È UNA CHIESA POCO CREDIBILE 
QUELLA CHE CI IMPONE IL BAVAGLIO

Risposta di 40 teologi spagnoli alle restrizioni minacciose espresse nel documento Ad tuendam fidem.

Il papa Pio XII ha pubblicato nel 1950 l'enciclica Humani generis che condannava la "nuova teologia", poneva un freno all'ecumenismo e imponeva ai teologi la difesa del magistero papale, senza alcuna possibilità di discussione e meno ancora di dissenso. Appena dieci anni dopo, i rappresentanti della teologia condannata da Pio XII diventavano esperti e consulenti del Concilio Vaticano II e le loro idee erano in buona parte assunte dal Concilio stesso.

Paolo VI pubblicava, nel 1968, l'enciclica Humanae vitae, che proibiva l'uso degli anticoncezionali e dei metodi di controllo non naturali, malgrado la commissione di teologi ed esperti a cui il papa aveva chiesto un'opinione si mostrasse favorevole a lasciare libertà ai cristiani e alle cristiane in questa materia, dal momento che non esistevano ragioni chiare per la proibizione. Il risultato è stato quello di una crisi che dura fino ad oggi: gran parte dei cattolici non ha assunto tale proibizione, mentre alcuni teologi, teologhe, vescovi e sacerdoti si trovano in aperto conflitto con il magistero.

Giovanni Paolo II ha pubblicato nel 1998 un nuovo documento, Ad tuendam fidem, che proibisce ai teologi cattolici di dissentire dalla dottrina ufficiale su alcune verità presentate come definitive, malgrado non siano oggetto di definizione dogmatica. Inoltre, la "nota esplicativa" della Congregazione per la Dottrina della Fede annessa al documento citato considera che la proibizione assoluta dell'aborto e dell'eutanasia, così come il rifiuto dell'accesso della donna al ministero sacerdotale, sono esempi di queste dottrine definitive e che dissentire da esse implica l'allontanamento dalla comunione della Chiesa e lascia la porta aperta alla scomunica.

Negli ultimi anni c'è stata una lunga discussione, all’interno del cattolicesimo, riguardo a tali questioni. Lo stesso papa, recentemente, ha avuto il coraggio di modificare le dichiarazioni ufficiali opponendosi con chiarezza e senza distinguo alla pena di morte. Perché non avere la stessa libertà e lo stesso coraggio per altre questioni? Per giustificare l'esclusione delle donne dal sacerdozio si ricorre agli argomenti delle Sacre scritture, della tradizione, della storia e dell'antropologia in cui, a giudizio di molti teologi, e di molte teologhe, non appare chiara la "presunta" volontà di Gesù riguardo a tale esclusione. Nonostante l'insistenza di Paolo VI e di Giovanni Paolo II nel condannare il sacerdozio femminile, si tratta, crediamo, di una "questione in discussione", che rende consigliabile lasciare il tempo per la discussione e la riflessione teologica, evitando decisioni affrettate che potrebbero aggravare l'attuale crisi della Chiesa, invece di alleggerirla. Per questo risulta lacerante il fatto che il documento vaticano si apra con l'appello al mandato di Gesù a Pietro di "confermare i suoi fratelli nella fede" (Lc 22, 23), quando non fa altro che mettere in crisi la fede di molti fratelli per il suo modo autoritario di procedere.

Osserviamo con preoccupazione come il magistero stia perdendo credibilità e plausibilità di fronte a molti cristiani e cristiane su temi controversi che non sono di natura dogmatica. Non bisogna dimenticare le ripetute condanne da parte dei papi del XIX e XX secolo della libertà di coscienza e di religione, della separazione tra Chiesa e Stato o del movimento ecumenico. Tali condanne antimoderniste sono state rettificate troppo tardi. Lo stesso Giovanni Paolo II ha riabilitato recentemente Galileo, mostrando come lo scienziato italiano condannato avesse più ragione di molti dei suoi avversari ecclesiastici. È un paradosso tuttavia che oggi si continui a minacciare e a condannare teologi e teologhe che dissentono su questioni che sono opinabili. Risulta ironico, inoltre, che si rifiuti il sacerdozio della donna appoggiandosi alla tradizione, quando si abbandona simultaneamente il vecchio principio della medesima tradizione secondo il quale nella Chiesa è definitivo e irriformabile solo ciò che è stato oggetto di formulazione dogmatica.

Quello che un papa considera definitivo, ma non oggetto di definizione dogmatica, può essere valutato da un altro papa come una questione aperta, come mostra la storia. Molti anni fa K. Rahner scrisse queste parole che il documento Ad tuendam fidem sembra disconoscere: "Nel passato si è pensato ed operato molte volte come se una dottrina fosse ormai irriformabile nella Chiesa perché per lungo tempo è stata insegnata universalmente, senza contraddizione chiaramente percepibile. Questa concezione non solo contraddice i fatti, dato che molte dottrine diffuse una volta in maniera generale sono risultate problematiche o erronee, ma è falsa per principio" (Sacramentum mundi, 1V, 392).

Per imporre nella comunità cristiana qualcosa come definitivo bisogna ricorrere ai documenti di fondazione del cristianesimo, al consenso universale della Chiesa, al sentire dei cristiani e delle cristiane o ad una tradizione continua e avvalorata come tale dalla teologia e dal magistero. Nessuna di queste circostanze sembra verificarsi in ciò che riguarda il sacerdozio femminile. Il problema si aggrava se si prende in considerazione l'emarginazione della donna nella Chiesa, un fatto che contrasta con la sua emancipazione sul terreno sociale e politico. Questo sta producendo nella Chiesa una frattura che può essere grave quanto o più di quella della classe lavoratrice nel XIX secolo e di quella degli intellettuali e del mondo della cultura in relazione con il cristianesimo nel XX secolo.

Il documento Ad tuendam fidem è un altro passo nella involuzione della Chiesa ed una grave ipoteca sui teologi e le teologhe. Si torna al vecchio adagio Roma locuta, causa finita dell'epoca preconciliare e si impone una dottrina non in base ad argomenti teologici, ma sotto minaccia di sanzioni.

Si passa così dall'autorità della fede alla fede nell'autorità, dal fondamento nella teologia all'autorità della carica, dal dialogo conciliare con la modernità ad un'uniformità dottrinale imposta, che chiude ogni possibilità di dissenso. Così, in molti casi, i professionisti della teologia sono guidati dal principio della paura, che porta a un doppio atteggiamento: in privato mostrano il proprio disaccordo con il magistero ecclesiastico, mentre in pubblico danno il problema per risolto, esprimendo la propria adesione. Di fronte a questa situazione i teologi e le teologhe devono far proprio il divieto evangelico del doppio linguaggio e chiedere alla gerarchia che ricordi l'impostazione paolina, che non cerca di dominare sulla fede della comunità, ma che difende il discernimento e la libertà di tutti i cristiani e le cristiane.

Appoggiano questo articolo una quarantina di teologi spagnoli.


                        Ikthys