Dal
"manifesto" del 9 febbraio 2000
SEGRETI
ECCO IL DOCUMENTO
RISERVATO DELLA MARINA MILITARE ITALIANA
Si tratta di un
"Piano di emergenza per le navi militari a
propulsione nucleare in sosta nella base della Spezia", e disciplina nei
dettagli la sosta delle imbarcazioni "nucleari" (soprattutto
sommergibili statunitensi) e le misure da adottare in caso di incidente. Piani
del genere esistono in undici porti italiani: La Maddalena, Augusta, Taranto,
Livorno, Brindisi, Gaeta, Venezia, Cagliari, Napoli, Trieste e, appunto, La Spezia. Essi riguardano le misure di emergenza
per i militari. Per i civili, dovrebbero provvedere con appositi
piani le Prefetture e la Protezione civile. Il Piano, datato ottobre '99, è
stato trasmesso nel mese di dicembre ai Carabinieri della
Spezia, alla Prefettura e al Comune, e va a sostituire un piano
precedente, risalente al 1974.
Chiamatemi
Charlie, abito a La Spezia
Un documento
"riservato" dell'esercito e 11 porti a rischio nucleare
- ANGELO MASTRANDREA -
LA SPEZIA
A La Spezia è una rigida
giornata di sole di metà inverno. Il mare si presenta calmo, affacciati sul
lungomare all'altezza del centro culturale Salvador Allende. E
una camionetta dell'esercito ci ricorda di essere quietamente adagiati su una
polveriera che potrebbe non esplodere mai. La Spezia è
una tranquilla città ligure in cui la presenza dei militari si tocca con mano
ed è accettata con condiscendenza e talvolta con piacere. Perché le attività
militari e quelle ad esse correlate danno da vivere tuttora a circa 12mila persone ("ma una volta erano tre volte di più"),
una cosa non da poco in una città di 90mila abitanti. E la storia dell'ultimo
secolo spezzino è spesso la storia delle sue strutture
e servitù militari, da quando, il 17 gennaio del 1863, il colonnello Domenico
Chiodo firmò il piano per la realizzazione di un cantiere per la costruzione di
navi militari. Un anticipo della costruzione dell'Arsenale
militare, attorno al quale si sono rette per un secolo le sorti della città.
Al punto che il taglio previsto di 300 posti di lavoro, unito al
ridimensionamento dell'intera industria militare
spezzina, rappresenta una vera e propria mazzata per l'intera città (che, negli
ultimi trent'anni, ha visto svanire ben 30mila abitanti) e per un colosso
militare di 85 ettari di superficie, sei bacini in muratura, due galleggianti,
tre chilometri di banchina, 13 chilometri di strade di collegamento, più
officine e uffici.
La crisi della provincia
spezzina oggi elenca cifre impietose: 25mila disoccupati, 10mila lavoratori
precari o al nero, e chi lavora oggi lo fa quasi esclusivamente nel terziario.
L'ex fabbrica di armi Oto Melara è passata, dal
'90 a oggi e attraverso alcune ristrutturazioni, da 2200 dipendenti a 1580; i
cantieri navali del Muggiano da 1060 a 780; l'Arsenale militare dai 2368 civili
del '92 ai 1831 di oggi, la Termomeccanica da 770 a 490. Favorendo, così, il
lavoro d'appalto e subappalto.
Dalla fine dell'800 a oggi, tutto l'apparato industriale, dai cantieri
all'arsenale, al porto, alle servitù militari, al sistema dei trasporti, è
stato funzionale agli interessi strategici dello stato. Così come la quasi
totalità del territorio è stata "colonizzata" (come si legge in una
lettera indirizzata da Rifondazione al Presidente del consiglio D'Alema in
occasione di una manifestazione, venerdì scorso) per far posto alle aree
militari, alle discariche, alla produzione bellica, alle zone interdette, al
"mare in scatola". "E non ci sembra giusto
che, dopo 150 anni, spetti a noi anche la bonifica delle aree che i militari
lasciano", lamentano gli spezzini, governati dal '72 da giunte di
sinistra. L'attuale sindaco è un diessino, Giorgio Pagano (eletto al primo
turno con il 60 per cento dei voti su una destra divisa tra An e Forza Italia),
sostenuto da una maggioranza di centrosinistra composta da
Popolari, Rifondazione comunista, diniani, socialisti e un indipendente
di sinistra, Marco Grondacci, che è anche assessore all'Ambiente.
