Ricordi di Famiglia
 

RICORDI DI FAMIGLIA
 
Anello-Sigillo Famiglia Scala
ANELLO-SIGILLO
Nel linguaggio corrente il termine "sigillo" indica sia la matrice, cioè l'oggetto (in pietra, metallo, legno od altro) che reca inciso in negativo il simbolo da riprodurre sia l'impronta, ovvero lo stampo in positivo ottenuto applicando il negativo su sostanze morbide (argilla, cera, ceralacca) o tramite inchiostratura.
Il sigillo è un marchio, usato in ogni epoca da istituzioni (Stato, Chiesa ecc.) o privati cittadini, per convalidare l'autenticità di un documento. L'anello con sigillo è uno degli elementi caratterizzanti il ceto nobile, e anche nella Famiglia Scala si utilizzavano esemplari sovente caratterizzati con lo stemma di famiglia.
L’Anello d'oro con sigillo, qui illustrato ed in possesso della stessa famiglia, presenta sulla parte superiore ovale, il sigillo con uno scudo sannitico, alla scala di cinque pioli posta in palo, al quarto piolo due stelle a cinque raggi, ordinate una da una parte e una dall’altra, il gambo è liscio, sec. XVI-XVII.
Croce Processionale regalata dalla Famiglia Scala alla Chiesa di San Martino di Randazzo
CROCE PROCESSIONALE
Della fine del secolo XV è la grande e bella croce processionale d’argento a squame, in cui sono visibili i riflessi dell’arte catalana accompagnata da una tarda stilizzazione bizantina. Ricca di figure e simboli, nelle estremità dei vari bracci sono raffigurati la Vergine e S. Giovanni, il Pellicano e il Toro e sculpita una scala cum chinco scaluni cum dui stilli una di una banda et laltra di laltra banda. Regalata dalla Famiglia Scala alla Chiesa di S. Martino di Randazzo dove tutt’ora trovasi nel tesoro della stessa Chiesa.
Crocefisso-Opera del maestro argentiere Matinati di Messina
Il Crocefisso, riportato nella fotografia, era usato dalla Famiglia SCALA per allestire la camera ardente quando un componente della Famiglia moriva. Questo prezioso crocefisso, la figura del Cristo in argento collocato su legno dell’epoca e con l’iscrizione INRI, le fiamme e applicazioni fogliate in argento portante il punzone “scudo quartato in campo rosso merlato con tre punte e affianco il marchio BG 81 EM”, è opera della famiglia dei Matinati di Messina, una delle più prestigiose famiglie di scultori e maestri argentieri messinesi dell’epoca. Ancora in possesso della Famiglia SCALA.
SICILIA
Maria Accascina -I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Bramante Editore, 1976.
Port-Enfant-Foto con Scala Raffaele Simone (1972) e la madre Ronsisvalle Silvana
PORT- ENFANT
Tanto più importante e prestigiosa era la famiglia, più ricche, raffinate e preziose erano le vesti per il neonato.
Per il bambino piccolo, la moda ha perpetuato per anni modelli, stoffe, ricami pressoché uguali.
Il port-enfant era di forma rettangolare, arrotondato nelle parti superiori, dello stesso tessuto del completo, foderato in lino o in tela batista di cotone. Conteneva un cuscino su cui era adagiato il neonato con il capo coperto da una cuffietta confezionata con la stessa cura degli altri elementi che lo componevano per essere portato alla cerimonia religiosa.
Il port-enfant era tramandato nella famiglia.
Nella Nobile ed Illustre Famiglia SCALA il port-enfant, che si rifà alla tradizione dell’epoca e che dopo la cerimonia era accuratamente riposto in un’antica cassapanca, viene tramandato da generazioni in generazioni ed è ancora oggi in possesso della stessa famiglia.
Nella foto, qui riprodotta, lo si può osservare quando viene utilizzato, nell’aprile 1972, per porvi Raffaele Scala Simone tenuto fra le braccia della madre Silvana Ronsisvalle.
