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KBLF REVIEW ARCHIVIO:  

recensioni a cura di Michele Lotta

 
 


Albie Donnelly's Supercharge: Live & Loaded (2CD)

Sassofonista e cantante di Liverpool classe 1947, Albie Donnelly è uno di quegli artisti che, pur prestando i suoi servigi ad autentiche leggende della musica (Chuck Berry, B.B. King, Fats Domino, Ray Charles), non ha avuto il successo internazionale che avrebbe meritato, o meglio, non nella misura più adeguata alla sua classe. Nel 1974 fonda i Supercharge con i quali raccoglie l'interesse del pubblico che gli tributa un disco d'oro in Australia per l'album "Local Lads Make Good". Sino ad oggi i Supercharge hanno collezionato ben 15 album tra cui un live registrato da Maxine a Parigi in occasione del matrimonio di Tina Onassis. Il "territorio d'azione" di Albie si estende dal jazz al r'n'b grazie ad una formazione a nove dove i fiati la fanno da padroni. Live and Loaded è una raccolta di motivi legati a figure di primo piano nella storia della musica nera. Un doppio CD nel quale trovano spazio covers di Johnny Guitar Watson. Albert King, T-Bone Walker, Mel Torme, Buddy Johnson, Eddie Winson, Muddy Waters e Big Joe Turner tra gli altri. Non mancano le composizioni di Albie che si integrano alla perfezione con i più celebri standard. "Don't Worry 'Bout A Thing" è un blues shuffle con armonica in stile Chicago; il ritmo del boogie si insinua in "Won't Be Your Fool Anymore", il brano è arricchito da un solo di Mr. Donnelly al tenore che ci da un saggio della sua classe. In Live and Loaded c'è swing a volontà, condensato in circa 53 minuti tutti da gustare. I Supercharge sono stati anche in Italia partecipando a diversi festival.

Baton Rouge Delta Blues Band: Hobo Ramblin'
 
Primo lavoro dei Baton Rouge da Busto Arsizio, un combo formato da tre musicisti già da diversi anni impegnati on the road in Italia ed all'estero quali apostoli del Delta Blues, la forma più arcaica della musica nero americana che continua a generare interesse tra gli appassionati nostrani con immutato (se non crescente) livello di gradimento.
Mario Bartilucci, Stefano Giacon e Marco Riganti, in "Hobo Ramblin'" propongono una miscela ben amalgamata fatta di motivi, in buona parte appartenenti al Blues prebellico, uniti ad originali perfettamente coerenti con la filosofia degli hoboes. Dodici brani che attestano quanto i Baton Rouge siano bravi e competenti sia come musicisti che nell'energia con cui alimentano le esecuzioni: l'intero disco (registrato in presa diretta) trasuda passione da ogni solco.
"Drop Down Mama" è il brano d'apertura, una vecchia composizione di Sleepy John Estes con, in bella evidenza, l'armonica di Stefano Giacon ed il mandolino di Davide Speranza, guest presente quale polistrumentista in diversi momenti del CD. "Leaon On You" è una ballad firmata M. Bartilucci mentre la successiva "Born in Biscayne" è una cover appartenente al semisconosciuto artista del Wyoming Spencer Bohren, una piacevole scoperta per chi scrive. Ancora originali le tracce che seguono: "You Gonna Miss Me", un motivo alla Terry-McGhee che contiene all'interno un veloce omaggio ai Rolling Stones, e la ballad "Guidin' Hand" con la bella voce di Elena Zoia in background. Una vigorosa versione di "Crossroad" fa da premessa alla title track, autentico manifesto dello spirito guida dei Baton Rouge. "Hobo Ramblin'" offre le visioni - tutte americane - dei grandi spazi, trasferendoli nell'immaginario dell'ascoltatore grazie al sapiente impasto tra il suono metallico dello slide che scivola sul dobro ed il narrante finger picking della chitarra. Anche qui, ottima l'armonica di Stefano Giacon. "Mistery Train" è uno di quei "tormentoni" con i quali, prima o poi, tutti abbiamo dovuto fare i conti... Gagliarda la versione che "i nostri" ci propongono. Il traditional "Bronswille Blues" anticipa una personale rilettura di "Done Somebody Wrong" di Elmore James, arricchita dalle percussioni di Davide Speranza. "Wheep And Moan Blues" di M. Bartilucci (autore di tutte le composizioni della band) è uno dei momenti migliori dell'intero lavoro: il brano è di quelli che ti... ritornano in mente. Gran finale quindi con un bell'arrangiamento della famosa "Aberdeen Mississippi Blues" di Bukka White.
"Hobe Ramblin'" è un disco che si scopre sempre più accattivante, ascolto dopo ascolto, e conferma l'amore incondizionato dei Baton Rouge per il grande Blues delle origini.
Meritevoli di segnalazione le suggestive illustrazioni di copertina curate dal pittore Giorgio Aquilecchia, sovente protagonista, assieme alla band, di esibizioni di action painting.

Gai Bennici Band: In Concert (DVD)
 
Agrigento è l'estremo lembo d'Italia, quello che della costa siciliana guarda all'Africa attraverso il Mare Nostrum. Fu uno dei luoghi più illustri della Magna Grecia ed i suoi fasti rimangono, sopravvissuti ai millenni, nella meravigliosa Valle dei templi. In quest'angolo di mondo colmo di storia è nato e si è sviluppato il talento di Gai Bennici, uno dei più abili chitarristi italiani.
Il musicista muove i primi passi sul finire degli anni ottanta con la passione per il Blues nel sangue e la caparbia volontà di conoscere i segreti dei suoi miti, da Hendrix a SR Vaughan. Il suo stile, nel tempo, matura sempre più ed il palcoscenico diventa l'habitat naturale nel quale può dare sfogo all'istinto più recondito. Luoghi comuni a parte, Gai è una persona adorabile nella vita di tutti i giorni - tutto casa e chitarra - ma conserva la "rabbia" per i momenti in cui chiude gli occhi e fa viaggiare le dita, come in una sorta di trance, sulla tastiera dell'inseparabile Telecaster rossa.
Dopo due esperienze discografiche: "Room 209" ('98) e "Feel You So" ('01), viene notato dall'etichetta Crotalo che inserisce un suo brano, "Texas Dust", nella compilation "Sounds Good". Avendo partecipato a tutti i festival siciliani, è entrato in contatto con grandi interpreti della black music che hanno contribuito, non poco, alla sua crescita professionale.
Per colmare un gap costituito dalla difficoltà nel proporre i suoi show in ambito extraisolano (per motivi del tutto personali), Gai Bennici ha realizzato il DVD "In Concert". Il filmato riprende un concerto tenuto nel 2005 a S. Filippo del Mela (ridente località in provincia di Messina) e restituisce intatto, grazie alla sapiente regia di Antonio Saporita, il feeling che pervade le sue performances. 10 brani suonati tutti d'un fiato con il sostegno degli ottimi quanto inseparabili Blue Roosters: Alberto Parla al basso e Angelo Spataro alla batteria. I classici "Messin' With The Kid", "Peter Gunn", "Mean Old Frisco" e "Hoochie Koochie Man", vengono abilmente miscelati a composizioni originali di ottimo livello sulle quali svetta la sognante "Sweet Love".
Il DVD è distribuito dallo stesso Bennici attraverso il sito www.gaibenniciband.com.

BlueSpecial: Liuzzi, Palmisano, Speciale
Corrieri Cosmici

Arriva dall'Africa Il vento che soffia da Sud: è lo stesso Scirocco del deserto che ha alimentato la vita dei padri dei padri del Blues. Se c'è un posto più "vicino" al Delta, questo è il Mediterraneo con il suo intenso profumo di sale ed i riverberi accecanti del sole. Da una delle propaggini che guardano più da vicino al Continente Nero, la bellissima Puglia, arriva il Blues del trio Liuzzi, Palmisano, Speciale. I tre musicisti costituiscono il nucleo storico della Complanare Blues Band, formazione abbondantemente nota nel panorama bluesistico meridionale e già protagonista del CD "Fatto Di Blues".
L'animatore è da identificarsi nella persona dell'armonicista e cantante Martino Palmisano, personaggio molto conosciuto in tutt'Italia per il suo sincero ed ostinato spirito mecenatistico: un autentico punto di riferimento per l'intero movimento Blues pugliese. Notevoli le sue doti di "imbonitore di folle". La voce calda e profonda, l'armonica tagliente ed una forte personalità, ne fanno un frontman di razza. Ricordo ancora la sua esibizione al festival di Caserta (nel 2004) quando improvvisò un monologo su Robert Johnson, esilarante e profondo al tempo stesso, riuscendo a coinvolgere il pubblico con il carisma di un predicatore battista. Cristina Liuzzi e Franco Speciale sono una famiglia di bluesmen: vocalist lei, chitarrista lui. Cristina è dotata di una voce molto personale, dalle tinte scure, che non ammicca all'emulazione delle rabbiose voci nere (con il rischio di ottenere risultati spesso infelici, come accade a molte sue colleghe) riuscendo così ad esprimere una dimensione propria. Franco è un ottimo chitarrista ed il suo fraseggio, proprio di scuola jazzistica, è testimone dei lunghi trascorsi in quel campo.
BlueSpecial è una parentesi che i nostri aprono sui temi più cari: una miscela di suoni acustici ed elettrici. Si inizia con due omaggi ai progenitori della musica del Diavolo: "Come On My Kitchen" di R. Johnson, eseguita con ossequiosa fedeltà, e la rurale "Pick A Bale O' Cotton" di Leadbelly. La penna di Palmisano apre la lunga serie di originals presenti nel CD con un Blues in "volgare" (di scuola Blue Stuff) dal titolo "Disoccupation Blues" che si lega coerentemente alle altre sue composizioni: "Ciò Lo Stress" e "Black Bloc Blues". " 'Notte" è invece una delicata ninna nanna per armonica. Il duo Liuzzi-Speciale è protagonista di alcuni titoli di ottimo spessore: "Special Thanks" è cantata "a cappella" da Cristina; "After Sex" è un blues molto raffinato; in "Don't Blame It On The Blues" Martino "acchiappa" il Green Bullet e, qua e la, fa capolino un delizioso Hammond. "Bye Django" è uno strumentale scritto da Franco Speciale che mette in risalto le sue capacità di swinger. Completano il lavoro "Woke Up This Morning" di B.B. King ed una personale rilettura di "Summertime" di Gershwin.
In definitiva, BlueSpecial è un disco maturo e, soprattutto, consapevole del "rispetto" che il Blues richiede. Ascoltare per credere!

