~ Fatima ~ 

dal 1917 alle soglie del Terzo Millennio


(Arlindo José Nicau Castanho)

 

            Non mi permetterei mai di mettere in questione la veridicità dell'esperienza mistica dei tre piccoli visionari di Fatima: so bene che «ci sono più cose in cielo e in terra di quante possa sognare la mia filosofia», e la potente convinzione con cui tante persone sono state toccate dalla presenza del Sacro grazie a Fatima – persone che, in qualche caso, debbono essere ritenute di fermo giudizio e dall'operato più che apprezzabile –, mi induce al rispetto e mitiga la mia (ugualmente rispettabile, credo) propensione metodica al dubbio.

            Anzi, mi pare più che probabile che a Fatima sia successo qualcosa di sovrannaturale e di speciale importanza per l'umanità. Il problema sta nel sapere che cosa sia avvenuto lì di preciso. E se, purtroppo, non mi è dato sapere questo, posso almeno farmene un'idea approssimativa attraverso l'analisi serena e approfondita dei discorsi prodotti dai pastorelli, delle diverse versioni che hanno fornito su quanto hanno vissuto, e delle modifiche che il loro racconto ha subito col passare del tempo. Il che implicherà prendere seriamente in considerazione sia il contesto storico in cui è sorta la "rivelazione" di Fatima sia il suo contesto letterario: narrazioni di esperienze simili, apparse all'epoca in Portogallo o all'estero; testi dottrinali in circolazione agli inizi del 1917 tra i  parrocchiani della zona di Fatima;  prediche da loro ascoltate, ecc.

            Non posso esimermi da questo dovere, giacché sono convinto dell'instante necessità di affermare con vigore il diritto di parlare di religione, perfino da parte di chi non crede: soprattutto in un'epoca in cui anche i più diletti figli e nipotini del "materialismo scientifico" soffocano le loro opinioni personali in proposito per puro opportunismo, o addirittura si prestano alle più basse lusinghe nei confronti di ogni manifestazione di fede sostenuta dalle masse, in vista di eventuali redditi elettorali o professionali. C'è in atto una nuova Inquisizione, molto più discreta e efficace della precedente, perché basata sulla sistematica pratica furbesca dell'autocensura. E la colpa di una tale situazione non è più attribuibile esclusivamente, e neppure fondamentalmente, alla Chiesa Cattolica. Ognuno ha la propria responsabilità personale in questo generale tramonto dello spirito critico, e non ci sono più capri espiatori che possano giustificare, nemmeno in parte, tali cedimenti. Questo stesso punto di vista è difeso magistralmente da Giorgio Bocca, in un articolo memorabile della rubrica L'Antitaliano, settimanalmente a carico suo sulle colonne de «L'Espresso»: «nessuno trova strano che i non credenti, che di fatto sono maggioranza, siano censurati o si autocensurino, che tutti accettino senza protestare che la nostra informazione pubblica e privata si fermi, come per un sacrilegio, di fronte a qualsiasi anche timida critica a[l] potere religioso (…)»[1].

Apparizioni non consensuali, neppure all'interno della Chiesa cattolica

            Dopo questa doverosa premessa, tenterò di mettere in pratica il metodo di ricerca a cui ho già accennato e che posso definire "filologico" lato sensu. Per non disperdermi tra riassunti troppo generici e commenti personali opinabili, vorrei iniziare questa panoramica citando l'asciutto resoconto degli avvenimenti di Fatima incluso nella più chiara e autorevole Storia del Portogallo, conosciuta e apprezzata da ogni studente e professore portoghese della scuola secondaria o dell'università, e di ogni insegnante straniero di storia lusitana:              

            «Nel maggio 1917 la Chiesa, o certi suoi elementi locali, probabilmente organizzò – e certamente sfruttò – le cosiddette apparizioni di Fatima, che si susseguivano ad altre <apparizioni>, inscenate meno bene. Le apparizioni di Fatima presto esercitarono una grande influenza sulle masse, preparando così la rinascita della devozione popolare. Nell'ottobre di quell'anno ebbe luogo l'ultima delle <apparizioni>, precisamente nel momento in cui gli anticlericali scatenavano una nuova ondata di persecuzioni e di castighi. Anche questa volta, la Chiesa si sentì abbastanza forte per sfidare il governo – il che provocò la messa al confino dei vescovi di Oporto, Lisbona, Braga ed Évora»[2].

            Il fatto che l'autore di tali parole, Oliveira Marques, sia un alto dirigente del Grande Oriente Lusitano, dove tradizionalmente predomina una mentalità spiccatamente laica e ostile a ogni sorta di integralismo religioso, non intacca in niente l'obiettività – consensualmente riconosciuta in Portogallo e all'estero – dei suoi giudizi storici. Ne fa prova il fatto che Oliveira Marques, l'attuale Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Grande Oriente Lusitano, non nasconde nel brano citato – anzi, lo mette ben in risalto – le azioni repressive che le autorità civili locali, intrise di idiosincrasie positiviste (che rispecchiavano lo spirito e la scuola di pensiero predominanti in seno alla massoneria portoghese dell'epoca) attuarono nei confronti dei piccoli veggenti e dei loro sostenitori.

            Come è accaduto spesso in altri momenti della storia dell'umanità, anche questa volta la repressione non servì che a rinforzare la convinzione degli "illuminati" di Fatima e dei loro seguaci. Bisogna riconoscere e rimpiangere questi errori, provocati da una mentalità razionalistica intollerante quanto le manifestazioni oscurantiste che pretendeva di contrastare. Il che non vuol dire che i fenomeni o pretesi fenomeni di Fatima non debbano essere comunque storicizzati in modo scrupoloso, attraverso il rilevamento di precedenti manifestazioni simili (sia in Portogallo che all’estero), del preciso contesto politico e sociale in cui si sono affermati con successo e degli interessi coinvolti, sia all'epoca che dopo, attorno all'ingigantirsi – fino ad una vera e propria universalizzazione – delle "rivelazioni" mariane di Fatima.

