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VITA DI UNA TRUCCATRICE DI MORTI

Mi ero appena messa il camice quando, dal gelido ingresso fatto di porte metalliche, entra Ettore. Sta spingendo un lettino con un lenzuolo bianco posto sopra. Si scorge la sagoma di un corpo longilineo, forse di un uomo. Ettore si avvicina verso di me, senza un sorriso, senza un cenno di saluto. La sua voce fredda e distaccata mi trapassa il cervello: "vestilo e truccalo". Una volta uscito dalla camera, fisso il lenzuolo per un paio di minuti. Mi faccio forza. Penso a lavorare e a non farmi coinvolgere dalle mie sensazioni.

Mi infilo la maschera e i guanti e mi avvicino. Apro il telo e mi si presenta davanti un uomo, giovane, biondo. La sua pelle è bianca, distesa. Le sue labbra sono viola, quasi avesse il rossetto. Era spostato, ha ancora la fede sul dito anulare. Si vede che non sono riusciti a toglierla di dosso. Io non lo faccio di certo. Non sono come certi miei colleghi che controllano pure in bocca per poter sottrarre qualche dente d'oro. Oppure rompere un dito per potersi portar via qualche anello che non è stato possibile toglierlo prima. Non sono così, mi vergognerei se solo ci avessi provato.

Prendo da sotto il letto gli indumenti che la famiglia ha lasciato e con i quali vorrebbe che fosse vestito il morto. Li tiro fuori e li appoggio sul bancone. Mi avvicino verso il cadavere e lo osservo un attimo. Mi accosto verso la sponda del letto e con la forbice taglio il camice bianco che si usa in ospedale. Il corpo è nudo, inerme, libero da ogni indumeto. Il fisico dell'uomo è scarno, privo di massa muscolare. Chissà quale brutta malattia ha contratto ? Eppure all'inizio non avevo notato la sua magrezza. Le braccia e le gambe sono quasi scheletriche, mentre il viso bianco non è tirato. Sembra che stia dormendo pacificamente. Gli guardo lo stomaco e mi accorgo di una lunga cucitura, forse di venti centimetri. La cucitura non è profonda però. Sembra che il taglio sia stato fatto in superficie.

Scoppio in una mezza risata e penso al lavoro che svolge un comune macellaio. Poi dico fra me: "Cerchiamo di avere un cotegno, perfavore". Prendo gli abiti e inizio a vestirlo. Prima le mutande, firmate Dolce & Gabbana. Poi cerco in qualche modo di mettergli la camicia e sento un rumore di ossa. "CRAAAACK!!". Forse gli ho rotto la scapola. Comunque la camicia bianca lo gonfia di più. Allora gli infilo dentro un po' di gomma piuma per imbottirlo, così farà sicuramente un figurone. Infilo le canze bianche e dopo i pantaloni neri, firmati Versace. Poi infilo tra i passanti una cintura nera, forse in cuoio. C'è anche la giacca. Una bella giacca. Anche la cravatta. Una bella cravatta. Allora prima la cravatta. "Et voilà!" dico ridendo. Proprio un bel figo così. Prendo la giacca e imito un torero come si fa nelle corride spagnole. E poi, gliela infilo senza pensare a nulla. Come un direttore d'orchestra, mi avvicino verso lo scaffale facendo finta che quello fosse il pubblico e mi inchino. Sento lo scrosciare degli applausi. Ringrazio. Ritorno verso il mio cliente e abbottono la giacca. "Ah, manca il fazzoletto bianco da mettere nella tasca" dico. "Che cosa posso prendere ?" proseguo. Vedo sun bancone un telo bianco. Lo taglio e ci ricavo un quadrato. Lo piego e lo infilo dentro il taschino. "Il morto è vestito" dico ridendo. Così mi avvicino verso lo scaffale per ricevere di nuovo gli applausi. Vado verso il bancone e prendo le scarpe. Ritorno e mi preparo a fargliele indossare. Sembra che non gli stiano bene. Sembrano piccole. Penso un attimo e subito dopo scoppio di nuovo a ridere. "Ecco" dico io "gli posso rompere le dita dei piedi". Prendo un'asse di legno, un martelletto e colpisco violentemente contro. Provo e la scarpa entra senza problemi. Così faccio anche per la seconda.

Ho bisogno di rilassarmi un attimo. Esco fuori dalla camera e mi dirigo verso la macchinetta del caffè. Penso: "Ci vuole un buon caffè". Mentre bevo, mi invento qualche idea per truccarlo come si deve. Il morto non deve far pensare ad un morto, ma a qualcuno che dorme profondamente. Finisco il mio caffè e mi precipito subito in camera. C'è Ettore vicino al morto. Mi guarda e accenna un mezzo sorriso. "Bel lavoro" mi dice con quella sua voce fredda. Esce ma prima mi ricorda di pettinarlo e di passargli il gel nei capelli. "L'effetto bagnato fa colpo sui famigliari" conclude prima di chiudere la porta. Prendo subito il gel, non di marca. Ha un colore giallognolo. Lo passo sui suoi capelli e poi passo la spazzola. Devo suare un po' di forza. I suoi capelli sono diventati secchi. Alla fine il risultato è discreto. A vederlo bene mi ricorda John Travolta nel film La febbre del sabato sera.

"Il trucco! Manca un po' di trucco". Prendo la valigetta del trucco. Ho constatato che i trucchi di Pupa sono quelli più adatti per la pelle di un morto. Passo velocemente un po' di fard sulle guance, tanto per colorirlo. Un po' di rossetto per togliere quel brutto colore viola e correggo le occhiaie che noto solo ora. "Ecco, ho finito" dico. Poi chiedo al morto: "Come ti senti, bene ?". Butto via la maschera e i guanti. mi tolgo il camice ed esco. Chiamo Ettore e l'avviso che ho finito, il morto può essere portato nella camera funeraria. Domani mattina verranno tutt i parenti a trovarlo.

Esco dall'obitorio e scopro una giornata stupenda. Un sole meraviglioso che riscalda l'anima e il cuore. L'aria frizzantina libera il mio cervello da ogni triste pensiero. Non ricordo più la mia giornata di lavoro. Vado a casa dai miei figli.

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