Bastone animato-Posseduto da Don Raffaele Scala Guzzardi che gli fece incidere -Viva Ferd II-
BASTONE ANIMATO
Verso il XIV secolo per rispondere ad esigenze “conservative” e alla necessità di possedere un mezzo
difensivo, si cominciarono a realizzare modelli di bastone da passeggio semplici o animati cioè cavi all’interno per contenere una lama.
Il bastone animato, (sia con lama a sezione quadrangolare per tirare stoccate o a sezione di losanga e con filo per tirar di taglio e punta) pur non dando vita a scuole codificate o meglio a scuole alla luce del sole, data la natura proditoria dell’arma, continuò ad essere portato e massicciamente “utilizzato” , tanto che per tutto il XIX secolo, la più importante e famosa casa di costruzione di bastoni da passeggio italiana aveva come maggior specialità produttiva proprio quella di bastoni animati
La nascita di questi “strumenti” ancora una volta puntava principalmente a sorprendere l’avversario probabilmente un’aggressore, (non certo un avversario in duello per il quale esistevano tutta una serie di accettate e ben regolate convenzioni cavalleresche) utilizzando alla bisogna entrambe le mani e impugnando in una il rigido fodero, nell’altra l’arma in esso contenuta e questo tanto per difendersi quanto per offendere, così come insegnava la vera Scherma Italiana. Un antenato della Famiglia Scala ne possedeva un esemplare riprodotto nella foto, con una lama di cm.83, che per legame con la Famiglia Reale Borbonica gli fecce incidere “ Viva Ferd II ”. Il predetto bastone animato è a tutt’oggi in possesso della famiglia Scala.
Oliera-Acetiera-Della Famiglia dell'Avvocato Don Vincenzo Di Francesco
OLIERA E ACETIERA
Oliera e Acetiera con porta sale e porta pepe singoli e a parte, tutto in Argento. Il fondo della oliera e acetiera porta il sigillo alfabetico “VDf “ (Vincenzo Di francesco). Periodo: 1° Impero, 1819. Punzonata in tutte le sue parti con varie punzonature fra le quali un giglio, un viso di profilo e scapigliato recante alla base destra il numero 8, un granchio, iniziali AR e AG ed altri non decifrabili per l’usura del tempo. Le bottiglie sono in vetro di murano. Alla famiglia Scala pervenne, quale regalo fatto da Vincenzina Di francesco alla sorella Amelia consorte di D. Raffaele Scala, la quale l’aveva ricevuta dal fratello e dalle sorelle, insieme a tutta la posateria d’argento di famiglia, poiché portava il nome paterno e cioè quello dell’Avv. D. Vincenzo Di francesco.
Foto con Federico De Roberto e consorte e Don Peppino Scala e la moglie Marta Dieterich e il figlio
De Roberto Federico
Proveniente da una nobile famiglia catanese, (nato a Napoli nel 1861) ebbe una prima formazione scientifica alla quale affiancò presto l’interesse per gli studi classici.visse di solito a Catania collaborando a giornali e a riviste; fu uno dei più fedeli amici del Verga di cui raccolse gli inediti. Partecipò attivamente al movimento verista accanto al Capuana e al Verga, il quale ultimo influì fortemente sulla sua educazione letteraria, determinandola in senso regionale e realista; Durante un soggiorno milanese (1890) fu introdotto da Verga negli ambienti letterari: conobbe scrittori scapigliati (Arrigo Boito), giornalisti, musicisti e uomini di teatro, tra i quali Giovanni Camerana, Giuseppe Giacosa, Gerolamo Rovetta, Luigi Albertini. Con Spasimo, pubblicato in volume nel 1897, iniziarono a comparire alcuni suoi romanzi d'appendice sul Corriere della Sera. Nel 1911 furono raccolti e stampati i racconti di La messa di nozze, mentre alle collaborazioni al Corriere si sostituirono quelle al Giornale d'Italia. Si recò di frequente a Roma, anche per studiare la vita parlamentare in vista di una ripresa e rielaborazione dell'Imperio. Ma sulla sua opera hanno agito pure con notevole forza