            Non dobbiamo credere che le critiche più severe ai fenomeni di Fatima provengano dalle aree di schieramento ideologico schiettamente laico, come quelle del pensiero comunista o dell'area massonica liberale. In effetti, le obiezioni più contundenti si sono generate all'interno della Chiesa cattolica stessa, in seno alla quale non tutti i sacerdoti vedono di buon occhio una simile manipolazione della fede popolare. Non sarà dunque un caso che il libro più aggressivo nei confronti di Fatima, a mia conoscenza, sia Fátima nunca mais (Fatima mai più), ultima fatica di Don Mário de Oliveira, un prete conosciuto per la lucidità e il coraggio con cui si era opposto al fascismo portoghese (conviene non dimenticare che il regime fascista è durato in Portogallo più di quarant'anni, fino al 25 aprile '74) e che per questo ha pagato un caro prezzo, sia a livello di repressioni giuridico-politiche[3] sia a livello di diffide e castighi inflittigli dalle autorità ecclesiastiche. Ed è con piacere che rileviamo che non è questa la prima volta che il libro di Padre Mário – pubblicato nel '99 – viene segnalato in Italia: si deve fare onore alla redazione di «Libero Pensiero», bollettino dell'Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" che, nel numero 11 del dicembre '99, si è occupata proprio di questo Fátima Nunca Mais[4].

            Padre Mário de Oliveira è un prete cattolico; agli antipodi, dunque, di un esaltato mangiapreti. Questo non gli impedisce, però, di chiarire la posizione del "caso Fatima" all'interno dell'ortodossia cattolica in termini tutt'altro che lusinghieri. Il libro inizia con un chiarimento che vale come premessa indispensabile per lo sviluppo di qualsiasi discorso minimamente lucido a proposito di Fatima: «al contrario di quanto crede la maggior parte delle persone, anche quelle non cattoliche, le apparizioni di Fatima non fanno parte del nucleo della Fede cristiana cattolica; il che significa che uno può non credere a Fatima e seguitare ad essere cristiano cattolico romano» (p. 9). Questo particolare tutt'altro che trascurabile rappresenterà forse una grande novità per tante persone ma, come vedremo in seguito, l'evidenziare lo statuto facoltativo della fede in Fatima, per quanto riguarda la più stretta osservanza cattolica, non è un esclusiva di Padre Oliveira.

            Un altro riferimento recente al libro di Padre Mário de Oliveira, nella stampa italiana,  si trova nell'articolo Diario di una settimana molto mistica. Apparsi alla Madonna…, pubblicato nel «Diario della settimana» del 19/5/00 (vedi bibliografia). L'articolo in questione fa notare che non solo Padre Oliveira afferma tassativamente, all'interno della Chiesa, l'irrilevanza della credenza o non credenza alle apparizioni di Fatima perché si possa essere considerati "cattolici D. O. C.": «alcuni commentatori cattolici e uomini di Chiesa (da Pietro Scoppola a Enzo Bianchi, priore di Bose) hanno ripetuto che l'unica Rivelazione è quella delle Scritture e che la fede cattolica non obbliga a credere alle apparizioni. Perfino il cardinale teologo Ratzinger ha detto in passato che <la Rivelazione è terminata con Gesù Cristo> e che messaggi e segreti <nulla aggiungono a quanto un cristiano deve sapere dalla Rivelazione>».

            E non è il caso di credere che in Portogallo Padre Mário de Oliveira rappresenti un caso piuttosto unico che raro nella contestazione "da dentro" alla montatura delle apparizioni di Fatima: un'altro prete popolarissimo in tutto il paese e soprattutto al nord, giacché la sua parrocchia si trova vicino a Famalicão, Padre Salvador Cabral, ha appena mandato alle stampe il saggio Fátima Nunca Mais ou Nunca Menos? (Fatima mai più, o mai abbastanza? potrebbe esserne la traduzione approssimativa), titolo che senz'altro rispecchia, apparentemente a mo' di risposta polemica, quello del libello di Padre Mário Oliveira. Ma, al contrario di quanto avremmo potuto essere portati a credere da questi particolari, Padre Salvador Cabral è interamente d'accordo con il suo collega Oliveira quanto all'assoluta irrilevanza della credenza o meno ai "misteri" di Cova da Iria: «Anche se il Papa si reca a Fatima, ciò non vuol dire che ogni cristiano deva credere alle "rivelazioni" che lì ebbero luogo nel 1917»[5].

            Torniamo di nuovo al libro di Padre Mário de Oliveira, che in gran parte è una raccolta di articoli e interviste previamente apparsi su  «Fraternizar», il giornale da lui diretto. E proprio i capitoli 6-8 di Fátima Nunca Mais costituiscono una specie di antologia commentata delle dichiarazioni di un domenicano, Frei Bento Domingues, a proposito del "fenomeno Fatima". E neppure Frei Bento Domingues risparmia le critiche a quanto la Chiesa viene permettendo, e tante volte incoraggiando o addirittura organizzando, attorno allo sfruttamento della devozione popolare rivolta a Fatima. Frei Bento ribadisce la constatazione della completa assenza di qualsiasi guarigione miracolosa a Fatima, constatazione che d'altronde già si trovava in A Religião Popular Portuguesa di Moisés Espírito Santo. Espírito Santo affermava allora: «A dispetto della leggenda, però, i registri dell'ospedale del santuario non includono la benché minima menzione a guarigioni cliniche»[6]. E anche Frei Bento tocca lo stesso tasto dolente: «A Fatima non ci sono miracoli. E quando mai ve ne sono stati?»[7]

Il contesto

            Passiamo ora allo studio delle condizioni politico-sociali concrete in cui è sorto il "caso Fatima". Bisogna, innanzi tutto, prendere in considerazione che in Portogallo vigeva, dal 1910, un regime politico laico e repubblicano in cui dominava l'ideologia e il programma di riforme sociali dettato dalla Massoneria lusitana. La tensione tra il nuovo regime e la Chiesa aumentò viepiù nel corso degli anni, e non si può dire che la principale responsabilità di questo sia attribuibile ai politici repubblicani, ben lontani dalle esagerazioni iconoclastiche tanto care, invece, agli anarchici (come poi si poté constatare durante la Guerra civile spagnola). Per capire minimamente quello che stava succedendo in Portogallo nel 1917, conviene andare un po' indietro nel tempo, lasciandoci guidare dall'ottimo Oliveira Marques: «Il Concilio Vaticano I (1869-70) aveva riaffermato i princìpi tradizionali della Chiesa, accentuando la centralizzazione papale e lanciando le basi per la lotta contro il <modernismo> e i suoi mali. (…) Fu questa vera e propria rinascita della Chiesa Cattolica come corpo di combattimento, molto più che il contrario, a suscitare una contro-reazione violentemente anticlericale, specialmente in Francia, Italia e Portogallo»[8]. Il deciso schieramento ecclesiastico in favore della monarchia morente, durante le ultime due decadi del XIX secolo e la prima del XX, e il peso soffocante della propaganda religiosa in seno al sistema nazionale d'istruzione, fecero sì che i vincitori del 1910 prendessero decisioni drastiche nei confronti della Chiesa, appena arrivati al potere. Così, una delle loro prime misure fu l'espulsione in continenti di tutti gli ordini religiosi. Nella scia della legislazione francese del 1905, il giovane governo repubblicano promulgò nel 1911 la Legge di separazione tra la Chiesa e lo Stato, dichiarando la libertà di culto, vietando l'insegnamento religioso nelle scuole e nazionalizzando i beni della Chiesa, chiese e cappelle incluse.

