Ma che biblioteca d'Egitto!

(articolo riprodotto da Panorama /Il Sole 24 ore)

    Ricostruita sul bordo del mare, è fatta per stupire come quella antica: scaffali interminabili che potranno ospitare otto milioni di volumi; la sala di lettura più grande del mondo - con 2.400 posti a sedere - e la possibilità di accogliere diecimila visitatori al giorno; un milione e mezzo di dollari destinati ogni anno soltanto alle acquisizioni. Iniziativa coraggiosa o ingiustificabile follia? Alberto NEGRI descrive questo "nuovo" tempio del sapere. Costato, per ora, circa 230 milioni di dollari.

    Qui è sepolto Alessandro, qui si suicidò Cleopatra, qui c'erano la Biblioteca e il Tempio di Serapide... Indicazioni, ricordi, testimonianze vaghe, ma nulla di tangibile. Alla fine della giornata non resta che abbandonarsi alla stessa quieta disperazione di Lawrence Durrell, che in Justine definì Alessandria "la capitale della memoria".

    E, come fece Durrell, non rimane che uscire di nuovo dall'hotel Metropole, completamente rifatto stile liberty originale, per farsi abbracciare dalla grottesca vita reale di uomini e donne, lasciandosi perforare i timpani dalle urla e rintronare dallo sferragliare dei tram, dal cigolio dei mozzi delle carrozze, dal mormorio incessante della folla in piazza Mohammed Alì, che nell'afa sale in un crescendo insostenibile.

    Dimenticate anche Justine, che fa la sua prima apparizione all'Hotel Cecil, a fianco del Metropole, "vestita in una guaina di gocce d'argento, sventolando lievemente le guance con un piccolo ventaglio di canna".   Oggi il Cecil non è popolato da affascinanti ebree in abiti da cocktail, greche dal profilo seducente, pashà o bey, banchieri armeni o spie in missione segreta che tramano tra vasi di palme. Qui scendono turisti frettolosi già distratti dalle piramidi o egiziani approdati per il week-end che dormono sonni agitati dopo il ritmo martellante della discoteca.

    Sulla spiaggia, anche negli stabilimenti balneari più esclusivi, ci sono quasi soltanto egiziani in galabya e le donne fanno il bagno con la tunica. Del passato carico di suggestioni storiche e letterarie, al Cecil resta il décor che l'architetto italiano Giacomo Alessandro Loria realizzò riprendendo lo stile di Palazzo Ducale a Venezia. E' la stessa Alessandria, dove il cielo è terso, il vento soffia forte e l'aria salmastra si incolla senza pietà alla pelle, sta smarrendo persino i ricordi più recenti. Di quando, fino agli anni Cinquanta, prima della pulizia etnica di Nasser con le nazionalizzazioni, era la città più cosmopolita del Mediterraneo.

    Oggi è una metropoli del tutto egiziana, più rivolta verso il deserto che sul mare, con una periferia petrolchimica che la fa somigliare a Porto Marghera e una sana e sconvolgente aria provinciale, abbandonata anche dal Nobel Naguib Mahfouz che vi è nato ma ha fatto del Cairo il suo universo letterario.

    Per questo la nuova biblioteca di Alessandria, ricostruita sul bordo del mare, appare come un atto di coraggio o di ingiustificabile follia amministrativa in una città dove il nuovo governatore, Mohammed Magoub, lotta con i bilanci per costruire acquedotti, fogne e restaurare il centro che cade a pezzi. È costata almeno 230 milioni di dollari (l'incertezza è d'obbligo), oltre un terzo dei quali sborsati dall'Unesco. Come biblioteca, intesa nel senso tradizionale del termine, è del tutto inutile per una città che pur avendo cinque o sei milioni di abitanti, non ha un'attività culturale e accademica paragonabile a quella della capitale. Certo è fatta per stupire. Come quella antica che, insieme al Faro sul porto, apparteneva di diritto alle Sette Meraviglie del mondo. E sicuramente questo mese abbaglierà i primi visitatori durante la "soft  inauguration" che precederà quella in pompa magna prevista per la prossima primavera. Intanto gli scavi colossali realizzati per le fondamenta, a 5o metri di profondità, hanno portato alla luce importanti mosaici romani.