Il
piano "riservato"
Nella città più
meridionale della Liguria, abbiamo scoperto che termini come "falce",
"fievole", "fuga" e "fungo" possono assumere
talvolta un significato che non riesci a trovare in
alcun vocabolario d'italiano, legati come sono alle conseguenze, in ambito
militare, di un eventuale incidente nucleare. Sì, nucleare, avete capito bene. Perché, in un paese che ha rigettato con un referendum
qualsiasi ipotesi di produzione e utilizzo dell'energia nucleare, per una
questione di buoni rapporti con paesi "amici", è ancora possibile che
girino navi e sommergibili a propulsione nucleare o che trasportano armi
nucleari.
Il "Piano di emergenza per le navi militari a propulsione nucleare in
sosta nella base della Spezia", un documento militare segreto risalente
all'ottobre scorso ed entrato in nostro possesso, è solo uno degli undici piani
esistenti negli altrettanti porti in cui è previsto l'ormeggio di tali unità.
Che sono (oltre a La Spezia) La Maddalena, Augusta,
Taranto, Livorno, Brindisi, Gaeta, Venezia, Cagliari, Napoli e Trieste.
Naturalmente, il dettagliato documento, che prospetta le misure di emergenza in caso di "massimo incidente
possibile", cioè nell'ipotesi di "rottura del circuito primario del
reattore con perdita di refrigerante, conseguente fusione del nocciolo e
fuoruscita dei prodotti di fissione", è rivolto esclusivamente ai
militari. Secondo L'Agenzia nazionale per la protezione ambientale (Anpa)
e la Protezione civile, tutte le Prefetture
interessate hanno piani d'emergenza contro gli incidenti nucleari. Possibile,
visto che il piano risulta comunicato ai carabinieri,
alla Prefettura e al Comune. Ci piacerebbe vederli, e comunque
è plausibile che, se davvero esistono, non siano aggiornati, visto che il piano
militare è datato ottobre '99 e va a sostituire quello vecchio, risalente al
1974.
Il piano di La Spezia disciplina le manovre di entrata e uscita dal
porto e i posti di ormeggio per sommergibili e navi a propulsione nucleare. E
le procedure da rispettare in caso di incidente, dove,
molto singolarmente, gli ultimi a dover essere informati sono proprio le
Prefetture e i Vigili del fuoco (proprio quelli che dovrebbero mobilitarsi per
proteggere i civili). Gli incidenti possono essere di tre
tipi: alfa, se comporti la contaminazione di un'area non abitata; bravo,
se minacci un'area abitata; charlie, se comporti un pericolo immediato
per la popolazione locale e "nel quale siano coinvolte persone in tale
numero che le operazioni di bonifica o di salvataggio risultino seriamente
ostacolate, o in cui dette persone corrano pericolo di contaminazione".
Esiste poi un meccanismo cifrato per segnalare un eventuale incidente. Per cui un incendio con possibilità di danni al reattore nucleare
sarà indicato con "calore", un sabotaggio con "congegno",
la rottura del circuito primario con conseguente fusione del nocciolo con "caduto",
un incidente di un altro tipo con "comune". E
ancora, con "falce" saranno indicati i morti, con "fievole"
i feriti, con "fulmine" il personale contaminato, con "fuga"
il personale da sgomberare e con "fungo" la dispersione di
sostanze radioattive. Ma, da dove proverrebbero queste
unità a propulsione nucleare? Non dall'Italia, che non ne ha.
Di navi nucleari, a parte due rompighiaccio russi e qualche portaerei, non si
ha notizia. Ci sono poi i sommergibili russi, statunitensi e francesi, che
usano uranio arricchito quasi al 90 per cento, per cui
producono una notevole quantità di radiazioni e la cui vita media (proprio per
questo motivo) è di circa trent'anni. Quelli che "bazzicano" i nostri
porti, in particolare La Maddalena (dove viene
effettuata la manutenzione), Napoli e Gaeta (sedi della VI flotta Usa), è
inutile dirlo, sono soprattutto americani. Passano invece navi e sottomarini
con armi nucleari che, a quanto pare, per "rispetto" nei confronti
del nostro paese (non nuclearista), sarebbero
"parcheggiati" con le armi disattivate. Anche
se questo non evita i rischi di contaminazione in caso d'incidente.
