Albie
Donnelly's Supercharge: Live & Loaded (2CD)
Sassofonista
e cantante di Liverpool classe 1947, Albie Donnelly è uno di quegli artisti
che, pur prestando i suoi servigi ad autentiche leggende della musica (Chuck
Berry, B.B. King, Fats Domino, Ray Charles), non ha avuto il successo
internazionale che avrebbe meritato, o meglio, non nella misura più adeguata
alla sua classe. Nel 1974 fonda i Supercharge con i quali raccoglie
l'interesse del pubblico che gli tributa un disco d'oro in Australia per
l'album "Local Lads Make Good". Sino ad oggi i Supercharge hanno
collezionato ben 15 album tra cui un live registrato da Maxine a Parigi in
occasione del matrimonio di Tina Onassis. Il "territorio d'azione" di Albie
si estende dal jazz al r'n'b grazie ad una formazione a nove dove i fiati la
fanno da padroni. Live and Loaded è una raccolta di motivi legati a
figure di primo piano nella storia della musica nera. Un doppio CD nel quale trovano
spazio covers di Johnny Guitar Watson. Albert King, T-Bone Walker, Mel
Torme, Buddy Johnson, Eddie Winson, Muddy Waters e Big Joe Turner tra gli
altri. Non mancano le composizioni di Albie che si integrano alla perfezione
con i più celebri standard. "Don't Worry 'Bout A Thing" è un blues shuffle
con armonica in stile Chicago; il ritmo del boogie si insinua in "Won't Be
Your Fool Anymore", il brano è arricchito da un solo di Mr. Donnelly al
tenore che ci da un saggio della sua classe. In Live and Loaded c'è
swing a volontà, condensato in circa 53 minuti tutti da gustare. I
Supercharge sono stati anche in Italia partecipando a diversi festival.
Baton
Rouge Delta Blues Band: Hobo Ramblin'
Primo lavoro dei
Baton Rouge da Busto Arsizio, un combo formato da tre musicisti già da
diversi anni impegnati on the road in Italia ed all'estero quali apostoli
del Delta Blues, la forma più arcaica della musica nero americana che
continua a generare interesse tra gli appassionati nostrani con immutato (se
non crescente) livello di gradimento.
Mario Bartilucci, Stefano Giacon e Marco Riganti, in "Hobo Ramblin'"
propongono una miscela ben amalgamata fatta di motivi, in buona parte
appartenenti al Blues prebellico, uniti ad originali perfettamente coerenti
con la filosofia degli hoboes. Dodici brani che attestano quanto i Baton
Rouge siano bravi e competenti sia come musicisti che nell'energia con cui
alimentano le esecuzioni: l'intero disco (registrato in presa diretta)
trasuda passione da ogni solco.
"Drop Down Mama" è il brano d'apertura, una vecchia composizione di Sleepy
John Estes con, in bella evidenza, l'armonica di Stefano Giacon ed il
mandolino di Davide Speranza, guest presente quale polistrumentista in
diversi momenti del CD. "Leaon On You" è una ballad firmata M. Bartilucci
mentre la successiva "Born in Biscayne" è una cover appartenente al
semisconosciuto artista del Wyoming Spencer Bohren, una piacevole scoperta
per chi scrive. Ancora originali le tracce che seguono: "You Gonna Miss Me",
un motivo alla Terry-McGhee che contiene all'interno un veloce omaggio ai
Rolling Stones, e la ballad "Guidin' Hand" con la bella voce di Elena Zoia in
background. Una vigorosa versione di "Crossroad" fa da premessa alla title
track, autentico manifesto dello spirito guida dei Baton Rouge. "Hobo
Ramblin'" offre le visioni - tutte americane - dei grandi spazi,
trasferendoli nell'immaginario dell'ascoltatore grazie al sapiente impasto
tra il suono metallico dello slide che scivola sul dobro ed il narrante
finger picking della chitarra. Anche qui, ottima l'armonica di Stefano
Giacon. "Mistery Train" è uno di quei "tormentoni" con i quali, prima o poi,
tutti abbiamo dovuto fare i conti... Gagliarda la versione che "i nostri" ci
propongono. Il traditional "Bronswille Blues" anticipa una personale rilettura
di "Done Somebody Wrong" di Elmore James, arricchita dalle percussioni di
Davide Speranza. "Wheep And Moan Blues" di M. Bartilucci (autore di tutte le
composizioni della band) è uno dei momenti migliori dell'intero lavoro: il
brano è di quelli che ti... ritornano in mente. Gran finale quindi con un
bell'arrangiamento della famosa "Aberdeen Mississippi Blues" di Bukka White.
"Hobe Ramblin'" è un disco che si scopre sempre più accattivante, ascolto dopo
ascolto, e conferma l'amore incondizionato dei Baton Rouge per il grande
Blues delle origini.
Meritevoli di segnalazione le suggestive illustrazioni di copertina curate
dal pittore Giorgio Aquilecchia, sovente protagonista, assieme alla band, di
esibizioni di action painting.
Gai
Bennici Band:
In Concert (DVD)
Agrigento è l'estremo lembo d'Italia, quello che della costa siciliana
guarda all'Africa attraverso il Mare Nostrum. Fu uno dei luoghi più illustri
della Magna Grecia ed i suoi fasti rimangono, sopravvissuti ai millenni,
nella meravigliosa Valle dei templi. In quest'angolo di mondo colmo di
storia è nato e si è sviluppato il talento di Gai Bennici, uno dei più abili
chitarristi italiani.
Il musicista muove i primi passi sul finire degli anni ottanta con la
passione per il Blues nel sangue e la caparbia volontà di conoscere i
segreti dei suoi miti, da Hendrix a SR Vaughan. Il suo stile, nel tempo,
matura sempre più ed il palcoscenico diventa l'habitat naturale nel quale
può dare sfogo all'istinto più recondito. Luoghi comuni a parte, Gai è una
persona adorabile nella vita di tutti i giorni - tutto casa e chitarra - ma
conserva la "rabbia" per i momenti in cui chiude gli occhi e fa viaggiare le
dita, come in una sorta di trance, sulla tastiera dell'inseparabile
Telecaster rossa.
Dopo due esperienze discografiche: "Room 209" ('98) e "Feel You So" ('01),
viene notato dall'etichetta Crotalo che inserisce un suo brano, "Texas Dust",
nella compilation "Sounds Good". Avendo partecipato a tutti i festival
siciliani, è entrato in contatto con grandi interpreti della black music che
hanno contribuito, non poco, alla sua crescita professionale.
Per colmare un gap costituito dalla difficoltà nel proporre i suoi show in
ambito extraisolano (per motivi del tutto personali), Gai Bennici ha
realizzato il DVD "In Concert". Il filmato riprende un concerto tenuto nel
2005 a S. Filippo del Mela (ridente località in provincia di Messina) e
restituisce intatto, grazie alla sapiente regia di Antonio Saporita, il
feeling che pervade le sue performances. 10 brani suonati tutti d'un fiato
con il sostegno degli ottimi quanto inseparabili Blue Roosters: Alberto
Parla al basso e Angelo Spataro alla batteria. I classici "Messin' With The
Kid", "Peter Gunn", "Mean Old Frisco" e "Hoochie Koochie Man", vengono
abilmente miscelati a composizioni originali di ottimo livello sulle quali
svetta la sognante "Sweet Love".
Il DVD è distribuito dallo stesso Bennici attraverso il sito
www.gaibenniciband.com.
BlueSpecial: Liuzzi, Palmisano, Speciale
Corrieri Cosmici
Arriva
dall'Africa Il vento che soffia da Sud: è lo stesso Scirocco del deserto che
ha alimentato la vita dei padri dei padri del Blues. Se c'è un posto più
"vicino" al Delta, questo è il Mediterraneo con il suo intenso profumo di
sale ed i riverberi accecanti del sole. Da una delle propaggini che guardano
più da vicino al Continente Nero, la bellissima Puglia, arriva il Blues del
trio Liuzzi, Palmisano, Speciale. I tre musicisti costituiscono il nucleo
storico della Complanare Blues Band, formazione abbondantemente nota nel
panorama bluesistico meridionale e già protagonista del CD "Fatto Di Blues".
L'animatore è da identificarsi nella persona dell'armonicista e cantante
Martino Palmisano, personaggio molto conosciuto in tutt'Italia per il suo
sincero ed ostinato spirito mecenatistico: un autentico punto di riferimento
per l'intero movimento Blues pugliese. Notevoli le sue doti di "imbonitore
di folle". La voce calda e profonda, l'armonica tagliente ed una forte
personalità, ne fanno un frontman di razza. Ricordo ancora la sua esibizione
al festival di Caserta (nel 2004) quando improvvisò un monologo su Robert
Johnson, esilarante e profondo al tempo stesso, riuscendo a coinvolgere il
pubblico con il carisma di un predicatore battista. Cristina Liuzzi e Franco
Speciale sono una famiglia di bluesmen: vocalist lei, chitarrista lui.
Cristina è dotata di una voce molto personale, dalle tinte scure, che non
ammicca all'emulazione delle rabbiose voci nere (con il rischio di ottenere
risultati spesso infelici, come accade a molte sue colleghe) riuscendo così
ad esprimere una dimensione propria. Franco è un ottimo chitarrista ed il
suo fraseggio, proprio di scuola jazzistica, è testimone dei lunghi
trascorsi in quel campo.
BlueSpecial è una parentesi che i nostri aprono sui temi più cari: una
miscela di suoni acustici ed elettrici. Si inizia con due omaggi ai
progenitori della musica del Diavolo: "Come On My Kitchen" di R. Johnson,
eseguita con ossequiosa fedeltà, e la rurale "Pick A Bale O' Cotton" di
Leadbelly. La penna di Palmisano apre la lunga serie di originals presenti
nel CD con un Blues in "volgare" (di scuola Blue Stuff) dal titolo "Disoccupation
Blues" che si lega coerentemente alle altre sue composizioni: "Ciò Lo
Stress" e "Black Bloc Blues". " 'Notte" è invece una delicata ninna nanna
per armonica. Il duo Liuzzi-Speciale è protagonista di alcuni titoli di
ottimo spessore: "Special Thanks" è cantata "a cappella" da Cristina; "After
Sex" è un blues molto raffinato; in "Don't Blame It On The Blues" Martino
"acchiappa" il Green Bullet e, qua e la, fa capolino un delizioso Hammond. "Bye
Django" è uno strumentale scritto da Franco Speciale che mette in risalto le
sue capacità di swinger. Completano il lavoro "Woke Up This Morning" di B.B.
King ed una personale rilettura di "Summertime" di Gershwin.
In definitiva, BlueSpecial è un disco maturo e, soprattutto, consapevole del
"rispetto" che il Blues richiede. Ascoltare per credere!