    "Guardare alla Biblioteca come a un deposito di libri", dice il ministro della cultura, Farouk Hosni, "è riduttivo: ci saranno anche festival cinematografici e musicali, spettacoli, mostre d'arte che rilanceranno Alessandria e ne faranno un ineludibile centro di attrazione del Mediterraneo". Fuori, sull'orlo della corniche, spunta un disco volante di vetro, cemento e granito. È un cilindro tronco che rappresenta il disco solare con un piano inclinato verso il mare. Mentre il tetto somiglia volutamente a un micro-chip, difeso da 42 pezzi di granito di Assuan che riproducono gli alfabeti del mondo. Dentro, un anfiteatro a otto livelli che vuole raccogliere il sapere universale, con 2.400 posti a sedere - la sala di lettura più grande del pianeta - e la possibilità di raccogliere 10.000 visitatori al giorno, un profluvio di marmo nero dello Zimbabwe, una foresta scandinava tramutata in parquet e scrivanie eleganti, attrezzate per leggere, scrivere e battere sulla tastiera del computer. Le soluzioni tecniche sono d'avanguardia: dal sistema anti-riflesso per evitare l'ingresso diretto della luce a quello per lavare i vetri riciclando l'acqua di raccolta, fino al laghetto d'acqua dolce destinato ad assorbire l'evaporazione salina. Altri due edifici completano la struttura: un centro congressi e un planetario che spunta dal sottosuolo come un'astronave per proiettare l'occhio dei visitatori verso la volta celeste. 

    Qui nacque l'universo tolemaico che fino a Galileo fece girare il Sole intorno Terra. Solo per caso la teoria contraria, anch'essa elaborata ad Alessandria da Aristarco di Samo, non fu convalidata.

    Quello della Biblioteca di Alessandria è un progetto elegante, allo stesso tempo leggero e monumentale, efficiente e rigoroso, senza dubbio un prodotto di qualità del design norvegese dello studio Snoehetta di Oslo. Gli scaffali, interminabili, potranno ospitare 8 milioni di volumi, anche se finora sono "appena" 400.000: solo per le acquisizioni è prevista una spesa annuale di un milione e mezzo di dollari.

    Ma perché proprio qui? Per una condanna inesorabile della storia e della memoria. Forse più ancora di un popolo o di una Nazione, a volte percepiti come entità troppo ampie e indistinte, una città è perseguitata dal suo passato, confinata nel perimetro concreto delle sue rovine e in quello immaginario di un'età dell'oro nella quale risplendeva il suo nome. E poche città hanno avuto un ingresso così trionfale nella storia come questa, fondata nel IV secolo avanti Cristo da Alessandro Magno, un macedone imbevuto di cultura greca che dopo aver conquistato il mondo voleva armonizzarlo a sua immagine e somiglianza.

    Sulle rovine dell'antica Rakhotis gettò le fondamenta di Alessandria: ma non vide costruire un solo edificio e ci tornò soltanto da morto, avvolto nell'oro e racchiuso in una bara di vetro.

    Fu un altro generale macedone, Tolomeo, a fondare la dinastia che diede gloria alla città. E ai Tolomei si deve il Mouseion, una delle più grandi imprese intellettuali della storia, una sorta di Accademia delle scienze e delle lettere di cui faceva parte la Biblioteca, istituzione di corte sotto il controllo reale. La carica di bibliotecario era di estrema importanza: chi la occupava era il funzionario capo del Mouseion ma anche qualcosa di più, una sorta di custode del sapere ufficiale, come lo fu Callimaco, catalogatore principe e indiscutibile autorità dell'epoca.