Carpe Diem: Naked Moods
Healing Machine

Si apre all'insegna della 'coerenza intellettuale' il CD Naked Moods dei Carpe Diem, formazione italiana che vive ed opera a Caserta, in quel Sud da sempre culla di chiari talenti. La risata prolungata, ancorché succulenta, che 'accoglie' l'ascoltatore sulle soglie del CD è infatti uno dei simboli del carpe diem di latina saggezza, ovvero del vivere senza affannarsi in estenuanti (piuttosto che improbabili) rincorse, senza troppi problemi da dover affrontare e con la sacra voglia di gustarsi la quotidianità acquisendone il meglio. Una filosofia di vita propria del Blues che i Carpe Diem sposano per confezionare un dono da offrire al diavolo in persona. Naked Moods è - senza ricorrere a superflui preamboli - un ottimo CD che si fa apprezzare per il buon sapore 'casereccio' (che al giorno d'oggi va purtroppo scomparendo...) e per una dialettica forbita che manifesta una chiara conoscenza del genere (fatto questo che, paradossalmente, non è sempre ritenuto indispensabile da troppi 'musicisti' nostrani e non...). Le registrazioni sono state effettuate in proprio e con l'ausilio di mezzi non proprio da 'Columbia Records' ma costituiscono uno dei punti di forza della loro musica. Il Blues difatti (passatemi la presunzione) non necessita di effetti speciali ma di tanta, tanta, competenza e gusto. Swing, shuffle, boogie, si rincorrono in Naked Moods senza mai intralciarsi l'un l'altro, dando luogo ad una miscela molto ben amalgamata che definisce appieno il carattere del gruppo. Tra le dieci tracce presenti - 7 originali e 3 covers - ho scelto la divertente "I Don't Mind" come emblematico saggio di un lavoro che riesce nell'evidente intento di restituire al Blues gli attributi originali di musica senza  tempo né confini.

Dago Red: Folk'n Blues Memories And Others Tales
 
Se avete voglia di acustico o siete, più in generale, amanti delle cose 'sincere', questo disco fa per voi. I Dago Red professano la religione degli hoboes, dei cantastorie bianchi e neri dal vissuto fosco e crepuscolare.
C'è competenza e gusto a volontà tra le tracce di Folk'n Blues Memories And Other Tales, un CD registrato in presa diretta con l'ausilio di soli tre microfoni equamente distribuiti all'interno di un combo di plettri, pronto ad evocare - ridando loro vita - gli spiriti di personaggi leggendari come Robert Johnson, Blind Lemon Jefferson, Woodie Guthrie. Chitarre, dobro, banjo, contrabbasso ed armonica, diligentemente annaffiati con del sano 'rosso' (come il riferimento bacchiano nel nome del gruppo lascia trapelare), vengono amalgamati con sapienza lasciando alla voce lo spazio della narrazione, come nella più autentica tradizione folk. Non c'è sfoggio di solismi ed il sound risulta magicamente limpido nella sua sintesi. I Dago Red si esibiscono anche nei contesti riservati ai buskers, confermando quindi una naturale propensione verso il teatro stabile della vita quotidiana: la strada. La band nasce nei dintorni di Chieti nel '98 iscrivendo, in un arco di tempo abbastanza breve, il proprio nome ad un buon numero di manifestazioni di vario genere. Dopo averli ascoltati risulta però facile intuire che l'esperienza e la cultura storica dei singoli musicisti è ben antecedente alla data di costituzione della band. In Folk'n Blues Memories And Other Tales hanno riallacciato il filo che unisce il reverendo Gary Davis a J.J. Cale mostrando, attraverso un percorso sociologico-musicale lungo diversi decenni, origini ed intenti comuni a diverse generazioni di menestrelli. Sono dieci i brani proposti. Si passa dall'iniziale "What's For", composizione originale di Giuseppe Mascitelli, a "32-20 Blues" e "Love In Vain" di Robert Johnson; "I Ain't Got No Home" di Woody Guthrie; "Call Me The Breeze" di J.J. Cale. Vorrei segnalare ancora una versione molto vibrante del traditional "Railroad Worksong" ed il coinvolgente blues "Snapshot", firmato da Marco Pellegrini, che chiude il CD. Folk'n Blues Memories And Other Tales supera a pieni voti il duro "test di genuinità" guadagnandosi una posizione di rilievo nella produzione acustica italiana dell'ultimo periodo. Menzione a parte per le belle illustrazioni "ferroviarie" del fumettista Beppe Barbati che, avvalendosi dei simboli propri della cultura 'on the road', riesce ad entrare nel lavoro catturandone l'essenza.

Four Fried Fish & Flyin' Horns: Catfish For Breakfast

Flamiano Mazzaron e Fabio Ranghiero, animatori della band veneta Four Fried Fish, hanno atteso circa un quarto di secolo prima di approdare alla fatidica decisione di depositare la propria musica per i posteri riproducendola sul recente CD "Catfish For Breakfast". Un lavoro ben ragionato che non ha certo le caratteristiche del disco voluto sulla scia dell'entusiasmo, molto in voga tra le band di primo pelo per la semplicità di realizzazione, ma che, il più delle volte, è destinato a divenire un oggetto nel quale non ci si riconoscerà in futuro.
Maturi e consapevoli, i Four Fried Fish ci propongono una serie di loro composizioni che musicalmente si collocano su quella labile linea di confine che passa tra il Jazz ed il Funky/Blues, popolata da una nutrita schiera di illustri maestri sia neri che bianchi.
Supportati dai Flyin' Horns, i "quattro pesci fritti" non lesinano di certo arrangiamenti abbastanza elaborati che nulla tolgono però all'immediata e gradevole fruizione del sound nella sua totalità.
"Catifish For Breakfast" è composto da dieci tracce tra le quali si scorgono soltanto due cover: un omaggio a Muddy Waters, grazie alla personale rilettura della classica "Rolling Stones", e "Three Cool Cats" a firma del mitico duo del rock'n'roll Leiber-Stoller. Il resto è frutto dell'ispirazione dei succitati Flamiano Mazzaron (chitarra e voce) e Fabio Ranghiero (tastiere).
"So Long", brano d'apertura, è un blues dalla ritmica dolcemente funky al quale piano e fiati conferiscono uno squisito jazz feel. Il pezzo è impreziosito dall'armonica dell'ottimo Marco Pandolfi, guest presente in diversi momenti del CD. "Homeway Blues" è un gustoso swing che rievoca le big band ed i grandi crooners dei '40. Lo stile chitarristico nello strumentale "Blues For Mr. G", assieme all'inusuale presenza del flauto, ci portano verso territori decisamente jazz. Si torna al Blues con "Rolling Stones" di Muddy, con l'armonica di Pandolfi che si fa ancora notare. Il funky/jazz di "Making Love" anticipa il coinvolgente slow blues "Honey And Bread". H5N1 (tristemente noto come il ceppo letale del virus dell'aviaria, ndr.) è un cool jazz strumentale nel quale il sax la fa da padrone come nella migliore tradizione. "Three Cool Cats" è, come segnalato all'inizio, un brano di Leiber e Stoller portato al successo dai Coasters nel 1958 e qui riproposto dalla bella voce di Tiziana Guerra. Il blues tradizionale di "Monkey Blues" (la chitarra pare rendere un particolare omaggio a B.B. King) prelude alla finale "Maybe A Man", una ballad tutta americana, di quelle destinate a rimanere in mente.
"Catfish For Breakfast" è, in definitiva, un bel lavoro, molto articolato, che riunisce le esperienze dei musicisti in una sorta di intrigante compilation delle passioni.

Gabriel Delta & Hurricanes: I Need Your Love 
Blue Highway
 

S
ull'universalità del Blues non v'è dubbio. Il suo idioma ed i presupposti da cui nasce e trova alimento, lo rendono assolutamente "compatibile" con tutte le culture. Non stupisca, pertanto, che nella lontana Argentina, terra di tango e peones, sia nato e cresciuto il Blues di Gabriel Delta. Certo, fa un certo effetto sentir cantare in spagnolo sul ritmo delle dodici battute, ma lo stesso avviene, tranne che in rare eccezioni, con qualunque altra lingua diversa dall'inglese. Detto ciò, bisogna anche affermare che Gabriel Delta è un fior di chitarrista che padroneggia molto bene i vari stili. Nato a Buenos Aires da famiglia di origine italiana, studia sin da bambino la chitarra con particolare attenzione per il Blues ed i suoi derivati. Diviene così uno dei maggiori interpreti argentini della musica afroamericana. Percorre in lungo ed in largo il grande paese latinoamericano  con il fratello batterista Fernando "Conejo" e la band di allora, Los Delta Blues. Ed è li che, dal 1995 al 2001, produce cinque dischi per altrettante etichette.
E' del 2001 la sua partecipazione al festival di Chicago, ovvero l'evento più ambito nella carriera di qualunque bluesman! Nel 2003 arriva in Italia e dà origine al trio Gabriel Delta & Hurricanes, con l'inseparabile fratello Fernando e con il bassista Ugo Bruschi (già con Chichen Mambo e Little Red and The Roosters). Una lunga sequela di concerti in pubs e festival fanno si che Gabriel desti l'interesse dell'etichetta piemontese Blue Highway che, ben presto, gli produce il nuovo lavoro I Need Your Love.
Le undici tracce presenti sul CD sono tutte composizioni originali firmate dallo stesso Delta. "Para Que", brano d'apertura, è un classico rock blues che ha nello spagnolo il proprio esotismo. Segue "One A Big Man", un Chicago shuffle che esalta le qualità strumentali di mr. Delta. Si passa quindi a "Mas De una Noche", uno slow alla B.B. King sostenuto dal feeling chitarristico del leader e dalla dinamica sezione ritmica. "Taxi" è un motivo che inizia alla New Orleans per trasformarsi in un trascinante swing. E' quindi il momento della title track, "I Need Your Love", un brano dal fascinoso sapore jazzy che prelude al funky drive di "I'll Always Play The Bues". Il suono del Sud di "Only With My Soul", caratterizzato dal metallico sapore di slide, costituisce -a mio parere - il momento più alto dell'intero lavoro. Nella texana "Solo" è facile intravedere l'anima di Albert Collins e di tanti suoi conterranei. Ma è ancora il jazz a far capolino tra le note di "Analia", brano arricchito dal piano di Vinicio Crivelletto. "Dos Copas" è un gradevole rock blues ed anticipa il gran finale affidato alla robusta strumentale "Hurricanes Stomp".
I Need Your Love non concorrerà probabilmente ai "W.C. Handy Awards" ma è, senza dubbio, un lavoro ben fatto e costituisce una valida testimonianza circa la bontà del Blues extrastatunitense.  

