BRUNO SEGRE

IL SOGNO DEL VILLAGGIO

Quando Bruno Hussar morì a Gerusalemme nel febbraio 1996, il cardinale di Milano Carlo Maria

Martini rivolse alla comunità di Nevè Shalom / Waahat as-Salaam - il villaggio che Hussar aveva

fondato in Israele - un messaggio di cordoglio nel quale, fra l’altro, scriveva: "Padre Hussar, che ho

conosciuto personalmente e ho apprezzato quale profeta di riconciliazione e pace in Israele, ha

realizzato il sogno di unire ebrei, cristiani e musulmani in una vita intessuta di preghiera e silenzio

e rimarrà sempre luminoso esempio di fede e di speranza".

Coinvolto da decenni - quale diretto e partecipe testimone - nel dramma del conflitto che ha fatto del

Vicino Oriente, per oltre mezzo secolo, una delle aree più calde e a rischio del mondo, Hussar si è

speso senza risparmio e con acuta intelligenza per modificare quella situazione: lavorando a far

cadere i muri della paura, a sgretolare gli stereotipi, a promuovere la conoscenza dell’altro e a

costruire entro una realtà solcata da dolorosissime lacerazioni, ponti di rispetto, di collaborazione e,

ove possibile, di amicizia.

Nato in Egitto nel 1911 da padre ungherese e madre francese, entrambi ebrei non praticanti,

frequenta al Cairo il liceo italiano. All’età di 18 anni si trasferisce in Francia, conseguendo a Parigi la

laurea in ingegneria. Nell’autobiografia "Quando la nube si alzava...." (d’ora in poi QNA), Hussar

afferma che, privo d’ogni educazione religiosa ma assetato d’assoluto, riceve "il battesimo il 22

dicembre 1935, all’età di 24 anni" (p. 20). E subito sottolinea: "Entrai immediatamente in un

universo in cui tutto era sacro, senza sapere ancora fino a che punto la mia identità ebraica vi si

esprimeva. Non vivevo che per Dio, con Dio, in Dio" (ibid.). Nel 1937 ottiene la cittadinanza

francese. Durante gli anni della guerra e dell’occupazione tedesca - Hussar, secondo le leggi naziste,

è a tutti gli effetti un ebreo - affronta "l’amara esperienza dell’antisemitismo" (QNA, p. 31).

L’ingresso nell’Ordine dei Domenicani (dicembre 1945) e la successiva ordinazione sacerdotale

(luglio 1950) segnano nella sua vita una svolta decisiva. Un giorno il Padre Provinciale Albert-Marie

Avril, "mi confidò il suo desiderio di aprire nella parte ebraica di Gerusalemme un centro di studi

sull’ebraismo, analogo al Centro domenicano di studi islamici del Cairo. Aveva pensato a me,

ebreo di nascita, per questa fondazione, e mi chiedeva di riflettervi. Capii più tardi fino a che punto

l’idea del Padre Avril, tutt’altro che condivisa da tutti i Padri più autorevoli della Provincia, fosse

profetica e importante, non solo per l’Ordine ma per tutta la Chiesa" (QNA, p. 38). Da quest’idea

nascerà in breve tempo, a Gerusalemme, la Casa di Sant’Isaia.

Hussar si imbarca a Marsiglia per Israele nel giugno 1953, poco più che quarantenne. Durante i primi

tempi del suo soggiorno nel Paese, cerca di formarsi un’opinione diretta e personale circa i destini

del popolo ebraico."Mi chiedevo quale poteva essere il significato del suo ritorno sulla terra dei

padri, e riflettevo su questo straordinario avvenimento alla luce delle Scritture. Provavo un senso di

disagio ascoltando o leggendo quanto pensavano in merito i miei amici cristiani. [....] Mi pareva

che modestia e pudore richiedessero di rispettare il velo con cui Dio aveva voluto avvolgere il

rapporto tra le Scritture e gli avvenimenti relativi allo Stato d’Israele" (QNA, p. 55). Più tardi, nel

ripensare ai primi sei anni trascorsi nel Paese, Hussar ha "l’impressione di avere camminato sulle

uova cercando di non romperle: uova rabbiniche e uova ecclesiastiche...." (QNA, p. 53). Negli

ambienti cristiani, "mi guardavo bene dallo svelare le mie origini ebraiche. Con un clero

apertamente ostile allo Stato d’Israele, nonché il più delle volte, chiaramente antisemita, avrei

rischiato di perdere ogni autorità per chiarire le cose". Un giorno, durante il pranzo, "il parroco

maronita mi chiese: "Ma perché studia l’ebraico? Che cosa vuol fare con gli ebrei? Non sa che

sono tutti furbi o cattivi?" [....] Un’altra volta mi trovavo dal parroco greco-cattolico.