Carpe
Diem: Naked Moods
Healing Machine
Si
apre all'insegna della 'coerenza intellettuale' il CD Naked Moods dei
Carpe Diem, formazione italiana che vive ed opera a Caserta, in quel Sud da
sempre culla di chiari talenti. La risata prolungata, ancorché succulenta,
che 'accoglie' l'ascoltatore sulle soglie del CD è infatti uno dei simboli
del carpe diem di latina saggezza, ovvero del vivere senza affannarsi in
estenuanti (piuttosto che improbabili) rincorse, senza troppi problemi da
dover affrontare e con la sacra voglia di gustarsi la quotidianità
acquisendone il meglio. Una filosofia di vita propria del Blues che i Carpe
Diem sposano per confezionare un dono da offrire al diavolo in persona.
Naked Moods è - senza ricorrere a superflui preamboli - un ottimo CD che
si fa apprezzare per il buon sapore 'casereccio' (che al giorno d'oggi va
purtroppo scomparendo...) e per una dialettica forbita che manifesta una
chiara conoscenza del genere (fatto questo che, paradossalmente, non è
sempre ritenuto indispensabile da troppi 'musicisti' nostrani e non...).
Le registrazioni sono state effettuate in proprio e con l'ausilio di mezzi
non proprio da 'Columbia Records' ma costituiscono uno dei punti di forza
della loro musica. Il Blues difatti (passatemi la presunzione) non necessita
di effetti speciali ma di tanta, tanta, competenza e gusto. Swing, shuffle,
boogie, si rincorrono in Naked Moods senza mai intralciarsi l'un l'altro,
dando luogo ad una miscela molto ben amalgamata che definisce appieno il
carattere del gruppo. Tra le dieci tracce presenti - 7 originali e 3 covers
- ho scelto la divertente "I Don't Mind" come emblematico saggio di un
lavoro che riesce nell'evidente intento di restituire al Blues gli attributi
originali di musica senza tempo né confini.
Dago Red:
Folk'n Blues Memories And Others Tales
Se
avete voglia di acustico o siete, più in generale, amanti delle cose 'sincere',
questo disco fa per voi. I Dago Red professano la religione degli hoboes,
dei cantastorie bianchi e neri dal vissuto fosco e crepuscolare.
C'è competenza e gusto a volontà tra le tracce di Folk'n Blues Memories
And Other Tales, un CD registrato in presa diretta con l'ausilio di soli
tre microfoni equamente distribuiti all'interno di un combo di plettri,
pronto ad evocare - ridando loro vita - gli spiriti di personaggi leggendari
come Robert Johnson, Blind Lemon Jefferson, Woodie Guthrie. Chitarre, dobro,
banjo, contrabbasso ed armonica, diligentemente annaffiati con del sano
'rosso' (come il riferimento bacchiano nel nome del gruppo lascia
trapelare), vengono amalgamati con sapienza lasciando alla voce lo spazio
della narrazione, come nella più autentica tradizione folk. Non c'è sfoggio
di solismi ed il sound risulta magicamente limpido nella sua sintesi. I Dago
Red si esibiscono anche nei contesti riservati ai buskers, confermando
quindi una naturale propensione verso il teatro stabile della vita
quotidiana: la strada. La band nasce nei dintorni di Chieti nel '98
iscrivendo, in un arco di tempo abbastanza breve, il proprio nome ad un buon
numero di manifestazioni di vario genere. Dopo averli ascoltati risulta però
facile intuire che l'esperienza e la cultura storica dei singoli musicisti è
ben antecedente alla data di costituzione della band. In Folk'n Blues
Memories And Other Tales hanno riallacciato il filo che unisce il
reverendo Gary Davis a J.J. Cale mostrando, attraverso un percorso
sociologico-musicale lungo diversi decenni, origini ed intenti comuni a
diverse generazioni di menestrelli. Sono dieci i brani proposti. Si passa
dall'iniziale "What's For", composizione originale di Giuseppe Mascitelli, a
"32-20 Blues" e "Love In Vain" di Robert Johnson; "I Ain't Got No Home" di
Woody Guthrie; "Call Me The Breeze" di J.J. Cale. Vorrei segnalare ancora
una versione molto vibrante del traditional "Railroad Worksong" ed il
coinvolgente blues "Snapshot", firmato da Marco Pellegrini, che chiude il
CD. Folk'n Blues Memories And Other Tales supera a pieni voti il duro
"test di genuinità" guadagnandosi una posizione di rilievo nella produzione
acustica italiana dell'ultimo periodo. Menzione a parte per le belle
illustrazioni "ferroviarie" del fumettista Beppe Barbati che, avvalendosi
dei simboli propri della cultura 'on the road', riesce ad entrare nel lavoro
catturandone l'essenza.
Four
Fried Fish & Flyin' Horns: Catfish For Breakfast
Flamiano
Mazzaron e Fabio Ranghiero, animatori della band veneta Four Fried Fish,
hanno atteso circa un quarto di secolo prima di approdare alla fatidica
decisione di depositare la propria musica per i posteri riproducendola sul
recente CD "Catfish For Breakfast". Un lavoro ben ragionato che non ha certo
le caratteristiche del disco voluto sulla scia dell'entusiasmo, molto in
voga tra le band di primo pelo per la semplicità di realizzazione, ma che,
il più delle volte, è destinato a divenire un oggetto nel quale non ci si
riconoscerà in futuro.
Maturi e consapevoli, i Four Fried Fish ci propongono una serie di loro
composizioni che musicalmente si collocano su quella labile linea di confine
che passa tra il Jazz ed il Funky/Blues, popolata da una nutrita schiera di
illustri maestri sia neri che bianchi.
Supportati dai Flyin' Horns, i "quattro pesci fritti" non lesinano di certo
arrangiamenti abbastanza elaborati che nulla tolgono però all'immediata e
gradevole fruizione del sound nella sua totalità.
"Catifish For Breakfast" è composto da dieci tracce tra le quali si scorgono
soltanto due cover: un omaggio a Muddy Waters, grazie alla personale
rilettura della classica "Rolling Stones", e "Three Cool Cats" a firma del
mitico duo del rock'n'roll Leiber-Stoller. Il resto è frutto
dell'ispirazione dei succitati Flamiano Mazzaron (chitarra e voce) e Fabio
Ranghiero (tastiere).
"So Long", brano d'apertura, è un blues dalla ritmica dolcemente funky al
quale piano e fiati conferiscono uno squisito jazz feel. Il pezzo è
impreziosito dall'armonica dell'ottimo Marco Pandolfi, guest presente in
diversi momenti del CD. "Homeway Blues" è un gustoso swing che rievoca le
big band ed i grandi crooners dei '40. Lo stile chitarristico nello
strumentale "Blues For Mr. G", assieme all'inusuale presenza del flauto, ci
portano verso territori decisamente jazz. Si torna al Blues con "Rolling
Stones" di Muddy, con l'armonica di Pandolfi che si fa ancora notare. Il
funky/jazz di "Making Love" anticipa il coinvolgente slow blues "Honey And
Bread". H5N1 (tristemente noto come il ceppo letale del virus dell'aviaria,
ndr.) è un cool jazz strumentale nel quale il sax la fa da padrone come
nella migliore tradizione. "Three Cool Cats" è, come segnalato all'inizio,
un brano di Leiber e Stoller portato al successo dai Coasters nel 1958 e qui
riproposto dalla bella voce di Tiziana Guerra. Il blues tradizionale di "Monkey
Blues" (la chitarra pare rendere un particolare omaggio a B.B. King) prelude
alla finale "Maybe A Man", una ballad tutta americana, di quelle destinate a
rimanere in mente.
"Catfish For Breakfast" è, in definitiva, un bel lavoro, molto articolato,
che riunisce le esperienze dei musicisti in una sorta di intrigante
compilation delle passioni.
Gabriel
Delta & Hurricanes: I Need Your
Love
Blue Highway
Sull'universalità
del Blues non v'è dubbio. Il suo idioma ed i presupposti da cui nasce e
trova alimento, lo rendono assolutamente "compatibile" con tutte le
culture. Non stupisca, pertanto, che nella lontana Argentina, terra di
tango e peones, sia nato e cresciuto il Blues di Gabriel Delta. Certo, fa
un certo effetto sentir cantare in spagnolo sul ritmo delle dodici
battute, ma lo stesso avviene, tranne che in rare eccezioni, con qualunque
altra lingua diversa dall'inglese. Detto ciò, bisogna anche affermare che
Gabriel Delta è un fior di chitarrista che padroneggia molto bene i vari
stili. Nato a Buenos Aires da famiglia di origine italiana, studia sin da
bambino la chitarra con particolare attenzione per il Blues ed i suoi
derivati. Diviene così uno dei maggiori interpreti argentini della musica
afroamericana. Percorre in lungo ed in largo il grande paese
latinoamericano con il fratello batterista Fernando "Conejo" e la
band di allora, Los Delta Blues. Ed è li che, dal 1995 al 2001, produce
cinque dischi per altrettante etichette.
E' del 2001 la sua partecipazione al festival di Chicago, ovvero l'evento
più ambito nella carriera di qualunque bluesman! Nel 2003 arriva in Italia
e dà origine al trio Gabriel Delta & Hurricanes, con l'inseparabile
fratello Fernando e con il bassista Ugo Bruschi (già con Chichen Mambo e
Little Red and The Roosters). Una lunga sequela di concerti in pubs e
festival fanno si che Gabriel desti l'interesse dell'etichetta piemontese
Blue Highway che, ben presto, gli produce il nuovo lavoro I Need Your
Love.
Le undici tracce presenti sul CD sono tutte composizioni originali firmate
dallo stesso Delta. "Para Que", brano d'apertura, è un classico rock blues
che ha nello spagnolo il proprio esotismo. Segue "One A Big Man", un
Chicago shuffle che esalta le qualità strumentali di mr. Delta. Si passa
quindi a "Mas De una Noche", uno slow alla B.B. King sostenuto dal feeling
chitarristico del leader e dalla dinamica sezione ritmica. "Taxi" è un
motivo che inizia alla New Orleans per trasformarsi in un trascinante
swing. E' quindi il momento della title track, "I Need Your Love", un
brano dal fascinoso sapore jazzy che prelude al funky drive di "I'll
Always Play The Bues". Il suono del Sud di "Only With My Soul",
caratterizzato dal metallico sapore di slide, costituisce -a mio parere -
il momento più alto dell'intero lavoro. Nella texana "Solo" è facile
intravedere l'anima di Albert Collins e di tanti suoi conterranei. Ma è
ancora il jazz a far capolino tra le note di "Analia", brano arricchito
dal piano di Vinicio Crivelletto. "Dos Copas" è un gradevole rock blues ed
anticipa il gran finale affidato alla robusta strumentale "Hurricanes
Stomp".
