LASCIO IL SACERDOZIO
perché non posso più essere complice nell'attuale politica teologica della Chiesa

Paul Collins


Dopo trentatré anni ho deciso di dare le dimissioni da prete attivo per tornare ad essere un comune fedele cattolico. Comprensibilmente molta gente si chiederà: perché? La ragione è semplice: non posso più, in coscienza, dare il mio appoggio alle politiche e alle puntigliosità teologiche che vengono dal Vaticano e da altre fonti della Chiesa ufficiale.

Se la ragione è semplice, la decisione di dare le dimissioni è il risultato di un processo personale e teologico. Si tratta, ovviamente, di una decisione che non ho preso alla leggera, a cui ho pensato per diverso tempo. Cercherò di illustrarne i motivi in dettaglio.

Il cuore del problema è che, a mio avviso, all'interno della gerarchia ecclesiastica molti si stanno muovendo in una direzione sempre più settaria, stanno annacquando la cattolicità della Chiesa e, inconsciamente, stanno trascurando elementi del suo insegnamento. Dal momento che il termine "cattolicità" ricorre spesso, occorre che io lo definisca. Deriva dal greco katholikos che significa "generale", "ampio" o "universale". Lo Shorter Oxford Dictionary definisce la cattolicità come la qualità di avere s'mpatheia, di essere onnicomprensivo; apertura mentale, tolleranza.

Ma cattolicità ha anche un profondo significato teologico. Il gesuita americano Avery Dulles, recentemente nominato cardinale, ha scritto un bel libro intitolato The Catholicity of the Church ("La Cattolicità della Chiesa", ndt) (1988). La cattolicità, dice, è caratterizzata da: 1) inclusività, che significa apertura alle varie culture e opposizione al settarismo e all'individualismo religioso; 2) abilità di collegare generazioni e periodi storici; 3) apertura alla verità e al valore ovunque esista; 4) riconoscimento del fatto che è lo Spirito Santo a creare l'unità della Chiesa nel cui permanere noi partecipiamo alla vita di Dio.

 

In Vaticano il cattolicesimo diventa setta

Questo è il tipo di cattolicesimo che io, e molti altri, abbiamo abbracciato nel corso della nostra vita. I suoi fondamenti, che sono profondamente radicati nella storia della Chiesa, hanno ricevuto una moderna espressione della visione della Chiesa elaborata dal Concilio Vaticano II negli anni '60. Per i cattolici come me, il punto di riferimento è una Chiesa definita come sacramento di Dio; presenza e luogo in cui la sovranità di Dio è riconosciuta, espressa per mezzo di una comunità partecipativa di persone che si dedicano al servizio del mondo e caratterizzata da collegialità ed ecumenismo. È precisamente quest'immagine di cattolicesimo che penso sia stata distorta da molti rappresentanti dei massimi livelli della Chiesa contemporanea. Sempre di più avverto che essere prete mi pone in una posizione di cooperazione con strutture che distruggono quella visione aperta del cattolicesimo e della fede della gente che l'ha abbracciato. Se voglio essere autentico in coscienza, le dimissioni appaiono come l'unica scelta. Non tutti potrebbero essere d'accordo sul fatto che l'allontanamento dalla visione di cattolicesimo del Concilio Vaticano II sia ciò che sta davvero accadendo nella Chiesa. Io lo accetto, e accetto anche che la tensione tra una ampia ed aperta visione del cattolicesimo, radicata nell'esperienza vissuta, ed una visione della fede più ristretta, staticamente gerarchica, percorra tutta la storia della Chiesa. Percepisco che attualmente molti nella gerarchia, e alcuni laici, si stanno muovendo in questa direzione ristretta ed elitaria. Negli ultimi anni ho assistito con crescente preoccupazione alla pubblicazione di una serie di documenti del Vaticano, l'ultimo dei quali è stato la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus (DI), pubblicata il 6 agosto 2000, che pretende di tutelare l'unicità di Cristo ma in realtà esprime uno spirito profondamente antiecumenico in contrasto con il senso della Grazia di Dio che permea tutto il cosmo. La DI dà voce ad un più ampio movimento che sta lentamente ma sistematicamente trasformando la Chiesa cattolica in direzione sempre più settaria. È questo che mi preoccupa maggiormente.