Gabriel Delta & Hurricanes: Roots 
Crotalo Edizioni Musicali 

A più o meno di un anno da "I Need Your Love", Gabriel Delta torna in studio per confezionare il nuovo CD, questa volta in Italia, per l'etichetta Crotalo. L'operazione presenta dei contenuti che vanno ben oltre il fatto musicale in se. "Roots" è dedicato agli indigeni argentini, intere popolazioni che versano nel grave (e maledettamente reale) rischio di estinzione. L'evoluzione non contempla infatti il rispetto per le piccole comunità, per le loro tradizioni, né per la vita stessa degli uomini; si infiltra stritolando tutto come un rullo compressore appiattendo ed amalgamando secondo i canoni della "globalizzazione".
Mi piace citare le parole con le quali Gabriel presenta il disco: "Roots nasce con l'idea di arrivare al concetto di 'essenza delle cose'. Esso vuole rappresentare il modo più semplice e diretto possibile di fare musica, così come l'uomo deve tornare alle sue radici spirituali e al contatto con la natura".
Il rapporto con il Blues è, questa volta, più profondo ed il legame culturale con la musica del Mississippi risulta essere del tutto coincidente, come chiaramente evidenziato nel titolo.
I suoni di "Roots" attingono al Blues tradizionale. Tutti i brani presenti sul disco (tranne due) sono standard tra i più noti. Apre un'intensa ed acustica versione di "The Red Rooster" di W. Dixon, segnata dal suono metallico del dobro, che fa il paio con la successiva "I Can't Be Satisfied" di Muddy. In "Kansas City" (Leiber-Stoller) si passa all'elettrico, anche se gustoso e "moderato", con un chiaro riferimento ad Elmore James. "Hard Times" di Ray Charles è rappresentata con raffinati tratti jazzy: notevole l'incedere della chitarra acustica che ben si lega alla voce tarata sulle "giuste frequenze". Bella la versione acustica di "Stormy Monday", finalmente personale (T-Bone ne sarebbe lieto), con la 12 corde alla Big Joe Williams.  Anche la nota "Pride and Joy" di S.R. Vaughan è  integralmente rivisitata con ottimi risultati. Da segnalare una rockeggiante "You Got Me Running" (o, se preferite, "Baby, What You Want Me To Do?") di Jimmy Reed che chiude il CD. Menzione particolare per i due originals firmati Fernando Trombetta: "Sun" è uno strumentale a base di slide, riflessivo  ed intimista; più tradizionale ma altrettanto accattivante "Only With My Soul".
"Roots" è la testimonianza di come sia possibile ridare vita ed interesse a brani arcinoti filtrandoli attraverso il sentimento ed il proprio stile. Un esempio per tante giovani blues band.  
Il ricavato delle vendite del disco verrà in gran parte devoluto alla "Associazione della Gioventù Indigena Argentina" con la quale lo stesso Gabriel Delta collabora.

Guitar Ray & The Gamblers: Poormen Blues
Cami Zack Music

Il Blues italiano conferma di vivere un momento davvero speciale. Anche il 2008 si apre all'insegna di nuove produzioni che testimoniano l'elevata qualità dei nostri musicisti, sempre più apprezzati da blasonati artisti d'oltreoceano e d'oltremanica che contribuiscono - non poco - a sdoganare lo spaghetti blues. Guitar Ray & The Gamblers, formazione ligure dai lunghi trascorsi, si avvale delle composizioni e della produzione del famoso chitarrista inglese Otis Grand nel nuovissimo CD "Poorman Blues".
L'avventura tra la band e mr. Grand (già avviata nel precedente lavoro "New Sensation") ha, in realtà, origini più lontane. Henry Carpaneto, tasterista dei Gamblers, ha fatto parte della Otis Grand big blues band per qualche anno, e spesso anche il resto del gruppo ha accompagnato il chitarrista sul palco. Ma le collaborazioni sono tante ed illustri: Jerry Portnoy, Sonny Rhodes, Jumping Johnny Sansone, Keyth Dunn, Fabio Treves e Paolo Bonfanti.
Il chitarrista e vocalist Guitar Ray (aka Renato Scognamiglio) si è formato con i grandi chitarristi elettrici, difatti (come per la maggior parte dei suoi colleghi) i suoi riferimenti artistici sono: i tre King (B.B., Albert e Freddie), T-Bone Walker, Albert Collins, Magic Sam. Con personalità, Ray conduce la band ben coadiuvato dal bravo tastierista Henry Carpaneto (nominato agli European Blues Awards del 2005 per la categoria Best Blues Piano player) e dalla solida e quadrata sezione ritmica affidata a Gabby Dellepiane al basso e Marc Fiulano alla batteria. Il suono complessivo risulta essere ben strutturato, libero da superflue forzature compositive e strumentali. Manny Carozzo al sax e Syl Cafaro alla tromba arricchiscono e completano il sound sia negli r'n'b che nei gustosi momenti jazzy.
"Poormen Blues" può apparire, ad un ascolto distratto, un buon disco al quale però mancano quei momenti di, cosiddetto, primo impatto. Solo dopo un attento passaggio nel lettore si svelano le doti dei singoli ed il raffinato groove. Guitar Ray & The Gamblers esplorano, assaggiando qua e la in punta di palato, ciò che di meglio il menù del Blues propone, supportati dalla onnipresenza di Otis Grand (che figura nel CD anche nelle vesti di arrangiatore).
8 dei 12 brani che compongono il disco sono a firma di Grand. Tra tutti, vorrei segnalarvi la ballad strumentale "Everything Is Gonna Be Alright", con tanto di lap steel alla David Lindley, ed il rock'n'roll "Shoulda Had Some More" con il piano in bella evidenza. Merita, infine, una menzione speciale la coinvolgente cover di "One Track Lover" di Jimmy McCracklin.

The Joe Caruso Band: I Feel My Soul Free
Ideasuoni Edizioni Musicali

Affermare che Joe Caruso sia un appassionato di Blues potrebbe "suonare" banalmente comune a tutti coloro che percorrono le strade che dal Delta si diramano verso l'intero pianeta. La sua è - in verità - una passione speciale, vissuta con modestia (suo grande punto di forza) ed al contempo ricca di un profondo impegno intellettuale che spinge il musicista ad interrogarsi sul significato più vero del Blues e sulle sue proprietà catartiche. E' trascorso oltre un decennio dalla sua costituzione (avvenuta nel '90) prima che La Joe Caruso Band entrasse in sala di registrazione; un lungo periodo di operatività live che ha modellato il carattere del CD I Feel My Soul Free. Un disco maturo che definisce appieno la personalità del leader e dei compagni d'avventura. Risulta abbastanza evidente, scrutando i titoli presenti in scaletta, la devozione verso i sovrani B.B., Albert e Freddie King, e nei confronti degli artisti della West side di Chicago in generale. Il CD è composto da quattro originals e da sei cover scelte tra i motivi più popolari. Un terreno minato che apre un confronto diretto non solo con gli interpreti originali, ma anche sul fronte della quasi totalità delle blues band che con questi pezzi costituiscono, da decenni, il proprio repertorio. Pur non allontanandosi dallo spirito originario dei brani, Joe Caruso dimostra di possedere la padronanza tecnica (bravo sia come chitarrista che come vocalist) e quella dose di buon gusto che gli consentono di non cadere nel tranello del confronto, allestendo arrangiamenti davvero gradevoli. Bella la versione di "Messin With The Kid" nella quale chitarra ed Hammond dirigono il drive, così come particolarmente intriganti risultano essere "The Thrill Is Gone" e "Woke Up This Morning", tratte dal repertorio di B.B.; "I Got That Feeling", del mai dimenticato Albert Collins; "The Sky Is Cryin'" ed "Help Me" (nella quale è possibile apprezzare il solo di chitarra dell'ospite Maurizio Piccinino), rispettivamente di Elmore James e Sonny Boy Williamson II . Sono però le composizioni originali la parte più ghiotta del CD. Trascinante l'iniziale "I Feel My soul Free", con il duo Caruso-Angelozzi in evidenza su un tempo r'n'b che ricorda i temi cari alla Stax di Memphis arricchito com'è, nel finale gospel, dalla splendida voce di Morgana Blues (guest di assoluta efficacia). P.M. Blues si snoda seguendo un ritmo rock blues proprio dei chitarristi del nuovo corso come Robert Cray e Joe Louis Walker. "Nonna Lucia" è un sognante strumentale in stile Louisiana nel quale Joe riesce a restituire intatto il fascino dei ritmi creoli della Crescent City. Chiude il lavoro "Blues For Joe", un brano firmato del bassista Walter Monini che esalta le doti dei musicisti, qui alle prese con un rock blues serrato che lascia nell'ascoltatore una piacevole sensazione di... "appagamento". I Feel My Soul Free è - senza alcun dubbio da parte di chi scrive - un lavoro ben fatto ancorché pregevole in quanto a genuinità.