I Need Your Love non concorrerà probabilmente ai "W.C. Handy Awards"
ma è, senza dubbio, un lavoro ben fatto e costituisce una valida
testimonianza circa la bontà del Blues extrastatunitense.
Gabriel
Delta & Hurricanes:
Roots
Crotalo Edizioni Musicali
A
più o meno di un anno da "I Need Your Love", Gabriel Delta torna in studio
per confezionare il nuovo CD, questa volta in Italia, per l'etichetta
Crotalo. L'operazione presenta dei
contenuti che vanno ben oltre il fatto musicale in se. "Roots" è
dedicato agli indigeni argentini, intere popolazioni che versano nel grave
(e maledettamente reale) rischio di estinzione. L'evoluzione non contempla
infatti il rispetto per le piccole comunità, per le loro tradizioni, né
per la vita stessa degli uomini; si infiltra stritolando
tutto
come un rullo compressore appiattendo ed amalgamando secondo i canoni
della "globalizzazione".
Mi piace citare le parole con le
quali Gabriel presenta il disco: "Roots nasce con l'idea di arrivare al
concetto di 'essenza delle cose'. Esso vuole rappresentare il modo più
semplice e diretto possibile di fare musica, così come l'uomo deve tornare
alle sue radici spirituali e al contatto con la natura".
Il rapporto con il Blues è, questa volta, più profondo ed il legame
culturale con la musica del Mississippi risulta essere del tutto
coincidente, come chiaramente evidenziato nel titolo.
I suoni di "Roots" attingono al Blues tradizionale.
Tutti i brani presenti sul disco (tranne due) sono standard tra i più
noti. Apre un'intensa ed acustica versione di "The Red Rooster" di W. Dixon,
segnata dal suono metallico del dobro, che fa il paio con la successiva "I Can't Be Satisfied"
di Muddy. In "Kansas City" (Leiber-Stoller) si passa
all'elettrico, anche se gustoso e "moderato", con un chiaro riferimento ad
Elmore James. "Hard Times" di Ray Charles è rappresentata con
raffinati tratti jazzy: notevole l'incedere della chitarra acustica che
ben si lega alla voce tarata sulle "giuste frequenze". Bella la versione
acustica di "Stormy Monday", finalmente personale (T-Bone ne sarebbe
lieto),
con la 12 corde alla Big Joe Williams. Anche la nota "Pride
and Joy" di S.R. Vaughan è integralmente rivisitata con ottimi
risultati. Da segnalare una rockeggiante "You Got Me Running" (o, se
preferite, "Baby, What You Want Me To Do?") di Jimmy Reed che chiude il
CD. Menzione particolare per i due originals firmati Fernando Trombetta: "Sun"
è uno strumentale a base di slide, riflessivo ed intimista; più
tradizionale ma altrettanto accattivante "Only With My Soul".
"Roots" è la testimonianza di come sia possibile ridare vita ed interesse
a brani arcinoti filtrandoli attraverso il sentimento ed il proprio stile.
Un esempio per tante giovani blues band.
Il ricavato delle vendite del disco verrà in gran parte devoluto alla
"Associazione della Gioventù Indigena Argentina" con la quale lo stesso
Gabriel Delta collabora.
Guitar
Ray & The Gamblers: Poormen Blues
Cami Zack Music
Il Blues italiano
conferma di vivere un momento davvero speciale. Anche il 2008 si apre
all'insegna di nuove produzioni che testimoniano l'elevata qualità dei
nostri musicisti, sempre più apprezzati da blasonati artisti d'oltreoceano e
d'oltremanica che contribuiscono - non poco - a sdoganare lo spaghetti
blues. Guitar Ray & The Gamblers, formazione ligure dai lunghi trascorsi, si
avvale delle composizioni e della produzione del famoso chitarrista inglese
Otis Grand nel nuovissimo CD "Poorman Blues".
L'avventura tra la band e mr. Grand (già avviata nel precedente lavoro "New
Sensation") ha, in realtà, origini più lontane. Henry Carpaneto, tasterista
dei Gamblers, ha fatto parte della Otis Grand big blues band per qualche
anno, e spesso anche il resto del gruppo ha accompagnato il chitarrista sul
palco. Ma le collaborazioni sono tante ed illustri: Jerry Portnoy, Sonny
Rhodes, Jumping Johnny Sansone, Keyth Dunn, Fabio Treves e Paolo Bonfanti.
Il chitarrista e vocalist Guitar Ray (aka Renato Scognamiglio) si è formato
con i grandi chitarristi elettrici, difatti (come per la maggior parte dei
suoi colleghi) i suoi riferimenti artistici sono: i tre King (B.B., Albert e
Freddie), T-Bone Walker, Albert Collins, Magic Sam. Con personalità, Ray
conduce la band ben coadiuvato dal bravo tastierista Henry Carpaneto
(nominato agli European Blues Awards del 2005 per la categoria Best Blues
Piano player) e dalla solida e quadrata sezione ritmica affidata a Gabby
Dellepiane al basso e Marc Fiulano alla batteria. Il suono complessivo
risulta essere ben strutturato, libero da superflue forzature compositive e
strumentali. Manny Carozzo al sax e Syl Cafaro alla tromba arricchiscono e
completano il sound sia negli r'n'b che nei gustosi momenti jazzy.
"Poormen Blues" può apparire, ad un ascolto distratto, un buon disco al
quale però mancano quei momenti di, cosiddetto, primo impatto. Solo dopo un
attento passaggio nel lettore si svelano le doti dei singoli ed il raffinato
groove. Guitar Ray & The Gamblers esplorano, assaggiando qua e la in punta
di palato, ciò che di meglio il menù del Blues propone, supportati dalla
onnipresenza di Otis Grand (che figura nel CD anche nelle vesti di
arrangiatore).
8 dei 12 brani che compongono il disco sono a firma di Grand. Tra tutti,
vorrei segnalarvi la ballad strumentale "Everything Is Gonna Be Alright",
con tanto di lap steel alla David Lindley, ed il rock'n'roll "Shoulda Had
Some More" con il piano in bella evidenza. Merita, infine, una menzione
speciale la coinvolgente cover di "One Track Lover" di Jimmy McCracklin.
The Joe
Caruso Band: I Feel My Soul Free
Ideasuoni Edizioni
Musicali
Affermare
che Joe Caruso sia un appassionato di Blues potrebbe "suonare" banalmente
comune a tutti coloro che percorrono le strade che dal Delta si diramano
verso l'intero pianeta. La sua è - in verità - una passione speciale,
vissuta con modestia (suo grande punto di forza) ed al contempo ricca di un
profondo impegno intellettuale che spinge il musicista ad interrogarsi sul
significato più vero del Blues e sulle sue proprietà catartiche. E'
trascorso oltre un decennio dalla sua costituzione (avvenuta nel '90) prima
che La Joe Caruso Band entrasse in sala di registrazione; un lungo periodo
di operatività live che ha modellato il carattere del CD I Feel My Soul
Free. Un disco maturo che definisce appieno la personalità del leader e
dei compagni d'avventura. Risulta abbastanza evidente, scrutando i titoli
presenti in scaletta, la devozione verso i sovrani B.B., Albert e Freddie
King, e nei confronti degli artisti della West side di Chicago in generale.
Il CD è composto da quattro originals e da sei cover scelte tra i motivi più
popolari. Un terreno minato che apre un confronto diretto non solo con gli
interpreti originali, ma anche sul fronte della quasi totalità delle blues
band che con questi pezzi costituiscono, da decenni, il proprio repertorio.
Pur non allontanandosi dallo spirito originario dei brani, Joe Caruso
dimostra di possedere la padronanza tecnica (bravo sia come chitarrista che
come vocalist) e quella dose di buon gusto che gli consentono di non cadere
nel tranello del confronto, allestendo arrangiamenti davvero gradevoli.
Bella la versione di "Messin With The Kid" nella quale chitarra ed Hammond
dirigono il drive, così come particolarmente intriganti risultano essere
"The Thrill Is Gone" e "Woke Up This Morning", tratte dal repertorio di B.B.;
"I Got That Feeling", del mai dimenticato Albert Collins; "The Sky Is Cryin'"
ed "Help Me" (nella quale è possibile apprezzare il solo di chitarra
dell'ospite Maurizio Piccinino), rispettivamente di Elmore James e Sonny Boy
Williamson II . Sono però le composizioni originali la parte più ghiotta del
CD. Trascinante l'iniziale "I Feel My soul Free", con il duo
Caruso-Angelozzi in evidenza su un tempo r'n'b che ricorda i temi cari alla
Stax di Memphis arricchito com'è, nel finale gospel, dalla splendida voce di
Morgana Blues (guest di assoluta efficacia). P.M. Blues si snoda seguendo un
ritmo rock blues proprio dei chitarristi del nuovo corso come Robert Cray e
Joe Louis Walker. "Nonna Lucia" è un sognante strumentale in stile Louisiana
nel quale Joe riesce a restituire intatto il fascino dei ritmi creoli della
Crescent City. Chiude il lavoro "Blues For Joe", un brano firmato del
bassista Walter Monini che esalta le doti dei musicisti, qui alle prese con
un rock blues serrato che lascia nell'ascoltatore una piacevole sensazione
di... "appagamento". I Feel My Soul Free è - senza alcun dubbio da
parte di chi scrive - un lavoro ben fatto ancorché pregevole in quanto a
genuinità.
Joe
Caruso: Pattin' Juba
Crotalo Edizioni
Musicali
A poco più
di un anno dal CD d'esordio "I Feel My Soul Free", Joe Caruso ritorna in sala di registrazione per realizzare il
nuovissimo Pattin' Juba. Un disco nel quale il cantante/chitarrista
rivoluziona la sua band proponendo un trio con Pippo Matino al basso
(artista in possesso di un curriculum molto ricco) e Claudio Romano alla
batteria. Una novità che si rivela determinante nei suoni, qui orientati
verso un blues più marcato che si snoda dinamico e fluido grazie alla
bravura dei singoli ed alla voce potente e roca del leader. Gli spazi a
disposizione sono tanti e contribuiscono ad esaltare le qualità individuali.
Appare evidente che si trovino perfettamente a loro agio nella tipica (ed
impegnativa) formazione chitarra-basso-batteria, da sempre brodo di coltura
di strumentisti capaci.
