“ohi, ad chesa arvoi cla porta,
che ad fura uiè la morta, e ad chesa uiè l’alegria …”
Partiamo e andiamo anche quest’anno, noi
specialisti del buon augurio; noi cantori di una terra promessa che da
qualche parte c’è, ci sarà; noi atleti del buonumore e della speranza
soprattutto e nonostante tutto; noi evocatori di una religiosità arcaica
che affonda le sue radici nella terra, quella dura e avara, ma che tante
volte ha saputo diventare madre generosa con i propri figli, quelli dalle
mani callose, le facce marcatamente contadine scolpite da fatiche
secolari, i corpi odorosi di formaggio e di stabbio.
Noi con la polenta e le
costarelle di “Gianola”che ci sapettano.
Noi, i pasqualotti, in questa
Epifania 2007.
“Riveriti lor Signori…”.
E’ tornato il tempo della Pasquella e, al tempo stesso, periodo “fuori
dal tempo”, del ritorno dei morti in dimensione terrena nelle religioni
pre-cristiane, specificamente di origine celtica, da noi in Romagna. Una
ricorrenza importante perché si pensava che gli antenati ( legati ad una
cultura agraria di fertilità) nella notte dell’epifania, portassero
augurio di abbondanza, e, per evocarli, la notte della vigilia del 6
gennaio, i giovani si travestivano ed andavano di casa in casa a formulare
auguri in tal senso. Ripresa poi dalla tradizione cristiana con
l’introduzione di personaggi ed episodi dei Vangeli.
Veramente quest’anno Gualtiero è piuttosto
dubbioso circa le località ove presentarci, amareggiato e critico sul modo
alquanto distratto e (quasi) forzato con cui siamo stati accolti l’anno
scorso. Una tradizione in gran parte dimenticata o mai conosciuta dalle
nuove generazioni - è il nostro commento - , sempre più travolta e
soppiantata da vere e proprie sagre del kitsch, dove marketing e cattivo
gusto la fanno da padroni, raggiungendo il massimo della volgarità sul
piano estetico e simbolico con gli orrendi Babbi Natale che penzolano da
tutte le finestre delle case.Tutti brutti e tutti egualmente sguaiati
nello stile del più basso meretricio.
Ma la Pasquella è comunque parte troppo
importante del DNA dell’ Uva Grisa per non riproporla. Si vuole giocare
ancora la carta di Bellaria, magari limitando il campo degli interventi
alle poche case che in passato hanno già evidenziato il loro gradimento,
e, soprattutto, scommessa nella scommessa, tentare un intervento in
località del territorio provinciale ai confini con la provincia di
Pesaro-Urbino, dove è risaputo non essere mai stata presente la tradizione
della Pasquella, neppure tra gli anziani. Una sottile fascia tra Morciano
e Montegrimano rimasta fuori, per remote vicende della storia, da questi
rituali. Il Comune di Gemmano, con Onferno e dintorni, ecco le località
ove porteremo il nostro messaggio augurale. Gualtiero prende i contatti
necessari presso il Comune di Gemmano che invia, molto gentilmente, un
elenco di anziani e di famiglie con relativa pianta topografica del
territorio ove raggiungerli. Inoltre una persona del luogo potrà farci da
guida.
Capparella e cappello neri sono pronti ad
essere indossati. Gualtiero, l’Angela, Mirco, Roberto, la Giorgia, Iulco,
Pierluigi, la Lorella, la Dianella, Nino, sono pronti. Altri arriveranno
più tardi. Si profila subito la vera star della missione: Roberto, che con
il suo pugnettone riscuote molti consensi fra gli addetti ai lavori.
Si parte da Igea il 5 gennaio alle ore
19, poi segue Bellaria.
Aprono le loro porte più famiglie di
quanto ci si potesse attendere e tutto si svolge in modo positivo, al di
sopra delle aspettative, discreto e caloroso al tempo stesso: presso una
famiglia hanno atteso all’aperto, nel freddo, per circa un’ora il nostro
arrivo. E come dimenticare l’emozione disegnata sui volti di quelle due
donne, forse vedove o forse con mariti inesistenti, quando Venturelli si è
esibito con il suo violino? ( Ma di chi potevano mai essere tutte quelle
foto di uomini ben inserite nei rispettivi portaritratti e tutte quante
allineate sulla credenza, se non di mariti più o meno ex, o amanti in
qualche modo morti o quasi? ).
