L'Uva Grisa - banda di navigazione



APPUNTI DI VIAGGIO

"Alzati su belìn che il giorno è chiaro…”

 

Sono passati vent’anni da quando si è costituito il primo nucleo dell’Uva Grisa. All’inizio ci chiamavamo, “Gruppo di ricerca”, senza altra specificazione. Il nome è arrivato nell’85, con la produzione del nostro secondo spettacolo musicale-teatrale “Fura chi chéld, dròinta chi giazé” (fuori quelli caldi, dentro quelli freddi). Il nome Uva Grisa lo avevamo preso in prestito da uno scongiuro che compariva nel testo: “Paèn é fnòcc, roffli ad Nadèl, chi mangia l’uva grisa more invelenati” (pane e finocchio, rufoli (di neve) Natale, chi mangia l’uva acerba muore avvelenato). Ce lo aveva detto Ivana Belletti e la sua mamma, Domenica Lazzarini, La Manghina Fléca. Questo nome ce lo siamo subito sentito calzare bene e, come sovente accade coi nomi, un po’ ci ha contrassegnato. Siamo sempre rimasti aspri, acerbi, pur avendo delle potenzialità; l’aria che abbiamo respirato è sempre stata carica d’energia e di indeterminazione.

Questo autunno, quando ci siamo incontrati per discutere gli obiettivi e il programma di lavoro, abbiamo sentito  che per continuare occorreva  uno sforzo maggiore; capire  dove eravamo arrivati, ridefinire gli obiettivi e le finalità, interrogarci su cosa andava rivisto, corretto, potenziato, stabilire alcune priorità, che abbiamo identificato in tre punti: 1) mettere alla prova nostra capacità di interagire, mescolarci, con le giovani generazioni; 2) mantenerci ancorati al repertorio tradizionale locale, ampliandolo; 3) aprirci a collaborazioni con altri artisti e ricercatori, e a nuove forme di contaminazione con altri linguaggi, altre culture. Tutto questo significava metterci di più in gioco.

Il fatto che il 2001 rappresentasse la tappa dei vent’anni poteva essere per noi il pretesto, l’occasione di una maggiore presenza, specialmente a Bellaria Igea Marina. Così abbiamo pensato di realizzare alcuni appuntamenti speciali. Il primo in occasione della festa di S. Apollonia, dedicato a Maria Benedetti, cantante popolare ottantasettenne di Bellaria. Il secondo riguarda la messa a punto di un organico strumentale di 10 elementi per le grandi feste da ballo, da presentare in occasione della IX edizione della festa “La borgata che danza” (18-20 maggio 2001), il terzo la costruzione di un momento rievocativo della nostra esperienza da realizzare entro l’anno.

Giovedì 8 febbraio  si è svolto il primo appuntamento che è anche quello che consideriamo più importante perché in onore della Maria, l’incontro più significativo del nostro cammino.

Maria Benedetti l’abbiamo conosciuta 15 anni fa. Cercavamo canti popolari e così ci indicarono una sua figlia, che sapeva molti canti e aveva una bella voce, ma li faceva un po’ modernizzati, adatti anche ad un accompagnamento ritmico e musicale. Capendo le nostre richieste ci ha parlato di sua mamma e ce l’ha presentata. Conoscendo Maria abbiamo scoperto un’autentica miniera di esperienza e di saperi popolari. Nel 1990, in occasione della festa di S. Apollonia, abbiamo voluto presentarla in pubblico in un concerto a Bellaria Monte a cui partecipava anche il Gruppo marchigiano “La Macina”, e da allora non abbiamo più potuto farne a meno. Ne è nato un legame indissolubile che continua tuttora,  nonostante Maria trascorra lunghi periodi fuori Bellaria, da un’altra sua figlia. Con lei a fianco in tutti questi anni non abbiamo mai cessato di arricchirci, di imparare e di meravigliarci.

Ci siamo arricchiti, in primo luogo, perché la sua presenza ha qualificato i nostri interventi, testimoniando un rapporto autentico con le nostre radici culturali, consentendoci di dire che i nostri “referenti” non sono irrimediabilmente scomparsi,  o solo documentabili nei testi accademici o specialistici, nei dischi, o in altre culture d’Italia o d’Europa, insomma altrove. Le fonti della cultura popolare sono persone vere, concrete, che parlavano il tuo dialetto e che ognuno può avere in casa.

Non abbiamo mai cessato di imparare perché il nostro Gruppo dopo anni di discussioni ha chiaro che i linguaggi espressivi, i codici estetici della musica popolare, i canti, i passi, i gesti della danza tradizionale sono inimitabili, o vi si accede per approssimazione e solo dopo un impegno lungo e continuativo. Ciò significa che per noi, figli della televisione ed immersi nell’era delle basi musicali, ogni volta che abbiamo cercato di riproporre un canto o un ballo  tradizionale, confrontandoci a distanza con le fonti (le registrazioni) da cui avevamo imparato, il rapporto con gli “informatori“ è risultato impareggiabile. Spesso abbiamo creduto di apprendere con disinvoltura un’aria popolare o le figure di un ballo, accorgendoci poi di quanto la nostra riproposta risultasse impoverita delle micro-varianti ritmiche e melodiche, dei melismi, dei cosiddetti approcci espressivi. E ciò riguarda anche l’uso delle tecniche vocali, il timbro, la sonorità, il linguaggio del corpo, la prossemica e la cinesica.

Dicevo, ancora, che la Maria non ha mai finito di meravigliarci, di stupirci, anche per le sue qualità umane, per l’energia positiva che sprigiona quando canta, per la sua forza fisica e la capacità comunicativa, la voglia di divertirsi e far divertire. E questo sia negli interventi di strada, fra la gente, o quando è sul palco, e a questo proposito devo dire che la sua presenza al nostro fianco è stata spesso provvidenziale, ed è in continua crescita qualitativa. E nonostante tutto questo, stenterete a crederci,  Maria ogni volta si raccomanda che non dobbiamo scordarci di Lei, cessare di invitarla a cantare con noi, perché quando è con noi sta davvero bene.

E allora noi abbiamo voluto onorarla nel modo migliore invitando Giuseppe Bellosi, il maggior ricercatore di tradizione orali della Romagna, esperto di poesia e letteratura dialettale, a cui abbiamo affidato il compito di scandagliare la sua memoria, per rendere intelligibile un patrimonio di saperi che la nostra civiltà ha liquidato troppo in fretta.

Gualtiero Gori

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