            Questi provvedimenti draconiani furono accompagnati da altri non meno gravosi per la Chiesa, sui quali sorvolo per non appesantire troppo il racconto. È indiscutibile che le misure prese erano eccessive e non sempre dettate da una ragione disinteressata. D'altra parte, il nuovo regime era capitanato da un'élite cittadina insensibile all'opinione del "paese profondo", la cui popolazione stava maggioritariamente a nord del Tago e era atavicamente cattolica (anche se a modo suo) – e per di più analfabeta. Dal nord del paese partivano tradizionalmente le ribellioni contro ogni innovazione, e così è stato anche stavolta.  Nel 1911 e nel 1912, Paiva Couceiro e i suoi soldati di fede monarchica, nel frattempo rifugiatisi in Spagna, fecero diverse incursioni nel territorio nazionale, scegliendo sempre – e non per caso – il nord per mettere in atto le loro scorribande.

            Con il governo, o più correttamente i governi del moderato Bernardino Machado (giacché lui diresse due squadre ministeriali, l'una dopo l'altra, le quali gestirono l'esecutivo per quasi tutto l'anno 1914), si cominciò a lavorare in favore di un'intesa e, a medio termine, di una più ampia riconciliazione con la Chiesa Cattolica. Si rimise in discussione, al parlamento, la controversa Legge di separazione tra la Chiesa e lo Stato, varata nel 1911, e si aprì la strada alla partecipazione politica parlamentare dei cattolici, che cominciarono – almeno in apparenza, o in attesa di tempi migliori – a rassegnarsi al nuovo regime, facendo addirittura arrivare in parlamento i loro primi rappresentanti, con le elezioni del 1915. Anche gli ordini religiosi cominciarono a ristabilirsi discretamente nel paese.

            Con l'inizio del primo conflitto mondiale, il dilemma nazionale più incombente divenne ovviamente quello della scelta tra la partecipazione alla guerra e il mantenimento della neutralità. Il governo era propenso all'intervento, ma l'Inghilterra manifestava dubbi sull'utilità o opportunità dell'aiuto portoghese, condizionandolo a un'eventuale richiesta britannica. Così, il governo portoghese attese fino a quando, nel febbraio 1916, l'Inghilterra gli chiese di procedere alla requisizione delle navi tedesche ormeggiate nei porti lusitani. Eseguita l'operazione, ne seguì naturalmente la dichiarazione di guerra tedesca. L'ingresso del paese nel teatro bellico rinforzò indirettamente il potere della Chiesa, poiché implicò la concessione ai combattenti del diritto all'assistenza religiosa.

            Il forte interesse politico del governo repubblicano portoghese alla soluzione interventista si doveva soprattutto alla preoccupazione della difesa dei vasti e disseminati territori coloniali portoghesi. Si deve prendere pure in considerazione che «lo schierarsi con le grandi potenze avrebbe significato, per il giovane regime, un riconoscimento di fatto che la Repubblica sentiva di non avere  fino a quel momento conseguito»[9]. Quest'ultimo aspetto del problema non poteva che allarmare i nemici giurati della repubblica - i quali, di conseguenza, diventarono subito antibellicisti ad oltranza. E sappiamo già che la Chiesa aveva un ruolo fondamentale nella mobilitazione delle masse contro il regime e contro la guerra; tanto più che la zona più cattolica, la più nostalgica nei confronti della monarchia deposta e anche la più popolata – la più sacrificata dalla mobilitazione generale, dunque – era appunto il nord del paese. La Chiesa cominciò subito a incoraggiare e divulgare diversi casi di visionari – quasi sempre gente analfabeta o semianalfabeta del profondo nord – che si facevano portavoce di messaggi dell'aldilà, zeppi di luoghi comuni apocalittici o messianici, o ambedue le cose, ma sempre di chiara impostazione antibellicista.

            Ma è chiaro che una visione di un pastore di Braga non avrebbe potuto scuotere il centro del potere, il centro decisionale per eccellenza, che era Lisbona. Forse per questo motivo tali "esperienze mistiche" furono di corto impatto e funsero soltanto da prime prove per l'attacco decisivo: in effetti, mentre la propaganda ecclesiastica alzava progressivamente il tono e riceveva sempre più stimolanti feed-back da parte delle masse, l'avvicinamento tattico dal nord verso Lisbona – quasi una sorta di assedio alla capitale – diventava sempre più fattibile e instante. È questo forse il principale motivo per cui le visioni di Fatima – paesotto della regione centrale, tra Leiria e Tomar e, dunque, quasi a metà strada tra Coimbra e Lisbona – ebbero subito un così ampio successo: «Il successo delle <apparizioni> di Fatima fu preceduto da qualche tentativo fallito. La devozione mariana si era intensificata soprattutto dall'inizio della Grande Guerra, sia in Portogallo sia negli altri paesi cattolici. I periodici dell'epoca riportano casi d'apparizioni della Madonna a soldati, in chiara connessione col problema della lotta armata. In Portogallo ebbero una certa ripercussione gli avvenimenti di Barral (un paesino nella zona di Braga) in cui l'apparizione della Madonna ad un pastorello il 10 maggio 1917 implicava un dialogo tra la Vergine e il veggente molto simile a quelli intercorsi poi a Fatima»[10].