Noi gratifichiamo tutti coinvolgendoli nei
nostri canti augurali e danze, e loro ricambiano con abbracci, vino e
tanti dolciumi. Il tutto trova poi il suo punto più alto e la sua
conclusione da “Gianola” dove gli auguri si sposano molto bene con la
polenta. Felice conclusione verso le 24 con l’incontro di un altro gruppo
di pasquaroli capitanati da Casali, e relativo passaggio di consegne.
Ma la festa è appena iniziata.
L’indomani 6 gennaio 2007 partenza per
Onferno. “ Mi raccomando alle 9 tutti a casa mia per la partenza” –
insiste Gualtiero -. Ciò vale anche per l’Ermanna, tornata durante la
notte dalla Calabria, anche se stanca morta. E lei fa di tutto per essere
puntuale, costretta dalla fretta a darsi - Nino nota - l’ultima
definitiva sistematina alla sua biancheria intima proprio sul portone
d’ingresso quando lo stesso Nino la va prendere a casa con la macchina
verso le 8,45.
Ci siamo tutti o quasi. Altri arriveranno
più tardi.
Si arriva comunque ad Onferno più tardi
del previsto, alle ore 10,30. Ci fermiamo davanti alla chiesa, perché lì,
all’uscita dalla messa, oltre alla guida, si potrà incontrare la quasi
totalità degli abitanti del paesino. Canti, danze e auguri rivolti a
quella ventina di persone che mostra di essere davvero stupita e al tempo
stesso felice di questa nostra sorpresa.
Via poi con le macchine verso Farneto, il
borgo dove ci porta la nostra guida. Si tratta di 4 - 5 case tutte
ristrutturate che constatiamo essere in gran parte disabitate ( o abitate
solo saltuariamente da parte di forestieri, addirittura da una famiglia di
tedeschi ). La sola casa completamente abitata è quella di una famiglia di
genovesi, due anziani signori, peraltro molto gentili, che apprezzano
molto i nostri omaggi augurali. Non conoscono la Pasquella e non hanno mai
ammazzato il “baghino” in vita loro, ma alle nostre richieste cantate
offrono comunque dell’ottimo Albana. Qualcuno di noi si lascia sfuggire
commenti di una banalità disarmante, del tipo: “è una realtà senza
radici,… peccato, davvero peccato “. Qualcuno ha il coraggio
di trovare un pizzico di poesia nel mangiare un caco maturo direttamente
staccato dalla pianta. E lì ci raggiunge Iulco.
Neppure la [...], che conosceremo poco
dopo nella vicina frazione di [...], ha radici in quel luogo, essendo
di origine [...], - di [...], non quello [...], precisa - ma lei non si
pone problemi di questo tipo e non ne pone neppure a noi.