    Il Callimaco della nuova Biblioteca alessandrina è Ismail Serageldin, ex vicedirettore della Banca Mondiale ed economista di spicco della Banca centrale del Cairo. Serageldin risponde, come il bibliotecario tolemaico, soltanto al sovrano di oggi, l'inossidabile Presidente Hosni Mubarak, che ha peraltro delegato alla moglie Suzanne la supervisione del complesso. "La nuova biblioteca di Alessandria - ha dichiarato qualche tempo fa Serageldin al "New York Times" - non deve essere un repertorio di volumi e donazioni casuali ma un insieme organico. Ha come obiettivo principale di far convergere ad Alessandria gli studiosi di tutto il mondo in tutti i campi della ricerca, di rivitalizzare la città dal punto di vista culturale e restituirle un ruolo internazionale adeguato alla sua importanza storica, geografica ed economica".

    "Guardare alla Biblioteca come a un deposito di libri - ribadisce il ministro della Cultura, Farouk Hosni - è riduttivo: questa impresa ha un valore di più ampia portata e sarà sostenuta da iniziative come festival cinematografici e musicali, spettacoli, mostre d'arte che rilanceranno Alessandria e ne faranno un ineludibile centro di attrazione del Mediterraneo".

    Per il ministro, pittore eccellente e conosciuto dalla critica, grande amico di Turcato e Guttuso, che ha vissuto a lungo in Francia e in Italia, il flusso di denaro assorbito dalla costruzione della biblioteca non è un azzardo e neppure l'investimento più importante dell'Egitto nel settore culturale. Con un sorriso compiaciuto, Hosni esibisce le 400 pagine di uno studio di fattibilità, costato quattro anni di lavoro e un milione e mezzo di dollari, finanziato dal ministero italiano degli Affari Esteri, per il nuovo Museo Egizio. "Questa sì che sarà un'opera colossale: occuperà 60 ettari su una collina di fronte alle piramidi di Giza. Un museo senza eguali al mondo. Certo, l'ideale sarebbe costruire anche l'autostrada da Giza ad Assuan, una sorta di Nilo d'asfalto per lanciare il nostro turismo". Che assicura entrate per circa tre miliardi e mezzo di dollari l'anno, con un afflusso di 5,5 milioni di visitatori. Tanti, ma non tantissimi, più o meno quanti ne accoglie ogni anno la Tunisia, un Paese dieci volte più piccolo.

    La cultura antica in Egitto è un ottimo affare, se per cultura si intende la preservazione di un patrimonio archeologico immenso, secondo forse soltanto a quello italiano: in tre anni sono stati spesi milioni di dollari per restaurare 148 palazzi islamici e 128 monumenti egizi. Ma è ancora poco se si pensa che ci sono da realizzare scavi in almeno 4.000 tombe dell'epoca dei faraoni. Gli italiani, arrivati secondi dietro i norvegesi nella gara per la biblioteca alessandrina, hanno naturalmente ottime possibilità di vincere le nuove commesse, se interpretiamo correttamente un altro sorriso, questa volta più sornione che compiaciuto, del ministro: "Abbiamo deciso con il presidente Ciampi di inaugurare nel 2003 l'anno italo-egiziano. Sarà come fare le Olimpiadi dell'archeologia".

    Ma c'è dell'altro. Affari, cultura, entrate turistiche e fondi esteri fanno parte di un progetto più vasto e di lungo periodo, in cui il banchiere-bibliotecario e il ministro-pittore non sono al loro posto per caso. Scavi archeologici e ritrovamenti - oggi in particolare tengono banco quelli sottomarini di Alessandria - vanno sulle prime pagine dei giornali, nei notiziari televisivi, accendono l'attenzione di un largo pubblico che percepisce l'interesse immediato di queste scoperte anche dal punto di vista economico. Succede in Egitto ma pure in Algeria, Tunisia, in Libia, dove la valorizzazione del patrimonio ereditato dalle civiltà greca e romana si interseca e si sovrappone con quella, dominante, degli imperi musulmani, arabi e ottomani.