Joe Caruso: Pattin' Juba
Crotalo Edizioni Musicali
 

A poco più di un anno dal CD d'esordio "I Feel My Soul Free", Joe Caruso ritorna in sala di registrazione per realizzare il nuovissimo Pattin' Juba. Un disco nel quale il cantante/chitarrista rivoluziona la sua band proponendo un trio con Pippo Matino al basso (artista in possesso di un curriculum molto ricco) e Claudio Romano alla batteria. Una novità che si rivela determinante nei suoni, qui orientati verso un blues più marcato che si snoda dinamico e fluido grazie alla bravura dei singoli ed alla voce potente e roca del leader. Gli spazi a disposizione sono tanti e contribuiscono ad esaltare le qualità individuali. Appare evidente che si trovino perfettamente a loro agio nella tipica (ed impegnativa) formazione chitarra-basso-batteria, da sempre brodo di coltura di strumentisti capaci.
Sono nove i brani presenti su Pattin' Juba per un totale di 51 minuti di musica. Il CD si apre con una versione assai personale del classico dei classici, quella "Cross Road Blues" di R. Johnson della quale Joe esegue una rilettura cruda, graffiante, con un'interpretazione vocale particolarmente ispirata. Segue un altro standard, "The Sky Is Cring", in cui sono la chitarra ed il basso a farla da padroni: Joe sfiora la sua Gibson con passionalità, quasi fosse un'amante, e Pippo Matino ci da un saggio delle sue proprietà tecniche con un assolo pregevole. "The Rock" è il primo original che incontriamo durante il nostro ascolto, un motivo firmato da Joe Caruso. Il sound è qui orientato verso atmosfere funky jazz molto gradevoli: uno dei momenti migliori dell'intero CD. E' il momento quindi per un brano di Lowel Fulson, "Honey Hush!", che prelude ad una originale "Caldonia" condotta su un Chicago shuffle che le personalizza notevolmente: "super"! C'è poi "Messin' With The Kid" (brano al quale Joe pare particolarmente affezionato avendolo già proposto, in una versione diversa, sul primo CD) e, a seguire, una "Got My Mojo Workin'" condotta da una ritmica r'n'b che le conferisce un drive davvero interessante! "Blues For Joe" è un brano di Pippo Matino per basso solo. Un bel pezzo, suonato con sentimento, che però mi risulta di difficile collocazione nel contesto generale (certamente inusuale per un disco di Blues). Pattin' Juba si chiude con "Every Day I Have The Blues", anche questa bella tosta e "saltellante".
In definitiva, ritengo che Pattin' Juba sia un momento importante nella produzione di Joe Caruso. Sarà questa la strada che percorrerà d'ora in avanti o ci riserverà altre sorprese? Nell'attesa che sia lo stesso Joe a darci una risposta in futuro, godiamoci questo lavoro.

Joe Galullo and the Blues Messengers: The Blues Is Back!
Blue Melody

T
he Blues Is Back
segna il ritorno di Joe Galullo in sala di registrazione. Musicista lombardo, divenuto cittadino del mondo nel corso degli anni, Joe è l'esempio dell'artista vero che ha dato un'impronta precisa a tutta la sua vita rendendola scevra dalle becere "regole" borghesi. E' cresciuto tra Amsterdam, Londra e Bologna; ha suonato nei metrò, nel corso degli anni sessanta, "facendosi le ossa" sulla strada. La sua storia è quella di un uomo che, seguendo l'istinto, ha trovato nel Blues l'espressione più consona per manifestare la propria essenza. Definirlo chitarrista, nonostante sia un vero virtuoso della sei corde, mi pare riduttivo; la sua voce è altrettanto "importante" e concorre, in egual misura, a definirne la caratura artistica.
The Blues Is Back (CD prodotto dalla Blue Melody, etichetta fondata dallo stesso Galullo) si apre con "I Feel I've Got The Blues", uno shuffle nel quale chitarra ed organo conducono il drive come nella migliore tradizione del blues elettrico. Si passa quindi allo slow in minore "I'm So Down", con la chitarra fiammeggiante e di notevole impatto (a me ricorda quel grande e sfortunato musicista che è stato Roy Buchanan) in risposta alla voce "vissuta" e pregna di feeling: uno dei momenti più intensi dell'intero disco. Il rock blues di "Down On The Road" ci riporta con i piedi per terra, giusto per battere il tempo! Ancora uno slow, "The Lord Of Blues Is Gone", anticipa la divertente "Whisky And Woman", un motivo dal sapore seventies, di quelli destinati ad accendere l'ottimismo nell'ascoltatore. Si vola in Louisiana con "Daw In New Orleans", un motivo che si rifà alla celebre "Got My Mojo Workin'" di watersiana memoria. "Hard Times" è una canzone di Ray Charles (unica cover presente sul CD) restituita intatta nel fascino originale ed impreziosita da una chitarra piena di sentimento. "Sweet Pretty Baby" è un West Coast blues dal marcato sapore swing (alla "Flip, Flop And Fly", per intenderci): ottimo il piano di Alessio Raffaelli. In "Slow Slide Blues" il suono si fa più "arrugginito", su un tempo alla Jimmy Reed. Con la divertente "Kukurukuku" (nella quale Joe Galullo inforca l'acustica) si chiude in bellezza il ritorno al Blues di un grande musicista. Il valore complessivo del disco è davvero eccellente per contenuti e qualità. I Blues Messengers viaggiano come un treno ed i suoni appaiono ottimamente calibrati. In un momento così poco brillante per il blues americano, The Blues Is Back si colloca su livelli di valore assoluto, tanto da renderne auspicabile la distribuzione oltre oceano.

Billy Jones: Prime Suspect For The Blues
Ciborg-Blue Recording Co.


Billy Jones mi ha contattato qualche tempo fa proponendomi la recensione del CD che trattiamo in questa sede. Confesso che non conoscevo nulla sul suo conto ma, da un primo ascolto dei samples presenti sul suo sito, non è stato difficile scoprire un artista molto particolare. Assieme a Prime Suspect For The Blues, Billy mi ha inviato un CD contenente spezzoni di spettacoli (concerti in clubs, interviste ed apparizioni televisive). Se il disco riferisce chiaramente della cifra stilistica del Nostro, vederlo all'opera è parecchio più esplicativo. Assolutamente divertente ed aggressivo al tempo stesso, Billy Jones è cantante, chitarrista e showman di grossa levatura e consumata esperienza. Il suo è un sound a base di funky, soul, rap, blues e r'n'b, proposto senza soluzione di continuità ed elusivo verso qualunque catalogazione. Musicista da sempre, ha militato in passato con Little Johnny Taylor, Vernon Garret, Calvin Levy; ha condiviso il set con Denice La Salle, Willie Clayton, i Bar Kays, e tanti altri. Ha operato per qualche tempo nella Beale Street, a Memphis, entrando in contatto con B.B. King e Rufus Thomas. La sua musica è trascinante e dal 'dance feel' irresistibile. Non è un caso che Billy si avvalga anche di una tastiera dalla quale tira fuori rumori, fischi, piccole deflagrazioni... Anche la voce è, a volte, distorta elettronicamente. Tutto ciò che fa spettacolo è proprietà naturale di Billy Jones che si muove tra forsennati r'n'b e larghi slow blues con una fluidità unica, catturando lo spettatore che difficilmente riesce a star fermo assistendo ai suoi show. Prime Suspect For The Blues è tutto ciò: una sintesi perfetta del verbo musicale del cantante e chitarrista americano. Non è stato facile selezionare un brano tra le 15 tracce (tra le quali non esistono momenti di flessione). Ho scelto la cover di "Don't Answer The Door", tratta dal repertorio di B.B. King, un blues classico dal quale riusciamo ad evincere le grosse capacità artistiche di cui è dotato.
Billy Jones è, in definitiva, tra i migliori artisti del nuovo Blues underground; un salutare ricambio che sottopongo alla particolare attenzione dei promoters italiani.

Lou and the Blues: Mexicali Blues
P.L.F. Production

 
L'aria Tex-Mex che sembra volersi insinuare sia dal titolo che dalla copertina di questo CD non inganni alcuno sul suo reale contenuto, sarebbe un limite per Daniele "Lou" Leonardi protagonista ed ideatore dell'ottimo Mexicali Blues. Il poco più che ventenne chitarrista senese, qui alle prese con il secondo lavoro della band Lou and the Blues, ha orizzonti ben più ampi del classico Chicago style o del Delta sound, sembrando in realtà più avvezzo a suoni frizzanti ed 'aperti' costruiti su un tappeto steso da chitarre, tastiere e cori. Seppur giovanissimo, Lou ha già maturato esperienze ben consistenti, sufficienti a garantirgli un'ottima proprietà di linguaggio che non stenta a manifestare in modo più che convincente pescando da Jimmy Smith e Wilson Picket a S.R. Vaughan ed Albert Collins, oltre che da un certo cool di marca yankee. L'iniziale "Mexicali Blues" è il brano d'impatto, di quelli in grado di fornire la giusta propulsione all'intero lavoro. Il richiamo a Stevie Ray è tanto evidente quanto garbato. Con "3 Nights And 3 Days" (un accenno, anche se solo nel titolo, alla watersiana "Forty Days and Forty Nights") Chicago fa capolino su un'impronta di shuffle che richiama alla memoria il Buddy Guy più ispirato. "I Want Let You Dawn" si gioca su atmosfere notturne. La voce di Alice Bardini fornisce un imprinting decisamente jazz che piano, hammond e chitarra, sostengono a turno con appassionata complicità. Il rock più ruvido è presente in brani come "Love Fever" e "Start Of Something Good", anche se i toni rimangono piacevolmente 'moderati'. "Honey Smhoney" si snoda attraverso un ritmo a la New Orleans con l'hammod in ottima evidenza. "I Ain't Gonna Let You Breack My Heart Again" (famoso hit di Bonnie Raitt) è una bellissima canzone per voce (eccellente) e pianoforte e fa il paio (chitarra acustica qui in sostituzione del piano) con "Let Him Fly" di Patty Griffin. Bravo e maturo, Lou sa circondarsi di musicisti in grado di esaudire gli escursus stilistici da lui stesso proposti. Citazioni particolari per Alice Bardini, vocalist sinuosa anche se poco incline a 'ruggire' sui Blues più serrati, e per Matteo Abbado, onnipresente e discreto al tempo stesso ma abile a mettersi in evidenza quando il brano lo richiede.
Ritengo Mexicali Blues un lavoro maturo, professionale e sinceramente godibile, già in grado di anticipare un futuro brillante per Lou and the Blues.