Il settarismo è incompatibile con l'autentica cattolicità. È l'antitesi dell'apertura al mondo, dell'accettazione tollerante degli altri e del pluralismo religioso in cui molti cattolici maturi si sono formati e che hanno abbracciato nel corso degli ultimi tre o quattro decenni. Così molti cattolici si trovano coinvolti in una frattura corrosiva tra ciò che credono e che hanno sperimentato, e le posizioni espresse al massimo livello della Chiesa. Il motivo è che coloro che pretendono di esprimere il credo cattolico sembrano abbandonare il loro spirito cattolico. Ne consegue un allontanamento dalle altre Chiese cristiane e un rifiuto della ricerca di un terreno comune con le altre grandi tradizioni religiose. I sempre più numerosi cattolici maturi che sono stati educati e vivono in società pluraliste, democratiche e tolleranti, si trovano in conflitto con le gerarchie cattoliche che sembrano invece muoversi in una direzione quanto mai settaria.

Talvolta c'è un forte desiderio di un approccio autenticamente cattolico - come si vede nell'enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint (1995) - dove si è spinto a chiedere alle altre Chiese un parere sul primato papale. Ma la realtà ecclesiastica indica che questo forte desiderio è, in realtà, un pio desiderio di ecumenismo, mentre la realtà gerarchica è esclusivista.

 

La gerarchia vaticana si autoproclama sempre più infallibile

Ci sono anche stati sistematici tentativi di imbavagliare e condannare la discussione di temi come l'ordinazione delle donne attraverso l'uso di una nuova categoria di dottrina. Questa ha ricevuto la sua più chiara espressione nella lettera apostolica Ad tuendam fidem (30 giugno 1998). La lettera afferma che c'è un secondo livello intermedio di dottrina rivelata tra l'insegnamento stabilito e definito in cui tutti i cattolici credono e ciò che finora è stato chiamato "magistero ordinario". Prima dell'introduzione di questo cosiddetto "secondo livello", tutto l'insegnamento non infallibile o non definitivo era proprio questo: dottrina che doveva essere rispettata e offriva vari livelli di sottomissione di mente e di volontà, ma in definitiva ancora aperta al dibattito, alla discussione e allo sviluppo nella Chiesa cattolica.

Ciò che ha fatto la Ad tuendam Fidem è stato introdurre, attraverso questo secondo livello, una categoria di dottrina "definitiva" ma non infallibilmente definita. Il cardinal Joseph Ratzinger dice che questo insegnamento di secondo livello è, in realtà, infallibile. Egli afferma che comprende tutti quegli insegnamenti dell'area dogmatica o morale che sono necessari per mantenere fedelmente e spiegare il deposito della fede, anche se non sono stati proposti dal magistero come formalmente rivelati. Come esempi di un insegnamento definitivo di secondo livello, include la condanna dell'eutanasia, la validità della canonizzazione di un particolare santo, la legittimazione di un'elezione papale ed anche l'invalidità degli Ordini anglicani. Il riferimento gratuito agli Ordini anglicani è sorprendentemente maldestro e offensivo: rivela una reale mancanza di sensibilità ecumenica.

C'è anche un'emergente e inespressa presunzione tra alcuni anziani leader della Chiesa che il mondo contemporaneo occidentale è talmente caduto nell'individualismo, nel permissivismo e nel consumismo da essere totalmente impermeabile all'insegnamento della Chiesa. Affermando di assumere una più ampia prospettiva storica, questi uomini di Chiesa hanno virtualmente abbandonato le masse secolarizzate, per alimentare enclave elitarie che porteranno la vera fede a generazioni future, più "ricettive". Ecco perché i Nuovi Movimenti Religiosi (NRM) hanno ricevuto tanto favore ed appoggio durante questo pontificato. I NMR hanno abbracciato una visione essenzialmente settaria del cattolicesimo, sono molto gerarchici nelle strutture e teologicamente reazionari. Questo vale per alcuni elementi nel movimento carismatico cattolico, e si attaglia a gruppi come Opus Dei, Comunione e Liberazione, Neocatecumenali e Legionari di Cristo, così come ad altri più piccoli e meno significativi. Nel corso degli anni il mio disagio pubblico rispetto al crescente centralismo papale e all'erosione della visione di un cattolicesimo più ecumenico è stato reso noto, specialmente in Australia. Sono spesso stato critico rispetto alla leadership della Chiesa, forse a volte in modo troppo duro, nei libri, nei programmi televisivi, in interviste e articoli. Mi sono preoccupato della grettezza ecclesiastica e della negazione de facto della cattolicità. Ma ho anche sempre affermato che solo restando all'interno del sacerdozio qualcuno come me avrebbe potuto influenzare le cose e apportare un cambiamento. Ma è stata sempre una decisione quotidiana, quella di continuare la lotta attraverso le strutture interne della Chiesa. E può arrivare un momento in cui si può decidere, sia in coscienza sia da un punto di vista strategico, che restare non è più una opzione percorribile o onesta. Si comprende di non poter più essere complici in ciò che sta accadendo restando nel sacerdozio ufficiale.