    Probabilmente in questo recupero storico e culturale multinazionale c'è anche il tentativo di smorzare nella società egiziana le spinte del fondamentalismo islamico. Che non perde occasione per protestare contro libri e film importati dall'Occidente. Proprio la Biblioteca potrebbe ospitare tra i suoi milioni di volumi anche quelli bloccati dalla censura o contestati dagli integralisti, che l'anno scorso sfilarono a migliaia manifestando contro la pubblicazione del "Festino delle alghe di mare" del siriano Haidar, un libro che naturalmente nessuno di loro aveva mai letto.

    Alessandria, per questo incrocio di culture antiche e molto più recenti, è un caso unico nel Mediterraneo orientale. "I caffè con i loro specchi barocchi e i tavolini luccicanti hanno un'aria vagamente francese o viennese, mentre le facciate dei palazzi, con i loro colori pastello e le finestre con le persiane sono sorprendentemente italianeggianti", scrive in uno dei suoi libri l'inglese Williamn Darlymple, candidato a ereditare il ruolo di Chatwin. Ma in questo non c'è niente di sorprendente. "Gran parte dell'architettura pubblica e privata di Alessandria ha un'impronta italiana. Qui architetti, ingegneri e imprenditori del Belpaese, nei primi anni Venti hanno imposto lo stile eclettico, costruendo palazzi, ville, moschee, persino una replica della Scala e della Galleria Vittorio Emanuele di Milano", dice Mohammed Awad. Autore, insieme ad alcuni ricercatori dell'Università di Milano, di un censimento degli edifici notevoli e di una serie di studi di grande interesse sulle opere della comunità italiana di Alessandria. 

    Un passato fatto anche di solide memorie marmoree, come un'ingombrante fotocopia, pur in dimensioni minori, dell'Altare della Patria, e altre ancora più scomode, come la tomba di re Vittorio Emanuele III nella chiesa di Santa Caterina: una semplice iscrizione, con la data di nascita e di morte, ricorda il sovrano che regnò per 46 anni, nel bene e nel male, nell'Italia delle due guerre mondiali, del fascismo, delle avventure coloniali.

    Altre sono memorie viventi. Come quella di Alessandro Monti, presidente della Dante Alighieri e tenace imprenditore di un'azienda tessile che manda avanti da decenni insieme alla moglie Tatiana Seriko, discendente di una famiglia di russi bianchi. "Gli italiani di Alessandria, nati e vissuti qui, sono qualche centinaio, quasi tutti anziani e in gran parte con problemi economici e di salute", dice Monti, riecheggiando una litania comune a tutte le minoranze di Alessandria - greche, ebree, armene, francesi, tedesche, britanniche - che un tempo facevano battere il cuore pulsante della città. 

    Visitando queste comunità straniere si passeggia tra le memorie, in un rimando continuo a immagini dolci e amare del tempo che fu, tra i fremiti dei ricordi di un amore perduto, la quotidiana lotta per la sopravvivenza nella solitudine e conti in banca sempre più sottili. Ma i sopravvissuti di quel Levante multinazionale tra il tardo Impero ottomano e l'epoca della capitolazioni sono esseri viventi sospesi tra il presente e il passato. 

    Come degli esiliati speciali: non cercano una patria - sono nati qui, anche se di lingua e cultura diversa da quella araba - ma un luogo della memoria che nessuno può restituire.

    Per loro e per tutti noi, anche per quelli che ricostruiscono biblioteche perdute per sempre, memorie inaccessibili, vere o false che siano, valgano i versi di Costantino Kavafis, greco alessandrino, e della sua poesia più famosa sul presagio che colse Antonio prima della sconfitta e dell'abbandono di Cleopatra: 

"Come un uomo preparato e coraggioso dì addio ad Alessandria che si sta allontanando

 soprattutto non ingannare te stesso...

 ma come un uomo risoluto e coraggioso va con decisione alla finestra...

 e senza i lamenti e le preghiere del codardo dì addio a lei, ad Alessandria che stai perdendo..."

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