da “Il Giornale” 28 maggio 2000

Il passato è l’affare del futuro

Alessandria d’Egitto punta milioni di dollari sui suoi tesori

di Stenio Solinas, inviato ad Alessandria d'Egitto

 

In teoria puoi scegliere. Prendi una stanza al Cecil e dal balcone, la mattina, mito e memoria ti sembreranno sorgere dal mare. Cammini lungo il porto, e d'improvviso ti si parerà davanti la nuova Biblioteca di vetro e di cemento, orgoglio di metropoli, trionfo di modernità. Monti sul tram che percorre la Iskandar El Akbar, la strada di Alessandro il Grande, e al numero 9 la Casa di riposo Vittorio Emanuele III ti consegnerà trentadue ritratti in carne e ossa, più ossa che carne, più rimpianti che rimorsi, di italiani fra i settanta e i novant'anni, la storia che si è fermata, la nostalgia che non è più quella di un tempo, perché di quel tempo si è ormai perso lo stampo.

Sì, puoi scegliere, in teoria. Ma la realtà si divertirà a mischiare le carte, a farti trovare le rovine lì dove pensavi di incontrare i segni del presente, il futuro annidato nelle pieghe del passato. Più che una città, Alessandria d’Egitto è una costruzione della mente. Al Forte di Kait Bey, dove nell'antichità sorgeva il Faro, meraviglia di luce, un bambino dal labbro leporino osserva rapito i reperti navali della battaglia di Abukir, trionfo di Nelson, fine dei sogni di gloria orientale di un Napoleone non ancora imperatore. I pochi resti della ammiraglia sconfitta, campane di bordo, vasellame, strumenti di navigazione, armi e munizioni, rimandano al momento in cui i francesi scoprirono l'Egitto e ne rimasero incantati, una fascinazione ne percorrerà tutto l'Ottocento e ancora non si è spenta. 

Alessandria, lentamente, rinacque allora, dopo il sonno plurisecolare che aveva seguito la fondazione prima, l’età dei Tolomei e il dominio di Roma dopo, il corteo lussureggiante di nomi e di luoghi, Cesare e Cleopatra, Cleopatra e Antonio, Teocrito e Callimaco, Berenice e la sua chioma, Ario e Atanasio, la vergine Ipazia straziata dai gusci di ostrica usata sul suo corpo a mò di coltelli, il Mouseion e il Serapeum, la Colonna di Pompeo ...

Scriverà Kavafis: “Come un uomo preparato, come un uomo coraggioso/dì addio a Alessandria mentre si sta allontanando/ dille addio mentre la stai perdendo”. Ancora nel 1811, a Chateaubriand in marcia verso Gerusalemme sembrerà “il luogo più triste e desolato della terra, un arabo su un asino in mezzo alle rovine, magri cani divoranti carcasse di cammelli sulla spiaggia”. Trent’anni dopo ha duecentomila abitanti e si accinge a cambiare pelle, da egiziana a levantina, da levantina a cosmopolita.

In disparte rispetto al resto della scolaresca, rumorosa e distratta, svogliata nella sua eccitazione, il bambino dal labbro leporino si chiude a difesa di se stesso e della sua diversità. Quello spacco rosso che sa di carne viva lo segna e probabilmente lo condanna: alla crudeltà infantile farà seguito il non guardarlo mai veramente in faccia dell'età adulta, il ribrezzo delle buone maniere. Su quella deformità, Lawrence Durrell costruì uno dei caratteri più tragici del suo Quartetto d'Alessandria, quello del giovane e ricco Narouz, estremista della fede perché rifiutato dalla vita. Il Quartetto è attraversato da guasti fisici e drammi metafisici. Semira è senza naso, la prima amante dell'ambasciatore Mountolive è sfigurata dal vaiolo, la seconda è cieca e incestuosa, la pittrice Clea finirà monca, Justine comincerà stuprata, Melissa è tubercolotica, Pursewarden suicida ... Tradimenti, complotti, sette segrete, legami sentimentali plurimi, omo e etero, meditazioni sacre e considerazioni profane corrono per le mille pagine dedicate dallo scrittore inglese alla città che lo aveva stregato. E da questo museo degli orrori vien fuori la più incredibili elegia scritta intorno a un luogo e al suo potere di attrazione: “La capitale della memoria. Ai suoi innamorati può dare tutto, esclusa la felicità”.