Melody Makers: Melody Makers
Solo Musica

 
La storia dei Melody Makers è abbastanza recente anche se il percorso artistico di Attilio Gili ed Emanuele Fizzotti parte da molto lontano. Quello di Attilio ha inizio in pieni anni sessanta con un gruppo chiamato UH, di cui è stato il basso e la voce solista. Erano gli albori; il 45 giri era il supporto più diffuso (primo vero simbolo del nascente consumismo musicale) e Pippo Baudo, con il programma televisivo Settevoci, costituiva uno dei pochi trampolini di lancio per giovani artisti. All'epoca si 'sfondava' con riproposizioni in italiano di celebri brani americani ed inglesi, di quel rock nascente che stava dilagando anche nel nostro paese. Era l'epoca dell' r'n'b ed anche gli UH carpivano l'ispirazione da Otis Redding e James Brown oltre che da stelle del rock'n'roll come Elvis e Jerry Lee Lewis. Anche il blues però esercitava il suo fascino grazie alle gesta di John Mayall e Peter Green (emuli a loro volta del tipico suono del Delta elettrificato da Muddy e Sonny Boy). Relativamente più recente la storia di Emanuele Fizzotti, già chitarrista con la Treves Blues Band e Cristiano De Andrè. Il musicista è un vero talento dello strumento ed i suoi studi presso il Guitar Institute Of Technology di Los Angeles (dove ha conseguito il diploma), oltre che gli stage con artisti del calibro di Scott Henderson e Joe Diorio, ne sono chiara testimonianza. Emanuele ed Attilio hanno incrociato il loro cammino fondando gli Zip Fastners. Con questa formazione hanno partecipato a Sanremo Blues '91 riscoprendo l'amore comune per la musica del diavolo. Solo recentemente, con i Melody Makers la struttura ha assunto quei connotati presenti sul nuovo CD che, come accade sovente nelle opere prime, si chiama come la band. Diciamo subito che il lavoro è suonato e registrato magistralmente, ricco com'è di arrangiamenti che vanno dall'r'n'b sostenuto da Hammond e fiati a momenti stringati, in stile Delta, con Dobro e voce. C'è inoltre autentico swing e boogie in stile Texas blues. Le nove composizioni originali sui tredici brani presenti sul dischetto sono un'ulteriore manifestazione di creatività. Le cover sono "What I'd Say" e "I Belive To My Soul" di Ray Charles, "Flip, Flop & Fly" (celebre la versione di Big Joe Turner) e la johnsoniana "Dust My Broom". Se c'è un appunto da fare, questo è rivolto alla grande (forse eccessiva) varietà di stili che, se da un lato dimostrano la poliedricità dei musicisti, dall'altro fanno venir meno una delle caratteristiche fondamentali nell'allestimento di un lavoro, quello che comunemente viene definito progetto artistico. Melody Makers è un CD che piacerà a molti, ne sono più che certo, e se vuole essere una sorta di biglietto da visita è più che ricco. In futuro sarà però opportuno mettere la tecnica al servizio di suoni più personali e meno divaganti.

Mhmm: Do Not Disturb
 
Do Not Disturb" è uno dei lavori più interessanti che mi siano capitati tra le mani negli ultimi tempi. Un disco che porta con se parecchi elementi di originalità rendendolo unico nell'attuale discografia Blues nostrana.
La più evidente sta proprio nel supporto: il caro, vecchio vinile, divenuto un autentico oggetto di culto per audiofili, riproposto sempre di più dalle grandi major e scelta editoriale mirata di etichette dai volumi d'affari minori come la lodevole Banksville records.
Anche il nome degli Mhmm è inusuale (oltre che impronunciabile); un'espressione onomatopeica che a me ricorda la classica esclamazione di "gradito assenso" nel tradizionale linguaggio dei cartoons.
Il disco è l'opera prima della band di Vercelli, anche se i musicisti che la animano sono dei veterani in grado di vantare già diverse esperienze discografiche e lunghi anni di attività sotto altre "insegne" (Arcansiel, Sado).
Per le registrazioni, Paolo Baltaro (compositore di tutti i brani originali), Gianni Opezzo (arrangiatore), Sandro Marinoni e Boris Savoldelli, si sono alternati tra lo studio KMP Castel di Vercelli ed il KinkiMalinky di Londra. La scelta del supporto analogico si è rivelata decisamente felice conferendo al disco un caldo suono vintage, esaltato da precedenti "passaggi" attraverso apparecchiature Hi-End e registratori a bobina super veloci. Il risultato così ottenuto, e senza ulteriori interventi, è stato riportato sul CD (fornito in allegato senza alcun costo aggiuntivo).
E veniamo ai contenuti. "Do Not Disturb" è stato pensato come un concept album ambientato in un fumoso club americano, con tanto di voce roca e brilla (quella del DJ londinese Roger Balfour) che commenta, tra le tracce, volti e situazioni li presenti. Sugli otto brani che compongono il disco, ben sette sono composizioni originali. Gli Mhmm si consentono una sola cover. Si tratta della leggendaria "Woodstock" della mai dimenticata songwriter canadese Joni Mitchell, rigenerata da un impeccabile blues drive che, nel contesto generale, la rende davvero esaltante. A mio avviso, il vero punto di forza della band sta proprio nelle voci eccellenti dei singoli musicisti, oltre che nella cura per gli arrangiamenti. L'iniziale "I Don't Mind" è un classico rock-blues che Boris Savoldelli rende particolarmente caustico e coinvolgente. Stessa cosa vale per "When The Blues Is Falling Down On Me", anche se questa volta il brano è uno slow blues. "The Bridge" è un motivo dall'andamento dinoccolato che ricorda certe perle di J.J. Cale pur mantenendo una sua identità grazie ad un sapiente arrangiamento di fiati. American rock'n'roll tutto da ballare in "Because I'm Down": bella la gestione delle dinamiche. Lo shuffle "Something Beautiful" è caratterizzato dalla voce grintosa di Paolo Baltaro. "If Mary Had A Face", è un "torrido" slow e fa da preludio al brano finale "Goodnight Paris", una ballad che evidenzia tutto l'amore degli Mhmm per il West Coast sound dei '70 (Crosby, Stills, Nash & Young, su tutti).
Un disco che vi consiglio per "rifarvi" le orecchie da certe banalità etichettate, troppo spesso, come Blues.

Mrs. SIPPY: New, Old And... All That Blues
 
Asserire che Paolo Ganz sia sinonimo di armonica blues in Italia è non soltanto corretto ma - senza nulla togliere ad altri antesignani dello strumento - soprattutto doveroso. I suoi metodi sono sotto gli occhi di tutti: dagli scaffali dei negozi di dischi a quelli delle librerie. Dal 1986 (anno della pubblicazione del suo primo metodo) quasi tutti gli aspiranti armonicisti hanno soffiato con l'occhio rivolto verso il manuale di Ganz e l'orecchio teso alle cassette dimostrative allegate. Paolo, che è persona assai modesta, dice di aver mutuato le varie tecniche direttamente dall'ascolto dei maestri neri. E' comunque riuscito - cosa tutt'altro che semplice - a codificare, rendendoli intelleggibili per tutti, i molti suoni dell'armonica. La sua ricerca non si è fermata a questo strumento, Paolo è anche chitarrista ed i suoi studi hanno avuto degli sviluppi anche con i 'plettri'. Dopo anni di latitanza dal Blues (non certo di immobilità artistica), il musicista veneziano è tornato con la band Mrs. Sippy assieme al chitarrista Alex Perzolla - che lo stesso Ganz definisce come il promotore dell'iniziativa -, al bassista Fabio Benedetti e con Andrea Scopelliti alla batteria. Insieme hanno realizzato un mimi CD, composto da cinque brani, il cui titolo è New, Old And… All That Blues. La scaletta recita i seguenti titoli: "Someday Baby" di S. John Estes, "Halleluja I Love Her So" di Ray Charles, "Sally Brown (is back in town)" di Alex Perzolla, "Off The Wall" di Little Walter e, per finire, "Tintarella di Luna" (!!!) di De Filippi - Migliacci (un vecchio hit degli anni sessanta riproposto in chiave shuffle). Il suono complessivo rimanda ad un Blues rockeggiante fatto di suoni ruvidi e decisi che esalta - grazie anche ad una registrazione efficace - le capacità dei musicisti. L'orecchio inevitabilmente cade sull'armonica di Ganz che, a dispetto della sua notorietà, svolge un ruolo che ben si amalgama, senza mai esagerare, con il sound d'insieme. New Old And… All That Blues è una sorta di 'presentazione' ma prelude ad un lavoro ben più corposo che è già nei programmi della band. Nel frattempo ascoltate questo CD richiedendone copia direttamente a Paolo Ganz.

Gaetano Pellino Band: First Love
Crotalo Edizioni Musicali
 
L'etichetta Crotalo continua nella meritoria opera di divulgazione del blues nostrano sia con le compilation della serie "Babe, Senti Come Suona Il Mio Blues" (dedicate a composizioni in lingua italiana ed in dialetto) che con le innumerevoli produzioni di singoli artisti e bands.
Gaetano Pellino, musicista bolognese, può considerarsi uno dei veterani avendo già registrato tre album per la scuderia del serpente. Chitarrista, bassista, Sound engeneer, con una vita piena di impegni sul fronte della musica a tutti i livelli, inizia la sua avventura agli albori degli anni '80. Ho scrutato la biografia rendendomi conto che per elencare l'intero spettro dei suoi interessi non sarebbe certo stato sufficiente questo spazio. Un dato però lo si evince: Gaetano non è un chitarrista "votato" al Blues; piuttosto le "dodici battute" sono una delle tante componenti del suo background artistico.
Anche il nuovo lavoro "First Love" (il cui titolo è ben rappresentato dalla tenera foto di copertina) è una miscellanea di stili. Il brano d'apertura è proprio la title track, un rock/blues nel quale s'intuisce una profonda riconoscenza al mai dimenticato Stevie Ray Waughan. Ancora di marca Texana è la successiva "The Woman At The Backdoor", il cui drive ricorda quello dei mitici fratelli Gibbons (meglio noti come ZZ Top). Si passa quindi al rockabilly con la divertente "Mad Dog Like You" (riproposta in conclusione nella versione mono!). In "The Legend Of The Eagle" il clima si fa arso, con lo slide tagliente che evoca il sole implacabile delle grandi distese americane. Bella ed intensa la ballad "The Shadows Of The Night", nello stile dei più grandi songwriter a stelle e strice.
"Why Don't We Celebrate?" è un brano - come si dice - d'atmosfera nel quale si possono cogliere alcuni degli spiriti guida di Gaetano Pellino. Fa la sua apparizione, tanto discreta quanto incisiva, l'armonica di Tommy Cole. Non manca qualche incursione nel western più autentico con la celebre "Ghost Riders In The Sky" (unica cover presente!) e "Western Tango".
Il suono complessivo del CD ha un sapore decisamente vintage. Un accorgimento voluto dall'autore che, come dicevo all'inizio, è anche un sound engeneer di notevole spessore ed esperienza.
Una citazione, in conclusione, per la sezione ritmica formata da Stefano Resca alla batteria e dai bassisti Ugo Bruschi e Nick Sesterzio.

Maurizio Pugno featuring Sugar Ray Norcia: That's What I Found Out!
 
