dal "manifesto" del  23ottobre 1999

TESTIMONIANZA DA GROZNY

"Ero lì al mercato, poi una scia di fuoco, pozze di sangue..."

MARIA EISMONT * - GROZNY

I razzi parevano arrivare dal nulla. Un minuto di una solita serata nella zona del mercato di Grozny, un minuto dopo tutto era morte e distruzione. Io ero ferma in piedi che intervistavo un combattente ceceno a Grozny giovedì sera quando le esplosioni dei razzi hanno all'improvviso squarciato l'aria. Un scia di fuoco e due violenti scoppi sono risuonati attraverso la città in rapida successione. La gente ha cominciato a correre da tutte le parti per cercare rifugio e per sfuggire all'attacco, di cui i ceceni hanno dato la colpa alla Russia ma che però Mosca ha negato di aver compiuto.
Io sono riuscita a infilarmi in una cantina e sono rimasta là sotto finché non è calato il silenzio e sono ritornata allo scoperto, nel mezzo di una scena agghiacciate. Girato l'angolo dell'edificio dove mi ero nascosta, cinque corpi insanguinati giacevano accatastati uno sull'altro. E poi: gente che urlava, i feriti che gridavano per ricevere aiuto, corpi mutilati. Per terra c'erano pozze di sangue, le bancarelle del mercato ridotte a brandelli di legno e ferro. Dappertutto c'erano pezzi di missile, residui metallici sui quali era scritto il numero di identificazione tipicamente militare. Morti e feriti venivano portati al vicino ospedale dove sembrava che il sangue coprisse ogni cosa, la gente singhiozzava. Dopo l'attacco io ho visto 30 corpi impilati uno sull'altro all'interno di questo ospedale. Ho visto portare dentro il corpo di un bambino di 10 anni, senza vita e con gli occhi ancora aperti, le sue braccia raccolte sul petto. Aslan, un combattente ceceno, mi ha detto in seguito che nell'attacco è stata uccisa la sua ragazza. Quando me l'ha detto ha aggiunto che l'aveva appena salutata. "Le stavo parlando quando lei mi ha detto: andiamo da qualche parte. Io le ho risposto che non potevo perché avevo degli ordini da rispettare. Mi ero allontanato di una decina di metri dall'area del mercato che i razzi hanno colpito esattamente il punto in cui c'era lei".

*Reuters


dal "manifesto" del  23 ottobre 1999

LA GUERRA

La lunga marcia del Caucaso in fiamme

K. S. KAROL

La seconda guerra di Cecenia delle forze armate russe, tra notizie pilotate e stragi compiute, mentre l'occidente resta a guardare. E nel 1942 la nostra ritirata attraverso le montagne andò così...

L a seconda guerra in Cecenia è iniziata da cinque settimane e ancora non sono chiare le intenzioni dei militari e del governo russo. Dopo aver occupato i tre distretti a nord del fiume Terek, l'esercito russo cerca di instaurarvi un'amministrazione pur continuando a bombardare il resto della Cecenia. Il primo ministro Vladimir Putin ha appena fatto un viaggio lampo nei villaggi "liberati", dove ha promesso che l'elettricità e il gas ricominceranno a funzionare a partire dal primo novembre e ha assicurato che non è sua intenzione mettere la Cecenia in ginocchio. Il giorno dopo, in una dichiarazione ufficiale, il governo si è dichiarato aperto al dialogo con le forze cecene che riconoscano la sovranità e l'ordine costituzionale della Russia. Ma forze del genere non esistono e Vladimir Putin lo sa perfettamente; dovendo incontrare a Helsinki i dirigenti dell'Unione europea ha semplicemente fatto un gesto per dimostrare di non essere un semplice "premier militare", come già lo chiamano a Mosca. Per meglio controllare l'informazione, il governo ha creato la settimana scorsa il Russinformcentre, ispirandosi al modello del Sovinformburo durante la seconda guerra mondiale. Il Russinformcentre intervista soltanto militari dei differenti ranghi, che testimoniano tutti di un morale eccellente e di non mancare di nulla. Non è più il caso di far vedere in tv dei militari che protestano per i salari promessi e non pagati.