Sono nove i brani presenti su Pattin' Juba per un totale di 51 minuti di
musica. Il CD si apre con una versione assai personale del classico dei
classici, quella "Cross Road Blues" di R. Johnson della quale Joe esegue una
rilettura cruda, graffiante, con un'interpretazione vocale particolarmente
ispirata. Segue un altro standard, "The Sky Is Cring", in cui sono la
chitarra ed il basso a farla da padroni: Joe sfiora la sua Gibson con
passionalità, quasi fosse un'amante, e Pippo Matino ci da un saggio delle
sue proprietà tecniche con un assolo pregevole. "The Rock" è il primo
original che incontriamo durante il nostro ascolto, un motivo firmato da Joe
Caruso. Il sound è qui orientato verso atmosfere funky jazz molto gradevoli:
uno dei momenti migliori dell'intero CD. E' il momento quindi per un brano
di Lowel Fulson, "Honey Hush!", che prelude ad una originale "Caldonia"
condotta su un Chicago shuffle che le personalizza notevolmente: "super"!
C'è poi "Messin' With The Kid" (brano al quale Joe pare particolarmente
affezionato avendolo già proposto, in una versione diversa, sul primo CD) e,
a seguire, una "Got My Mojo Workin'" condotta da una ritmica r'n'b che le
conferisce un drive davvero interessante! "Blues For Joe" è un brano di
Pippo Matino per basso solo. Un bel pezzo, suonato con sentimento, che però
mi risulta di difficile collocazione nel contesto generale (certamente
inusuale per un disco di Blues). Pattin' Juba si chiude con "Every Day I
Have The Blues", anche questa bella tosta e "saltellante".
In definitiva, ritengo che Pattin' Juba sia un momento importante nella
produzione di Joe Caruso. Sarà questa la strada che percorrerà d'ora in
avanti o ci riserverà altre sorprese? Nell'attesa che sia lo stesso Joe a
darci una risposta in futuro, godiamoci questo lavoro.
Joe
Galullo and the Blues Messengers: The Blues Is Back!
Blue
Melody
The
Blues Is Back segna
il ritorno di Joe Galullo in sala di registrazione. Musicista lombardo,
divenuto cittadino del mondo nel corso degli anni, Joe è l'esempio
dell'artista vero che ha dato un'impronta precisa a tutta la sua vita
rendendola scevra dalle becere "regole" borghesi. E' cresciuto tra
Amsterdam, Londra e Bologna; ha suonato nei metrò, nel corso degli anni
sessanta, "facendosi le ossa" sulla strada. La sua storia è quella di un
uomo che, seguendo l'istinto, ha trovato nel Blues l'espressione più consona
per manifestare la propria essenza. Definirlo chitarrista, nonostante sia un
vero virtuoso della sei corde, mi pare riduttivo; la sua voce è altrettanto
"importante" e concorre, in egual misura, a definirne la caratura artistica.
The Blues Is Back (CD prodotto dalla Blue Melody, etichetta fondata
dallo stesso Galullo) si apre con "I Feel I've Got The Blues", uno shuffle
nel quale chitarra ed organo conducono il drive come nella migliore
tradizione del blues elettrico. Si passa quindi allo slow in minore "I'm So
Down", con la chitarra fiammeggiante e di notevole impatto (a me ricorda
quel grande e sfortunato musicista che è stato Roy Buchanan) in risposta
alla voce "vissuta" e pregna di feeling: uno dei momenti più intensi
dell'intero disco. Il rock blues di "Down On The Road" ci riporta con i
piedi per terra, giusto per battere il tempo! Ancora uno slow, "The Lord Of
Blues Is Gone", anticipa la divertente "Whisky And Woman", un motivo dal
sapore seventies, di quelli destinati ad accendere l'ottimismo
nell'ascoltatore. Si vola in Louisiana con "Daw In New Orleans", un motivo
che si rifà alla celebre "Got My Mojo Workin'" di watersiana memoria. "Hard
Times" è una canzone di Ray Charles (unica cover presente sul CD) restituita
intatta nel fascino originale ed impreziosita da una chitarra piena di
sentimento. "Sweet Pretty Baby" è un West Coast blues dal marcato sapore
swing (alla "Flip, Flop And Fly", per intenderci): ottimo il piano di
Alessio Raffaelli. In "Slow Slide Blues" il suono si fa più "arrugginito",
su un tempo alla Jimmy Reed. Con la divertente "Kukurukuku" (nella quale Joe
Galullo inforca l'acustica) si chiude in bellezza il ritorno al Blues di un
grande musicista. Il valore complessivo del disco è davvero eccellente per
contenuti e qualità. I Blues Messengers viaggiano come un treno ed i suoni
appaiono ottimamente calibrati. In un momento così poco brillante per il
blues americano, The Blues Is Back si colloca su livelli di valore
assoluto, tanto da renderne auspicabile la distribuzione oltre oceano.
Billy
Jones: Prime Suspect For The Blues
Ciborg-Blue
Recording Co.
Billy
Jones mi ha contattato qualche tempo fa proponendomi la recensione del CD
che trattiamo in questa sede. Confesso che non conoscevo nulla sul suo conto
ma, da un primo ascolto dei samples presenti sul suo sito, non è stato
difficile scoprire un artista molto particolare. Assieme a Prime Suspect
For The Blues, Billy mi ha inviato un CD contenente spezzoni di
spettacoli (concerti in clubs, interviste ed apparizioni televisive). Se il
disco riferisce chiaramente della cifra stilistica del Nostro, vederlo
all'opera è parecchio più esplicativo. Assolutamente divertente ed
aggressivo al tempo stesso, Billy Jones è cantante, chitarrista e showman di
grossa levatura e consumata esperienza. Il suo è un sound a base di funky,
soul, rap, blues e r'n'b, proposto senza soluzione di continuità ed elusivo
verso qualunque catalogazione. Musicista da sempre, ha militato in passato
con Little Johnny Taylor, Vernon Garret, Calvin Levy; ha condiviso il set
con Denice La Salle, Willie Clayton, i Bar Kays, e tanti altri. Ha operato
per qualche tempo nella Beale Street, a Memphis, entrando in contatto con
B.B. King e Rufus Thomas. La sua musica è trascinante e dal 'dance feel'
irresistibile. Non è un caso che Billy si avvalga anche di una tastiera
dalla quale tira fuori rumori, fischi, piccole deflagrazioni... Anche la
voce è, a volte, distorta elettronicamente. Tutto ciò che fa spettacolo è
proprietà naturale di Billy Jones che si muove tra forsennati r'n'b e larghi
slow blues con una fluidità unica, catturando lo spettatore che
difficilmente riesce a star fermo assistendo ai suoi show. Prime Suspect
For The Blues è tutto ciò: una sintesi perfetta del verbo musicale del
cantante e chitarrista americano. Non è stato facile selezionare un brano
tra le 15 tracce (tra le quali non esistono momenti di flessione). Ho scelto
la cover di "Don't Answer The Door", tratta dal repertorio di B.B. King, un
blues classico dal quale riusciamo ad evincere le grosse capacità artistiche
di cui è dotato.
Billy Jones è, in definitiva, tra i migliori artisti del nuovo Blues
underground; un salutare ricambio che sottopongo alla particolare attenzione
dei promoters italiani.
Lou and
the Blues: Mexicali Blues
P.L.F. Production
L'aria
Tex-Mex che sembra volersi insinuare sia dal titolo che dalla copertina di
questo CD non inganni alcuno sul suo reale contenuto, sarebbe un limite per
Daniele "Lou" Leonardi protagonista ed ideatore dell'ottimo Mexicali
Blues. Il poco più che ventenne chitarrista senese, qui alle prese con
il secondo lavoro della band Lou and the Blues, ha orizzonti ben più ampi
del classico Chicago style o del Delta sound, sembrando in realtà più
avvezzo a suoni frizzanti ed 'aperti' costruiti su un tappeto steso da
chitarre, tastiere e cori. Seppur giovanissimo, Lou ha già maturato
esperienze ben consistenti, sufficienti a garantirgli un'ottima proprietà di
linguaggio che non stenta a manifestare in modo più che convincente pescando
da Jimmy Smith e Wilson Picket a S.R. Vaughan ed Albert Collins, oltre che
da un certo cool di marca yankee. L'iniziale "Mexicali Blues" è il brano
d'impatto, di quelli in grado di fornire la giusta propulsione all'intero
lavoro. Il richiamo a Stevie Ray è tanto evidente quanto garbato. Con "3
Nights And 3 Days" (un accenno, anche se solo nel titolo, alla watersiana "Forty
Days and Forty Nights") Chicago fa capolino su un'impronta di shuffle che
richiama alla memoria il Buddy Guy più ispirato. "I Want Let You Dawn" si
gioca su atmosfere notturne. La voce di Alice Bardini fornisce un imprinting
decisamente jazz che piano, hammond e chitarra, sostengono a turno con
appassionata complicità. Il rock più ruvido è presente in brani come "Love
Fever" e "Start Of Something Good", anche se i toni rimangono piacevolmente
'moderati'. "Honey Smhoney" si snoda attraverso un ritmo a la New Orleans
con l'hammod in ottima evidenza. "I Ain't Gonna Let You Breack My Heart
Again" (famoso hit di Bonnie Raitt) è una bellissima canzone per voce
(eccellente) e pianoforte e fa il paio (chitarra acustica qui in
sostituzione del piano) con "Let Him Fly" di Patty Griffin. Bravo e maturo,
Lou sa circondarsi di musicisti in grado di esaudire gli escursus stilistici
da lui stesso proposti. Citazioni particolari per Alice Bardini, vocalist
sinuosa anche se poco incline a 'ruggire' sui Blues più serrati, e per
Matteo Abbado, onnipresente e discreto al tempo stesso ma abile a mettersi
in evidenza quando il brano lo richiede.
Ritengo Mexicali Blues un lavoro maturo, professionale e sinceramente
godibile, già in grado di anticipare un futuro brillante per Lou and the
Blues.