Mentre tentavo discretamente di moderare ed equilibrare certi suoi apprezzamenti oltranzisti contro

gli "ebrei", mi sentii rispondere: "Ma lei non può negare che si tratta di un popolo maledetto da

Dio!"" (QNA, pp. 51 - 52). Parole dure all’orecchio d’un uomo, come Hussar, nel cui intimo

"andava radicandosi una certezza profonda: sono figlio d’Israele! Il popolo fra cui vivo è il mio

popolo, questa terra è la mia terra" (QNA, p.58).

Nel nuovo clima che investe i rapporti ebraico-cristiani durante il pontificato di Giovanni XXIII,

Hussar - che nel 1965 ottiene la cittadinanza israeliana - affianca al Concilio Vaticano II il cardinale

Augustin Bea nell’elaborazione del "testo ebraico", divenuto poi il 4° paragrafo della Dichiarazione

Nostra Aetate sull’atteggiamento della Chiesa verso le religioni non cristiane.

La guerra dei Sei Giorni (giugno 1967) e le sue conseguenze fanno emergere in tutta evidenza la rete

intricatissima delle conflittualità che dilaniano il Vicino Oriente. "C’è il conflitto principale tra ebrei

e arabi" chiarisce Hussar "poi innumerevoli conflitti, tra ebrei e cristiani, musulmani arabi e

cristiani arabi, tra cristiani e cristiani, tra ebrei ed ebrei [....]. Non vedono il volto dell’altro, non

sono interessati al volto dell’altro" (da "La storia di un sogno", in "Ho sentito parlare di un

sogno...", p. 27).

Poiché non ci si può occupare di tutti i conflitti, Hussar restringe la sua attenzione ai due popoli che

nello Stato d’Israele si fronteggiano come nemici, e comincia a sognare un villaggio - Nevè Shalom /

Waahat as-Salaam (Oasi di Pace) - nel quale ebrei e arabi palestinesi vivano nell’uguaglianza, nella

pace, nella collaborazione e nell’amicizia. Fondata nel 1974, l’utopia di Bruno Hussar non tarda,

pure fra mille ostacoli, a trasformarsi in realtà. Nel giro di pochi anni la piccola comunità binazionale

e la sua Scuola per la pace diventano il teatro di un importantissimo mutamento di mentalità, di

un’operazione qualitativamente preziosa di disinnesco di quell’enorme bomba emotiva, irrazionale,

che il cumulo di tragedie e di ingiustizie consumate nel Vicino Oriente negli ultimi decenni è andato

producendo. E paradossalmente proprio NSh/WAS, questo presunto esperimento utopico, finisce per

svolgere il ruolo imprevedibile di campione del realismo, grazie alla sua capacità di evitare gli scogli

insidiosi del fondamentalismo religioso e dell’estremismo politico, e di prefigurare lucidamente una

situazione di convivenza ragionevole e secolarizzata fra persone che si identificano con tradizioni

religiose, culture, nazionalità diverse e conflittuali.

Ma nella visione profetica di Bruno Hussar, nel suo vigile spirito precursore - uno spirito che, per

molti versi, è avanti almeno d’una generazione rispetto alla cultura del suo e del nostro tempo - il

momento forse più alto è l’idea di uno "spazio di Silenzio", di un luogo "in cui tutti potranno venire

a raccogliersi, dove ogni culto potrà essere reso a Dio, nella fedeltà alla propria tradizione e nel

rispetto delle altrui" (QNA, p. 131). Alludo alla bianca cupola di Dumia (in ebraico, "silenzio")

edificata ai piedi della zona residenziale di NSh/WAS, e nei cui pressi i resti mortali di Bruno ora

riposano.