Arriviamo come al solito cantando e
suonando “Riveriti lor Signori…” e cosa appare davanti ai
nostri occhi? Una donna? Un sogno fattosi realtà evocato dai nostri
canti? No, cari signori, è qualcosa di più, molto di più. E’ una
misteriosa divinità dei boschi, una perfetta icona di quelle statue di
terracotta rinvenute in diversi luoghi della Mesopotania e dell’antica
Grecia: una Dea madre preistorica simbolo della fertilità e una maschera
di vita scesa in mezzo a noi in questa giornata, con la funzione sacrale
di aiutare noi poveri mortali a vincere i problemi materiali della vita
quotidiana. Una forza della natura per dare nuovo impulso alle speranze
degli uomini e noi siamo i primi beneficiari della mattinata. Tutti i
maschi presenti non hanno dubbi: è lei la personificazione della Pasquella.Come
dimenticare quell’immagine sorridente che ci viene incontro in pigiama e
ciabatte rosa? E quei capelli avvolti in una eterea cuffia che lascia
appena trapelare il recente quanto delicato trattamento di tintura color
rosso mogano? E quelle enormi poppe, rese ancor più evidenti dalla sua
bassa statura, sballottanti sotto il pigiama mentre corre avanti e
indietro per offrirci il panettone? Cos’altro si sarebbe potuto mai
aggiungere ad un sogno lì materializzato davanti ai nostri occhi? Neppure
il più fantasioso pittore avrebbe potuto rendere un’idea più esaltante di
femminilità. “ Mi chiamo [...], e quello lì è il mio ex marito. Viviamo
separati, in due case separate. Io qui, lui di là. Ma continuiamo a
volerci tanto bene. Io preparo da mangiare per lui e per le sue donne di
volta in volta sue ospiti”, ci dice la [...] alla nostra terza dedica di
Pasquella. Il suo ex “lui” si chiama [...], ed è un uomo barbuto con il
baffo da conquistador che non lascia indifferente le nostre donne. E’
anche lui molto gentile. Ha solo la mano un po’ tremante mentre offre da
bere a tutti con la bottiglia in mano. Forse è alcolizzato. La [...] in un
quarto d’ora riesce a raccontare tutta la sua vita alle donne che entrano
ed escono dalla sua casa: è molto felice con il suo nuovo ragazzo con cui
va a ballare in discoteca tutte le settimane, e poi chissà quante altre
cose farà. Nino vuole ballare con lei, ma Giuseppe è geloso, e, con la
scusa del gioco della scopa, poco dopo gliela porta via. La [...] dispensa
sorrisi ed allegria fino alla fine. Sono già le 12,30: dobbiamo tornare
nuovamente a Onferno, al Ristorante “Sbrulen Bio” , per il pranzo. Cucina
sana tutta a base di prodotti Bio. Sono più che sufficienti due primi,
considerando i secondi di carne e i contorni. Ma qualcuno, sicuramente per
sbaglio, ordina tre primi per tutti: cappelletti, ravioli con salvia,
tagliatelle con fagioli, lenticchie, funghi, ecc., ecc. E poi il piccione,
il coniglio, le salsicce, ecc.ecc. Alla fine non rimane proprio niente, se
non quattro striminziti avanzi che più avanzi di così si muore, per il
gatto della Lucia.
Il pomeriggio è dedicato a Gemmano: una
Pasquella tutta “di piazza”, istituzionale con tanto di Sindaco e
Assessori al seguito, e calorosa al tempo stesso, dove allo stupore dei
bambini si aggiunge in breve il coinvolgimento nei canti e nelle danze di
gran parte della popolazione, prima nella piazza e poi lungo la via
principale. Si attraversa così tutto il paese fino all’estrema periferia,
alle porte del cimitero.
Rimane tuttavia ancora molto
tempo che va opportunamente utilizzato Qualcuno lancia l’idea di andare a
Taverna, una località abbastanza vicina, precedentemente non prevista.
Tutti alle macchine, ma alcuni pasqualotti evidentemente abituati a viaggi
che al massimo vanno dalla casa al lavoro alla chiesa, sbagliano percorso
e così, per andare a Taverna, ripassano per Onferno percorrendo così
almeno 8 chilometri in più. Ma ciò non vale per Mirco, che rivela di
possedere un perfetto spirito da viaggiatore, con la mappa del mondo
stampata nella sua mente. Alla fine, tuttavia, ci si riunisce. E’ già
buio. Taverna ci attende, paese sonnolento avvolto nella nebbia.
