus B e da
virus C. Il virus A è solo raramente in causa.
-
I primi sintomi sono spesso rappresentati da un aumento inspiegabile
delle ALT e da una occasionale iperbilirubinemia.
-
La diagnosi conclusiva viene posta dai test sierologici specifici (che
correlano con gli intervalli di incubazione).
-
Non vi sono trattamenti terapeutici precisi per le forme virali acute,
mentre l’uso di interferon alfa si è dimostrato utile nelle forme croniche.
-
La trasmissione trasfusionale dei virus B e C dell’epatite non può
essere totalmente prevenuta con i metodi attualmente impiegati. Tali metodi
comprendono: una approfondita inchiesta anamnestica al donatore su possibili
eventi infettanti o su precedenti esami positivi, un accurato controllo dello
stato clinico del donatore, l’impiego delle più recenti versioni dei test
sierologici di screening per HBsAg,
anti-HBc, anti-HCV e di appropriati test di conferma.
-
Sono disponibili validi vaccini per i virus A e B. Il secondo è
particolarmente raccomandato nei coniugi di soggetti infettati da virus B.
2.
Infezione da HIV/1-2
Individuazione
-
La diagnosi finale di una infezione da HIV trasmessa con il sangue viene
posta da una sieroconversione che intervenga da 4 a 12 settimane dopo una
trasfusione, in assenza di ogni altro possibile fattore di rischio. Le tecniche
di biologia molecolare possono dimostrare la reale identità fra i ceppi virali
presenti nel donatore e nel ricevente.
-
La diagnosi di una infezione da HIV trasmessa per via trasfusionale viene
usualmente posta con un accurato look-back
condotto sul ricevente. L’instaurarsi di sintomi quali infezioni
opportunistiche, bassi conteggi di CD4 o presenza di particolari neoplasie
classiche della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) può rappresentare
la prima indicazione di una infezione da HIV.
-
In alcuni riceventi, il tempo intercorso fra la trasfusione e la comparsa
di un AIDS sintomatico può essere di soli 2-3 anni.
3.
Infezioni da HTLV-I/II
Individuazione
-
Sono state occasionalmente riportate, nel mondo occidentale, forme di
mielopatie dovute a infezioni da virus HTLV-I e intervenute 2 anni dopo una
trasfusione, mentre non sono mai stati descritti casi di leucemie/linfomi a
cellule T.
Prevenzione
-
Sono disponibili test registrati di screening
per individuare donatori positivi per HTLV-I/II. Sono ancora in studio test
di conferma.
4.
Infezioni da citomegalovirus (CMV)
Individuazione
-
L’infezione da CMV può provocare malattie mortali, multisistemiche in
pazienti immunocom-promessi, in neonati di peso inferiore a 1.250 Kg, in
soggetti sottoposti a trapianto di midollo osseo o di cuore-polmone e in
soggetti affetti da AIDS CMV-negativi.
-
Le manifestazioni cliniche in questi pazienti sono rappresentate da:
epatiti, polmoniti (la più frequente complicazione mortale), retiniti, malattie
del SNC, gastrointestinali o ematologiche.
-
La diagnosi definitiva di infezione da CMV viene posta dall’isolamento
dell’antigene virale o del DNA specifico in urine o saliva.
Prevenzione
-
Il rischio di un’infezione da CMV trasmessa con la trasfusione può
essere eliminato con l’impiego di emocomponenti sottoposti a leucodeplezione
(sino a <5x106 globuli bianchi) o che siano CMV-negativi. L’uso
di una di queste metodiche viene raccomandato nei pazienti a rischio di
acquisire una forma grave di infezione da CMV.
(tratti
da Arch Pathol Lab Med, 124, 61-70, 2000)
Queste
linee-guida sono state redatte dalla Commissione per la terapia trasfusionale,
istituita dal Collegio dei Patologi Americani. La Commissione era così
composta: Kathleen Sazama, MD; Phillip J DeCristopher, MD, PhD; Roger Dodd, PhD;
Chantal R Harrison, MD; Ira A Shulman, MD; Shannon Cooper, MD; Richard J Labotka,
MD; Harold A Oberman, MD; Christopher M Zahn, MD; A Gerson Greenburg, MD, PhD;
Linda Stehling, MD; Karla J Lauenstein, MT(ASCP)SBB; Thomas H Price, MD; Lee K
Williams, RN, MS.
Copie
di queste linee-guida possono essere reperite, in forma elettronica, sul Web
site del College of American Pathologists o,
in forma cartacea, direttamente dal College,
305 Waukegan Road, Northfield, IL, 60093-2750.
Per tornare alla pagina iniziale fare clic qui