STORIA DELLA
CONTROVERSIA
SUL FILIOQUE
(In
Concilium,
rivista internazionale di teologia, © www.queriniana.it)
Quando la Bibbia ed i fedeli parlano dello Spirito santo, per lo più si
riferiscono ai suoi effetti e presenza. Quello, però, del Filioque è un concetto della teologia trinitaria.
E per molti ciò
costituisce oggi una particolare difficoltà. Quali nessi esistono tra le
riflessioni trinitarie e la reale presenza dello Spirito nelle nostre comunità,
nella nostra stessa vita?
Non si dovrà prescindere da questo interrogativo
(forse tipicamente occidentale) quando si riflette sulla controversia che ha per
oggetto il Filioque e che fin dalla
tarda teologia patristica ha influito notevolmente sull'affermarsi dello scisma
tra chiese occidentali e quelle ortodosse.
1) Il 'Filioque' come concetto
della teologia trinitaria
In un lungo processo
evolutivo, non rigidamente pianificato secondo schemi teologici, la chiesa
d'Occidente ha aggiunto alla frase: «[...] lo Spirito santo [...] che procede
dal Padre», contenuta nel simbolo niceno-costantinopolitano (l'unica
confessione di fede realmente ecumenica), il termine Filioque.
La tesi era quindi che lo Spirito deriva dal Padre e dal Figlio. Non si comprenderebbe assolutamente questa aggiunta
quando non la s'intendesse nel suo carattere di
enunciato di teologia intratrinitaria. 'Nel' Dio Uno-Trino, nella 'Trinità
immanente' la processione dello Spirito va intesa come un procedere dal Padre e
pure dal Figlio. Se vogliamo comprendete i termini della controversia sul Filioque, dovremo riflettere secondo i modi di procedere classici
dell'argomentazione trinitaria. E così si scoprirà che queste idee -
diversamente da ciò che potrebbe apparire a prima vista - assumono una
rilevanza estrema per il nostro modo d'intendere la chiesa, l'etica,
l'insegnamento normativo e - non per
ultimo - il modo di valutare i nuovi e diversi movimenti carismatici.
In verità,
può sembrare temerario porre al centro dell'attenzione un problema così
sottile della dottrina della Trinità immanente in un periodo in cui molti di
noi stentano a giustificare teologicamente un modo di 'parlare di Dio'.
E invece
proprio lo studio di una questione così sottile potrebbe mostrarci come da
sempre la teologia occidentale manifesta la tendenza a favorire un discorso su
Dio 'in generale' e non concretamente sul Dio Uno e Trino. In effetti, la
tendenza modalistica (cioè la riduzione del Padre, Figlio e Spirito a tre
aspetti della Divinità) rende difficile un 'discorrere su Dio'.
Sullo sfondo della
controversia troviamo una differente dottrina trinitaria in Oriente e in
Occidente. La controversia stessa si focalizza attorno alla decisione
unilaterale dell'Occidente, quella cioè di aggiungere alla confessione di fede
ecumenica un'importante clausola trinitaria. Per le chiese orientali ciò era
inammissibile, in quanto:
a) aggiunta
non-canonica,
b) non armonizzabile con
la tradizione, e
c) dogmaticamente non
vera e pericolosa.
Per cui in tutti questi secoli, da Giovanni Damasceno fino
alla risposta che il patriarca Antimo dette a papa Leone XIII nel 1894,
l'ortodossia ha prodotto tutta una serie considerevole di motivazioni in difesa
di una dottrina trinitaria dell'anti-Filioque.
Ai giorni nostri il problema si pone su due piani:
a) il Filioque continuerà
ad essere respinto dalle chiese ortodosse in quanto assolutamente inaccettabile
e come espressione di profonde
divergenze che emergono quando si riflette sulla Trinità e Spirito santo, o non
verrà invece inquadrato nel contesto storico e, in definitiva, tollerato in
quanto modalità tipicamente ambrosiano-agostiniana della teologia occidentale?
Ma,
b) che significa il fatto che la
confessione di fede nicena in Occidente non conosce quel significato e dignità
che riscontriamo invece nell'ortodossia? In Occidente il Filioque, come aggiunta a questa confessione di fede, non riveste un
significato molto grande; qui s'osserva una chiara asimmetria tra l'ala
occidentale e quella orientale della chiesa.
E ne dobbiamo tener conto non
soltanto quando si tratta d'interpretare storicamente la controversia, ma
soprattutto nei recenti tentativi di porvi fine. Una semplice eliminazione del Filioque
dal credo, se da una parte non costituirebbe un grande sacrificio per la
maggior parte delle chiese occidentali (alcune, ad esempio, oggi consigliano
tale modifica), dall'altra, e ciò che è più importante, il problema
teologico, evidenziato dal Filioque, rimarrebbe così senza soluzione.
DELLA CONTROVERSIA
E' preferibile comunque
enumerare i fatti più importanti per poi abbozzare, in una successiva serie di
riflessioni, lo sfondo teologico in cui ai sono verificati.
Essendo impossibile
entrare nei dettagli e non disponendo di un'esposizione moderna della
controversia, dovremo limitarci agli studi storici più importanti e ed alcune
trattazioni teologiche che riferiamo in nota.
Soprattutto quando si tratti
della controversia sul Filioque,
dovremo distinguere in Occidente fra
teologia e chiesa, e all'interno di quest'ultima fra sinodi reqionali e Chiesa
romana nel suo complesso, in seguito però anche tra questa e le chiese non
romane. Fin dal tempo di
Tertulliano
(Adv. Prax.), Novaziano (De
trinitate), Ambrogio (De Spiritu
Sancto) e soprattutto Agostino (ad es. De trinitate, ed Ep. 11 e 120, ma
anche gli scritti esegetici), la teologia occidentale ha sostenuto il Filioque
prima ancora che esso venisse accettato dai singoli sinodi o dalla chiesa
universale.
Anche
i sinodi di Toledo del 446-447 e 589 (la clausola del Filioque del 400 è un'aggiunta
successiva) e quelli di Gentilly, Francoforte, Friuli e Aquisgrana dettero certo
espressione alla dottrina 'filioquistica'. Il che però non significa che esso
fosse pure l'insegnamento ufficiale della chiesa d'Occidente.
Bisogna inoltre
tener presente che la dottrina del Filioque,
poi ufficiale, subì delle modifiche nella sua motivazione e dilatazione.
Anselmo e Tornrnaso d'Aquino insegnano il Filioque
adducendo delle motivazioni in parte diverse e giungendo a delle conclusioni
che si distanziano da quelle dei primi Padri latini.
Anche
le chiese d'Oriente meritano alcune considerazioni generali. Particolarmente per
quanto riguarda Costantinopoli, non si dovrà dimenticare quali problemi
emersero dall'attività missionaria dei latini fra le popolazioni slave
(specialmente in Bulgaria), come nemmeno le tensioni politiche con Roma.
Se ai
teologi d'Occidente si può riconoscere una conoscenza soltanto indiretta del
contesto in cui si muoveva la teologia ortodosso-orientale, e specialmente la
dottrina trinitaria, con buone ragioni storiche dovremo ammettere decisamente
che nemmeno i teologi orientali e i loro capi ecclesiastici possedevano una
conoscenza dei problemi particolari in cui versava sia la chiesa di Spagna
(arianesimo dei cosiddetti 'priscilliani') e quella di Francia. