LASCIO IL SACERDOZIO 
E L'ORDINE FRANCESCANO

LETTERA AI COMPAGNI DI CAMMINO E DI SPERANZA

[Leonardo Boff]


Ci sono dei momenti nella vita in cui una persona, per essere fedele a sé stessa, deve cambiare. Ho cambiato. Non di battaglia ma di trincea. Lascio il ministero presbiterale, ma non la chiesa. 
Mi allontano dall'Ordine Francescano ma non dal sogno tenero e fraterno di S. Francesco di Assisi.
Continuo e sarò sempre teologo, di matrice cattolica ed ecumenica, a partire dai poveri, contro la loro povertà e a favore della liberazione. 
Voglio comunicare ai compagni e compagne di cammino le ragioni che mi hanno portato ad una tale decisione.
Prima di tutto dico: esco per mantenere la libertà e per continuare un lavoro che mi era fortemente impedito. Questo lavoro ha significato la ragione della mia lotta negli ultimi 25 anni.
Non essere fedele alle ragioni che danno senso alla vita, significa perdere la dignità e diluire la propria identità. Non lo faccio. E penso che neppure Dio lo vuole. Ricordo la frase di Josè Marti, notevole pensatore cubano del secolo passato: "Non è possibile che Dio ponga nella testa di una persona il pensiero e che un vescovo, che non è tanto quanto Dio, proibisca di esprimerlo"
Ma rifacciamo brevemente il percorso. A partire dagli anni '70 insieme ad altri cristiani, ho tentato di coniugare il Vangelo con la giustizia sociale e il grido degli oppressi con il Dio della vita. Da questo è risultata la teologia della liberazione, la prima teologia latino-americana di rilevanza universale. Con essa cercavamo di riscattare il potenziale di liberazione della fede cristiana e attualizzare la "memoria pericolosa" di Gesù, rompendo quel circolo ferreo che qui teneva il cristianesimo prigioniero degli interessi dei potenti.
Questo ci ha portato alla scelta dei poveri e degli emarginati. Da loro siamo stati evangelizzati. Siamo diventati più umili e sensibili alle loro passioni. Ma anche più lucidi nella scoperta dei meccanismi che sempre di nuovo li fanno soffrire. Dalla sacra iracondia siamo passati alla pratica sociale e alla riflessione impegnata. Abbiamo sopportato, in comunione con loro, la maldicenza di quei settori sociali che trovano nel cristianesimo tradizionale un alleato per mantenere i propri privilegi con il pretesto della preservazione dell'ordine che è, per le grandi maggioranze, puramente e semplicemente disordine. 
Abbiamo sofferto quando siamo stati accusati, dai nostri fratelli di fede, di eresia e di patteggiamento con il marxismo e quando abbiamo visto rompersi pubblicamente legami di fraternità. Ho sempre sostenuto la tesi che una chiesa è veramente solidale con la liberazione degli oppressi solo quando essa stessa, nella sua vita interna, supera strutture e comportamenti che implicano la discriminazione delle donne, la diminuzione del valore dei laici, la mancanza di fiducia nelle libertà moderne e nello spirito democratico e l' eccessiva concentrazione del potere sacro nelle mani del clero. Con frequenza ho fatto questa riflessione che qui ripeto: quello che è errore nella dottrina sulla Trinità non può essere verità nella dottrina sulla chiesa. Si insegna che nella Trinità non vi può essere gerarchia. Ogni subordinazionismo qui è eretico. Si insegna che le persone divine sono di uguale dignità, di uguale bontà, di uguale potere. La natura intima della Trinità non è la solitudine, ma la comunione. La pericoresi (mutua relazione) della vita e dell'amore unisce i Tre divini con tale radicalità che non abbiamo tre "dei" ma un solo Dio-comunione. 
Ma nella chiesa si dice che è essenzialmente gerarchica e che la divisione tra chierici e laici è di istituzione divina.