            I contadini camminavano verso Fatima in grossi nugoli, condotti dai loro predicatori, sperando di fare scampare ai loro figli il flagello della guerra. Curiosamente, una delle "rivelazioni" ricevute dai pastorelli riguardava proprio la fine imminente del conflitto – a dire il vero, annunciata per il giorno stesso della "seduta mistica" in questione, cioé il 13 ottobre 1917[11]. Non essendo stata la "rivelazione" poi confermata dalla realtà, è chiaro che tale informazione sbagliata (o quanto meno precipitosa) è stata dimenticata dai media e dalle autorità religiose, finendo per essere cancellata dalla storia ufficiale (o meglio, dalle diverse e successivamente perfezionate storie ufficiali) delle "apparizioni" di Fatima.

            E questo non è l'unico aspetto rimaneggiato nei racconti dei veggenti. Un altro particolare, piuttosto significativo, riguarda il loro primo "contatto immediato" con la Madonna: la Signora che videro portava una gonna che le arrivava soltanto fino alle ginocchia, il che non andava d'accordo con la moda piuttosto "castigata" dell'epoca, e soprattutto del luogo, e contraddiceva in un modo imbarazzante l'iconografia tradizionale della Beata Vergine. Chi lo rileva è Moisés Espírito Santo, nel saggio Os Mouros Fatímidas e as Aparições de Fátima (I musulmani fatimidi e le apparizioni di Fatima). Quest'importante precisazione, sfuggita all'oblio grazie all'attenzione critica dell'antropologo dell'Universidade Nova di Lisbona, gioca a favore dell'autenticità delle visioni dei pastorelli, che non hanno mai cambiato la loro descrizione della veste piuttosto succinta della Signora – descrizione che, com'è ovvio, disturbava i loro intervistatori (cioé i sacerdoti che si tenevano in stretto contatto con i veggenti)[12]. E Moisés Espírito Santo aggiunge: «Questo tema della gonna quasi provocò il discredito della teofania. Un sacerdote scrisse in proposito: <L'angelo delle tenebre si trasforma a volte nell'angelo della luce per sviare i credenti. La Madonna non può presentarsi in altre vesti se non quelle che si addicono alla massima decenza e modestia. Il vestito senz'altro doveva arrivarLe sino alle caviglie>»[13]. Difatti, col tempo, la gonna si allungò progressivamente, fino a dove volevano i sacerdoti più diligenti, come è il caso di quello appena citato… 

            Un altro aspetto poco noto della storia delle manifestazioni sovrannaturali a Fatima, con i tre pastorelli sempre come protagonisti, riguarda l'inizio delle apparizioni, che non accadde nel 1917 ma un anno prima. I pastorelli dicevano di essere entrati in contatto, in quel primo momento, non (ancora) con la Madonna ma con l'angelo custode del Portogallo. Costui, in una fase prettamente preparatoria dei messaggi più "impegnativi" che sarebbero stati poi portati dalla Madonna in persona, non esigeva dai ragazzini altro che una sempre più grande dedizione alla pratica della preghiera. Comunque sia, questo racconto dell'intervento dell'Angelo custode della patria lusitana – angelo che comparve per la prima volta in una "memoria liturgica" introdotta da re D. Manuel I, agli inizi del '500, con l'appoggio di Leone X – ne ha praticamente risuscitato il culto, caduto in disuso nel XIX secolo; e, abbinando così la mistica delle nuove rivelazioni al più strenuo nazionalismo, contribuì a rinforzare il potere politico di Salazar. In effetti, è esattamente nel 1930, quando il dittatore prende definitivamente le redini del potere, che le apparizioni di Fatima sono riconosciute e "omologate" dalla Chiesa. L'angelo del Portogallo, tornato a comparire nell'immaginario popolare grazie all'opportuno ricordo di suor Lúcia, fu abilmente associato alla persona dello stesso Salazar, presentato come la sua incarnazione terrena: «Salazar aveva le spalle coperte da forze cospicue: [tra le quali…] la Chiesa, che proclamava la vittoria sull'ateismo repubblicano, democratico-liberale e massonico, e sfruttava le cosiddette apparizioni di Fatima, le quali sarebbero state presto direttamente associate alla figura del futuro primo ministro del paese»[14]; «Il culto [di Fatima] ebbe una svolta importante prima della Seconda guerra mondiale, momento in cui diventò profondamente anticomunista nel senso più oscurantista del termine. Nella penombra del suo convento, la veggente [suor Lúcia], che nel frattempo era diventata un'adulta, fu invitata dal <suo vescovo> [il vescovo di Leiria] a ricordare tutto ciò che, sin dalla sua più tenera età, potesse avere a che vedere con l'apparizione della Madonna del leccio. L'immaginazione la portò allora al <ricordo> della visita di un <angelo>, quando lei si era trovata in una grotta. Secondo gli storiografi del culto, quel fantasma prefigurava Salazar, l'angelo del Portogallo»[15].

            Il culto di Fatima diventò addirittura un elemento essenziale del peculiare fascismo portoghese (o fascismo alla portoghese, che dir si voglia), sommariamente definito a quei tempi dagli scontenti – e ancora oggi, dagli studiosi di fede democratica – come "il fascismo delle tre F": Fado[16], Futebol e Fátima… E, al contrario di quanto si possa pensare ad un primo sguardo, tale definizione è abbastanza calzante, anziché meramente caricaturale: in effetti, sebbene non abbia la pretesa di concentrare in una formula le strutture portanti del fascismo o parafascismo lusitano, essa rende un perfetto ritratto della vita quotidiana e dei pilastri dell'immaginario collettivo ai tempi di Salazar.

La massoneria, tirata di nuovo in ballo…

            È ormai arrivato il momento di puntare la nostra attenzione su certe ricezioni e interpretazioni delle vicende di Fatima, elucubrate da ricercatori italiani. Il documento più significativo sotto questo profilo, a mio parere e entro i limiti della mia conoscenza, è Il quarto livello dell'ex giudice Carlo Palermo. Il sottotitolo del libro è già da sé abbastanza esplicito, per quanto riguarda le ambizioni "omnicomprensive" del suo autore: Integralismo islamico, massoneria e mafia. Dalla rete nera del crimine agli attentati al Papa nel nome di Fatima. Il punto sta nel sapere fino a che punto le ipotesi ivi esposte dal Palermo sono attendibili: e, purtroppo, bisogna convenire che questa sua recente fatica investigativa non fa onore alla sua nota sagacità, di cui aveva dato abbondanti prove in tante faticose indagini giudiziarie.