“E’ arrivata la Pasquella,
tutti gli anni sempre quella,…. “ lancia il messaggio Domenico. Poi
seguono altre dediche. In men che non si dica, una finestra dopo l’altra
si apre, e uno degli angoli del paese dove casualmente ci fermiamo in
breve tempo si anima con un richiamo festoso da finestra a finestra. Donne
anziane, soprattutto, stupite e sinceramente felici di questa nostra
incursione, che generosamente ci lanciano sorrisi, battute ( “ Ma da dove
venite?”) , bottiglie di vino, panettoni e monetine per noi poveri
disgraziati. Ma è poi proprio una donna anziana che dall’alto di una
finestra chiama per nome, a gran voce, una giovane signora che, nel
frattempo, era apparsa lungo la salita, accorsa anche lei al richiamo dei
nostri canti e schiamazzi. La giovane pulzella è molto gentile ed
accogliente e ci apre le porte della sua villa. Il marito non è meno
gentile. La signora passa da un orgasmo all’altro ad ogni serenata che
Mirco e Pierluigi le dedicano, ma il massimo viene raggiunto proprio poco
prima di congedarci quando lei riconosce in quel vecchio signore con
cappello e capparella ( si chiama Nino) l’antico direttore didattico che
evidentemente ha lasciato da quelle parti qualche traccia di buone cose
fatte ( e non aggiungiamo altro).
La stessa scena calorosa, con
l’offerta di vino si ripete poi in altri angoli del paese, anche se con
qualche difficoltà in più a stanare la gente ben rinchiusa nella propria
casa. ( A proposito, il vino offerto da quell’anziano signore dell’ultima
casa visitata sapeva molto di benzina).
Alcuni poi tornano a casa. Pierluigi,
Lorella, Aldo Grazia, Ermanna, Gualtiero, Angela Roberto, Giorgia e Nino
rimangono. Si torna allo “Sbrulen Bio” con l’intento molto chiaro di fare
una cena molto frugale data l’abbuffata del pranzo. Così non è perché la
gentilissima signora del Ristorante, una portata dopo l’altra, ci riempie
comunque la tavola di cibo, al quale nessuno osa rispondere di no, e
neppure Aldo.
Poi tutti nell’ostello di
Onferno per trascorrere la nottata. Per riposare, si pensa. Ma non si può
sprecare un’occasione come questa, in un luogo così suggestivo, in questa
notte stellata, la luna alta nel cielo che illumina tutta la vallata e i
bordi delle colline circostanti, solo per dormire. Perché non fare una
passeggiata lungo la salita di fronte al paese? Ci vanno tutti, escluso
Nino che, nel frattempo, si era infilato nel bagno, intenzionato a
raggiungerli poco dopo. Ma i nostri escursionisti ritornano prima del
previsto perché – loro dicono – hanno rischiato di essere investiti da
un’auto: il conducente non si aspettava di vedere tanta gente di notte, in
quel luogo, in quella curva. Secondo Nino è una bugia: sono tornati quasi
subito a casa perché hanno avuto paura del lupo cattivo.
Ma i brutti pensieri sono
subito dimenticati, gratificati come sono dalla vista di Nino in pigiama.
Ed è partendo da questo non trascurabile particolare che Gualtiero propone
di restare ancora un po’ alzati a “raccontarci” nei nostri pregi e
difetti. E’, comunque la si pensi, un bel momento comunitario dove, tra
l’altro, si parla anche di religione Sui “difetti” si arriva alla saggia
conclusione secondo cui, sicuramente tutti ne abbiamo, ma tutto può essere
reso “nobile” con un gesto tanto semplice quanto difficile per alcuni da
compiersi: il chiedere “scusa” a chi si è involontariamente offeso, non
avendo colto di una determinata persona la sua specifica sensibilità.
E’ quasi mezzanotte quando
si decide di andare a nanna. C’è il problema dei dispari come Nino ed
Ermanna: chi dorme con chi, a seconda di chi russa o meno. Nino assicura
di avere il respiro di un angelo e di saper dare all’occorrenza stimoli
nuovi per una notte indimenticabile. E’ per quello che tutti fanno a gara
per averlo nella propria stanza. Ma per meriti acquisiti sul campo vincono
su tutti Pierluigi e Lorella: saranno loro ad avere l’onore di averlo come
vicino di letto.
Trascorre la notte con
qualche rumore davvero inopportuno. Essendo noi persone molto discrete e
ben educate, abbiamo ritenuto bello non indagare troppo sul tipo di rumore
né su chi sia stato l’involontario autore.
Ci aspetta l’alba del 7
gennaio con la dedica, dopo la colazione,di alcuni canti di Pasquella e di
serenate all’anziana signora, madre della gestrice del Ristorante.
