Spinti
dal vento del dolore oggi arrivano sulle nostre coste uomini e donne cacciati
dalle loro terre, alla ricerca di pace sulle nostre terre, su navi improbabili:
accalcati, ammassati, affamati. Dopo aver passato mille peripezie sbarcano oggi
da noi e lasciano a casa, dall'altra parte del mare... il mare dei loro ricordi
agitati, scomposti, distrutti, come la loro terra. Vengono da noi e sperano. Sperano
nel cielo sempre più blu dell'ITALIA, sperano di trovare al di là del mare la
pace, una patria, il lavoro e una terra e gli affetti di una navigazione tranquilla
in quel mare indefinibile della loro vita quotidiana. E loro hanno lasciato la
casa distrutta, hanno perso praticamente tutto e immaginato un futuro differente,
con meno onde contro le loro speranze. Storie raccontate dai giornali, dalla radio,
dalla televisione. Storie apparentemente figlie di questo nostro ventennio e...
invece NO. Invece no. Basta pensare a quanti da sempre sono arrivati qui, spinti
dalle stesse motivazioni, con le stesse speranze naufragate per strada o sulla
terra sognata al di là del mare: l'Italia. Da sempre qui sono arrivati popoli
dall'altra parte del mare. Noi non lo ricordiamo, noi non ci riflettiamo, ma lo
studiamo a scuola. E quegli arrivi di popolazioni accalcate, ammassate, affamate,
dopo aver passato mille peripezie, oggi sono diventate storia o mitologia. A scuola
si studia la colonizzazione greca, quel fenomeno datato ottavo secolo a.C., dall'altra
parte del mare Adriatico. A un certo momento della nostra storia dell'Occidente,
si decide di venire nel giardino d'Europa - in Italia -, raccontata evidentemente
come una terra dal cielo blu, una terra promessa, una terra in cui è sempre primavera.
L'Italia diventa in quel periodo il porto ideale, la meta dei sogni ... la terra
con il cielo sempre blu. Con navi improbabili. poco più che barconi di legno.
D'estate. Accalcati, ammassati, affamati, dopo aver passato mille peripezie, sbarcano
da noi i greci. Lasciano a casa, dall'altra parte del mare, il mare dei loro ricordi
agitati, scomposti, distrutti, come la loro terra. E sono i greci di 2700 anni
or sono, deliquenti in patria, destinati a perdere le loro radici, bandite quindi,
mandate via, radici trapiantate da noi... facendo crescere la nostra cultura,
la nostra civiltà. La civiltà dei romani deriva dagli sbarchi, da quelle navi
improbabili cariche di popolazioni greche accalcate, ammassate, affamate. Riflettiamoci.
Questa è la nostra storia, la storia della nostra civiltà. Noi oggi vantiamo questa
civiltà millenaria, costruita pezzo su pezzo, su mattoni di emigrazione, in un
mare di sofferenza, lutti, naufragi, fallimenti, delinquenze, nostalgie, guerre
d'integrazione, rifiuti, sudori... 2800 anni or sono! Noi oggi nelle scuole vediamo
Enea come un mito. Enea, un personaggio quasi storico con una vicenda simile alle
storie attuali di chi carica le navi della speranza, di uomini schiacciati dai
drammi di una vita realizzata nella fuga. E in ITALIA hanno trovato ricovero e
accoglienza "ITALIA, ti amo per il tetto che offri a chi non l'ha. A chi bussa
alla tua porta mai chiusa sempre socchiusa. Nè certo per farlo sedere al tuo semplice
desco hai bisogno di chiedere all'ospite chi sia e donde venga e dove andrà dopo
di te Ecco, sono state messe insieme queste due storie: la storia della colonizzazione
greca - che è fatta con gli stessi ingredienti con i quali noi conosciamo oggi
l'arrivo dei profughi - "ti amo ITALIA, perchè tu offri sempre la speranza e la
porta sempre socchiusa a chi vuole entrare. Non deve entrare da padrone e non
chiedi niente... lo fai sedere a tavola e poi lo lasci libero per la sua strada..."
Qui hanno trovato ricovero e accoglienza da sempre, nel segno delle difficoltà,
nel segno della sopportazione. Certamente all'inizio con ogni diffidenza possibile...