Che di quella Alessandria fra le due guerre in cui si ammucchiavano “cinque lingue, una dozzina di fedi, cinque flotte, ma più di cinque sessi, e solo un greco del popolo può distinguerli”, ricca e corrotta, miserabile e gioiosa, oggi resti poco o nulla, è il dato di fatto che appaga tutti gli esseri privi di immaginazione e pieni di praticità. Ma a chi non si accontenta del contingente e sa che spesso è più reale il sogno della realtà, basta il nome di una via, rue Nebi Daniel, rue Horreyya, rue 24 Julliet, la visione di una chiesa o di un monumento, Santa Caterina, l'anfiteatro romano, il tempio di Ras El Soda, un’insegna, Elite, Pastroudis, Trianon, Athineos, la visione di quelle sale da tè dagli interni deco e dalla pasticceria tutte pralines, bonbon, bigné, persino il nome dei piatti di un menù, e, meditazioni sacre e considerazioni profane corrono per le mille pagine della pasticceria tutte pralines, bonbon, bignè, persino il nome dei piatti di un menu, poulet à la Negresco, filet à la Cordon Bleu ... per riconsegnargli l’immagine svanita di un’epoca distante.

Ciascuno carica i luoghi delle suggestioni, delle letture, delle aspettative, delle illuminazioni, dei desideri che si porta dentro. Chi dentro non ha niente è condannato alla oggettività più deludente e banale: guarda e non vede niente.

Dai bastioni del Forte, la Biblioteca brilla sul mare come fosse una gigantesca moneta d'argento. In granito di Assuan, abbracciata dall'acqua e cinta da mura scolpite di graffiti che rappresentano gli alfabeti passati e presenti del mondo, un planetario che la collega al mare e al Centro Congressi con un ponte sospeso, quattro piani interrati e altri sette a cielo aperto, ospiterà duemila impiegati, 400mila volumi, 50mila mappe.

È la scommessa sul futuro di una città di tre milioni di abitanti che non ha un destino industriale, una dimensione marittima, una prospettiva commerciale. Se la cultura è un business, Alessandria vuole incarnarlo. Dopo questo progetto, varato dieci anni, finanziato dall’UNESCO e costato 300 miliardi, sarà la volta del grande Museo delle antichità sommerse: un tunnel cilindrico porterà i visitatori dalla terra ferma alle profondità marine, lì dove giacciono templi, palazzi, monumenti dell'età classica. Sembra quasi la realizzazione della visione poetica di Ungaretti: “C'era un porto, un porto sommerso antecedente l'era tolemaica, la prova che Alessandria fosse tale, prima ancora di essere città. Non si sapeva nulla di più. Questa città, che è la mia, si consuma e si distrugge incessantemente. Come rintracciarne le origini, se non rimane nulla, niente persino di ciò che accadde un momento fa? No, non si sa altro, non abbiamo altri segni se non questo porto attuale, che il mare ha finora risparmiato, a dirci cosa fosse una volta Alessandria. Il titolo del mio primo libro, Il porto sepolto, deriva da tutto questo”.

Una équipe di archeologi belgi ha intanto mosso i primi passi per quella che sarà la prossima campagna di scavi che dovrebbe fare luce definitiva sul luogo dove Alessandro Magno fu sepolto, mentre procedono i lavori di ampliamento e risistemazione degli oltre 40 chilometri di corniche. L'inaugurazione ufficiale della Biblioteca è prevista per la fine dell'estate, le donazioni e le catalogazioni procedono a ritmo serrato. Ultima in ordine di tempo è quella proveniente dalla Francia, con le copie di tutti i documenti relativi alla costruzione del canale di Suez, mille e cinquecento metri di carte, studi, atti, corrispondenza. Se gli Stati si muovono, i privati non stanno a guardare. Federico di Sangirard, conte di Wardal, è uno di quei nomi illustri di una comunità europea che non esiste più, ma il cui fantasma continua a aleggiare. Al ricevimento che ha fatto seguito alla sua cessione di 1500 volumi di italianistica, edizioni rare, capolavori e perle d'antiquariato, c'era tutta la Alessandria che conta. Di Wardal è italiano, e l'Italia qui ha lasciato un segno.

 

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