 

È un errore seguire la propria coscienza?

Pur essendo importanti, le decisioni che cambiano la vita spesso possono sembrare improvvise a chi sta all'esterno e talvolta anche alla persona che le prende, cosa che non qui non accade. Tali conclusioni sono più probabilmente il prodotto di una lunga inconscia riflessione su un tema. Lentamente i collegamenti, le deduzioni e i ragionamenti interiori e non ancora articolato portano alla consapevolezza. Spesso è un singolo evento a focalizzare il proprio pensiero e a spingere ad una decisione. Improvvisamente si capisce che, in coscienza, non si può più permettere che il proprio nome venga associato a ciò che sta accadendo. Certo, il proprio giudizio può essere errato, terribilmente errato, ma la tradizione cattolica ha sempre prescritto che si deve seguire la propria coscienza, benché erronea. Certamente bisogna fare tutto quello che si può per accertare ciò che sta realmente accadendo e quali sono i propri obblighi, ma alla fine bisogna essere veri in coscienza.

Ciò che mi ha aiutato a focalizzare il mio pensiero è stato l'articolo Catholic Fundamentalism. Some implications of Dominus Iesus for Dialogue and Peacemaking del mio amico John D'Arcy May (l'articolo fa parte di una serie di saggi contenuti nel libro Dominus Iesus. Anstössige Wahrheit oder anstössige Kirche a cura di Michael Rainer). La DI è rivolta in primo luogo contro quei cattolici coinvolti nel più ampio ecumenismo che hanno cercato di trovare un terreno comune con le grandi tradizioni religiose non cristiane. Ma la DI è anche riuscita ad offendere molti anglicani e protestanti grazie ad un brano pieno di parole maldestre, così oscuro che molti giornalisti erroneamente hanno pensato che volesse dire che solo i cattolici possono essere salvati. Il brano in realtà dice che l'anglicanesimo e le varie forme di protestantesimo non sono Chiese in senso proprio (DI, par. 17).

Sono state le frasi d'apertura del commento di Ma' che mi hanno colpito. "Non c'è motivo, in linea di principio, perché la Chiesa cattolica, nonostante la sua vastità e la sua presenza globale, non possa diventare una setta. Il settarismo è una questione di mentalità, non di misura' Lo shock profondo che la Dominus Iesus ha causato negli ambienti ecumenici è consistito proprio nella loro esposizione alla forma prettamente cattolica di fondamentalismo". Questo trasforma in parole le conclusioni a cui io ero inconsciamente arrivato ma che non avevo elaborato.

È proprio questo movimento in direzione settaria e fondamentalista che io contesto profondamente. Una persona impegnata pubblicamente come un prete è obbligato in coscienza chiedersi: "posso continuare a cooperare con questo tipo di regime nella Chiesa?". Ora in coscienza mi sento obbligato a dire: "No, non posso". Ma sottolineo che questo non significa che io abbia la minima intenzione di lasciare la comunità della Chiesa cattolica, né di abbandonare il mio lavoro con i libri e i media, per quanto mi sarà reso possibile.

 

Ratzinger, l'accusatore, è anche il giudice

Ma c'è anche un secondo ordine di motivi che mi hanno portato alle dimissioni. Sono centrati attorno al libro Papal Power (1997), attualmente sotto esame della Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF), la parte della burocrazia pontificia che ha a che fare con la fede cattolica. Ho insistentemente cercato di considerare nella sua oggettività questo cosiddetto "esame" e non l'ho preso troppo sul serio. Tuttavia, mi è chiaro che la CdF sta andando verso un'escalation del tema. Questo inevitabilmente coinvolge altre persone. La CdF chiede che tutta la mia corrispondenza passi attraverso un terzo, il Superiore generale della mia congregazione, quella dei Missionari del Sacro Cuore (MSC). Questo significa che i miei superiori e la congregazione si troveranno tra due fuochi, la CdF e me. Non voglio metterli in questa situazione.