i modelli della narrativa francese contemporanea, da Flaubert a Bourget, da cui egli ereditò un gusto intellettualistico per le complicazioni psicologiche. Soprattutto le sue prime opere risentono dei modelli francesi e della poetica verista dell'impassibilità di fronte ai documenti sentimentali offerti dai personaggi. Con Ermanno Raeli De Roberto iniziò un primo esame di quella società aristocratica siciliana che doveva essere il tema fondamentale delle sue opere maggiori: e anche se troppo scenografiche sono le complicazioni sentimentali, e lo stile è ancora piuttosto involuto e prolisso, tuttavia un certo sfondo dell'aristocrazia palermitana è descritto con una curiosa e accanita acutezza che trova i suoi momenti più intensi nella rappresentazione dell'urto tragico delle illusioni e dei sentimenti contro la realtà e le situazioni obiettive, e anche contro una certa incapacità interiore di superare lo shock della scoperta dell'ostilità del mondo e della società alle speranze e ai sogni individuali. Qui, e nel successivo romanzo L'illusione (Milano, 1891), venuto dopo i racconti di Processi verbali (Milano, 1890) e de L'albero della scienza (Milano, 1890), nel quale il fallimento è visto dalla parte di una donna e della sua fondamentale esperienza d'amore, si rivela il duplice volto della narrativa di De Roberto, quell'ambiguità che dà un fascino profondo anche alle opere meno riuscite: la compresenza dell'impassibilità naturalista, che convoglia perfino i motivi positivisti dell'ereditarietà, e che giunge fino alla freddezza dell'estraneità assoluta del racconto, e di una passione un po' torbida e insistente per la psicologia malata, per le contraddizioni, le contorsioni, gli inganni interiori, la doppiezza dei gesti e dei sentimenti, unita con un tetro e sontuoso gusto della morte (e De Roberto si apparenta così decisamente con motivi e ragioni della narrativa decadente). Tuttavia solo con il grande romanzo I Viceré, considerato uno dei maggiori romanzi dell'Ottocento italiano, (Milano, 1894) De Roberto è giunto a realizzare compiutamente un suo mondo poetico: l'aristocrazia siciliana, orgogliosa, gelosa dei suoi privilegi, assetata di denaro e di potere, chiusa in cupi egoismi e in sfrenate passioni, descritta con un acre gusto ironico, che giunge nei momenti più felici a un realismo epico, grandioso e crudo, non privo di inflessioni grottesche, nel quale, tuttavia, è sempre presente l'altra faccia della compiacenza sottile per le malattie dell'anima e del corpo e per la morte. L'intenzione verghiana di costruire un ciclo di romanzi che avrebbe dovuto rappresentare la vita dell'uomo nelle diverse condizioni sociali, rimasta interrotta prima di giungere alla rappresentazione della società aristocratica, si attua nel romanzo di De Roberto che segna uno degli esiti più alti della narrativa italiana fra Ottocento e Novecento.
La continuazione dei Viceré, contenuta nell'altro ampio romanzo L'imperio (postumo, Milano, 1928) riesce meno persuasiva: le vicende di don Consalvo Uzeda, che eletto deputato, approfittando del fascino del suo nome e della sua ricchezza, riesce a conquistare un posto preminente nella vita politica italiana e a diventare ministro, si svolge sullo sfondo di una Roma post-risorgimentale (siamo nel periodo del governo di Crispi), chiusa in una trama sconfortante di azioni vili, piccole, irritanti, compiute da uomini meschini e insinceri, tesi soltanto al proprio interesse, privi di passioni e di ideali. E se lo spunto satirico riaffiora a tratti in vivaci quadri della vita parlamentare e giornalistica e della società romana, il tono di fondo è scorato, amaro, sempre più disperato parallelamente col trionfo degli opportunisti e dei profittatori e con la rovina dei pochi spiriti sinceri e onesti.
