Il pecoraio a corte



Un ragazzo guardava il gregge. Un agnello gli cascò in un botro e mori. Tornò a casa e i genitori che non gli volevano bene lo sgridarono e picchiarono; poi lo cacciarono di casa nella notte buia. Il ragazzo girò piangendo per la montagna, poi trovò un sasso cavo, ci buttò delle foglie secche e s'accoccolò alla peggio, rattrappito dal freddo. Ma a dormire non riusciva.
Nel buio, a quel sasso venne un uomo, e gli disse: - Tu hai preso il mio letto, temerario. Cosa fai qui a quest'ora?
Il ragazzo pieno di paura gli raccontò com'era stato cacciato da casa e lo supplicò di tenerlo li per quella notte.
L'uomo disse: - Hai portato delle foglie secche, bravo! A me non m'era venuto mai in mente. Resta qui -. E si coricò al suo fianco.
Il ragazzotto si fece piccino piccino per non dargli noia e stette fermo senza muovere un dito fingendo di dormire, ma non chiudeva occhio per sorvegliare quell'uomo. L'uomo neanche lui dormiva, e borbottava tra sé, credendo che l'altro dormisse: - Cosa posso regalare a questo ragazzotto che m'ha riempito di foglie il sasso e che se ne sta cosí da parte per non darmi incomodo? Gli posso dare un tovagliolo di filo, che ogni volta che lo si spiega ci si trova un pranzo apparecchiato per quanti si è; gli posso dare una scatolina che ogni volta che s'apre c'è una moneta d'oro; gli posso dare un organino che ogni volta che lo si suona si mettono a ballate tutti quelli che lo sentono.
Il ragazzotto a questo borbottio s'addormentò pian piano. Si .Svegliò all'alba e credeva d'aver sognato. Ma vicino a lui, sul giaciglio, c'era il tovagliolo, la scatolina e l'organetto. L'uomo non c'era piú. E lui non l'aveva neanche visto in viso.
Cammina cammina arrivò in una città piena di popolo, dove si preparava una gran giostra. Il Re di quella città aveva messo in palio la mano di sua figlia, con tutto il tesoro dello Stato. Il ragazzotto si disse: " Ora posso far la prova della scatolina. Se mi dà i quattrini, mi metto anch'io in fila per la giostra ". Cominciò ad aprirla e a chiuderla e ogni volta che l'apriva c'era dentro una moneta d'oro lustra lustra. Comprò cavalli, armature, abiti da principe, prese scudieri e servitori, e si fece credere il figlio del Re di Portogallo. Alla giostra vinse sempre e il Re fu tenuto a dichiararlo sposo di sua figlia.
Ma a Corte, quel ragazzotto allevato tra le pecore non faceva che parti da maleducato: mangiava con le mani, si puliva nelle tende, dava manate sulle spalle alle Marchese. E il Re s'insospettí. Mandò ambasciatori in Portogallo e seppe che il figlio del Re non s'era mai mosso dal palazzo essendo idropico. Allora comandò che il ragazzotto mentitore fosse imprigionato sull'istante.
La prigione della Reggia era proprio sotto la sala dei conviti. Appena il ragazzotto entrò, i diciannove carcerati che erano là dentro lo accolsero con un coro di beffe, perché sapevano che aveva preteso di diventare genero del Re. Ma lui li lasciava dire. A mezzogiorno il carceriere portò la solita pentola di fagioli ai carcerati. Il ragazzotto si butta di corsa sulla pentola, le dà un calcio e versa tutto in terra.
- Sei matto! E che cosa mangiamo ora? Questa ce la paghi!
Ma lui: - Zitti: state a vedere, - si toglie di tasca il tovagliolo dice: - Per venti, - e lo spiega. Apparve un pranzo per venti, con le minestre, le pietanze e il buon vino. E tutti cominciarono a far festa al ragazzotto.
Il carceriere tutti i giorni trovava la pentola di fagioli rovesciata in terra e i carcerati piú sazi e vispi che mai. E andò a dirlo al Re. Il Re, incuriosito, scende in prigione e domanda come va questa storia. Il ragazzotto fa un passo avanti: - Sappia, Maestà, che sono io che do da mangiare e bere ai miei compagni, meglio che alla tavola reale. Anzi, se accetta, la invito io stesso e son sicuro che resterà contento.
- Accetto, - disse il Re.
Il ragazzotto spiegò il tovagliolo e disse: - Per ventuno, e da Re -. Venne fuori un pranzo che non si era mai visto, e il Re tutto contento si sedette a mangiare in mezzo ai carcerati.
Finito il pranzo, il Re disse: - Me lo vendi, questo tovagliolo? - Perché no, Maestà? - rispose lui. - Ma a patto che mi lasci dormire una notte con sua figlia, mia legittima fidanzata.
-Perché no, carcerato? - disse il Re. - Ma a patto che tu stia fermo e zitto sulla sponda del letto con le finestre aperte, un lume acceso, e con otto guardie in camera. Se ti garba, bene, se no niente.
- Perché no, Maestà? Affare fatto.