Il 14 dicembre 2000 l'attuale superiore generale dei MSC, padre Michael Curran, è stato convocato ad un incontro al palazzo del Sant'Uffizio in Vaticano. Questo incontro è avvenuto assolutamente a mia insaputa e ne sono venuto a conoscenza solo cinque settimane dopo. Durante l'incontro, a padre Curran è stato chiesto perché io non avessi risposto alle tre questioni sollevate da una lettera della CdF mandatami tramite Curran e il mio superiore australiano nell'aprile 1999. Lui ha risposto fornendo alla CdF un articolo che avevo scritto per la rivista teologica "Compass", in cui fornivo la risposta alle preoccupazioni della CdF. Egli sentiva che "l'articolo avrebbe risposto esaurientemente" alle domande della CdF. Nel corso della discussione è stato fatto riferimento ad una dichiarazione da me resa ai media che era moderatamente critica nei confronti della Cdf, di cui lo statunitense "National Catholic Reporter" (NCR) aveva riportato un breve passaggio (16 luglio 1999). Ratzinger protestava, in una lettera successiva a Curran (18 dicembre 2000), che i miei commenti critici "avrebbero potuto mettere in discussione la (mia) presunta adesione al magistero". In altre parole, anche se le mie risposte teologiche su "Compass" erano state ritenute soddisfacenti, i commenti apparsi sull'NCR avrebbero mostrato che non mi ero veramente pentito perché criticavo ancora la CdF dopo aver scritto l'articolo su "Compass".

Tuttavia, la cronologia del cardinale era errata. I suoi commenti rendono evidente che lui crede che l'intervista sull'NCR sia stata pubblicata dopo l'articolo di "Compass". In realtà, l'intervista dell'NCR del 16 luglio 1999 era stata pubblicata parecchi mesi prima del numero della primavera 1999 di "Compass". Suppongo che si possa perdonare il cardinale per non aver ricordato che la primavera nell'emisfero australe arriva in settembre-ottobre, e non in aprile-maggio come nell'emisfero boreale. L'intervista di "Compass" era stata pubblicata nella primavera australe del 1999, dunque a ottobre-novembre, tre o quattro mesi dopo l'intervista di luglio all'NCR.

Comunque, tutto il tono della lettera di Ratzinger a Curran rende scontato che la CdF si stia preparando a censurarmi perché i commenti del cardinale pregiudicano chiaramente la questione. La difficoltà costante quando si ha a che fare con la CdF è che chi accusa è anche colui che giudica. Un accusato non può nemmeno scegliersi i suoi difensori, non può neanche saperne il nome.

Questa situazione con la CdF si esacerberà ancora di più, quando a marzo verrà pubblicato in Australia un nuovo libro che ho curato, che apparirà a Londra e New York nella primavera boreale. È intitolato From Inquisition to Freedom ed è composto di interviste a sei persone, anche loro "investigate" dalla CdF. Si tratta di Tissa Balasuriya, Hans Küng, Charles Curran, Lavinia Byrne, Jeannine Gramick e Robert Nugent, nonché me stesso. Ho aggiunto altri due saggi: il primo delinea la storia del modo in cui l'inquisizione romana alla fine si è trasformata nella CdF, ed un secondo descrive e critica i dettagli delle procedure della Congregazione. Pur se il tono del libro è rispettoso e moderato, non credo che otterrà sostenitori né che influenzerà qualcuno a Roma. Prevedo considerevoli problemi. Il più importante è che questo libro alla fine metta, con ogni probabilità, padre Curran in particolare e i MSC in generale, nella posizione di essere obbligati dalla CdF a intraprendere qualche forma di azione punitiva contro di me.

Non ho dubbi che la Congregazione non getterà la spugna e non lascerà in sospeso questa faccenda. Come l'esperienza delle sei persone che hanno collaborato al libro rende abbondantemente chiaro, non c'è mai alcuna forma di dialogo. La Congregazione chiede semplicemente che una persona non solo si sottometta a ciò che essi definiscono come "dottrina", ma pretende che usi le parole che loro dettano. Sapevo esattamente quello che stavo facendo quando ho preparato From Inquisition to Freedom, ma pensavo che fosse importante che queste storie fossero raccontate, perché spiegano l'ingiustizia delle procedure della CdF e la persecuzione di persone che sono chiaramente preoccupate di vivere una vita veramente cattolica e di dare ad altri la leadership ministeriale e teologica. Ma non c'è nemmeno dubbio che il libro porterà ad una ulteriore esacerbazione del mio rapporto con la CdF, e che la congregazione e padre Curran saranno presi in mezzo. Le mie dimissioni li salveranno, in certa misura, da questo.

In conclusione, voglio chiarire in modo assoluto che le mie dimissioni non significano che io abbia intenzione di lasciare la Chiesa cattolica. Sto soltanto cambiando status nella famiglia. Il cattolicesimo è la mia casa e non ho intenzione di lasciarla, accada quello che accada.


Paul Collins

E' un teologo e scrittore cattolico australiano, indagato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per le sue posizioni sul potere pontificio e le sue proposte di riforma del papato.
(Le considerazioni che precedono sono state pubblicate su Adista)


Ikthys