Maurizio Pugno, al suo esordio discografico da solista, assesta un colpo fulminante alla classifica dei migliori album blues prodotti nel 2007 collocandosi decisamente al vertice con questo eccellente "That's What I Found Out!" che, considerato il periodo non particolarmente felice del blues americano, lo proietta verso confini molto ampi.  
Il chitarrista umbro si presenta alla nuova esperienza con un notevole viatico, fatto di collaborazioni importanti, e rodato sul campo da diverse tournée in tutta Europa. La lunga partnership con l'armonicista Rico Migliarini - prima nella Wolves Blues Band, oggi in Rico Blues Combo - non gli ha impedito escursioni in altri contesti. Senza voler qui snocciolare tutti i passaggi del curriculum di Maurizio (disponibile, peraltro, sul suo sito), mi pare doveroso citare alcuni momenti salienti della sua carriera: le collaborazioni con l'armonicista Mike Turk, con il cantante Tad Robinson, con la cantante/armonicista Kellie Rucker e con il chitarrista Dave Specter, assieme al quale ha in programma due tour europei.
In questo album il Maestro (così viene chiamato da sempre Pugno) affianca il suo nome a quello di Sugar Ray Norcia, celebre cantante-armonicista americano che molti ricorderanno frontman dei Roomful Of Blues. Al di là del contributo in veste di "featuring" (così come viene presentato sul CD), Norcia ha partecipato alla stesura di ben nove tra i quindici brani presenti.   
"That's What I Found Out!", prodotto da Jerry Hall per l'etichetta americana Pacific Blues Recordings (!), è stato registrato presso l'antico teatro comunale di Gubbio ed è assolutamente perfetto nei suoni (spesso arricchiti da una numerosa sezione fiati) e negli arrangiamenti, oltre che brillante e vario nei contenuti. L'apertura è affidata all'Hammond di Alberto Marsico con "Opening Act" (firmata dallo stesso tastierista), una sorta di presentazione strumentale alla Jimmy Smith che lascia trapelare le intenzioni facendo da preludio ad una raffica di brani del duo Pugno-Norcia. Si passa dal jive di "That Crazy Girl Of Mine" e "When My Father Met Charlie's Uncle" al cool westcoastiano della title track "That'ts What I Found Out!". "Take It All Back Baby" ricorda il compianto Johnny Adams: notevole la chitarra che si muove sinuosa su un raffinato tappeto intessuto dall'Hammond. L'american rock'n'roll di "Oh Louise!" e le atmosfere sixteen di "Fine Long Legs" sono la conferma della coerente poliedricità di quest'album che non conosce momenti di stanca.
Tra le poche cover presenti - quattro in tutto - vorrei segnalare la magnifica rilettura di "I Love The Life I Live" di W. Dixon e la conclusiva "The Preacher", omaggio al leggendario compositore e pianista Horace Silver.

Roots Connection: Animystic
Bagana Records

Ho ricevuto questo disco già da qualche settimana e confesso di aver passato gran parte del mio tempo ad ascoltarlo e riascoltarlo con l'intento di carpirne l'essenza. Animystic non è un album da primo impatto né un lavoro di Blues nel senso più comune, bensì il testamento di un artista di ampie ispirazioni, il chitarrista e cantante Enrico "Mad Dog" Micheletti, e della sua avventura con la band Roots Connection.
Micheletti è purtroppo scomparso il 4 dicembre del 2008 all'età di 57 anni, proprio al culmine di una carriera ricca di esperienze e collaborazioni illustri (Memphis Slim, Rory Gallagher, John Lee Hooker, Champion Jack Dupree,...).
Nato a Bolzano, è stato quello che si definisce un girovago. Lascia ben presto l'Italia, assetato di conoscenze, viaggiando per buona parte d'Europa ed in seguito alla volta di Canada, Stati Uniti ed India. Sarà in particolare il karma del grande paese asiatico ad influenzare le visioni mistico musicali di Enrico che utilizzerà spesso il sitar nelle sue composizioni.
Micheletti è stato da sempre guidato da una profonda interiorità secondo la quale ogni cosa è opera divina e la musica una sorta di mediazione tra Dio e l'uomo, presupposto fondamentale e trasversale a tutte le religioni, da quelle primitive a quelle più praticate ai giorni nostri. Non è quindi un caso che il titolo del CD, Animytstic, scaturisca della fusione dei termini animistico e mistico.
La musica del mondo, filtrata attraverso sequencer e sintetizzatori, costituisce il crossover creato dai Roots Connection, ed il Blues, in questa logica, ne è parte integrante così come: reggae, ska, funky...
La band nasce a Reggio Emilia nel 2000. Enrico Micheletti incontra Fabio Ferraboschi e Fabrizio Tavernelli, ed i tre scoprono da subito una passione comune: il Blues del Delta. Ma l'approccio dei musicisti con le celebri composizioni di Leadbelly e Robert Johnson non è propriamente roots. Il bernoccolo della sperimentazione li accomuna ed è perseguendo la ricerca di suoni personali che, nel 2002, registrano il primo disco, Roots Connection, cui seguiranno una quantità di concerti.
Dopo la lunga premessa, necessaria per tratteggiare la personalità di Enrico Micheletti e fornire una chiave di lettura della musica dei Roots Connection, veniamo al disco in oggetto.
Animystic è composto da 10 tracce, 5 originali (tutte firmate Micheletti-Ferraboschi-Tavernelli) e 5 covers rivisitate e filtrate secondo uno stile del tutto coerente. Tra i brani originali vi segnalo: l'iniziale Wake Up, un ritmo ossessivo che il sitar riconduce alle atmosfere degli Stones di Their Satanic Majesties Request; Done Gone, motivo bluesy alla J.J. Cale caratterizzato dallo sferragliare del dobro, e la splendida ballad The Only Face. Tra le covers: Im Going To Life The Life I Sing About In My Song di Tommy Dorsey, brano portato al successo da Mahalia Jackson e qui degnamente reinterpretato da Lucia Tari (ex Tinturia); Hard Time Killing Floor di Skip James, riproposto in chiave reggae, e la sognante e conclusiva ballad Rings Them Bells di Bob Dylan (dall'album Oh Mercy) narrata dalla grande voce di Alberto Morselli (già Modena City Ramblers).

Mark Slim - Fabrizio Soldà: North-East Blues
 
Disco d'esordio, dedicato al Blues acustico, questo "North-East Blues" del duo Mark Slim (chitarra e voce) e Fabrizio Soldà (armonica).
Già dal titolo è possibile risalire alla provenienza dei due giovani musicisti: quel Nord-Est d'Italia che ha nel Veneto il proprio centro di gravità.
L'assonanza geografica tra il Delta del Mississippi e quello del Po fornisce ai nostri lo spunto per collegarsi virtualmente alle narrazioni proprie della cultura Blues neroamericana: disagio sociale, lavoro nero, discriminazioni e tanta povertà. A tal proposito, all'interno della copertina, sono proposte delle foto d'epoca che raccontano di un mondo rurale che non c'è più e che, nello specifico, ha lasciato posto alle fabbriche ed alle tante attività imprenditoriali che fanno oggi del Nord-Est la parte economicamente più dinamica d'Italia. E non posso fare a meno di pensare al susseguirsi dei corsi e ricorsi storici e di come il delta di un grande fiume porti con se (per ironia della sorte) anche qui da noi come nel Mississippi di allora: discriminazione, indifferenza e spesso razzismo verso i migranti. Ma questa è un'altra storia...
Marco Carraro (aka Mark Slim) è un chitarrista padovano, men che trentenne, che è stato diverse volte negli States riuscendo a costruirsi un ricco curriculum grazie alle tante collaborazioni. Fabrizio Soldà è armonicista dalla buona personalità che dimostra di aver appreso tanto dall'ascolto dei grandi dello strumento.
Il duo ci propone un repertorio country blues fatto prevalentemente di covers (J.Rogers, S. Hopkins, C.Patton, J.Reed, G.Davis, ecc.) e da tre originals in perfetto stile: "Divorce Blues" (brano d'apertura del CD), la title track "North-East Blues", e "My Boss Is A Dirty Speculator".
Dato per scontato il lavoro meritorio che Mark Slim e Fabrizio Soldà hanno svolto nell'operazione di recupero di brani e protagonisti del Blues acustico, mi pare che in questo caso l'accademia abbia finito per prevalere sul feeling, come in una sorta di compito ben fatto ma che non va oltre la sufficienza. Assente di lusso la voce che in una formazione a due riveste un ruolo assolutamente primario e fornisce "credibilità" all'insieme.
Il Blues acustico (Country Blues, Delta o Piedmont che sia) ha le sue regole stilistiche che abbiamo decodificato e studiato. Ma non sono certo il finger picking, le accordature aperte e le note piegate che fanno il Blues (fosse così facile...).
Sono sicuro (scusate la presunzione) che anche Mark e Fabrizio, fra qualche anno, sapranno riconsiderare questa esperienza discografica con maggior senso critico.

Sugar Blue: Code Blue
Beeble Music - 2007

James Whiting, al secolo Sugar Blue, è stato uno dei molti musicisti americani che, “bazzicando” per l’Europa (sin dal 1976), non hanno potuto fare a meno di innamorarsene.
Nasce nel ’50 ad Harlem e, sin da ragazzo, si manifesta come un autentico prodigio con l’armonica. All’età di 26 anni (negli USA era già noto per via di una storica collaborazione con Maddy Waters) sbarca in Europa (Londra e Parigi) e contribuisce fortemente alla diffusione della musica blues e, in particolare, dell’armonica a bocca. Durante la permanenza in Europa conosce Mick Jagger e collabora con i Rolling Stones: è suo il riff di armonica nel brano “Miss You” (dell’album “Some Girls”), un vero e proprio cult dello strumento.
Come altri bluesman (come Cooper Terry e Andy J. Forrest), Sugar ha influenzato quel movimento italiano che guardava a lui come ad una vera e propria fonte culturale da cui attingere “il vero e vivo verbo del Blues”, contribuendo in maniera tangibile all’evoluzione dello spaghetti Blues.
E’ molto interessante scoprire l’evoluzione musicale che attualmente egli esprime on stage con musicisti quasi tutti italiani.
L’ultimo disco di Sugar, “Code Blue”, è un concentrato di tecnica, buon gusto e continua ricerca di nuove espressioni bluesistiche. Come il buon vino, con il passare del tempo, l’inconfondibile tecnica del 57enne Sugar assume aspetti sempre più accattivanti e questa sua ultima produzione ne è la prova.
I brani sono firmati Whiting, Lantieri e Montaleni, a dimostrazione che sempre di più il blues americano sceglie musicisti italiani per le composizioni e non soltanto per le apparizioni on stage. Naturalmente, come nelle migliori tradizioni, hanno collaborato in sala (i Rex Trax Studios di Chicago) anche musicisti come Rico McFarland, Barrelhouse Chuck, Lurrie Bell ed altri.
La scaletta di "Code Blue" è ben congegniata. “Cristalline” è una sorta di biglietto da visita sul quale spicca il tocco fatato dell’affascinante Ilaria Lantieri al basso che firma, in modo discreto ma con gran classe, la ritmica funkeggiante che sostiene la massima espressione di mr. Blue.
I brani che più mi hanno emozionato sono: “Nola”, una ballata triste ed ipnotica a metà tra blues elettrico e Pop; “Bad Boys Heaven”, un bellissimo classico in acustico che sembra quasi riaffermare con ironia le radici più profonde di James, in un nostalgico viaggio pentatonico a dodici battute dal sapore mississipiano; “I Don’t know Why”, forse la vera essenza insieme a “Bluesman” dell’attuale Sugar Blue, una “explosion” disarmante all’ascolto sia per i neofiti che per gli addetti ai lavori.
Sugar Blue si conferma in questo "Code Blue" (qualora ce ne fosse stata la necessità) tra gli armonicisti più virtuosi al mondo pur conservando la freschezza e la curiosità di un ragazzino. 
Amedeo Zittano

