IL VESCOVO

LETTERE
LETTERA 1
LETTERA 3
LETTERA 4
LETTERA 5
GP-PIAZZOLLA
Spinti dal vento del dolore oggi arrivano sulle nostre coste uomini e donne cacciati dalle loro terre, alla ricerca di pace sulle nostre terre, su navi improbabili: accalcati, ammassati, affamati. Dopo aver passato mille peripezie sbarcano oggi da noi e lasciano a casa, dall'altra parte del mare... il mare dei loro ricordi agitati, scomposti, distrutti, come la loro terra. Vengono da noi e sperano. Sperano nel cielo sempre più blu dell'ITALIA, sperano di trovare al di là del mare la pace, una patria, il lavoro e una terra e gli affetti di una navigazione tranquilla in quel mare indefinibile della loro vita quotidiana. E loro hanno lasciato la casa distrutta, hanno perso praticamente tutto e immaginato un futuro differente, con meno onde contro le loro speranze. Storie raccontate dai giornali, dalla radio, dalla televisione. Storie apparentemente figlie di questo nostro ventennio e... invece NO. Invece no. Basta pensare a quanti da sempre sono arrivati qui, spinti dalle stesse motivazioni, con le stesse speranze naufragate per strada o sulla terra sognata al di là del mare: l'Italia. Da sempre qui sono arrivati popoli dall'altra parte del mare. Noi non lo ricordiamo, noi non ci riflettiamo, ma lo studiamo a scuola. E quegli arrivi di popolazioni accalcate, ammassate, affamate, dopo aver passato mille peripezie, oggi sono diventate storia o mitologia. A scuola si studia la colonizzazione greca, quel fenomeno datato ottavo secolo a.C., dall'altra parte del mare Adriatico. A un certo momento della nostra storia dell'Occidente, si decide di venire nel giardino d'Europa - in Italia -, raccontata evidentemente come una terra dal cielo blu, una terra promessa, una terra in cui è sempre primavera. L'Italia diventa in quel periodo il porto ideale, la meta dei sogni ... la terra con il cielo sempre blu. Con navi improbabili. poco più che barconi di legno. D'estate. Accalcati, ammassati, affamati, dopo aver passato mille peripezie, sbarcano da noi i greci. Lasciano a casa, dall'altra parte del mare, il mare dei loro ricordi agitati, scomposti, distrutti, come la loro terra. E sono i greci di 2700 anni or sono, deliquenti in patria, destinati a perdere le loro radici, bandite quindi, mandate via, radici trapiantate da noi... facendo crescere la nostra cultura, la nostra civiltà. La civiltà dei romani deriva dagli sbarchi, da quelle navi improbabili cariche di popolazioni greche accalcate, ammassate, affamate. Riflettiamoci. Questa è la nostra storia, la storia della nostra civiltà. Noi oggi vantiamo questa civiltà millenaria, costruita pezzo su pezzo, su mattoni di emigrazione, in un mare di sofferenza, lutti, naufragi, fallimenti, delinquenze, nostalgie, guerre d'integrazione, rifiuti, sudori... 2800 anni or sono! Noi oggi nelle scuole vediamo Enea come un mito. Enea, un personaggio quasi storico con una vicenda simile alle storie attuali di chi carica le navi della speranza, di uomini schiacciati dai drammi di una vita realizzata nella fuga. E in ITALIA hanno trovato ricovero e accoglienza "ITALIA, ti amo per il tetto che offri a chi non l'ha. A chi bussa alla tua porta mai chiusa sempre socchiusa. Nè certo per farlo sedere al tuo semplice desco hai bisogno di chiedere all'ospite chi sia e donde venga e dove andrà dopo di te Ecco, sono state messe insieme queste due storie: la storia della colonizzazione greca - che è fatta con gli stessi ingredienti con i quali noi conosciamo oggi l'arrivo dei profughi - "ti amo ITALIA, perchè tu offri sempre la speranza e la porta sempre socchiusa a chi vuole entrare. Non deve entrare da padrone e non chiedi niente... lo fai sedere a tavola e poi lo lasci libero per la sua strada..." Qui hanno trovato ricovero e accoglienza da sempre, nel segno delle difficoltà, nel segno della sopportazione. Certamente all'inizio con ogni diffidenza possibile... da sempre si sa la fame ha paura dell'altra fame perchè sono due necessità. Ma da sempre la gente di ITALIA ha accolto, perchè da sempre la gente di ITALIA ha saputo quanto è amaro il pane che non c'è, il pane da conquistare e quanto aspro è doverlo cercare lontano da quel cielo blu. Trovo che c'è una grande assonanza tra queste parole e quelle ben più antiche pronunciate da un capraio che si chiamava Eumèo e scritte da Omero: "straniero non è mio costume offendere un ospite, neppure se arriva uno meno di te: ospiti e poveri provengono tutti da Zeus". Eumeo è il capraio che vede arrivare un signore grigio, incanutito, macilento, sporco, lacero e non riconosce che era il suo re, era il re d'Itaca, era Ulisse. Non lo riconosce, però dice "noi abitanti del mare siamo abituati ad accogliere l'ospite anche se viene qualcuno meno di te, perchè se viene in pace noi apriamo la porta della nostra isola. L'uomo antico apriva le braccia, accoglieva a braccia aperte. Evidentemente perchè sapeva il significato della parola sofferenza, quando la sofferenza è portata in giro per i mari. Passando da Omero a Virgilio ci rendiamo conto come certe immagini raccontate con parole straordinarie da questi grandi padri della letteratura internazionale, vissuti secoli, millenni prima di noi, siano straordinariamente efficaci ed attuali. La descrizione che Virgilio fa di Enea che deve lasciare Troia, ancora fumante, e si porta via sulle spalle Anchise e per mano il figlioletto Ascanio e insieme scappano con dietro i bagliori della città... ricorda drammaticamente da vicino le immagini che per fotografia o per televisione noi vediamo, di questi profughi con i carretti che si incamminano sulla strada della speranza, per poi potersi imbarcare sulle navi della speranza che li porteranno dall'altra parte del mare. E l'addio è sempre tragico e triste, perchè Enea guardando davanti, non ha niente: ha l'ignoto. E, dietro, ha le sue radici infiammate, distrutte: la sua storia finita con il peso di un padre anziano sulle spalle. E' Enea che parla, che racconta "... ma come Didone, tu mi chiedi di rinnovare il mio dolore, di raccontare la fine della città...", ma c'è qualcosa di catartico, di purificatorio in questo racconto. Tutti quanti stanno zitti. E racconta della città che brucia, che lui prende Anchise sulle spalle, che sotto il monte Ida costruisce una flotta, che imbarca tutti questi poveri averi... alla ricerca di che cosa? Di nulla. Senza orizzonti va dall'altra parte ... piangendo. Va esule sul mare e davanti ha solo l'incerto! La memoria è importante. Guardiamo allo specchio la storia. Magari non abbiamo mai letto queste pagine con questa impostazione. In Omero c'è la descrizione di una tempesta nella quale si trova Ulisse, dopo di che approderà al porto di Calipso - siamo sempre alla ricerca di un porto - e anche Calipso, personaggio negativo sotto certi aspetti, accoglie Ulisse a braccia aperte. C'è la descrizione fortissima di una tempesta, tempesta che porta molti compagni di Ulisse a morire per mare. E questo evoca drammaticamente quello che ancora oggi succede vicino alle nostre coste. Rileggere questo vuol dire non fare semplicemente cultura informativa, ma aprire una finestra di informazione anche su questa storia antica che è assolutamente contemporanea
Da: Mons. Antonio Riboldi - Vescovo di Acerra
Inviato: venerdì 4 giugno 2004 21.33.14 A: "GP Piazzolla