Non siamo contro la gerarchia. Se ci deve essere gerarchia, poichè questo può essere un legittimo imperativo culturale, sarà sempre, in un buon raziocinio teologico, gerarchia di servizi e funzioni. Se così non è, come si può veramente affermare che la chiesa è icona-immagine della Trinità? Dove va a finire il sogno di Gesù di una comunità di fratelli e di sorelle se ci sono tanti che si presentano come padri e maestri quando lui ha detto esplicitamente che abbiamo un solo padre e un solo maestro {cfr Mt 23, 8-9)? La forma attuale di organizzare la chiesa {non è stato sempre così nella teoria) crea e riproduce assai più disuguaglianze invece di attualizzare e rendere possibile l'utopia fraterna e ugualitaria di Gesù e degli apostoli.
Per tali e somiglianti proposizioni, che del resto si inseriscono nella tradizione profetica del cristianesimo e nel progetto dei riformatori a cominciare da S. Francesco d' Assisi, sono caduto sotto severa vigilanza delle autorità dottrinali del Vaticano.
Questa vigilanza è stata, direttamente o per interposta autorità, come un torchio che si è stretto sempre più fino a rendere praticamente impossibile la mia attività teologica di professore, conferenziere, consulente e scrittore. Fin dal 1971 ho ricevuto frequentemente lettere e richiami, restrizioni e punizioni. Non si dica che non ho collaborato.
Ho risposto ad ogni lettera. Ho negoziato per due volte il mio temporaneo allontanamento dalla cattedra. Nel 1984 ho affrontato a Roma un "dialogo" davanti alla più alta autorità dottrinale della Chiesa cattolica romana. Ho accolto il testo della condanna di varie mie opinioni nel 1985. E poi (contro il senso del diritto, poiché mi ero sottomesso a tutto) sono stato castigato con un tempo di "silenzio ossequioso". Ho accettato dicendo: "Preferisco camminare con la chiesa (dei poveri e delle comunità ecclesiali di base) che camminare solo con la mia teologia".
Sono stato destituito dalla Rivista Ecclesiastica Brasiliana e allontanato dalla direzione dell'editrice Vozes. Mi hanno imposto uno statuto speciale, fuori dalle norme del diritto canonico, obbligandomi a sottomettere ogni mio scritto a previa duplice censura, una interna all'Ordine Francescano e l'altra del vescovo a cui spetta dare l'imprimatur. Ho accettato tutto e a tutto mi sono sottomesso.
Tra il 1991 e il 1992 il cerchio si è chiuso ancora di più. Sono stato allontanato dalla rivista Vozes (la più antica rivista culturale del Brasile nata nel 1904), è stata imposta la censura all'editrice Vozes e a tutte le riviste che essa pubblica. Mi fu imposta di nuovo la censura previa su ogni scritto, articolo o libro. Ed è stata applicata con zelo.
E per un tempo indeterminato avrei dovuto allontanarmi dall'insegnamento della teologia. L'esperienza soggettiva che ho colto in questi venti anni di rapporto con il potere dottrinale è questa: esso è crudele e senza pietà. Non dimentica niente, non perdona niente, esige tutto. E per raggiungere il suo fine: l'inquadramento dell'intelligenza teologica, si prende il tempo necessario e sceglie i mezzi opportuni. Agisce direttamente o usa istanze intermedie oppure obbliga i propri fratelli dell'Ordine Francescano a compiere una funzione che spetta solo a chi ha autorità dottrinale (vescovi e la Congregazione per la dottrina della fede).
Ho la sensazione di essere arrivato davanti a un muro. Non posso più andare avanti. Retrocedere implicherebbe sacrificare la propria dignità e rinunciare ad una lotta di tanti anni.
Non tutto è lecito nella chiesa.
Lo stesso Gesù è morto per testimoniare che non tutto è lecito in questo mondo. Ci sono limiti invalicabili: il diritto, la dignità e la libertà della persona umana. 
La chiesa gerarchica non detiene il monopolio dei valori evangelici né l'Ordine Francescano è l'unico erede del Sole di Assisi. 
