Dio, parla
o non parla?

(Natanaele, it.cultura.religioni.cristiani, febbraio 2003)

Allora, Dio parla o non parla? mi pare che sia questo il nocciolo della questione.
A questo risponderò con uno dei postulati cardine del corso di psicologia che ho fatto da infermiere: è impossibile non comunicare.
Noi "viviamo" letteralmente immersi in questo mare della comunicazione, come i pesci nuotano nel loro mare, e anche se non se ne rendono conto, vi si trovano immersi, proprio perché non hanno la possibilità di discernere se stessi dal loro habitat naturale.
Questo mi sembra un paragone estremamente pregnante: ciò che "determina" il fatto che Dio possa "parlare" o "non parlare" non è il fatto che Dio decida di "parlare o non parlare" - come ad esempio potrebbe decidere di mandarmi una telefonata -, ma nel modo in cui io mi pongo dinanzi alla realtà che mi circonda. Perché - qualsiasi cosa stia facendo, o in qualunque situazione mi trovi -, non è affatto vero che Dio non stia "parlando": Dio non può - ontologicamente - fare a meno di "comunicare", Dio è quella stessa "comunicazione".
Dio è la lettera d'amore scritta alla mia vita nella lingua espressa dai fatti che mi circondano. Ritorno alla domanda di partenza: «Dio parla o non parla»? Questo in realtà è un falso problema, come ho tentato di fare osservare sopra, perché presuppone un approccio totalmente sbagliato alla questione "Dio".
Prima di tutto, Dio non ha la barba. Scusate la banalità, ripetuta migliaia di volte, ma sembra che non lo si ripeta abbastanza. Nel pensare "Dio", non posso fare a meno di "oggettivarlo", ma è questo l'errore di partenza.
Dio non risponde assolutamente alla rappresentazione che mi sono fatto nella mia testa. Dio non è un "idolo". Volete un indizio? Eccolo: «dove finisce la 'cosa', comincia la sua trascendenza.» Se ti vedi circondato da "cose" - e non vedi il loro riferimento diretto -, ti sei giocato tutto, finirai col pensare anche a Dio come ad una "cosa".
E da qui cominciano le domande senza senso, come quella del fatto di chiedersi se Dio «parla o non parla». Ancora: dobbiamo abbandonare l'approccio "magico" al concetto di realtà.
Dobbiamo lasciarci alle spalle definitivamente l'idea che Dio possa intervenire in senso "magico" nei confronti della realtà che ci circonda.
Dio non se ne sta su una nuvoletta a comandare i semafori sul verde poco prima che li attraversi con la macchina. Dio non manda telefonate al cellulare.
Dio non opera secondo scelte che si determinano nella discriminante tra un "fare" e un non fare".
In un certo senso, è quella stessa realtà - comunque le cose mi stiano andando - che esprime - assolutamente parlando -, la volontà di Dio, la realtà di Dio.
Se ho l'orecchio teso - se sono in possesso degli strumenti per decodificare la natura profonda della realtà che mi circonda -, allora posso definitivamente abbandonare l'idea superstiziosa che Dio comandi a distanza gli avvenimenti che circondano la mia vita, e mi aprono alla dimensione della lode, qualunque cosa mi stia accadendo in quel momento.
Signori, questo io l'ho sperimentato sulla mia pelle, in prima persona.
Ciò che mi ha permesso di lodarLo - Lui, l'artefice primo ed ultimo della realtà -, quando stamattina non trovando un passaggio dopo dieci ore di nottata in bianco al pronto soccorso, mi sono dovuto fare un chilometro di strada a piedi sotto la pioggia. Senza invocare nessun telecomando.

  Ikthys