Melody
Makers: Melody Makers
Solo Musica
La
storia dei Melody Makers è abbastanza recente anche se il percorso artistico
di Attilio Gili ed Emanuele Fizzotti parte da molto lontano. Quello di
Attilio ha inizio in pieni anni sessanta con un gruppo chiamato UH, di cui è
stato il basso e la voce solista. Erano gli albori; il 45 giri era il
supporto più diffuso (primo vero simbolo del nascente consumismo musicale) e
Pippo Baudo, con il programma televisivo Settevoci, costituiva uno dei pochi
trampolini di lancio per giovani artisti. All'epoca si 'sfondava' con
riproposizioni in italiano di celebri brani americani ed inglesi, di quel
rock nascente che stava dilagando anche nel nostro paese. Era l'epoca dell'
r'n'b ed anche gli UH carpivano l'ispirazione da Otis Redding e James Brown
oltre che da stelle del rock'n'roll come Elvis e Jerry Lee Lewis. Anche il
blues però esercitava il suo fascino grazie alle gesta di John Mayall e
Peter Green (emuli a loro volta del tipico suono del Delta elettrificato da
Muddy e Sonny Boy). Relativamente più recente la storia di Emanuele Fizzotti,
già chitarrista con la Treves Blues Band e Cristiano De Andrè. Il musicista
è un vero talento dello strumento ed i suoi studi presso il Guitar Institute
Of Technology di Los Angeles (dove ha conseguito il diploma), oltre che gli
stage con artisti del calibro di Scott Henderson e Joe Diorio, ne sono
chiara testimonianza. Emanuele ed Attilio hanno incrociato il loro cammino
fondando gli Zip Fastners. Con questa formazione hanno partecipato a Sanremo
Blues '91 riscoprendo l'amore comune per la musica del diavolo. Solo
recentemente, con i Melody Makers la struttura ha assunto quei connotati
presenti sul nuovo CD che, come accade sovente nelle opere prime, si chiama
come la band. Diciamo subito che il lavoro è suonato e registrato
magistralmente, ricco com'è di arrangiamenti che vanno dall'r'n'b sostenuto
da Hammond e fiati a momenti stringati, in stile Delta, con Dobro e voce.
C'è inoltre autentico swing e boogie in stile Texas blues. Le nove
composizioni originali sui tredici brani presenti sul dischetto sono
un'ulteriore manifestazione di creatività. Le cover sono "What I'd Say" e "I
Belive To My Soul" di Ray Charles, "Flip, Flop & Fly" (celebre la versione
di Big Joe Turner) e la johnsoniana "Dust My Broom". Se c'è un appunto da
fare, questo è rivolto alla grande (forse eccessiva) varietà di stili che,
se da un lato dimostrano la poliedricità dei musicisti, dall'altro fanno
venir meno una delle caratteristiche fondamentali nell'allestimento di un
lavoro, quello che comunemente viene definito progetto artistico. Melody
Makers è un CD che piacerà a molti, ne sono più che certo, e se vuole
essere una sorta di biglietto da visita è più che ricco. In futuro sarà però
opportuno mettere la tecnica al servizio di suoni più personali e meno
divaganti.
Mhmm:
Do Not Disturb
Do Not
Disturb" è uno dei lavori più interessanti che mi siano capitati tra le mani
negli ultimi tempi. Un disco che porta con se parecchi elementi di
originalità rendendolo unico nell'attuale discografia Blues nostrana.
La più evidente sta proprio nel supporto: il caro, vecchio vinile, divenuto
un autentico oggetto di culto per audiofili, riproposto sempre di più dalle
grandi major e scelta editoriale mirata di etichette dai volumi d'affari
minori come la lodevole Banksville records.
Anche il nome degli Mhmm è inusuale (oltre che impronunciabile);
un'espressione onomatopeica che a me ricorda la classica esclamazione di
"gradito assenso" nel tradizionale linguaggio dei cartoons.
Il disco è l'opera prima della band di Vercelli, anche se i musicisti che la
animano sono dei veterani in grado di vantare già diverse esperienze
discografiche e lunghi anni di attività sotto altre "insegne" (Arcansiel,
Sado).
Per le registrazioni, Paolo Baltaro (compositore di tutti i brani
originali), Gianni Opezzo (arrangiatore), Sandro Marinoni e Boris Savoldelli,
si sono alternati tra lo studio KMP Castel di Vercelli ed il KinkiMalinky di
Londra. La scelta del supporto analogico si è rivelata decisamente felice
conferendo al disco un caldo suono vintage, esaltato da precedenti
"passaggi" attraverso apparecchiature Hi-End e registratori a bobina super
veloci. Il risultato così ottenuto, e senza ulteriori interventi, è stato
riportato sul CD (fornito in allegato senza alcun costo aggiuntivo).
E veniamo ai contenuti. "Do Not Disturb" è stato pensato come un concept
album ambientato in un fumoso club americano, con tanto di voce roca e
brilla (quella del DJ londinese Roger Balfour) che commenta, tra le tracce,
volti e situazioni li presenti. Sugli otto brani che compongono il disco,
ben sette sono composizioni originali. Gli Mhmm si consentono una sola
cover. Si tratta della leggendaria "Woodstock" della mai dimenticata
songwriter canadese Joni Mitchell, rigenerata da un impeccabile blues drive
che, nel contesto generale, la rende davvero esaltante. A mio avviso, il
vero punto di forza della band sta proprio nelle voci eccellenti dei singoli
musicisti, oltre che nella cura per gli arrangiamenti. L'iniziale "I Don't
Mind" è un classico rock-blues che Boris Savoldelli rende particolarmente
caustico e coinvolgente. Stessa cosa vale per "When The Blues Is Falling
Down On Me", anche se questa volta il brano è uno slow blues. "The Bridge" è
un motivo dall'andamento dinoccolato che ricorda certe perle di J.J. Cale
pur mantenendo una sua identità grazie ad un sapiente arrangiamento di
fiati. American rock'n'roll tutto da ballare in "Because I'm Down": bella la
gestione delle dinamiche. Lo shuffle "Something Beautiful" è caratterizzato
dalla voce grintosa di Paolo Baltaro. "If Mary Had A Face", è un "torrido"
slow e fa da preludio al brano finale "Goodnight Paris", una ballad che
evidenzia tutto l'amore degli Mhmm per il West Coast sound dei '70 (Crosby,
Stills, Nash & Young, su tutti).
Un disco che vi consiglio per "rifarvi" le orecchie da certe banalità
etichettate, troppo spesso, come Blues.
Mrs.
SIPPY: New, Old And... All That Blues
Asserire
che Paolo Ganz sia sinonimo di armonica blues in Italia è non soltanto
corretto ma - senza nulla togliere ad altri antesignani dello strumento -
soprattutto doveroso. I suoi metodi sono sotto gli occhi di tutti: dagli
scaffali dei negozi di dischi a quelli delle librerie. Dal 1986 (anno della
pubblicazione del suo primo metodo) quasi tutti gli aspiranti armonicisti
hanno soffiato con l'occhio rivolto verso il manuale di Ganz e l'orecchio
teso alle cassette dimostrative allegate. Paolo, che è persona assai
modesta, dice di aver mutuato le varie tecniche direttamente dall'ascolto
dei maestri neri. E' comunque riuscito - cosa tutt'altro che semplice - a
codificare, rendendoli intelleggibili per tutti, i molti suoni
dell'armonica. La sua ricerca non si è fermata a questo strumento, Paolo è
anche chitarrista ed i suoi studi hanno avuto degli sviluppi anche con i 'plettri'.
Dopo anni di latitanza dal Blues (non certo di immobilità artistica), il
musicista veneziano è tornato con la band Mrs. Sippy assieme al chitarrista
Alex Perzolla - che lo stesso Ganz definisce come il promotore
dell'iniziativa -, al bassista Fabio Benedetti e con Andrea Scopelliti alla
batteria. Insieme hanno realizzato un mimi CD, composto da cinque brani, il
cui titolo è New, Old And… All That Blues. La scaletta recita i
seguenti titoli: "Someday Baby" di S. John Estes, "Halleluja I Love Her So"
di Ray Charles, "Sally Brown (is back in town)" di Alex Perzolla, "Off The
Wall" di Little Walter e, per finire, "Tintarella di Luna" (!!!) di De
Filippi - Migliacci (un vecchio hit degli anni sessanta riproposto in chiave
shuffle). Il suono complessivo rimanda ad un Blues rockeggiante fatto di
suoni ruvidi e decisi che esalta - grazie anche ad una registrazione
efficace - le capacità dei musicisti. L'orecchio inevitabilmente cade
sull'armonica di Ganz che, a dispetto della sua notorietà, svolge un ruolo
che ben si amalgama, senza mai esagerare, con il sound d'insieme. New Old
And… All That Blues è una sorta di 'presentazione' ma prelude ad un
lavoro ben più corposo che è già nei programmi della band. Nel frattempo
ascoltate questo CD richiedendone copia direttamente a Paolo Ganz.
Gaetano
Pellino Band: First Love
Crotalo Edizioni Musicali
L'etichetta
Crotalo continua nella meritoria opera di divulgazione del blues nostrano
sia con le compilation della serie "Babe, Senti Come Suona Il Mio Blues"
(dedicate a composizioni in lingua italiana ed in dialetto) che con le
innumerevoli produzioni di singoli artisti e bands.
Gaetano Pellino, musicista bolognese, può considerarsi uno dei veterani
avendo già registrato tre album per la scuderia del serpente. Chitarrista,
bassista, Sound engeneer, con una vita piena di impegni sul fronte della
musica a tutti i livelli, inizia la sua avventura agli albori degli anni
'80. Ho scrutato la biografia rendendomi conto che per elencare l'intero
spettro dei suoi interessi non sarebbe certo stato sufficiente questo
spazio. Un dato però lo si evince: Gaetano non è un chitarrista "votato" al
Blues; piuttosto le "dodici battute" sono una delle tante componenti del suo
background artistico.
Anche il nuovo lavoro "First Love" (il cui titolo è ben rappresentato dalla
tenera foto di copertina) è una miscellanea di stili. Il brano d'apertura è
proprio la title track, un rock/blues nel quale s'intuisce una profonda
riconoscenza al mai dimenticato Stevie Ray Waughan. Ancora di marca Texana è
la successiva "The Woman At The Backdoor", il cui drive ricorda quello dei
mitici fratelli Gibbons (meglio noti come ZZ Top). Si passa quindi al
rockabilly con la divertente "Mad Dog Like You" (riproposta in conclusione
nella versione mono!). In "The Legend Of The Eagle" il clima si fa arso, con
lo slide tagliente che evoca il sole implacabile delle grandi distese
americane. Bella ed intensa la ballad "The Shadows Of The Night", nello
stile dei più grandi songwriter a stelle e strice.
"Why Don't We Celebrate?" è un brano - come si dice - d'atmosfera nel quale
si possono cogliere alcuni degli spiriti guida di Gaetano Pellino. Fa la sua
apparizione, tanto discreta quanto incisiva, l'armonica di Tommy Cole. Non
manca qualche incursione nel western più autentico con la celebre "Ghost
Riders In The Sky" (unica cover presente!) e "Western Tango".
Il suono complessivo del CD ha un sapore decisamente vintage. Un
accorgimento voluto dall'autore che, come dicevo all'inizio, è anche un
sound engeneer di notevole spessore ed esperienza.
Una citazione, in conclusione, per la sezione ritmica formata da Stefano
Resca alla batteria e dai bassisti Ugo Bruschi e Nick Sesterzio.
Maurizio Pugno featuring Sugar Ray Norcia:
That's What I Found Out!