Esiste anche la comunità cristiana e il torrente di tenera fraternità francescana nei quali potrò situarmi con giovialità e libertà. 
Prima di amareggiarmi, di vedere distrutte in me le basi umane della fede e della speranza cristiana e scossa l'immagine evangelica di Dio-comunione di persone, preferisco cambiare cammino. Non direzione. 
Le motivazioni assiali che hanno ispirato la mia vita continueranno: la lotta per il Regno che inizia dai poveri, la passione per il Vangelo, la com-passione con i sofferenti di questo mondo, l'impegno di liberazione degli oppressi, l'articolazione tra il pensiero più critico con la realtà più disumana e l'impegno di coltivare la tenerezza verso ogni essere creato, alla lucedell'esempio di S. Francesco d' Assisi.
Non smetterò di amare il carattere misterico e sacramentale della chiesa e di comprendere i suoi limiti storici con lucidità e con la necessaria tolleranza. 
C'è innegabilmente una grave crisi nell'attuale chiesa cattolica romana. Si confrontano duramente due atteggiamenti di fondo. Il primo crede nella forza della disciplina ed il secondo nella forza intrinseca al corso delle cose. Il primo pensa che la chiesa abbia bisogno di ordine e per questo basa tutto sull'ubbidienza e sulla sottomissione di tutti.
Questo atteggiamento è proprio per lo più dei settori egemoni dell'amministrazione centrale della chiesa. Il secondo pensa che la chiesa abbia bisogno di liberarsi e per questo ha fede nello Spirito che fermenta la storia e nelle forze vitali che come humus conferiscono fecondità al millenario corpo ecclesiale. 
Questo atteggiamento è rappresentato da settori importanti delle chiese periferiche del Terzo Mondo e del Brasile.
Indiscutibilmente io mi colloco nel secondo atteggiamento, in quello di coloro che fanno della fede il superamento della paura, che sperano nel futuro del fiore senza difesa e nelle radici invisibili che sorreggono l'albero.
Fratelli e sorelle, compagni di cammino e di speranza: che questo mio gesto non vi scoraggi nella lotta per una società dove sia meno difficile la collaborazione e la solidarietà, poiché a questo ci invita la pratica di Gesù e l'entusiasmo dello Spirito.
Aiutiamo la chiesa istituzionale ad essere più evangelica, compassionevole, umana e impegnata per la libertà e la liberazione dei figli e delle figlie di Dio. Non camminiamo di spalle verso il futuro, ma con occhi bene aperti per discernere nel presente i segni di un nuovo mondo che Dio vuole e dentro questo mondo un nuovo modo di essere chiesa: comunionale, popolare, liberatrice ed ecumenica. Per quanto mi riguarda voglio, con il mio lavoro intellettuale, impegnarmi nella costruzione di un
cristianesimo indio-afro-americano inculturato nei corpi, nella pelle, nelle danze, nelle sofferenze, nell'allegria e nelle lingue dei nostri popoli, come risposta all'evangelo di Dio che ancora non è stata pienamente data dopo 500 anni di presenza cristiana nel continente.
Continuerò nel sacerdozio universale dei credenti che è pura espressione del sacerdozio del laico Gesù, come ci ricorda l'autore dell'epistola agli Ebrei (7,14; 8,4).
Non esco triste da questa situazione ma tranquillizzato, faccio mia, infatti, la poesia del nostro maggior poeta, Fernando Pessoa:

«E' valsa la pena?
Tutto vale la pena
se l'anima non è piccola
»

Sento che la mia anima, con la grazia di Dio, non è stata piccola. Uniti nel cammino e nella grazia di Colui che conosce il segreto e il destino di ogni nostro passo, vi saluto con Pace e Bene.
                                                                                                                                          Leonardo Boff


  Ikthys