            L'ex giudice è palesemente ostile ai massoni, e non si lascia scappare nessuna opportunità di infangare il loro nome. Vediamo come inizia il sesto capitolo del suo libello: «Il 13 maggio 1982 qualcuno legato alla massoneria cercò di uccidere a Fatima il Papa (…). Un mese dopo, i servizi segreti di Sua Maestà, le oligarchie britanniche, i vertici della massoneria di rito scozzese decidevano un'altra condanna eseguita con il braccio armato della mafia: il 17 giugno, a Londra, sotto il ponte dei Frati neri, veniva trovato il banchiere Roberto Calvi» (p. 136; sottolineati miei). Già nel capitolo precedente, dopo un'affannosa enumerazione delle angherie che i massoni portoghesi avrebbero commesso nei riguardi dei tre pastorelli e dei luoghi sacri delle apparizioni di Fatima (e come ho già riferito, non tutti quei soprusi sono, ahimè, delle mere invenzioni o esagerazioni), Carlo Palermo aveva distillato questa "perla di saggezza": «Tutto ciò fa pensare a un rapporto tra templari e massoneria contro la Chiesa, con riferimento ai due attentati al Papa del 13 maggio 1981 e 1982» (p. 133). La sua "competenza" in materia si può ben intuire dalla puntigliosa precisione con cui presentava, poco prima, la storia dell'origine del toponimo Fatima, che secondo lui perpetua il nome «di quella Fatima (figlia del musulmano Alcácer do Sal), convertita al cattolicesimo» (p. 131). Ogni portoghese sa, invece, che Alcácer do Sal è il nome di una cittadina tuttora esistente, a sud di Lisbona, e che il suo nome non avrebbe mai potuto essere utilizzato come nome di persona, in quanto Alcácer do Sal vuol dire Castello del sale: Alcácer è la trascrizione lusitana dell'arabo al-ksar, che significa infatti castello, e forse avrà a che vedere con il latino castrum, come d'altronde succede con il britannico chester

            Il Nostro insinua ancora l'ipotesi, a dir poco peregrina, di una oscura pretesa massonico-templare nei riguardi di Fatima, che certe fantomatiche "eminenze grigie" degli ambienti latomistici considererebbero, chissà perché, loro «patrimonio» (vedi il titolo a p. 130, «Fatima, patrimonio templare-massonico?», in cui l'interrogativo è soltanto retorico), e non esita a sventagliare fieramente la presunta esistenza di non meglio precisati «culti gnostici massonici che, nel nome di Fatima, avevano costruito interpretazioni elitarie dal sapore mistico, ma dal contenuto satanico» (p. 195). Di questi «culti massonici» imperniati nei "misteri" di Fatima non ho avuto, fino ad oggi, il benché minimo sentore, e sarei infinitamente grato a chi mi fornisse qualche ragguaglio in proposito. Temo, però, di dover rimanere in aeterno all'oscuro di una così importante faccenda…

            È abbastanza comprensibile che, dopo il feroce attentato di cui è stato vittima nel 1985, l'allora giudice e attualmente consigliere regionale Carlo Palermo abbia subito una scossa morale così potente da fare cambiare per completo la sua esistenza. È ugualmente comprensibile che abbia cercato rifugio in una frenetica e assorbente vocazione religiosa, tanto acritica da fargli scrivere, con beato trasporto, ingenuità di questo tenore: «E ancora, nel discorso fatto all'Onu, straordinario fu l'impatto del Pontefice con il mondo americano, al quale si presentò con lo stupendo episodio, più volte trasmesso dalle televisioni di tutto il mondo, del suo caloroso e rivoluzionario saluto a una bimba nera che gli porgeva dei fiori» (p. 105). Ma, a causa dei suoi drammi personali e giravolte esistenziali, non è detto che dobbiamo tutti quanti pagarne lo scotto. Non credo, d'altronde, che valga la pena cercare di screditare il suo stravagante saggio (abbondantemente citato e pubblicizzato, a più riprese, dal settimanale cattocomunista «Avvenimenti») perché, a tale scopo, basterà che le persone di buon senso lo leggano: subito si accorgeranno che esso si disautorizza benissimo da solo.

La letteratura contro Fatima

            L'indignazione civile nei confronti delle manovre di manipolazione degli spiriti connesse alle visioni di Fatima si è espressa soprattutto a livello letterario, con forme di sovvertimento creativo che vanno dall'allusione discreta all'aperta caricatura. L'esempio più compiuto del primo atteggiamento si trova in Andam Faunos pelos Bosques (Ci sono fauni nei boschi), del superlativo romanziere Aquilino Ribeiro (1926). Come esempio estremo della seconda tendenza abbiamo il macchinoso O Milagre segundo Salomé (Il miracolo secondo Salomé), di José Rodrigues Miguéis (1975). I due libri sono nati in momenti diversi della storia del paese, e conviene soffermarci un momento sull'iter personale e letterario dei rispettivi autori, praticamente sconosciuti in Italia.

            Aquilino Ribeiro (1885 – 1963) partecipò alle cospirazioni e alla preparazione di attentati carbonari che precedettero l'avvento della Repubblica (non dimentichiamo che la Carboneria era viva e attuante nel Portogallo degli inizi del XX secolo). Per questo dovette rifugiarsi in Francia, tornando in patria quando "le acque si furono finalmente calmate" nei suoi confronti. La sua straordinaria caratura umana e letteraria fece sì che il regime salazarista abbia avuto un che di riguardo nei suoi confronti – benché Aquilino fosse sistematicamente coinvolto in ogni iniziativa di contestazione del regime –, sopportando le sue manifestazioni di indipendenza critica e perseguitandolo, ogni volta che la polizia politica riteneva di non poterne fare a meno, con un po' meno di acrimonia di quella riservata agli altri oppositori. Nel 1926 – l'anno del golpe militare di destra che preparò il terreno all'ingresso in scena del futuro dittatore Salazar – diede alle stampe Andam Faunos pelos Bosques, che dedicò al vecchio capo repubblicano Brito Camacho (anch'egli, del resto, discreto scrittore).