Cosí il Re ebbe il tovagliolo e il ragazzotto dormí una notte con la Principessa, ma senza poter parlare né toccarla. E la mattina fu riportato giú in prigione.
Quando lo videro tornare, i carcerati cominciarono a canzonarlo a gran voce: - 0 babbaleo! Guarda li il mammalucco! Ora torniamo a mangiare fagioli tutti i giorni! Bel contratto hai saputo fare col Re!
E il ragazzotto, senza scomporsi: - E non possiamo comperarci da mangiare coi quattrini?
- E chi ce li ha?
-State bravi, - fece lui, e cominciò a tirare fuori monete d'oro dalla borsa. Cosí facevano comprare dei gran pranzi all'osteria li vicina e la pentola di fagioli la versavano sempre in terra.
Il carceriere andò di nuovo dal Re, e il Re scese. Seppe della scatolina e: - Vuoi vendermela?
-Perché no, Maestà? - e fece lo stesso patto di prima. Cosí gli diede la scatolina, dormi un'altra volta con la Principessa, senza poter toccarla né parlarle.
Icarcerati, quando lo rividero, ripresero le beffe: - Be', adesso siamo di nuovo a fagioli, stiamo allegri!
-Certo, l'allegria non deve mancare. Se non mangiamo, balleremo.
- Cosa vuoi dire?
E il ragazzotto tirò fuori l'organino e prese a suonare. I carcerati cominciarono a ballare attorno a lui, con le loro catenacce ai piedi che facevano rumore di ferraglie. Minuetti, gavotte, valzer, non si fermavano píú; accorse il carceriere e si mise a ballare anche lui, con tutte le chiavi che tintinnavano.
In quel mentre il Re coi suoi invitati s'erano appena seduti a banchetto. Sentirono la musica dell'organino venir su dalla prigione, saltarono tutti in piedi e cominciarono a ballare. Parevan tanti spiritati, non si capiva piú niente, le dame ballavano coi camerieri e i cavalieri con le cuoche. Ballavano anche i mobili; le stoviglie e i cristalli andavano in frantumi; i polli arrosto volavan via; e chi dava testate nei muri, chi nei soffìtti. Il Re sempre ballando, urlava ordini di non ballare. A un tratto il ragazzotto smise di suonare e tutti cascarono a terra di colpo, col capogiro e le gambe molli.
Il Re trafelato, scese alla prigione. - Chi è questo spiritoso? cominciò a dire.
-Sono io, Maestà, - si fece avanti il ragazzotto. - Vuol vedere? - Diede una nota con l'organino e il Re già alzava una gamba in un passo di danza.
Smetti, smetti!, - disse, spaventato. E poi: - Me lo vendi?
Perché no, Maestà? - rispose lui. - Ma a che patti?
Quelli di prima.
-Eh Maestà, qui bisogna fare nuovi patti, o io ricomincio a suonare.
- No, no, dimmi i tuoi patti.
-A me basta che stanotte possa parlare alla Principessa e che lei mi risponda.
Il Re ci pensò su e fini per acconsentire. - Ma io ci metto doppie guardie e due lampadari accesi.
- Come vuole.
Allora il Re chiamò la figlia in segreto e le disse: - Bada bene, io ti comando che stanotte a tutte le domande di quel malandrino tu risponda sempre di no e nient'altro che no -. E la Principessa promise.
Venne sera, il ragazzotto andò nella stanza tutta illuminata e piena di guardie, si sdraiò sulla sponda del letto, ben discosto dalla Principessa. Poi disse: - Sposa mia, vi pare che con questo fresco dobbiamo tener aperte le finestre?
E la Principessa: - No.
-Guardie, avete sentito? - gridò il ragazzotto. - Per ordine espresso della Principessa, che le finestre siano chiuse -. E le guardie ubbidirono.
Passa un quarto d'ora e il ragazzotto dice: - Sposa mia, vi pare proprio bene che stiamo a letto con tutte queste guardie intorno?
E la Principessa: - No.
Il ragazzotto grida: - Guardie! Avete sentito? Per ordine espresso della Principessa, andate via e non fatevi piú vedere -. E le guardie se ne andarono a dormire, che non pareva loro vero.
Dopo un altro quarto d'ora: - Sposa mia, vi pare bene stare a letto con due lampadari accesi?
E la Principessa: - No.
Cosí lui spense i lampadari e fece buio fitto.
Tornò a rincantucciarsi lí sull'orlo, poi disse: - Cara, siarno sposi legittimi, e ciononostante stiamo lontano come avessimo in mezzo una siepe di pruni. Ti garba questo fatto?
E la Principessa: -No.
Allora lui la strinse tra le sue braccia e la baciò.
Quando venne giorno e il Re comparve nella camera della figlia, lei gli disse: - Io ho obbedito ai suoi ordini. Quel che è stato è stato. Questo giovane è mio legittimo marito. Ci perdoni.
Il Re, preso alle strette, ordinò grandi feste di nozze, balli e giostre. Il ragazzotto divenne genero del Re e poi Re lui stesso, e da pastore che era ebbe la sorte d'acculattarsi un trono reale per tutta la sua vita.

(Montale Pistoiese).

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