E’ il primo incontro della
giornata con gli anziani, quelli davvero vecchi, tanto da non uscire ormai
più dalla propria stanza, e che tutt’al più si affacciano alla finestra
come ha fatto la nostra vecchia, che ringrazia commossa. Lei almeno ha
potuto affacciarsi alla “sua” finestra, della “sua” casa”.
Neppure più questo è concesso
alla nostra cara Maria Benedetti, la memoria storica di molta parte del
repertorio dell’Uva Grisa e lei stessa protagonista di momenti
indimenticabili del gruppo fino a pochi anni fa.
“Us sta propri mel a què”, ci
dice appena la vediamo seduta su una sedia, magra di una maqrezza tale da
farci pensare che a fatica riesca a reggersi in piedi. Ha una mantellina
rosa sulle spalle e sotto si intravede un abito scuro tutto ornato di
lustrini colorati di rosso e di giallo.Si è messa l’abito della festa per
riceverci. Appena ci vede, si alza in piedi aiutandosi con un bastone. E’
finita all’ospizio la povera Maria, e noi al pomeriggio andiamo a trovarla
in quel luogo che, per quanto ubicato in riva la mare e forse anche
assistita da personale specializzato, rimane comunque ai nostri occhi un
luogo “infame”, di emarginazione indegno di un essere umano al termine
della propria esistenza, e meno che mai per la Maria con le sue sofferenze
e la sua storia spesso drammatica che porta sulle spalle dei suoi 92 anni.
Abbracciamo tutti la Maria, e poco dopo
la Lucia le offre un bellissimo mazzo di fiori che poi deposita sopra un
tavolo.
Avevamo organizzato quest’incontro da
qualche giorno, era stata la Lucia ad interessarsene coinvolgendo in ciò
la figlia della Maria, lì presente anche in questo pomeriggio. “Sono qui
tutti i giorni, e lei non è mai contenta “, dice a noi questa sua figlia.
Nessuno le risponde, anche perché
molto impegnati a ricacciare indietro le lacrime che incominciano a
brillare sui nostri occhi.
Ci guardiamo intorno. Sono
50, forse 100 vecchi tutti quanti in carrozzella, chi con gli occhi persi
nel vuoto, chi con la testa penzoloni da una parte, chi con la lingua di
fuori, chi batte le mani continuamente guardando il soffitto, come intento
ad applaudire un misterioso quanto invisibile artista: un musico
proveniente da un altro mondo? Un fauno? Una visione celestiale?
Ma c’è anche una donna
meno anziana fra loro che, appoggiandosi ad un carrello per disabili,
alterna il battito delle mani con il ballo. Balla continuamente da sola,
valzer soprattutto. “Mi chiamo Anna” , risponde quando le chiediamo il suo
nome. Poi continua a ballare da sola.
Una parte di loro è molto
incuriosita dalla nostra presenza e in qualche modo è coinvolta dai nostri
canti e dai nostri accenni di ballo. Ma una vecchia non vuole proprio
saperne di canti. Lei è attratta dal mazzo di fiori della Maria, e
continua ad avvicinarli a sé con l’intento di impossessarsene, così che
quando Nino delicatamente cerca di allontanarglieli, lei protesta: “Mio!”.
“ In questa casa c’è una
sposa, bianca e rossa come una rosa, ….” , incominciamo a cantare. La
Maria ha un guizzo di vitalità e prova anche lei a cantare, e poi
addirittura a ballare coinvolta da Gualtiero. Canta da sola “Caterinella”
e noi la ascoltiamo.
Ha un filo di voce appena
percepibile, sbaglia le parole delle strofe, ma riesce, comunque, a dare a
questa Pasquella il senso più vero e autentico che andavamo cercando dal
giorno precedente. Mi dispiace per la [...], ma è la Maria ad incarnare la
Pasquella con il suo senso del sacro, la memoria che diventa verità viva
del presente pur provenendo dal più lontano passato, i valori di cui è
portatrice e che nessuna ricchezza materiale di questo nostro attuale
mondo potrà mai eguagliare.
Nino