Il sistema informativo

Gli aviatori poi assicurano che non hanno fatto alcuna vittima civile perché bombardano gli obiettivi militari con estrema precisione, proprio dopo aver appena finito di perpetrare un vero e proprio massacro nel cuore di Grozny. Qualche generale afferma che è in grado di prendere Grozny quando vuole e senza subire perdite. Questo sistema di informazione convince la gente? Certo non coloro che hanno vissuto la seconda guerra mondiale, e sanno come il Sovinformburo, nascondendo le notizie, ha spesso danneggiato l'esercito sovietico. Parlo per esperienza. Nel 1942, credevamo che la Wermacht fosse ancora sul Don e vi subisse enormi perdite, mentre le sue avanguardie occupavano già Minvody, nodo di comunicazione essenziale nel Caucaso. Ero allora un giovane soldato e ricordo la nostra ritirata attraverso le montagne dove traversavamo spesso da villaggi molto simili a quelli che Vladimir Putin ha visitato la settimana scorsa. E l'identità musulmana dei caucasici era evidente, ma non si traduceva in una ostilità verso di noi. Si limitavano a nascondere le donne, non aprire le porte di casa e a portarci un po' di nutrimento là dove eravamo. Alcuni dicevano di non capire il russo e anche quelli che comunicavano con noi non domandavano mai notizia del fronte né di alcunché concernesse la guerra. Stavamo in un bivacco a cielo aperto, senza sentinelle e ci sentivamo piuttosto al sicuro in quello strano mondo che pareva risorgere dai "Racconti del Caucaso" di Lev Tolstoj. "Sono le montagne più belle del mondo", ci dicevamo, ispirati dal grande scrittore che all'epoca sua vi aveva trovato anche delle bellissime caucasiche, amazzoni galoppanti su cavalli indomabili.

Le battaglie di allora

Tutto questo è lontano, ma i nomi delle città più citate in questi giorni - Mozdok, Terek e molte altre - svegliano in me il ricordo delle battaglie di allora. Per il resto mi fido abbastanza della testimonianza di Ruslan Khazbulatov, un ceceno che è stato presidente del Soviet supremo di Russia - era dunque la seconda personalità del paese. Secondo lui i ceceni, malgrado le vessazioni subite al tempo di Stalin, erano rimasti piuttosto russofili e solo l'esercito del generale Gracev ha, dal 1994 al 1996, radicalmente estirpato questi sentimenti. In quei due anni la soldatesca russa si è comportata in Cecenia come in una terra di conquista. Il saccheggio era autorizzato, perfino raccomandato e vi venivano sottoposti anche gli abitanti russi che erano quasi la maggioranza della città di Grozny. Tutti coloro che hanno potuto, hanno dunque lasciato la piccola repubblica. Questa seconda guerra sta cacciando quasi duecentomila persone verso i campi profughi in Inguscetia e nell'Ossetia del nord, in modo che la Cecenia conta ormai non più di quattrocentomila abitanti, molto meno della diaspora cecena che, secondo il settimanale Argumenty i fakty , già supera largamente le seicentocinquantamila persone. Ma né coloro che sono rimasti né la maggioranza di quelli che sono andati via vogliono più sentir parlare di sovranità russa sul paese. Vladimir Putin ha cercato di formare a Mosca un governo ceceno fantoccio, ma sembra aver abbandonato il progetto. Anche a supporre che la sua dichiarazione di intenti pacifici alla vigilia dell'incontro di Helsinki non sia puramente propagandistica, come e con chi potrebbe negoziare la pace?