Animato da una fede essenziale, scevra di orpelli intellettualistici e di bardature confessionali, Hussar

non esitava a elaborare visioni profetiche, a coltivare sogni d’utopia che, quasi miracolosamente,

sapeva sempre compensare con una percezione precisa delle possibilità reali, con uno spiccato senso

della concretezza.

Proprio grazie a tale virtù, quando si trattò di dare vita a quella che è stata la sua grande utopia

realizzata - Nevè Shalom / Waahat as-Salaam - si rese conto ben presto che una comunità tesa a

proporsi come autentica oasi di pace sarebbe potuta fiorire soltanto se nel suo ambito si fosse

mantenuto e fatto salvo il ventaglio più ampio possibile di risorse spirituali presenti in coloro che

accettavano di condividerne la costituzione e il destino. E perciò, in omaggio alla sua eccezionale

apertura su tutti gli altri, Bruno scelse di avere al proprio fianco persone con i più diversi retroterra

ideologici (politici e religiosi), evitando con ogni scrupolo gli aut-aut dottrinali, valorizzando le

differenze culturali ma anche gli aspetti complementari delle rispettive tradizioni e cercando,

soprattutto di garantirsi che i suoi compagni fossero uomini e donne sinceramente impegnati a

rispettarsi in quanto diversi e a tessere giorno dopo giorno, artigianalmente, la tela della pacifica

convivenza.

Se mi è consentito, in chiusura, dire qualcosa di me stesso, mi rendo conto che a Bruno Hussar

debbo molto. Ho avuto modo di frequentare questo impareggiabile artigiano della pace soltanto negli

ultimi anni della sua vita, ma so che proprio la sua amicizia mi ha offerto stimoli per cogliere alcuni

degli aspetti più delicati delle relazioni tra gli uomini, con particolare riferimento alle radici

identitarie di molte conflittualità e ai gravi ostacoli che tutti i processi di pacificazione generalmente

incontrano. Debbo inoltre a Hussar la spinta ad avviare alcune riflessioni che mi hanno aiutato, e

ancora mi stanno aiutando, a vivere con più vigile consapevolezza e un maggior spessore

problematico la mia stessa identità di ebreo.

(Bruno Segre è presidente dell’Associazione Italiana degli Amici di Nevè Shalom/Waahat as-Salaam)

BRUNO SEGRE

IL SISTEMA SCOLASTICO DI NEVÈ SHALOM / WAAHAT AS-SALAAM

UNA STRUTTURA EDUCATIVA BINAZIONALE E BILINGUE

Qualche cenno di storia

Nevè Shalom / Waahat as-Salaam è un villaggio cooperativo nel quale, dalla seconda metà degli anni

Settanta, vivono insieme ebrei e palestinesi di cittadinanza israeliana. I membri del Villaggio

dimostrano in modo tangibile che ebrei e palestinesi possono senz’altro coesistere quando diano vita,

assieme, a una comunità basata sull’accettazione, il rispetto reciproco e la cooperazione.

L’idea di creare strutture scolastiche che potessero esprimere e diffondere gli ideali di coesistenza ed

eguaglianza di NSh/WAS nacque nella comunità assieme alla nascita dei primi figli. L’idea prese

corpo nella forma di un asilo nido binazionale dal quale, con l’andar degli anni, sono poi nate una

scuola materna e una scuola elementare (dalla 1^ all’8^ classe).

Dopo diversi anni di attività, tali strutture hanno aperto le porte anche ai bambini dei villaggi vicini.

Oggigiorno la scuola elementare e quella materna contano complessivamente 210 bambini (ebrei e

arabi in numero paritetico), due terzi dei quali provengono dai villaggi vicini.

Caratteri distintivi del sistema scolastico di NSh/WAS

Tesa a promuovere l’integrazione fra bambini di due etnie confliggenti, la struttura educativa di NSh/

WAS è l’unica in Israele che preveda un’educazione bilingue: fanciulli e maestri, cioè, si esprimono

nelle lingue dei due gruppi di popolazione, ebrei e palestinesi. L’intento del sistema scolastico del

Villaggio non è quello di dare vita a una sorta di artificiosa nuova entità etnica, bensì quello di

promuovere e garantire un incontro costante e quotidiano fra bambini di due gruppi nazionali

coinvolti in un lungo cruento scontro etnico.