Maurizio
Pugno, al suo esordio discografico da solista, assesta un colpo fulminante
alla classifica dei migliori album blues prodotti nel 2007 collocandosi decisamente al
vertice con questo eccellente "That's What I Found Out!" che, considerato
il periodo non particolarmente felice del blues americano, lo proietta
verso confini molto ampi.
Il chitarrista umbro si presenta alla nuova esperienza con un notevole
viatico, fatto di collaborazioni importanti, e rodato sul campo da diverse
tournée in tutta Europa. La lunga partnership con l'armonicista Rico
Migliarini - prima nella Wolves Blues Band, oggi in Rico Blues Combo - non
gli ha impedito escursioni in altri contesti. Senza voler qui
snocciolare tutti i passaggi del curriculum di Maurizio (disponibile,
peraltro, sul suo sito), mi pare doveroso citare alcuni momenti salienti
della sua carriera: le collaborazioni con l'armonicista Mike Turk, con il
cantante Tad Robinson, con la cantante/armonicista Kellie Rucker e con il
chitarrista Dave Specter, assieme al quale ha in programma due tour europei.
In questo album il Maestro (così viene chiamato da sempre Pugno) affianca
il suo nome a quello di Sugar Ray Norcia, celebre cantante-armonicista
americano che
molti ricorderanno frontman dei Roomful Of Blues. Al di là del contributo
in veste di "featuring" (così come viene presentato sul CD), Norcia ha partecipato alla stesura di
ben nove tra i quindici brani
presenti.
"That's What I Found Out!", prodotto da Jerry Hall per l'etichetta
americana Pacific Blues Recordings (!), è stato registrato presso l'antico
teatro comunale di Gubbio ed è assolutamente perfetto nei suoni (spesso
arricchiti da una numerosa sezione fiati) e negli arrangiamenti, oltre che
brillante e vario nei contenuti. L'apertura è affidata all'Hammond di
Alberto Marsico con "Opening Act" (firmata dallo stesso tastierista), una
sorta di presentazione strumentale alla Jimmy Smith che lascia trapelare
le intenzioni facendo da preludio ad una
raffica di brani del duo Pugno-Norcia. Si passa dal jive di "That Crazy
Girl Of Mine" e "When My Father Met Charlie's Uncle" al cool westcoastiano
della title track "That'ts What I Found Out!". "Take It All Back Baby"
ricorda il compianto Johnny Adams: notevole la chitarra che si muove
sinuosa su un raffinato tappeto intessuto dall'Hammond. L'american rock'n'roll
di "Oh Louise!" e le atmosfere sixteen di "Fine Long Legs" sono la
conferma della coerente poliedricità di quest'album che non conosce
momenti di stanca.
Tra le poche cover presenti - quattro in tutto - vorrei segnalare la magnifica
rilettura di "I Love The Life I Live" di W. Dixon e la conclusiva "The
Preacher", omaggio al leggendario compositore e pianista Horace Silver.
Roots
Connection: Animystic
Bagana Records
Ho ricevuto
questo disco già da qualche settimana e confesso di aver passato gran parte
del mio tempo ad ascoltarlo e riascoltarlo con l'intento di carpirne
l'essenza. Animystic non è un album da primo impatto né un lavoro di Blues
nel senso più comune, bensì il testamento di un artista di ampie
ispirazioni, il chitarrista e cantante Enrico "Mad Dog" Micheletti, e della
sua avventura con la band Roots Connection.
Micheletti è purtroppo scomparso il 4 dicembre del 2008 all'età di 57 anni,
proprio al culmine di una carriera ricca di esperienze e collaborazioni
illustri (Memphis Slim, Rory Gallagher, John Lee Hooker, Champion Jack
Dupree,...).
Nato a Bolzano, è stato quello che si definisce un girovago. Lascia ben
presto l'Italia, assetato di conoscenze, viaggiando per buona parte d'Europa
ed in seguito alla volta di Canada, Stati Uniti ed India. Sarà in
particolare il karma del grande paese asiatico ad influenzare le visioni
mistico musicali di Enrico che utilizzerà spesso il sitar nelle sue
composizioni.
Micheletti è stato da sempre guidato da una profonda interiorità secondo la
quale ogni cosa è opera divina e la musica una sorta di mediazione tra Dio e
l'uomo, presupposto fondamentale e trasversale a tutte le religioni, da
quelle primitive a quelle più praticate ai giorni nostri. Non è quindi un
caso che il titolo del CD, Animytstic, scaturisca della fusione dei termini
animistico e mistico.
La musica del mondo, filtrata attraverso sequencer e sintetizzatori,
costituisce il crossover creato dai Roots Connection, ed il Blues, in questa
logica, ne è parte integrante così come: reggae, ska, funky...
La band nasce a Reggio Emilia nel 2000. Enrico Micheletti incontra Fabio
Ferraboschi e Fabrizio Tavernelli, ed i tre scoprono da subito una passione
comune: il Blues del Delta. Ma l'approccio dei musicisti con le celebri
composizioni di Leadbelly e Robert Johnson non è propriamente roots. Il
bernoccolo della sperimentazione li accomuna ed è perseguendo la ricerca di
suoni personali che, nel 2002, registrano il primo disco, Roots Connection,
cui seguiranno una quantità di concerti.
Dopo la lunga premessa, necessaria per tratteggiare la personalità di Enrico
Micheletti e fornire una chiave di lettura della musica dei Roots
Connection, veniamo al disco in oggetto.
Animystic è composto da 10 tracce, 5 originali (tutte firmate
Micheletti-Ferraboschi-Tavernelli) e 5 covers rivisitate e filtrate secondo
uno stile del tutto coerente. Tra i brani originali vi segnalo: l'iniziale
Wake Up, un ritmo ossessivo che il sitar riconduce alle atmosfere degli
Stones di Their Satanic Majesties Request; Done Gone, motivo bluesy alla
J.J. Cale caratterizzato dallo sferragliare del dobro, e la splendida ballad
The Only Face. Tra le covers: Im Going To Life The Life I Sing About In My
Song di Tommy Dorsey, brano portato al successo da Mahalia Jackson e qui
degnamente reinterpretato da Lucia Tari (ex Tinturia); Hard Time Killing
Floor di Skip James, riproposto in chiave reggae, e la sognante e conclusiva
ballad Rings Them Bells di Bob Dylan (dall'album Oh Mercy) narrata dalla
grande voce di Alberto Morselli (già Modena City Ramblers).
Mark
Slim - Fabrizio Soldà: North-East Blues
Disco
d'esordio, dedicato al Blues acustico, questo "North-East Blues" del duo
Mark Slim (chitarra e voce) e Fabrizio Soldà (armonica).
Già dal titolo è possibile risalire alla provenienza dei due giovani
musicisti: quel Nord-Est d'Italia che ha nel Veneto il proprio centro di
gravità.
L'assonanza geografica tra il Delta del Mississippi e quello del Po fornisce
ai nostri lo spunto per collegarsi virtualmente alle narrazioni proprie
della cultura Blues neroamericana: disagio sociale, lavoro nero,
discriminazioni e tanta povertà. A tal proposito, all'interno della
copertina, sono proposte delle foto d'epoca che raccontano di un mondo
rurale che non c'è più e che, nello specifico, ha lasciato posto alle
fabbriche ed alle tante attività imprenditoriali che fanno oggi del Nord-Est
la parte economicamente più dinamica d'Italia. E non posso fare a meno di
pensare al susseguirsi dei corsi e ricorsi storici e di come il delta di un
grande fiume porti con se (per ironia della sorte) anche qui da noi come nel
Mississippi di allora: discriminazione, indifferenza e spesso razzismo verso
i migranti. Ma questa è un'altra storia...
Marco Carraro (aka Mark Slim) è un chitarrista padovano, men che trentenne,
che è stato diverse volte negli States riuscendo a costruirsi un ricco
curriculum grazie alle tante collaborazioni. Fabrizio Soldà è armonicista
dalla buona personalità che dimostra di aver appreso tanto dall'ascolto dei
grandi dello strumento.
Il duo ci propone un repertorio country blues fatto prevalentemente di
covers (J.Rogers, S. Hopkins, C.Patton, J.Reed, G.Davis, ecc.) e da tre
originals in perfetto stile: "Divorce Blues" (brano d'apertura del CD), la
title track "North-East Blues", e "My Boss Is A Dirty Speculator".
Dato per scontato il lavoro meritorio che Mark Slim e Fabrizio Soldà hanno
svolto nell'operazione di recupero di brani e protagonisti del Blues
acustico, mi pare che in questo caso l'accademia abbia finito per prevalere
sul feeling, come in una sorta di compito ben fatto ma che non va oltre la
sufficienza. Assente di lusso la voce che in una formazione a due riveste un
ruolo assolutamente primario e fornisce "credibilità" all'insieme.
Il Blues acustico (Country Blues, Delta o Piedmont che sia) ha le sue regole
stilistiche che abbiamo decodificato e studiato. Ma non sono certo il finger
picking, le accordature aperte e le note piegate che fanno il Blues (fosse
così facile...).
Sono sicuro (scusate la presunzione) che anche Mark e Fabrizio, fra qualche
anno, sapranno riconsiderare questa esperienza discografica con maggior
senso critico.
Sugar
Blue: Code Blue
Beeble Music - 2007
James Whiting, al
secolo Sugar Blue, è stato uno dei molti musicisti americani che,
“bazzicando” per l’Europa (sin dal 1976), non hanno potuto fare a meno di
innamorarsene.
Nasce nel ’50 ad Harlem e, sin da ragazzo, si manifesta come un autentico
prodigio con l’armonica. All’età di 26 anni (negli USA era già noto per via
di una storica collaborazione con Maddy Waters) sbarca in Europa (Londra e
Parigi) e contribuisce fortemente alla diffusione della musica blues e, in
particolare, dell’armonica a bocca. Durante la permanenza in Europa conosce
Mick Jagger e collabora con i Rolling Stones: è suo il riff di armonica nel
brano “Miss You” (dell’album “Some Girls”), un vero e proprio cult dello
strumento.
Come altri bluesman (come Cooper Terry e Andy J. Forrest), Sugar ha
influenzato quel movimento italiano che guardava a lui come ad una vera e
propria fonte culturale da cui attingere “il vero e vivo verbo del Blues”,
contribuendo in maniera tangibile all’evoluzione dello spaghetti Blues.
E’ molto interessante scoprire l’evoluzione musicale che attualmente egli
esprime on stage con musicisti quasi tutti italiani.
L’ultimo disco di Sugar, “Code Blue”, è un concentrato di tecnica, buon
gusto e continua ricerca di nuove espressioni bluesistiche. Come il buon
vino, con il passare del tempo, l’inconfondibile tecnica del 57enne Sugar
assume aspetti sempre più accattivanti e questa sua ultima produzione ne è
la prova.