Lauren Sheehan: Two Wings

Lauren Sheehan è una cantante e chitarrista americana con profonde radici nella tradizione, sia bianca che nera. Cresciuta nel New England, ha studiato la chitarra classica e si è laureata presso il Red College con una tesi sulla musica folk americana. Si è data da fare suonando in vari gruppi ed insegnando musica nelle scuole private fino al 2003. Parallelamente all'attività di musicista professionista, continua ancor oggi a tenere workshop e seminari per altri artisti.
La capacità di risalire fino alle fonti consente a Lauren di attingerne i suoni più puri ed incontaminati. La voce cristallina, che spesso si spinge verso timbri alti e nasali propri dei bluesmen prebellici, e l'ottima tecnica, tanto alla chitarra quanto al banjo, contribuiscono alla realizzazione di una musica che, seppur acustica e mai sopra le righe, scorre leggera ed intrigante.
Il nuovo album, "Two Wings", arriva dopo il successo del disco d'esordio "Some Old Lonesome Day" del 2003.
Tra i musicisti che partecipano alle registrazioni spicca il nome dell'armonicista di Washington, D.C. Phil Wiggins (ben noto agli appassionati italiani per gli ottimi lavori prodotti in duo con il chitarrista John Chepas, ndr.) che qui distilla gocce di puro blues acustico.
Il disco è ben strutturato e gradevolissimo. Si passa da traditionals a brani degli anni venti riportati a nuova freschezza come: "Lonesome Day Blues" e "Statesboro Blues" del rev. Blind Willie McTell, "Kind Hearted Woman" di Robert Johnson ed una magnifica versione di "In My Girlish Days" tratta dal repertorio dell'indimenticabile Memphis Minnie, solo per citare i più noti.
Sono due le composizioni originali, entrambe strumentali: "Farawell Swallowtail", un finger picking per chitarra scritta in omaggio alla Swallowtail School che Lauren ha fondato e diretto per 10 anni, e "Del ta Queen" un "divertissement" per banjo solo.
Lauren Sheehan sarà presto in tour in Italia. Se dovesse esibirsi dalle vostre parti, vi consiglio vivamente di non lasciarvela sfuggire: i suoi show sono davvero coinvolgenti.

Luigi Tempera: Walking With My Devils
Crotalo Edizioni Musicali

Il Diavolo, com'è noto, ha mille facce. Una di queste appartiene al signore qui ritratto sulla copertina del primo lavoro discografico intitolato, non a caso, Walking With The Devils. Il mutante in questione risponde al nome di Luigi Tempera. Nella vita di tutti i giorni veste i panni dello scrupoloso insegnante di chitarra presso la scuola "Violeta Parra" (da lui stesso diretta) in quel di Beinasco, nei pressi di Torino. Quando il sole tramonta e le tenebre si affacciano sulla soglia della notte, il "maligno" si impossessa della sua anima facendola librare dalla guglia della Mole Antonelliana per un lungo viaggio. Un volo senza scalo verso quel mondo fuligginoso, dal fascino romantico e magnificamente tetro, dal quale il suo stesso spirito ha avuto origine.
Dopo un ventennio di attività live trascorso tra mille pentatoniche bagnate da sano nettare d'uva, Luigi ha deciso di fissare su disco otto canzoni "scritte con la sincera passione di chi non poteva fare altro che esprimere i propri Blues in modo schietto e convinto" (come rivela nelle note di copertina).
Walking With My Devils è un CD breve (meno di trenta minuti) ma di gran classe. Si apre con "Son A Jam" ed è subito il dobro a guidare uno swing acustico di eccellente fattura. Segue "Start Me Up Start Me Down" in cui Luigi inforca l'acustica per offrire un saggio della tecnica di cui è in possesso, tirando fuori un suono cristallino, condito da un arrangiamento tanto essenziale quanto preciso. Ancora atmosfere jazzy (che mi ricordano il Tom Waits più romantico) nella bella "I'm Not Sure" con la chitarra elettrica ed il basso acustico a marcare lo swing. "Come On My Train" è una ballad in cui la voce crea un momento di magico intimismo: uno dei brani più intensi del disco. A seguire, il cool westcoastiano di "Jazzy", motivo suonato "in punta di dita" e cantato in italiano. Con "Walking With My Devils" arriva il più tradizionale Blues acustico per chitarra ed armonica. Prezioso, nella title track, l'apporto all'armonica di Andrea "Rooster" Scagliarini. In "Magda" è ancora lo swing a permeare il sound. Cantata anche questa in italiano, si allinea alla scuola torinese del grande Paolo Conte. Il CD si chiude con lo shuffle strumentale "GG Boogie", un motivo dal gusto raffinato.
Luigi Tempera ha atteso diversi anni, con estrema saggezza, per definire appieno la propria personalità. E' così riuscito a sintetizzare l'esperienza delle innumerevoli notti blues in questo Walking With My Devils, un lavoro di rara godibilità da ascoltare e... riascoltare!  

Lorna Willhelm: I Feel Good With The Blues
Poundcat Music
 

Lorna Willhelm è l'ultimo anello che si aggiunge ad una lunga catena di musicisti meritevoli di aver fatto del Texas blues un sound composto ma, al tempo stesso, riconoscibile tra mille. Come i suoi più illustri predecessori, anche la cantante di Waco manifesta le sue chiare virtù musicali attraverso un mix di blues e jazz, qua e là annegato in rock & roll d'ispirazione 50 e 60. Dotata di voce con licenza di 'scat' - educata presso il McLennan Community College e modellata da Beth Ullman - Lorna Willhelm si affaccia al mondo discografico con il cd I Fell Good With The Blues nel quale mostra il meglio di se avvalendosi di covers più o meno note (Ike Turner, Big Mama Thornton, Roomful of Blues) e di tre originals composti dal marito Rex. Ciò che colpisce al primo ascolto è la swingante freschezza con cui Lorna affronta i vari generi. Tutto diventa così 'gradevole' da imporre un ulteriore e più attento ascolto. Chi cerca in questo cd i ruvidi sapori di cactus e polvere tipici di certe sonorità texane resterà deluso di certo. Siamo infatti ben lontani da S.R. Vaughan, J. Winter, Fabulous Thunderbirds ed affini; il paragone può proporsi con artisti più votati al cool ed al jazz più in generale (ascoltare Cry Me a River per credere). C'è chi ha accostato Lorna a Maria Muldaur e lei stessa scrive nella biografia di essersi ispirata ad Ella Fitzgerald, Big Mama Thornton e Mel Torme, a me piace pensare che Lorna Willhelm sia un'artista originale con parecchie frecce al suo arco. Le manca forse quel pizzico di personalità in più, ma questo è un fatto d'esperienza. I Feel Good With The Blues è un cd ottimamente registrato con una band che suona in maniera impeccabile. Attendiamo per valutare le evoluzioni future.

Warm Gun: Invisible Man
Buffalo Bounce

S
e la musica si potesse osservare come si fa con una fotografia, vedremmo questo disco dei Warm Gun quasi fosse in bianco e nero. Il fotografo ama la "scala dei grigi" per l'insita capacità di rappresentare il phatos dell'attimo, dell'espressione strappata al concetto di tempo per divenire eterna. La crudezza della proposta e la sua "drammaticità" di stampo neorealistico, emergono anche dalla lettura dei suoni "essenziali" del duo campano. Non c'è ricorso a frizzi e lazzi: qui il Blues è assolutamente e magicamente concreto. Trovo che "Invisible Man" nasca da presupposti culturali molto vicini a questa personale sensazione.
 I Warm Gun si definiscono: "Una vacanza dalle rispettive attività musicali e antitesi perfetta del gruppo emergente". Di certo "emergenti" non possono essere considerati i due artisti che hanno allestito questo progetto: Max Pieri e Fred Ghidelli.  
 Max Pieri è musicista e giornalista molto conosciuto in Campania (e non solo). Casertano, è dal '94 l'animatore dei Carpe Diem (recensione del CD "Naked Moods" in archivio) con cui ha calcato tanti palcoscenici. Max suona basso e percussioni ed è autore dei brani di questo disco (due dei quali composti assieme a Ghidelli). Una penna ispirata dal Blues "autentico", quello non sempre incentrato sulle "dodici battute" ed in cui è possibile cogliere un'ampia gamma di sapori: da quelli rurali, propri del Blues più canonico al  rock'n'roll delle origini, entrambe miscelati con una dose di swing appena accennato ma spesso latente. Sono queste, in sintesi, le linee guida del CD "Invisible Man".
 Fred "Elmore" Ghidelli è chitarrista d'annata, di quelli che hanno vissuto la musica a 360°. Lunghe e varie esperienze nel jazz, unite ad un'altrettanto intensa attività di produttore, ne fanno un artista con parecchie frecce al suo arco. Nonostante (a quanto mi risulti) si tratti della sua prima esperienza con il Blues, dimostra ottima padronanza ed una conoscenza del genere degna dei bluesmen più navigati (bravo nella tecnica slide).
 Il CD di cui si tratta contiene 10 brani, 8 dei quali - come detto prima - sono composizioni originali. Tra i motivii che più mi hanno colpito vorrei segnalare l'iniziale "Keep Time!", "The Bitter Pill", "Howling Sly" e la title track "Invisible Man". Gustosissimo il medley "assemblato" con il traditional "Rains All Night", "Sponful" di Willie Dixon e "Dimples" di J.L. Hooker. Molto bella, infine, "I'm So Lonesome I Could Cry" di Hank Williams, con la voce "sconvolta" di Max Pieri e la chitarra "tremolante" di Fred Ghidelli che ci riportano ad atmosfere sixties.     