            Aquilino Ribeiro aveva già pubblicato, all'epoca, tre romanzi e due volumi di racconti. Questo quarto romanzo riguarda la vita rurale nella zona montagnosa dell'interno settentrionale del Paese, dove si mantiene un tipo di vita scandito dalle regole di una società poco più che primitiva, di stampo patriarcale, ma che in compenso si trova talmente vicina alla natura incontaminata da poter essere considerata, per certi versi, idilliaca. In quell'ambiente, la supremazia delle regole della vita naturale è indiscutibile, al punto che si considera del tutto normale che i preti – che anche in questi luoghi sperduti hanno una loro funzione per niente secondaria – si ammoglino, abbiano figli in abbondanza e conducano una vita da signori di campagna, esattamente come tutti gli altri uomini del loro ceto socioeconomico. L'equilibrio "simbiotico" esistente tra le tradizioni locali e le leggi superne di Madre Natura è ad un certo punto messo in causa da un misterioso avvenimento: le più belle vergini della zona vengono iniziate all'amore fisico, una dopo l'altra, da un essere selvaggio e inafferrabile che, per comodità, possiamo definire un fauno. 

            I tentativi di catturarlo diventano sempre più organizzati e pressanti, ma ogni battuta di caccia, per meglio organizzata che sia, è votata all'insuccesso. Dietro il "fauno" si va invece formando un gruppo sempre più folto di uomini e di donne che si ritengono da lui liberati da ogni convenzione sociale repressiva, un po' alla stregua di quello che sarebbe stato, tanti anni più tardi, il movimento hippy. Sono gente forte e decisa, che non si fa intimidire dalle ingenti forze scatenate contro di loro. Il gruppo di nomadi è ben visibile, circola fra i diversi villaggi della regione, ma il suo capo, il "fauno", non si fa mai vedere da nessun "profano".

            Una bella ragazza in età da marito, promessa sposa di un potente, sparisce tra i seguaci del "fauno". L'ira del fidanzato non ha limiti, ma tutti i suoi tentativi di riavere la ragazza falliscono miserevolmente. Si viene poi a sapere che la ragazza faceva coppia fissa con un membro del gruppo di "hippies avant la lettre" e che, a ben vedere, la libertà esistenziale che essi rivendicano non era necessariamente sinonimo di libertinaggio. Anzi, questa gente, conosciuta come «la setta delle Ineffabili» (poiché erano le donne che tenevano le redini dell'apostolato, all'interno del movimento), si era pian piano sedentarizzata, cominciando progressivamente a guadagnarsi la stima di chi aveva a che fare con loro, come attesta un giovane ingegnere (d'altronde, figlio di un prete della zona): «Questa gente, con cui ho avuto negli ultimi tempi contatti frequenti, non mi pare meno morigerata degli altri. Che sia gente di lavoro e di pace, lo conferma l'insediamento che il terratenente di Quijó ha allestito per loro, senza alcun dubbio o ripensamento. L'acqua è già stata incanalata, sono già pronte dieci abitazioni, sono stati arati più di venti ettari di terra fino ad ora incolta. Tra qualche anno sarà il paesino più bello di tutta la montagna» (p. 229).

            I notabili della zona finiscono per capire che il "fauno" non è mai stato preso perché non è mai esistito: le ragazze l'hanno inventato, per sfuggire a matrimoni combinati dalle famiglie, per concedersi ai loro amanti segreti e eventualmente giustificare i frutti di qualche liaison illecita. I preti locali – uomini che vanno a caccia con gli amici e mandano i figli a studiare a Coimbra – contribuiscono a calmare le acque e a preparare il terreno perché il popolo finisca per accettare le diversità, anche quando sono destabilizzanti come quella della “setta delle Ineffabili".

            Lungo il romanzo, la parola Fatima non viene mai pronunciata (c'è soltanto un breve accenno a Lourdes, nella dedica a Brito Camacho). Ma è fin troppo evidente, per chi è al corrente di quanto avveniva nel Portogallo di quell'epoca, che il romanzo è stato costruito come un'immagine invertita del "caso Fatima": la Madonna appare a dei bambini, il "fauno" inizia ragazze sessualmente mature; la Madonna esige sacrifici per la conversione dei "peccatori" (come se esistessero due categorie morali, i "peccatori" e i "puri"), il "fauno" elargisce libertà e piacere senza sensi di colpa; i preti che indirizzano le loro "greggi" verso Fatima conducono una fronda manichea contro il comunismo ateo, e invece i preti della zona di montagna in cui è ambientato Andam Faunos pelos Bosques contribuiscono ad appianare gli screzi sociali.

            Ma, per dare unità e coerenza all'insieme ideale costituito da queste due risposte comportamentali così contrastanti, bisogna che vi sia tra le due qualche elemento comune che funga da perno tra i due pannelli del dittico: quello, "visibile", della storia che Aquilino racconta, e quell'altro che sta dietro alla narrazione e che sta, in fondo, alla sua origine, l'episodio mai nominato ma sempre presente delle "rivelazioni" di Cova da Iria. Questo perno è la campagna, il mondo rurale dei paesini sperduti, lontani dai centri della moderna civiltà. Così era Fatima, all'epoca, e così era pure il paesaggio che fa da sfondo alle vicende di Andam Faunos pelos Bosques.

            La risposta neopagana di Aquilino Ribeiro alle vicende di Fatima è, comunque, essenzialmente indiretta, generalizzante, dal più ampio respiro. Al contrario, con Il miracolo secondo Salomè, José Rodrigues Miguéis attacca direttamente i protagonisti delle apparizioni, senza lasciare nessuno spazio ad eventuali ambiguità interpretative. Bisogna tuttavia tener conto del fatto che il romanzo di Rodrigues Miguéis è di molto posteriore a quello di Aquilino, e soprattutto che Il miracolo secondo Salomè non è arrivato alle stampe se non dopo la "Rivoluzione dei garofani" – più precisamente, nel 1975. Nella dedica che precede il romanzo, Rodrigues Miguéis (1901 – 1980) dichiara di averlo finito nel 1967; ma è ovvio che un attacco così virulento contro il "mostro sacro" di Fatima non avrebbe mai potuto ottenere l'imprimatur della censura, ai tempi di Salazar o di Marcello Caetano.