I brani sono firmati Whiting, Lantieri e Montaleni, a dimostrazione che
sempre di più il blues americano sceglie musicisti italiani per le
composizioni e non soltanto per le apparizioni on stage. Naturalmente, come
nelle migliori tradizioni, hanno collaborato in sala (i Rex Trax Studios di
Chicago) anche musicisti come Rico McFarland, Barrelhouse Chuck, Lurrie Bell
ed altri.
La scaletta di "Code Blue" è ben congegniata. “Cristalline” è una sorta di
biglietto da visita sul quale spicca il tocco fatato dell’affascinante
Ilaria Lantieri al basso che firma, in modo discreto ma con gran classe, la
ritmica funkeggiante che sostiene la massima espressione di mr. Blue.
I brani che più mi hanno emozionato sono: “Nola”, una ballata triste ed
ipnotica a metà tra blues elettrico e Pop; “Bad Boys Heaven”, un bellissimo
classico in acustico che sembra quasi riaffermare con ironia le radici più
profonde di James, in un nostalgico viaggio pentatonico a dodici battute dal
sapore mississipiano; “I Don’t know Why”, forse la vera essenza insieme a
“Bluesman” dell’attuale Sugar Blue, una “explosion” disarmante all’ascolto
sia per i neofiti che per gli addetti ai lavori.
Sugar Blue si conferma in questo "Code Blue" (qualora ce ne fosse stata la
necessità) tra gli armonicisti più virtuosi al mondo pur conservando la
freschezza e la curiosità di un ragazzino.
Amedeo Zittano
Lauren
Sheehan: Two Wings
Lauren Sheehan è una cantante e chitarrista americana con profonde radici
nella tradizione, sia bianca che nera. Cresciuta nel New England, ha
studiato la chitarra classica e si è laureata presso il Red College con una
tesi sulla musica folk americana. Si è data da fare suonando in vari gruppi
ed insegnando musica nelle scuole private fino al 2003. Parallelamente
all'attività di musicista professionista, continua ancor oggi a tenere
workshop e seminari per altri artisti.
La capacità di risalire fino alle fonti consente a Lauren di attingerne i
suoni più puri ed incontaminati. La voce cristallina, che spesso si spinge
verso timbri alti e nasali propri dei bluesmen prebellici, e l'ottima
tecnica, tanto alla chitarra quanto al banjo, contribuiscono alla
realizzazione di una musica che, seppur acustica e mai sopra le righe,
scorre leggera ed intrigante.
Il nuovo album, "Two Wings", arriva dopo il successo del disco d'esordio
"Some Old Lonesome Day" del 2003.
Tra i musicisti che partecipano alle registrazioni spicca il nome dell'armonicista
di Washington, D.C. Phil Wiggins (ben noto agli appassionati italiani per
gli ottimi lavori prodotti in duo con il chitarrista John Chepas, ndr.) che
qui distilla gocce di puro blues acustico.
Il disco è ben strutturato e gradevolissimo. Si passa da traditionals a
brani degli anni venti riportati a nuova freschezza come: "Lonesome Day
Blues" e "Statesboro Blues" del rev. Blind Willie McTell, "Kind Hearted
Woman" di Robert Johnson ed una magnifica versione di "In My Girlish Days"
tratta dal repertorio dell'indimenticabile Memphis Minnie, solo per citare i
più noti.
Sono due le composizioni originali, entrambe strumentali: "Farawell
Swallowtail", un finger picking per chitarra scritta in omaggio alla
Swallowtail School che Lauren ha fondato e diretto per 10 anni, e "Del ta
Queen" un "divertissement" per banjo solo.
Lauren Sheehan sarà presto in tour in Italia. Se dovesse esibirsi dalle
vostre parti, vi consiglio vivamente di non lasciarvela sfuggire: i suoi
show sono davvero coinvolgenti.
Luigi
Tempera: Walking With My Devils
Crotalo Edizioni
Musicali
Il
Diavolo, com'è noto, ha mille facce. Una di queste appartiene al signore qui
ritratto sulla copertina del primo lavoro discografico intitolato, non a
caso, Walking With The Devils. Il mutante in questione risponde al nome di
Luigi Tempera. Nella vita di tutti i giorni veste i panni dello scrupoloso
insegnante di chitarra presso la scuola "Violeta Parra" (da lui stesso
diretta) in quel di Beinasco, nei pressi di Torino. Quando il sole tramonta
e le tenebre si affacciano sulla soglia della notte, il "maligno" si
impossessa della sua anima facendola librare dalla guglia della Mole
Antonelliana per un lungo viaggio. Un volo senza scalo verso quel mondo
fuligginoso, dal fascino romantico e magnificamente tetro, dal quale il suo
stesso spirito ha avuto origine.
Dopo un ventennio di attività live trascorso tra mille pentatoniche bagnate
da sano nettare d'uva, Luigi ha deciso di fissare su disco otto canzoni
"scritte con la sincera passione di chi non poteva fare altro che esprimere
i propri Blues in modo schietto e convinto" (come rivela nelle note di
copertina).
Walking With My Devils è un CD breve (meno di trenta minuti) ma di gran
classe. Si apre con "Son A Jam" ed è subito il dobro a guidare uno swing
acustico di eccellente fattura. Segue "Start Me Up Start Me Down" in cui
Luigi inforca l'acustica per offrire un saggio della tecnica di cui è in
possesso, tirando fuori un suono cristallino, condito da un arrangiamento
tanto essenziale quanto preciso. Ancora atmosfere jazzy (che mi ricordano il
Tom Waits più romantico) nella bella "I'm Not Sure" con la chitarra
elettrica ed il basso acustico a marcare lo swing. "Come On My Train" è una
ballad in cui la voce crea un momento di magico intimismo: uno dei brani più
intensi del disco. A seguire, il cool westcoastiano di "Jazzy", motivo
suonato "in punta di dita" e cantato in italiano. Con "Walking With My
Devils" arriva il più tradizionale Blues acustico per chitarra ed armonica.
Prezioso, nella title track, l'apporto all'armonica di Andrea "Rooster"
Scagliarini. In "Magda" è ancora lo swing a permeare il sound. Cantata anche
questa in italiano, si allinea alla scuola torinese del grande Paolo Conte.
Il CD si chiude con lo shuffle strumentale "GG Boogie", un motivo dal gusto
raffinato.
Luigi Tempera ha atteso diversi anni, con estrema saggezza, per definire
appieno la propria personalità. E' così riuscito a sintetizzare l'esperienza
delle innumerevoli notti blues in questo Walking With My Devils, un lavoro
di rara godibilità da ascoltare e... riascoltare!
Lorna
Willhelm: I Feel Good With The Blues
Poundcat Music
Lorna
Willhelm è l'ultimo anello che si aggiunge ad una lunga catena di musicisti
meritevoli di aver fatto del Texas blues un sound composto ma, al tempo
stesso, riconoscibile tra mille. Come i suoi più illustri predecessori,
anche la cantante di Waco manifesta le sue chiare virtù musicali attraverso
un mix di blues e jazz, qua e là annegato in rock & roll d'ispirazione 50 e
60. Dotata di voce con licenza di 'scat' - educata presso il McLennan
Community College e modellata da Beth Ullman - Lorna Willhelm si affaccia al
mondo discografico con il cd I Fell Good With The Blues nel quale
mostra il meglio di se avvalendosi di covers più o meno note (Ike Turner,
Big Mama Thornton, Roomful of Blues) e di tre originals composti dal marito
Rex. Ciò che colpisce al primo ascolto è la swingante freschezza con cui
Lorna affronta i vari generi. Tutto diventa così 'gradevole' da imporre un
ulteriore e più attento ascolto. Chi cerca in questo cd i ruvidi sapori di
cactus e polvere tipici di certe sonorità texane resterà deluso di certo.
Siamo infatti ben lontani da S.R. Vaughan, J. Winter, Fabulous Thunderbirds
ed affini; il paragone può proporsi con artisti più votati al cool ed al
jazz più in generale (ascoltare Cry Me a River per credere). C'è chi ha
accostato Lorna a Maria Muldaur e lei stessa scrive nella biografia di
essersi ispirata ad Ella Fitzgerald, Big Mama Thornton e Mel Torme, a me
piace pensare che Lorna Willhelm sia un'artista originale con parecchie
frecce al suo arco. Le manca forse quel pizzico di personalità in più, ma
questo è un fatto d'esperienza. I Feel Good With The Blues è un cd
ottimamente registrato con una band che suona in maniera impeccabile.
Attendiamo per valutare le evoluzioni future.
Warm Gun: Invisible Man
Buffalo Bounce
Se
la musica si potesse osservare come si fa con una fotografia, vedremmo
questo disco dei Warm Gun quasi fosse in bianco e nero. Il fotografo ama la
"scala dei grigi" per l'insita capacità di rappresentare il phatos
dell'attimo, dell'espressione strappata al concetto di tempo per divenire
eterna. La crudezza della proposta e la sua "drammaticità" di stampo
neorealistico, emergono anche dalla lettura dei suoni "essenziali" del duo
campano. Non c'è ricorso a frizzi e lazzi: qui il Blues è assolutamente e
magicamente concreto. Trovo che "Invisible Man" nasca da presupposti
culturali molto vicini a questa personale sensazione.
I Warm Gun si definiscono: "Una vacanza dalle rispettive attività musicali
e antitesi perfetta del gruppo emergente". Di certo "emergenti" non possono
essere considerati i due artisti che hanno allestito questo progetto: Max
Pieri e Fred Ghidelli.
Max Pieri è musicista e giornalista molto conosciuto in Campania (e non
solo). Casertano, è dal '94 l'animatore dei Carpe Diem (recensione del CD "Naked
Moods" in archivio) con cui ha calcato tanti palcoscenici. Max suona basso e
percussioni ed è autore dei brani di questo disco (due dei quali composti
assieme a Ghidelli). Una penna ispirata dal Blues "autentico", quello non
sempre incentrato sulle "dodici battute" ed in cui è possibile cogliere
un'ampia gamma di sapori: da quelli rurali, propri del Blues più canonico
al rock'n'roll delle origini, entrambe miscelati con una dose di swing
appena accennato ma spesso latente. Sono queste, in sintesi, le linee guida
del CD "Invisible Man".
Fred "Elmore" Ghidelli è chitarrista d'annata, di quelli che hanno vissuto
la musica a 360°. Lunghe e varie esperienze nel jazz, unite ad
un'altrettanto intensa attività di produttore, ne fanno un artista con
parecchie frecce al suo arco. Nonostante (a quanto mi risulti) si tratti
della sua prima esperienza con il Blues, dimostra ottima padronanza ed una
conoscenza del genere degna dei bluesmen più navigati (bravo nella tecnica
slide).