Carissimo,

Solo ora riesco a leggere la tua giustamente inorridita lettera che esprime molto bene da una parte la ferocia che è nell'uomo, quasi incredibile e dall'altra quella che tu chiami la “nostra ipocrisia!”
C'è un salmo nella Bibbia, il salmo 8, che esprime il suo stupore davanti all'uomo che gli fa dire: “O Signore, nostro Dio, chi è mai l'uomo perché tu ti curi e ti preoccupi di lui?” E Dio la risposta l'ha data con donarci il Figlio Gesù, che per riportarci a essere quello che davvero siamo dalla creazione, ossia figli del Padre, destinati alla felicità nell'amore, cancellò quello che ci rende mostruosi agli occhi di Dio e degli uomini. Ho tanti anni sulle spalle e il mio tempo mi ha fatto 'partecipe', di una storia di uomini senza cuore e uomini santi. Ho visto gli orrori del nazismo e del comunismo e credevo che avessimo cancellato per sempre gli orrori dell'odio. Con lei certamente ho conosciuto l'orrore di quelli che abbiamo chiamato terroristi. Ed ora, come se la memoria non contasse, anche perché la tecnologia oramai ci fa di casa in tutte le parti dell'uomo, come per vedere tutto, siamo giustamente inorriditi di quanto succede non solo in Irak, ma nel mondo, anche tra di noi. Si ha quasi l'impressione che l'uomo faccia di tutto per annientarsi. Ma nello stesso tempo, mi creda, ho conosciuto tanti, ma tanti uomini, donne, giovani, famiglie, davvero eccezionali per bontà e santità e questi sono il 'sale della terra'. Il secolo passato ha avuto più martiri che all'inizio!
E’ proprio vero quanto dice un proverbio: 'fa molto rumore un albero che cade, non fa rumore il silenzio della foresta che cresce'. E il futuro è della foresta, non dell'albero. Il futuro è di questi che riempiono ogni angolo della terra di amore, di altruismo, di martirio, di solidarietà. Sono 'il dito' che permette a Dio di scrivere la sua storia.
Per questo, inorridito con lei, rifiutando ogni ipocrisia, cerco di vivere l'amore del Padre verso tutti con totalità. E il buio della storia ogni volta pare scompaia.
Grazie, carissimo.
Prego con lei per questo mondo pazzo perché si converta e percorra le vie della giustizia, della solidarietà e del perdono: le vie della pace.
La benedico di cuore Antonio