            Il miracolo secondo Salomè è un romanzo corposo (due volumi di circa 350 pagine ciascuno), dall'andatura alquanto pesante e, verso la fine, di un romanticismo arcaico e sdolcinato. In effetti, quando il protagonista maschile si innamora della ex prostituta Salomè e i due iniziano una nuova fase della loro esistenza, in cui le grandi difficoltà materiali che debbono affrontare sono comunque ampiamente compensate dalla rigenerazione morale di entrambi e dalla loro felicità, la pazienza del cinico lettore fin de siècle (o piuttosto fin de millénaire) viene duramente messa alla prova. Quello che più ci può interessare è che Salomè era, fino allo scatenarsi di questa passione redentrice, la mantenuta di un grande uomo d'affari della Lisbona repubblicana (che poi è il perfetto ritratto del massone Grandella) e che ad un certo momento, desiderosa di rivedere il suo paesuccio natale – nella zona di Fatima, appunto – vi si fa accompagnare nella limousine del suo protettore. Siccome l'auto non riesce ad arrivare proprio fino all'umile caseggiato, perché la strada sterrata finiva prima e il terreno si faceva via via più accidentato, la bella "donna perduta" scende dalla vettura e, agghindata all'ultima moda di Parigi, coperta da luccicanti gioielli, prosegue da sola, a piedi. È a questo punto che avviene l'incontro con i tre pastorelli i quali, quando la vedono sorgere, come per miracolo, sopra un monticello fronzuto che li sovrastava, cadono in ginocchia ai suoi piedi e vanno in visibilio…

            La beffa di Miguéis alle apparizioni è stata da lui orchestrata magistralmente, anche se non è esente di una certa carica di spietata malignità, sicuramente ritenuta offensiva dai fedeli della Madonna di Fatima. Comunque, come esercizio di humour noir (ed è risaputo che ogni pratica dell'umorismo nero va organizzata con la meticolosità di un "colpo" criminale), l'anamorfosi di Fatima prodotta da Miguéis è senz'altro ineccepibile. È un peccato che il suo "contorno", cioé il resto del romanzo, non ne sia all'altezza.

Non vorrei concludere questo capitolo senza fare riferimento a un'opera di finzione narrativa ancora più recente, l'ormai universalmente famoso O Ano da Morte de Ricardo Reis (L'anno della morte di Ricardo Reis) del Nobel José Saramago (1984). Non sarebbe corretto, però, inserirlo tra le opere che mirano alla contestazione di Fatima, poiché l'episodio riguardante queste manifestazioni di culto rappresenta un mero dettaglio secondario nell'economia del romanzo. L'ironia critica si fa sentire, però, senza alcun dubbio: «[Ricardo Reis] è venuto [a Fatima] per trarre beneficio del fortissimo influsso spirituale che contraddistingue questi paraggi» (p. 309); e, dopo un'allusione al miracolo della resurrezione di Lazzaro: «alla Cova da Iria, anche se ce la mettono tutta, non sono mai riusciti a fare niente del genere» (p. 312); e ancora, a proposito dell'atmosfera di mercato levantino che si respira in quel posto: «Questo prezioso gioiello che è la cattolicità brilla di tanti lumi, quelli della sofferenza a cui non resta altra speranza che il ritornare ogni anno in questo posto nell'attesa che sia questa la volta buona, quelli della fede che in questo luogo è sublime e moltiplicatrice, quelli della carità in generale, quelli della propaganda al Bovril, quelli dell'industria di santini e simili, quelli della bigiotteria, quelli dello stampaggio e della tessitura, quelli della ristorazione, quelli degli oggetti smarriti…» (p. 317). Ma l'indiscutibile vena polemica saramaghiana risulta priva di acrimonia, essendo, in fondo, temperata dalla simpatia che l'autore prova per le masse popolari del "paese profondo", anche quando esse sono succubi della superstizione.

Ultimi sviluppi del mito

            È chiaro che un tema utile al nazionalismo salazarista, quale quello dell'apparizione dell'angelo del Portogallo opportunamente rispolverata dalla memoria prodigiosa della sopravissuta suor Lúcia, si è rivelato ingombrante e addirittura controproducente, da quando Fatima è divenuta patrimonio dell'immaginario cattolico mondiale e Papa Paolo VI ha deciso di appoggiare esplicitamente i movimenti di liberazione delle colonie portoghesi in Africa. Le cancellature sono vistose per chi stia attento alle metamorfosi subite, attraverso gli anni, dai resoconti ufficiali sul “fenomeno Fatima”, ma purtroppo la gente è, in genere, di corta memoria…

            Adesso, con la beatificazione di Jacinta e di Francisco e la rivelazione del "terzo segreto", si può dire che le vicende di Fatima sono state in un certo qual modo "addomesticate", perdendo molto della loro latente pericolosità in termini di influssi politicamente morbosi o di deviazioni dall'ortodossia ecclesiastica. Può stupire e deludere la vaghezza del terzo segreto da poco svelato, e ancora di più le evidenti caratteristiche "dietrologiche" delle interpretazioni che la Chiesa ha avanzato in proposito[17], ma bisogna convenire (assieme, tra altri, a Mario Pirani – vedi bibliografia) che la soluzione trovata da Papa Giovanni Paolo II mette decisamente una pietra sopra ogni tipo di velleità malsana che cresceva, rigogliosa,  all'ombra di quest'ultimo "mistero".

BIBLIOGRAFIA

Monografie

            Renzo e Roberto ALLEGRI, Reportage da Fatima, Milano, Àncora, 2000.

 

            Moisés ESPÍRITO SANTO, A Religião Popular Portuguesa, Assírio & Alvim, 19902.

 

             Moisés ESPÍRITO SANTO, Os Mouros Fatímidas e as Aparições de Fátima, Lisboa, Instituto de Sociologia e Etnologia das Religiões (Universidade Nova de Lisboa), 1995.

 

            Mário de OLIVEIRA, Fátima Nunca Mais, Porto, Campo das Letras, 1999.

 

            Carlo PALERMO, Il quarto livello, Roma, Editori Riuniti, 1996.

 

            Andrea TORNIELLI, Fatima. Il segreto svelato, Milano, Gribaudi, 2000.

 

Opere letterarie ispirate al "caso Fátima"

 

            José Rodrigues MIGUÉIS, O Milagre segundo Salomé (2 voll.), Lisboa, Editorial Estampa, 19822.

 

            Aquilino RIBEIRO, Andam Faunos Pelos Bosques, Paris – Lisboa, Livrarias Aillaud e Bertrand, 1926.