All’interno della struttura educativa del Villaggio, i fanciulli vengono educati a giocare, apprendere e

convivere in un clima di reciproca comprensione e accettazione, a onta del conflitto in corso e delle

differenze esistenti sul piano nazionale, culturale e linguistico.

A. L’incontro

Grazie al loro quotidiano incontrarsi, i fanciulli dei due popoli hanno l’opportunità di acquisire

un’autentica conoscenza gli uni degli altri. Bambini che trascorrono ogni giorno otto ore all’interno

di una struttura di questo tipo imparano a manifestare reciproca apertura e tolleranza. E hanno altresì

modo di rendersi conto che, rispetto alla realtà dura e violenta del conflitto entro cui sono nati e

stanno crescendo, esiste una concreta e valida alternativa.

B. Le lingue

Affinché i bambini possano approfondire la reciproca conoscenza, essi vengono educati in entrambe

le lingue: la propria e quella dell’altra etnia.

Le responsabilità educative e gestionali dell’intero gruppo dei bambini sono affidate in termini

paritetici a due maestri (o a due équipes di maestri) - uno per etnia - che lavorano insieme.

Ciascuno degli insegnanti si rivolge a tutti i bambini esclusivamente nella propria lingua madre. In tal

modo, sin dai loro primissimi anni i bambini dispongono di una buona padronanza dell’altra lingua

pur conservando, ciascuno, una chiara consapevolezza del proprio idioma nonché della propria

specifica cultura, identità e tradizioni.

C. Finalità, modalità e contenuti dell’educazione

La struttura educativa di NSh/WAS è finalizzata:

a) a sviluppare l’identità di ciascun fanciullo attraverso l’apprendimento di elementi della sua cultura

e delle sue tradizioni specifiche; e, contestualmente,

b) a rendere ciascun bambino consapevole del fatto che esistono culture e tradizioni diverse dalle

proprie, ma altrettanto degne di rispetto e di attenzione.

In questa prospettiva, a NSh/WAS l’educazione prevede momenti ludici e di apprendimento nei quali

i bambini acquisiscono, tutti assieme, familiarità con questo o quell’aspetto della cultura dell’una e/o

dell’altra etnia: feste religiose, favole e leggende, canti popolari ecc.

Un simile approccio consente agli educatori di trasmettere in modo naturale ai fanciulli, negli anni

decisivi della loro formazione (2 - 13 anni), gli ideali di coesistenza e di eguaglianza che

costituiscono le precondizioni per l’edificazione, nel Vicino Oriente, di una pace durevole.

Il sistema educativo sperimentato a NSh/WAS non si limita ad aggregare e integrare fanciulli, ma

offre anche preziose occasioni per promuovere incontri tra genitori (in particolare tra madri). Per

molti dei genitori di bambini che vivono in comunità "mononazionali" al di fuori di NSh/WAS, gli

incontri che la scuola del Villaggio propizia costituiscono preziose inconsuete occasioni per

confrontarsi con persone dell’altra etnia e per affrontare e risolvere con esse problemi di comune

interesse.

Dall’esperienza acquisita nel corso di molti anni dai ragazzi e dagli educatori (maestri e genitori) del

Villaggio, si evince che l’incontro con l’altro acuisce e rende più precise le identità dei due gruppi,

attraverso il confronto circa elementi e aspetti che li concernono e che altrimenti non verrebbero mai

in superficie. Tuttavia, la sfida che gli educatori sono chiamati ad affrontare è quella di utilizzare le

differenze tra i gruppi come occasioni di arricchimento e non come fonti di ostilità.

 

LA SAGGEZZA CONSISTE NEL TENTARE DI VEDERE I SEGNI DEI TEMPI, DISCERNERE LO

SPIRITO IN QUELLE CERTEZZE CHE SI STANNO EVOLVENDO, AGGRAPPARCI A CERTE ROCCE

SOLIDE CHE RESTANO IN MEZZO A QUESTA NEBULOSA. LA ROCCIA PIÙ SOLIDA, È L’AMORE

FRATERNO. LÀ, SI È SICURI DI NON SBAGLIARE.

Bruno Hussar

 

 

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