Il CD di cui si tratta contiene 10 brani, 8 dei quali - come detto prima -
sono composizioni originali. Tra i motivii che più mi hanno colpito vorrei
segnalare l'iniziale "Keep Time!", "The Bitter Pill", "Howling Sly" e la
title track "Invisible Man". Gustosissimo il medley "assemblato" con il
traditional "Rains All Night", "Sponful" di Willie Dixon e "Dimples" di J.L.
Hooker. Molto bella, infine, "I'm So Lonesome I Could Cry" di Hank Williams,
con la voce "sconvolta" di Max Pieri e la chitarra "tremolante" di Fred
Ghidelli che ci riportano ad atmosfere sixties.
The
Wiyos:
Porcupine
Truthface
Recording
Tra
i lavori che mi sono pervenuti di recente, vorrei segnalare alla vostra
particolare attenzione Porcupine, un CD ad "alto gradimento"
prodotto da una formazione di Brooklyn, NY che si chiama The Wiyos. Si
tratta di un combo formato da tre elementi che, avvalendosi di
strumentazione acustica, riscopre le radici della musica americana
restituendone intatte le sensazioni originarie. Musica all'insegna di uno
spirito ludico, ispirata da figure come Charlie Chaplin e Buster Keaton,
nella migliore tradizione della commedia musicale vaudeville degli anni
'20 e '30 e dei Medicine Shows del West. I tratti artistici che balzano
evidenti sono quelli di Django Reinhardt, Blind Boy Fuller, Robert Johnson,
ma anche di Fats Waller e Gershwin. I suoni attingono con lodevole purezza
tanto dallo swing e dal ragtime, quanto dall'hillbilly, dal Piedmont e dal
country blues, affiancando il fervore dei canti tradizionali delle Blue
Ridge Mountains alle sonorità più urbane di New York.
I musicisti sono davvero fenomenali. Michael Farkas è un eccellente
armonicista e cantante ma suona una quantità di strumenti, alcuni
"ortodossi" come il kazoo, il washboard ed il banjo, altri più "personali"
come sordine modificate, trombette di varia natura e dimensioni,...
Parrish Ellis è chitarrista di ottime qualità. Suona perfettamente nei
vari stili che i Wiyos affrontano, ed è munito anch'egli di una voce molto
gradevole. Joseph DeJarnette "percuote" con rara puntualità il suo
contrabbasso e partecipa agli inserti ritmici vocali che rivestono un
ruolo preminente nella dinamica dei brani.
Quindici le tracce presenti in Porcupine, per oltre
51 minuti di sana e solida "american roots music". Il suono
complessivo ha il sapore delle registrazioni casalinghe, perfetto per
restituire il fascino che da queste ne deriva. Tra i brani originali, mi
corre l'obbligo di evidenziare "Strawberry Wine" (di M. Farkas), un blues
alla Terry & McGhee, e "Next Door Blues", altro country blues firmato
Ellis/DeJarnette. Ancora meritevole di menzione la ballad "Annie Walden"
di Parrish Ellis e "Strawberry Wine" di Michael Farkas, con la voce
"megafonica" che rende l'atmosfera ancora più vintage. Tra i numerosi
traditionals e cover, mi ha particolarmente entusiasmato la versione "da
strada" di "Blue Drag" (video presente nella rubrica ON AIR), un
classico swing di Jeff Myrow nel quale Michael si sbizzarrisce utilizzando
strumenti a fiato di varia natura e derivazione (o "sundries" come
riportato nelle note di copertina) simulando efficacemente - e con genuina
ironia - tromba e cornetta.
The Wiyos, dopo aver girato in lungo ed in largo attraverso gli Stati
Uniti, saranno in Italia nel periodo primavera-inizio estate 2005 per la
loro prima tournée europea. Vietato lasciarseli sfuggire!
Robi
Zonca: Do You Know?
Robi
Zonca è, quello che si
dice, un bluesman di lungo corso, forgiato da molti anni di vita on the
road. La sua militanza al fianco di musicisti blasonati come Andy J.Forest,
Fabio Treves, Tolo Marton, Mia Martini (solo per citarne alcuni), e le
numerose tournée in tutta Europa, fanno si che a Robi venga assegnato, di
diritto, un posto tra i protagonisti di vertice del Blues made in Italy. Il
chitarrista lombardo – con licenza di bassista – ha dedicato la propria vita
artistica al Blues vestendo i panni dello strumentista.
Da qualche tempo s’è messo in proprio, allestendo una band, formata da
eccellenti musicisti, per dar vita al primo lavoro discografico a suo nome
il cui titolo è Do You Know? Ha chiamato a raccolta alcuni amici
noti, tra cui: Aida Cooper, Tolo Marton, Enrico Crivellaro, che hanno
contribuito ad impreziosire, con bagliori di classe, un lavoro - di per se -
molto interessante.
Diciamo subito che il CD è, come da premessa, una testimonianza del Robi
Zonca autore, sono sue infatti nove della dieci tracce qui presenti;
l'eccezione è costituita da un vecchio hit dei Blood, Sweet & Tears, quella
"Spinning Wheel" che sovente viene recuperata dall’oblio del tempo. Vario
nei temi trattati (si passa infatti dal rock al blues al r'n'b, senza
soluzione di continuità) il lavoro è un escursus attraverso il quale è
possibile intravedere le basi culturali su cui poggia (da Beatles e Stones
al funky/cool di marca Steely Dan al più canonico shuffle chicagoano). Do
You Know? non è un disco blues nella sua accezione più tradizionale (o
più "ristretta", se preferite): qui il blues si coglie dal sottile profumo
che si respira all'ascolto e nel sentimento sincero che lo anima.
Preferisco non soffermarmi sui singoli brani lasciando la scoperta
all'interesse di chi legge. Vorrei solo confessarvi che il CD di cui si
parla "suona" spesso nel mio riproduttore... e, per alimentare ulteriormente
la vostra curiosità, auguro anche a voi un buon ascolto!
Robi Zonca: You Already Know
Mi ero già occupato di Robi
Zonca più di un anno fa, in occasione dell'album d'esordio da solista Do You Know? (del quale troverete testimonianza in archivio). La cronologia
delle registrazioni non induca però a pensare che la sua carriera sia appena
iniziata; Zonca è, in realtà, un "anziano" del Blues made in Italy,
con lunghi anni di concerti alle spalle nei club e sui palcoscenici più illustri
d'Italia, e con un palmarès ricco di collaborazioni eccellenti.
Do You Know? è stato un ottimo biglietto da visita; nel primo disco Robi ha
incasellato, distillandoli attraverso una visione interiore, i suoi amori
musicali ed i suoi ispiratori con il risultato, ottimamente riuscito, di
"mostrarsi senza veli" all'ascoltatore.
Nel nuovo You Already Know il musicista lombardo conferma e rafforza uno
stile assolutamente personale. Grazie alla bravura sua e dei musicisti che
lo accompagnano nel CD, gli è facile guardare ad orizzonti più ampi. La
lunga tournée americana dell'estate 2005 ne conferma, inoltre, il dinamismo
in fase promozionale: dote indispensabile che gli ha consentito di dare un
segno tangibile della propria presenza persino nella patria del Blues.
Fatte le doverose premesse, veniamo quindi ad analizzare da vicino You
Already Know, non senza aver prima sottolineato la generosità compositiva di
Zonca: l'unica cover presente sul CD è la celebre "One After 909" dei
Beatles (dal LP "Let It Be" del 1969, ndr).
Si parte con un divertente shuffle, "Rock The Club", che rappresenta
ottimamente lo spirito dell'intero lavoro. Segue una ballad dal titolo "I
Will Love You Anyay", uno dei momenti più intensi e pregni di feeling. "Nothing"
è un blues alla Albert King (per intenderci), con l'organo a stendere un
tappeto sul quale si articola una ritmica di marca r'n'b. Ancora un rock
blues, "My Firend", prima di incontrare un country and western mood nella
gradevolissima "I'm Luky Man". Il blues torna con "GB Shuffle", brano che
riporta certi suoni propri del Sud. Un occhio alla radio in "Sexy Lady", un
motivo estremamente adatto alle FM americane. "Nobody But" è un brano che
mette in risalto le doti di chitarrista di Zonca e precede la title track "You
Already Know That My Baby She's Gone": uno dei momenti più raffinati
dell'intero lavoro. La parte finale del CD inizia con lo shuffle "Just A
Little Bit", al quale segue il rock'n'roll "One After 909" di beatlesiana
memoria, per concludersi con il delicato e suggestivo suono dell'accordion
tra le note dell'acustica "All I Want".
Paul Zunno Band:
Black & White and Blues All Over
One Sock
Da
New York un trio rock blues capitanato da Paul Zunno (voce e chitarra) il
cui cognome tradisce chiare origini italiane. Energia e volontà tra le
tracce del loro nuovo CD registrato, mixato e prodotto in totale autonomia.
Le coordinate sono quelle che si intersecano tra il blues tradizionale ed un
rock di chiara marca americana, un indirizzo che appassiona da circa trent'anni
e che trova nel live la sua ideale consacrazione. Black White and Blues
All Over - terzo lavoro della band - scorre piacevolmente tra momenti a
'tutto ritmo' e riflessioni chitarristiche di stampo seventies. In entrambe
i casi la 'Strato' di Paul Zunno esprime un suono deciso ed al contempo ben
misurato a dimostrazione di una buona maturità artistica. La lunga
esperienza del chitarrista è ricca infatti di collaborazioni con nomi
altisonanti, su tutti quello di Wilson Pickett nella cui band ha militato
assieme al bassista Zerrick Foster, oggi elemento della Paul Zunno Band.
Anche il batterista John Di Giulio può vantare trascorsi di tutto rispetto;
tra gli artisti a cui ha 'prestato' le sue bacchette risaltano i nomi di
Gary U.S. Bonds e Kenny Loggins, due autentiche star del pianeta rock a
stelle e strisce. Tornando al nuovo lavoro, la cosa che colpisce tra le 10
tracce proposte è la presenza di otto composizioni originali, segno di una
buona verve creativa. Tra queste sono da segnalare l'iniziale "I Found My
Soul" (sanguigno rock blues) ed "Howlin' Wolf" (dedicata al più rocker tra i
classici del blues) in cui l'ottima voce di Paul Zunno ha modo di trovare la
giusta ispirazione. Le due cover presenti nel CD sono l'arcinota "My Babe"
di Willie Dixon ed una bella versione di "So Long I'll See Ya" di Tom Waits
che sembrano voler sintetizzare la dimensione di quest'album. Un lavoro che,
sebbene non si distingua per uno spirito particolarmente innovativo, è senza
dubbio sincero e ben suonato. Sono certo che verrà apprezzato dagli amanti
del genere. |