da sempre si sa la fame ha paura dell'altra fame perchè sono due necessità. Ma
da sempre la gente di ITALIA ha accolto, perchè da sempre la gente di ITALIA ha
saputo quanto è amaro il pane che non c'è, il pane da conquistare e quanto aspro
è doverlo cercare lontano da quel cielo blu. Trovo che c'è una grande assonanza
tra queste parole e quelle ben più antiche pronunciate da un capraio che si chiamava
Eumèo e scritte da Omero: "straniero non è mio costume offendere un ospite, neppure
se arriva uno meno di te: ospiti e poveri provengono tutti da Zeus". Eumeo è il
capraio che vede arrivare un signore grigio, incanutito, macilento, sporco, lacero
e non riconosce che era il suo re, era il re d'Itaca, era Ulisse. Non lo riconosce,
però dice "noi abitanti del mare siamo abituati ad accogliere l'ospite anche se
viene qualcuno meno di te, perchè se viene in pace noi apriamo la porta della
nostra isola. L'uomo antico apriva le braccia, accoglieva a braccia aperte. Evidentemente
perchè sapeva il significato della parola sofferenza, quando la sofferenza è portata
in giro per i mari. Passando da Omero a Virgilio ci rendiamo conto come certe
immagini raccontate con parole straordinarie da questi grandi padri della letteratura
internazionale, vissuti secoli, millenni prima di noi, siano straordinariamente
efficaci ed attuali. La descrizione che Virgilio fa di Enea che deve lasciare
Troia, ancora fumante, e si porta via sulle spalle Anchise e per mano il figlioletto
Ascanio e insieme scappano con dietro i bagliori della città... ricorda drammaticamente
da vicino le immagini che per fotografia o per televisione noi vediamo, di questi
profughi con i carretti che si incamminano sulla strada della speranza, per poi
potersi imbarcare sulle navi della speranza che li porteranno dall'altra parte
del mare. E l'addio è sempre tragico e triste, perchè Enea guardando davanti,
non ha niente: ha l'ignoto. E, dietro, ha le sue radici infiammate, distrutte:
la sua storia finita con il peso di un padre anziano sulle spalle. E' Enea che
parla, che racconta "... ma come Didone, tu mi chiedi di rinnovare il mio dolore,
di raccontare la fine della città...", ma c'è qualcosa di catartico, di purificatorio
in questo racconto. Tutti quanti stanno zitti. E racconta della città che brucia,
che lui prende Anchise sulle spalle, che sotto il monte Ida costruisce una flotta,
che imbarca tutti questi poveri averi... alla ricerca di che cosa? Di nulla. Senza
orizzonti va dall'altra parte ... piangendo. Va esule sul mare e davanti ha solo
l'incerto! La memoria è importante. Guardiamo allo specchio la storia. Magari
non abbiamo mai letto queste pagine con questa impostazione. In Omero c'è la descrizione
di una tempesta nella quale si trova Ulisse, dopo di che approderà al porto di
Calipso - siamo sempre alla ricerca di un porto - e anche Calipso, personaggio
negativo sotto certi aspetti, accoglie Ulisse a braccia aperte. C'è la descrizione
fortissima di una tempesta, tempesta che porta molti compagni di Ulisse a morire
per mare. E questo evoca drammaticamente quello che ancora oggi succede vicino
alle nostre coste. Rileggere questo vuol dire non fare semplicemente cultura informativa,
ma aprire una finestra di informazione anche su questa storia antica che è assolutamente
contemporanea
Da:
Mons. Antonio Riboldi - Vescovo
di Acerra
Inviato:
venerdì 4 giugno 2004 21.33.14 A: "GP Piazzolla
Carissimo,
Solo
ora riesco a leggere la tua giustamente inorridita lettera che esprime molto bene
da una parte la ferocia che è nell'uomo, quasi incredibile e dall'altra quella
che tu chiami la “nostra ipocrisia!”
C'è
un salmo nella Bibbia, il salmo 8, che esprime il suo stupore davanti all'uomo
che gli fa dire: “O Signore, nostro Dio, chi è mai l'uomo perché tu ti curi e
ti preoccupi di lui?” E Dio la risposta l'ha data con donarci il Figlio Gesù,
che per riportarci a essere quello che davvero siamo dalla creazione, ossia figli
del Padre, destinati alla felicità nell'amore, cancellò quello che ci rende mostruosi
agli occhi di Dio e degli uomini. Ho tanti anni sulle spalle e il mio tempo mi
ha fatto 'partecipe', di una storia di uomini senza cuore e uomini santi. Ho visto
gli orrori del nazismo e del comunismo e credevo che avessimo cancellato per sempre
gli orrori dell'odio. Con lei certamente ho conosciuto l'orrore di quelli che
abbiamo chiamato terroristi. Ed ora, come se la memoria non contasse, anche perché
la tecnologia oramai ci fa di casa in tutte le parti dell'uomo, come per vedere
tutto, siamo giustamente inorriditi di quanto succede non solo in Irak, ma nel
mondo, anche tra di noi. Si ha quasi l'impressione che l'uomo faccia di tutto
per annientarsi. Ma nello stesso tempo, mi creda, ho conosciuto tanti, ma tanti
uomini, donne, giovani, famiglie, davvero eccezionali per bontà e santità e questi
sono il 'sale della terra'. Il secolo passato ha avuto più martiri che all'inizio!
E’
proprio vero quanto dice un proverbio: 'fa molto rumore un albero che cade, non
fa rumore il silenzio della foresta che cresce'. E il futuro è della foresta,
non dell'albero. Il futuro è di questi che riempiono ogni angolo della terra di
amore, di altruismo, di martirio, di solidarietà. Sono 'il dito' che permette
a Dio di scrivere la sua storia.
Per
questo, inorridito con lei, rifiutando ogni ipocrisia, cerco di vivere l'amore
del Padre verso tutti con totalità. E il buio della storia ogni volta pare scompaia.
Grazie,
carissimo.
Prego
con lei per questo mondo pazzo perché si converta e percorra le vie della giustizia,
della solidarietà e del perdono: le vie della pace.