In questo contesto, la placida La Spezia che incontriamo in questa
mattina di metà inverno, riveste un'importanza strategica dal punto di vista
militare. Così decidiamo di andare a vedere cosa si nasconde dietro l'apparente
calma di una provinciale città di mare.
A
San Bartolomeo
Andando verso Lerici,
nella zona di San Bartolomeo, in una curva ci si imbatte
in una sbarra guardata a vista dai carabinieri. Dietro ci sono tre strutture.
Innanzitutto il Saclant, una filiale della Nato
che non è indicata in nessuna mappa dell'Alleanza atlantica. Secondo quanto
riusciamo a sapere, il Saclant svolgerebbe non meglio precisate ricerche
marine, anche se in un dossier preparato dalla federazione provinciale di
Rifondazione comunista si parla di "occupazione di aree
dello specchio d'acqua per esigenze militari dello stato italiano e non
(ricovero della VI flotta Usa)". Poi c'è Maricocesco, un ente che
fornisce pezzi di ricambio alle navi. E infine Mariperman, la
Commissione permanente per gli esperimenti sui materiali da guerra, composta da cinquecento persone e undici istituti (dall'artiglieria,
munizioni e missili alle armi subacquee). Negli stessi locali che furono sede del quartier generale della decima Mas.
E non finisce qua.
Arrivando dal prolungamento di quella via Aurelia che
congiunge La Spezia con la capitale e con il Vaticano, balza agli occhi la ex
fabbrica di carri armati Oto Melara, oggi divisa in tre settori: Oto
Breda, Alenia Marconi systems (settore missilistico) e Alenia
Marconi (divisione navale). Senza contare gli aeroporti
militari di Cadimare e Luni, i poligoni, i depositi militari disseminati nelle
zone costiere e nell'entroterra, i radar sulle colline. Nonché l'oleodotto della Nato che passa sotto la collina (e
il paese) di Vezzano ligure. E la polveriera di Pitelli, una collina sulla zona
orientale del golfo tristemente "famosa" per le vicende giudiziarie
legate a una discarica, e sventrata per far posto a
bunker militari inaccessibili, all'interno dei quali qualcuno vocifera che vi
siano addirittura "dispositivi nucleari". Che farebbero il paio con
le scorie radioattive che, si vocifera sempre, potrebbero
essere sepolte da qualche parte, e le barre di uranio vendute dalla centrale
nucleare di Caorso agli americani. Passeranno per il porto di
La Spezia? Ma questa è un'altra storia.
PER
CAPIRNE DI PIU'
IL GLOSSARIO MILITARE
Riportiamo l'elenco dei
termini convenzionali che sarebbero adoperati in
ambito militare in caso di incidente nucleare. Pur
captandoli, nessun civile ci capirebbe nulla.
Alfa: incidente che comporti
la contaminazione di un'area non abitata.
Bravo: incidente che comporti
la minaccia di contaminazione di un'area abitata.
Charlie: incidente che comporti
un pericolo immediato per la popolazione locale e nel quale siano coinvolte
persone in tale numero che le operazioni di bonifica o di salvataggio risultino
seriamente ostacolate, o in cui dette persone corrano
pericolo di contaminazione.
Calore: incendio a bordo di unità a propulsione nucleare con possibilità di danni al
reattore nucleare.
Congegno: sabotaggio a bordo di unità a propulsione nucleare, con possibilità di danni al
reattore nucleare.
Caduto: rottura del circuito
primario e conseguente fusione del nocciolo del reattore nucleare di bordo.
Comune: incidente di altro tipo che coinvolge il reattore nucleare di bordo.
Falce: morti.
Fievole: feriti.
Fulmine: personale contaminato
(valutazione approssimativa).
Fuga: personale da
sgomberare (valutazione approssimativa).
Fungo: dispersione di
sostanze radioattive.