Tutte le altre opere di De Roberto restano su un piano inferiore a quello dei romanzi principali, squilibrate come sono dal gusto per le complicazioni psicologiche o dalle tentazioni documentarie che si traducono in un discorso minuzioso e un po' grigio, nella costruzione del quale la ricerca di stile sempre tenacemente perseguita si riduce a un lavoro un po' gratuito e a un fraseggio arido e faticoso: La sorte (Milano, 1887) e Documenti umani (Milano, 1888),La morte dell'amore (Napoli, 1892); Spasimo (Milano,1897). Gli amori (Milano, 1898); Come siamo (Torino, 1901); La messa di nozze (Milano, 1908); Al rombo del cannone (Milano, 1918), mediocri bozzetti ispirati alla prima guerra mondiale; Ironie (Milano 1920); Le donne e i cavalier (Milano, 1923). Critico assai fine per penetrazione psicologica, De Roberto ha scritto un saggio su Leopardi (Milano 1898) e un'opera su Verga (Casa Verga, Firenze, 1966) assai notevole ma rimasta incompiuta; inoltre ha pubblicato i volumi di saggi: Arabeschi (Catania, 1883); L'amore (Milano, 1895) tipica ricerca psicologica e fisiologica sull'amore, nel gusto positivistico. Una pagina di storia dell'amore (Milano, 1898); Il colore del tempo (Palermo, 1900); L'arte (Torino, 1901); Cenni storici. Chiese,monumenti,antichità (Adernò 1906); Catania (Bergamo 1907);
Randazzo e la valle dell'Alcantara - “ITALIA ARTISTICA. Collezione di Monografie Illustrate diretta da Corrado Ricci ed edita dall'Ist. d'Arti Grafiche a Bergamo. Volume in 8° gr. (cm 18,5x26) in carta patinata di pp. 130 pp. con 147 ill. e 1 tav. ripieg. con ved. generale della valle, anno 1909. Le impressioni del romanziere catanese, le descrizioni dell'ambiente urbano, dei monumenti, delle campagne, le sue osservazioni, restano una preziosissima testimonianza d'ammirazione e di amore per Randazzo, oltreché insostituibile documento obiettivo”;
All'ombra dell'ulivo (Milano, 1920). Inoltre compose alcune opere teatrali: Il cane della favola (1912); La lupa (in collaborazione col Verga, Noto, 1932); Il rosario (1940).
Fu amico fraterno con Don Peppino Scala il quale si rese utile come appassionato di fotografia nel collaborare con il De Roberto per le fotografie che dovevano comparire nelle pubblicazioni letterarie dello stesso. La passione pionieristica del De Roberto per la fotografia la condivide con il suo amico sincero Don Peppino Scala il quale lo aiutò a raccogliere immagini che immortalate nelle lastre e pellicole (oggi raccolte in una collezione privata della Famiglia Scala con tutto l’attrezzatura del gabinetto fotografico e con la corrispondenza privata che il De Roberto ebbe con la Famiglia Scala) svelano un interessante documentario che, anche se casuale, certo non si discosta dall'ideologia verista.
Le fotografie ritraggono volti familiari dello scrittore e del suo amico, ma anche i contadini che lavorano per la famiglia Scala, nelle campagne di Randazzo e circondario, e luoghi, palazzi, chiese che furono messe anche negli scritti del poeta. L'interesse per la fotografia (tecnica che nella seconda metà dell'Ottocento coinvolse intellettuali della buona borghesia in un hobby, per l'epoca, decisamente d'èlite) accomunò Verga, Capuana e De Roberto, rendendoli artefici di sperimentazioni non prive di interesse.
Nella foto Federico De Roberto con la moglie e Don Peppino Scala con la moglie Marta Dieterich e il figlio Federico chiamato Fritz