The Wiyos: Porcupine
Truthface Recording

Tra i lavori che mi sono pervenuti di recente, vorrei segnalare alla vostra particolare attenzione Porcupine, un CD ad "alto gradimento" prodotto da una formazione di Brooklyn, NY che si chiama The Wiyos. Si tratta di un combo formato da tre elementi che, avvalendosi di strumentazione acustica, riscopre le radici della musica americana restituendone intatte le sensazioni originarie. Musica all'insegna di uno spirito ludico, ispirata da figure come Charlie Chaplin e Buster Keaton, nella migliore tradizione della commedia musicale vaudeville degli anni '20 e '30 e dei Medicine Shows del West. I tratti artistici che balzano evidenti sono quelli di Django Reinhardt, Blind Boy Fuller, Robert Johnson, ma anche di Fats Waller e Gershwin. I suoni attingono con lodevole purezza tanto dallo swing e dal ragtime, quanto dall'hillbilly, dal Piedmont e dal country blues, affiancando il fervore dei canti tradizionali delle Blue Ridge Mountains alle sonorità più urbane di New York.
I musicisti sono davvero fenomenali. Michael Farkas è un eccellente armonicista e cantante ma suona una quantità di strumenti, alcuni "ortodossi" come il kazoo, il washboard ed il banjo, altri più "personali" come sordine modificate, trombette di varia natura e dimensioni,... Parrish Ellis è chitarrista di ottime qualità. Suona perfettamente nei vari stili che i Wiyos affrontano, ed è munito anch'egli di una voce molto gradevole. Joseph DeJarnette "percuote" con rara puntualità il suo contrabbasso e partecipa agli inserti ritmici vocali che rivestono un ruolo preminente nella dinamica dei brani.
Quindici le tracce presenti in Porcupine, per oltre 51 minuti di sana e solida "american roots music". Il suono complessivo ha il sapore delle registrazioni casalinghe, perfetto per restituire il fascino che da queste ne deriva. Tra i brani originali, mi corre l'obbligo di evidenziare "Strawberry Wine" (di M. Farkas), un blues alla Terry & McGhee, e "Next Door Blues", altro country blues firmato Ellis/DeJarnette. Ancora meritevole di menzione la ballad "Annie Walden" di Parrish Ellis e "Strawberry Wine" di Michael Farkas, con la voce "megafonica" che rende l'atmosfera ancora più vintage. Tra i numerosi traditionals e cover, mi ha particolarmente entusiasmato la versione "da strada" di "Blue Drag" (video presente nella rubrica ON AIR), un classico swing di Jeff Myrow nel quale Michael si sbizzarrisce utilizzando strumenti a fiato di varia natura e derivazione (o "sundries" come riportato nelle note di copertina) simulando efficacemente - e con genuina ironia - tromba e cornetta.
The Wiyos, dopo aver girato in lungo ed in largo attraverso gli Stati Uniti, saranno in Italia nel periodo primavera-inizio estate 2005 per la loro prima tournée europea.  Vietato lasciarseli sfuggire!

Robi Zonca: Do You Know?
 

Robi Zonca è, quello che si dice, un bluesman di lungo corso, forgiato da molti anni di vita on the road. La sua militanza al fianco di musicisti blasonati come Andy J.Forest, Fabio Treves, Tolo Marton, Mia Martini (solo per citarne alcuni), e le numerose tournée in tutta Europa, fanno si che a Robi venga assegnato, di diritto, un posto tra i protagonisti di vertice del Blues made in Italy. Il chitarrista lombardo – con licenza di bassista – ha dedicato la propria vita artistica al Blues vestendo i panni dello strumentista.
Da qualche tempo s’è messo in proprio, allestendo una band, formata da eccellenti musicisti, per dar vita al primo lavoro discografico a suo nome il cui titolo è Do You Know? Ha chiamato a raccolta alcuni amici noti, tra cui: Aida Cooper, Tolo Marton, Enrico Crivellaro, che hanno contribuito ad impreziosire, con bagliori di classe, un lavoro - di per se - molto interessante.
Diciamo subito che il CD è, come da premessa, una testimonianza del Robi Zonca autore, sono sue infatti nove della dieci tracce qui presenti; l'eccezione è costituita da un vecchio hit dei Blood, Sweet & Tears, quella "Spinning Wheel" che sovente viene recuperata dall’oblio del tempo. Vario nei temi trattati (si passa infatti dal rock al blues al r'n'b, senza soluzione di continuità) il lavoro è un escursus attraverso il quale è possibile intravedere le basi culturali su cui poggia (da Beatles e Stones al funky/cool di marca Steely Dan al più canonico shuffle chicagoano). Do You Know? non è un disco blues nella sua accezione più tradizionale (o più "ristretta", se preferite): qui il blues si coglie dal sottile profumo che si respira all'ascolto e nel sentimento sincero che lo anima.
Preferisco non soffermarmi sui singoli brani lasciando la scoperta all'interesse di chi legge. Vorrei solo confessarvi che il CD di cui si parla "suona" spesso nel mio riproduttore... e, per alimentare ulteriormente la vostra curiosità, auguro anche a voi un buon ascolto!

Robi Zonca: You Already Know

Mi ero già occupato di Robi Zonca più di un anno fa, in occasione dell'album d'esordio da solista Do You Know? (del quale troverete testimonianza in archivio). La cronologia delle registrazioni non induca però a pensare che la sua carriera sia appena iniziata; Zonca è, in realtà, un "anziano" del Blues made in Italy, con lunghi anni di concerti alle spalle nei club e sui palcoscenici più illustri d'Italia, e con un palmarès ricco di collaborazioni eccellenti.
Do You Know? è stato un ottimo biglietto da visita; nel primo disco Robi ha incasellato, distillandoli attraverso una visione interiore, i suoi amori musicali ed i suoi ispiratori con il risultato, ottimamente riuscito, di "mostrarsi senza veli" all'ascoltatore.
Nel nuovo You Already Know il musicista lombardo conferma e rafforza uno stile assolutamente personale. Grazie alla bravura sua e dei musicisti che lo accompagnano nel CD, gli è facile guardare ad orizzonti più ampi. La lunga tournée americana dell'estate 2005 ne conferma, inoltre, il dinamismo in fase promozionale: dote indispensabile che gli ha consentito di dare un segno tangibile della propria presenza persino nella patria del Blues.
Fatte le doverose premesse, veniamo quindi ad analizzare da vicino You Already Know, non senza aver prima sottolineato la generosità compositiva di Zonca: l'unica cover presente sul CD è la celebre "One After 909" dei Beatles (dal LP "Let It Be" del 1969, ndr).
Si parte con un divertente shuffle, "Rock The Club", che rappresenta ottimamente lo spirito dell'intero lavoro. Segue una ballad dal titolo "I Will Love You Anyay", uno dei momenti più intensi e pregni di feeling. "Nothing" è un blues alla Albert King (per intenderci), con l'organo a stendere un tappeto sul quale si articola una ritmica di marca r'n'b. Ancora un rock blues, "My Firend", prima di incontrare un country and western mood nella gradevolissima "I'm Luky Man". Il blues torna con "GB Shuffle", brano che riporta certi suoni propri del Sud. Un occhio alla radio in "Sexy Lady", un motivo estremamente adatto alle FM americane. "Nobody But" è un brano che mette in risalto le doti di chitarrista di Zonca e precede la title track "You Already Know That My Baby She's Gone": uno dei momenti più raffinati dell'intero lavoro. La parte finale del CD inizia con lo shuffle "Just A Little Bit", al quale segue il rock'n'roll "One After 909" di beatlesiana memoria, per concludersi con il delicato e suggestivo suono dell'accordion tra le note dell'acustica "All I Want".

Paul Zunno Band: Black & White and Blues All Over
One Sock
 

Da New York un trio rock blues capitanato da Paul Zunno (voce e chitarra) il cui cognome tradisce chiare origini italiane. Energia e volontà tra le tracce del loro nuovo CD registrato, mixato e prodotto in totale autonomia. Le coordinate sono quelle che si intersecano tra il blues tradizionale ed un rock di chiara marca americana, un indirizzo che appassiona da circa trent'anni e che trova nel live la sua ideale consacrazione. Black White and Blues All Over - terzo lavoro della band - scorre piacevolmente tra momenti a 'tutto ritmo' e riflessioni chitarristiche di stampo seventies. In entrambe i casi la 'Strato' di Paul Zunno esprime un suono deciso ed al contempo ben misurato a dimostrazione di una buona maturità artistica. La lunga esperienza del chitarrista è ricca infatti di collaborazioni con nomi altisonanti, su tutti quello di Wilson Pickett nella cui band ha militato assieme al bassista Zerrick Foster, oggi elemento della Paul Zunno Band. Anche il batterista John Di Giulio può vantare trascorsi di tutto rispetto; tra gli artisti a cui ha 'prestato' le sue bacchette risaltano i nomi di Gary U.S. Bonds e Kenny Loggins, due autentiche star del pianeta rock a stelle e strisce. Tornando al nuovo lavoro, la cosa che colpisce tra le 10 tracce proposte è la presenza di otto composizioni originali, segno di una buona verve creativa. Tra queste sono da segnalare l'iniziale "I Found My Soul" (sanguigno rock blues) ed "Howlin' Wolf" (dedicata al più rocker tra i classici del blues) in cui l'ottima voce di Paul Zunno ha modo di trovare la giusta ispirazione. Le due cover presenti nel CD sono l'arcinota "My Babe" di Willie Dixon ed una bella versione di "So Long I'll See Ya" di Tom Waits che sembrano voler sintetizzare la dimensione di quest'album. Un lavoro che, sebbene non si distingua per uno spirito particolarmente innovativo, è senza dubbio sincero e ben suonato. Sono certo che verrà apprezzato dagli amanti del genere.

 

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