 

Accenni ai pellegrinaggi a Fatima in altri scrittori

            Fernando PESSOA: cfr. il sardonico riferimento ai pellegrinaggi contenuto nel paragrafo finale di As Associações Secretas – análise serena e minuciosa... - la famosa difesa pessoana della massoneria, al momento della sua messa al bando da parte del governo di Salazar, pubblicata con grande risalto sul quotidiano «Diário de Lisboa» del 4/2/1935; traduzioni italiane in Fernando Pessoa, Scritti di sociologia e teoria politica (a cura di Brunello De Cusatis), Roma, Edizioni Il Settimo Sigillo, 1994, pp. 203-217, e in Fernando Pessoa, Pagine esoteriche (a cura di Silvano Peloso), Milano, Adelphi, 1997, pp. 131-148.

            José SARAMAGO, O Ano da Morte de Ricardo Reis, Lisboa, Caminho, 1984, pp. 304-320.

Opere di riferimento

            AA. VV., Lexicoteca – Moderna Enciclopédia Universal, sv Anjo Custódio de Portugal e Fátima, aparições de.

            A. H. de Oliveira MARQUES, A 1.a República Portuguesa (Alguns Aspectos Estruturais), Lisboa, Livros Horizonte, 19803.

 

            A. H. de Oliveira MARQUES, História de Portugal, Lisboa, Palas Editores, 19863.

 

Pubblicazioni periodiche: articoli e recensioni

            AA. VV., "Dossier" Fátima e o Poder in «História» (Lisbona, mensile) n. 29, anno XXII (III serie), ottobre 2000, pp. 15-46.

Anonimo (dunque sotto la diretta responsabilità del direttore Enrico DEAGLIO), Diario di una settimana molto mistica. Apparsi alla Madonna. Riflessioni leggendo i giornali, in «Diario della settimana», 19/5/00.

            Anonimo (dunque di responsabilità del direttore, Nico IVALDI), In un libro scritto da un prete… in «Libero Pensiero», bollettino dell'Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno", n. 11 – dicembre '99.

            Anonimo (dunque di responsabilità del direttore, Carlos Cáceres MONTEIRO), Mais ou menos Fátima (recensione del libro Fátima Nunca Mais ou Nunca Menos? di Padre Salvador Cabral), in «Visão» (Lisbona, settimanale), 27/4/00.

            Alfredo BARROSO, 'Cova dos Leões' e Cova da Iria, in «Expresso», 13/5/00.

            Maurizio BETTINI, La Sibilla Cumana antenata dei pastori di Fatima, in «La Repubblica», 1/7/00.

            Giorgio BOCCA, Il clericalismo di noi laici (articolo della rubrica settimanale L'Antitaliano), in «L'Espresso», 12/2/99 (ma datato 18/2/99).

            Frederico CARVALHO, Segredo de Fátima, parte III, in «Expresso», 1/7/00.

            Arlindo José Nicau CASTANHO, recensione critica – in lingua portoghese – a Moisés Espírito Santo, Os Mouros Fatímidas e as Aparições de Fátima in «Quaderni Ibero-Americani», pubblicazione semestrale dell'Associazione Studi Iberici di Torino, fascicolo 83-84, gennaio-dicembre 1998 (recensione letteralmente dilaniata, purtroppo, da innumerevoli e pesanti refusi, troppi e troppo gravi perché si possano considerare meramente accidentali).

            Umberto ECO, Il dono della postmonizione… (articolo della rubrica quindicinale La bustina di Minerva), in «L'Espresso», 26/5/00 (ma datato 1/6/00).

            Luca FONTANA, Il cattolicesimo X-files, in «Diario della settimana», 26/5/00.

            Sandro MAGISTER, Va in scena l'Apocalisse, in «L'Espresso», 25 maggio 2000.

            Maria Novella OPPO, Miracolo a Fatima. Non c'è fine del mondo, in «Diario della settimana», 19/5/00.

            Mario PIRANI, L'uso politico del mito di Fatima, in «La Repubblica», 22/5/00.

Mário ROBALO, Fátima suspensa de um segredo, in  «Expresso», 13 maggio 2000.

            Fabrizio RONDOLINO, La sinistra si piace papista, in «L'Espresso», 25 maggio 2000.

            Mino VIGNOLO, Scoperti lingotti razziati agli ebrei. Fatima, ultimo segreto. Nel conto del santuario oro rubato dai nazisti, in «Corriere della Sera», 5/4/00.

[1] Giorgio Bocca, Il clericalismo di noi laici (vedi bibliografia).

[2] A. H. de Oliveira Marques, História de Portugal, vol. III, p. 342 (traduzione mia, come per tutti gli altri brani tratti da opere pubblicate in portoghese).

 

[3] Dopo aver partecipato alla Guerra coloniale in Africa, di ritorno in patria ha conosciuto la prigionia come detenuto politico nella fortezza di Caxias (vicino a Lisbona), a causa delle sue omelie in favore della pace, che la polizia politica salazarista considerava «lesive della sicurezza dello Stato».

[4] Vedi bibliografia, pubblicazioni periodiche.

[5] Dal libro di Padre Salvador Cabral, citazione riprodotta in Anonimo, Mais ou menos Fátima (vedi Bibliografia, pubblicazioni periodiche).

[6] Moisés Espírito Santo, A Religião Popular Portuguesa, p. 108.

[7] Frei Bento Domingues apud Padre Mário Oliveira, Fátima Nunca Mais, p. 65.

[8] A. H. de Oliveira Marques, A 1.a República Portuguesa, p.  53.

[9] Oliveira Marques, História de Portugal, III, p. 232.

[10]  Oliveira Marques, História de Portugal, III, p. 342.

[11] «Nella prima versione degli avvenimenti del 13 ottobre a Fatima si attribuiva alla Madonna la dichiarazione, svelata alla veggente Lúcia, che la guerra sarebbe finita quel giorno stesso» – Oliveira Marques, História de Portugal, III, p.  342.

[12] Moisés Espírito Santo, A Religião Popular Portuguesa, p. 284.

[13] op. cit., p. 285.

[14] Oliveira Marques, História de Portugal, III, p. 372.

[15] Moisés Espírito Santo, A Religião Popular Portuguesa, p. 108.

[16] Cioé quel tipo specifico di  musica popolare portoghese dai toni dolenti, malinconici e, in fondo, conformisti: non dimentichiamo che fado è all'origine, molto semplicemente, la trascrizione vernacola del fatum latino.

[17] Vedi, in proposito, l'ironico articolo di Umberto Eco sulle colonne de «L'Espresso», più precisamente identificato nella bibliografia finale.


                                      Ikthys