Il modello israeliano

Gli strateghi di Mosca si stanno ispirando al modello israeliano, forse perché gli attentati terroristici attribuiti ai ceceni somigliano agli attentati a Tel Aviv e in altre città israeliane. Di qui l'idea di creare prima di tutto un cordone sanitario simile a quello del Libano del sud, per impedire ai "terroristi" di muoversi. Ma il rapporto di forze non è davvero lo stesso. Prima della creazione del Rossinformcentre, quando i militari parlavano in televisione ancora con qualche sincerità, non mancavano di dire che questo o quel "perfido ceceno", dopo avergli giurato tutto il giorno di detestare i "banditi", durante la notte bruciava la metà del villaggio prima di fuggire sulle montagne. E che i combattenti ceceni, in tenuta mimetica quasi identica a quella dei russi, si infiltravano dietro le linee dell'esercito organizzando imboscate con numerose vittime. D'altra parte si va verso l'inverno e fra poco l'aviazione resterà inchiodata a terra perché l'approvvigionamento diventerà sempre più difficile. Non siamo dunque nel Libano del sud e continuare la guerra in questo modo non avrebbe molto senso. A Mosca tentano ora di prendere da Israele un'altra idea: liquidare i nemici più temibili con azioni mirate. I servizi segreti russi sono riusciti a impadronirsi di Nadir Khacilaiev, presidente dei musulmani di Russia, deputato del Dagestan, che dopo un tentativo di colpo di stato fallito a Makhackala, si era rifugiato in Cecenia. Non si sa in quali condizioni lo hanno catturato, forse mentre tentava di tornare nel Dagestan. Adesso l'obiettivo è localizzare Shamil Bassaiev e il suo alleato giordano Khattab, e liquidarli. Si tratterebbe di ripetere il successo dei servizi segreti dell'aprile 1996, quando, avendo captato il cellulare di Djokhar Dudaiev, hanno lanciato un missile "ad ago" che l'ha annientato. Non è stata un'impresa molto gloriosa. Tutti gli esperti di questioni caucasiche ritengono che Djokhar Dudaiev, padre dell'indipendenza, era il solo leader ceceno capace di mantenere l'unità del suo esercito e del paese. Adesso i russi hanno a che fare non più con uno ma con dieci capi ribelli. Aslan Maskhadov, soldato capace che nell'euforia della vittoria del 1996 è stato eletto presidente dell'Itshkeria - nuovo nome della Cecenia - non possiede l'autorevolezza di Dudaiev, né la sua capacità di disciplinare i comandanti delle unità locali, abituati ad agire con grande autonomia. La storia dell'Itschkeria sarebbe stata sicuramente diversa se il suo fondatore fosse rimasto vivo. In ogni modo, puntare sui servizi segreti per vincere una guerra è pura illusione. Il Mossad israeliano non ha risolto il problema palestinese.

Non tutti wahabiti

Non credo che i quattrocentomila ceceni rimasti nel piccolo paese fra le montagne siano tutti wahabiti, pronti a seguire Shamil Bassaiev e il suo ispiratore giordano Khattab. Anche su questo punto la testimonianza di Ruslan Khazbulatov mi pare convincente: sulla stampa si parla solo dei sequestri di occidentali o di personalità russe, come il generale Shpigun, e si ignorano i sequestri dei ceceni, anch'essi vittime di quella crudele industria. Il fratello di Khazbulatov, professore di storia all'università di Grozny, è stato sequestrato per quattro mesi in una grotta. E' impossibile vivere in un clima del genere e la popolazione appoggerebbe sicuramente Aslan Maskhadov se trovasse il modo di ristabilire un po' di ordine. Se i russi aprissero un negoziato con lui ne rafforzerebbero l'autorità e gli darebbero i mezzi di liquidare gli estremisti islamici che minacciano la sua sicurezza come quella degli abitanti della Russia. Ma non è una proposta facile per Vladimir Putin, che fa abilmente il surf sull'ondata antiterrorista che travolge il paese. Il modo arrogante di parlare della guerra gli vale uno spettacolare successo dei sondaggi, cosa che non sorprende: gli attentati spaventano e disorientano sempre e dovunque la gente, come si è visto in Gran Bretagna ai tempi dell'Ira o in Spagna in quelli dell'Eta. Ma una popolarità acquisita con cieche misure repressive è sempre effimera. La Russia non è in grado di sostenere una guerra su larga scala, come quella del 1994-1996, né ne ha i mezzi finanziari. Il suo bilancio, conformemente alle esigenze deflazioniste del Fmi, non permette di liberare i crediti enormi necessari per spedire un esercito di novantamila uomini nel Caucaso, tre volte di più che nella guerra precedente. Gli occidentali hanno ragione di rifiutar di pagare la spedizione antiterrorista di Vladimir Putin, ma non possono ignorare che l'anomalia cecena non può continuare. I wahabiti di Bassaiev e di Khattab somigliano troppo ai talebani afgani perché si possa permettere che impongano la loro legge in questo angolo del Caucaso. I ministri del G7, invece di fare le dichiarazioni vuote espresse a Mosca, dovrebbero trovare un modo per rafforzare l'autorità di Aslan Maskhadov e facilitare il negoziato con i russi. L'isolamento diplomatico e la mancanza di qualsiasi aiuto alla Cecenia sono largamente responsabili della situazione insopportabile che vi si è creata. Per uscire dal vicolo cieco bisogna rovesciare la tendenza e cominciare un negoziato internazionale sulla sorte futura del paese.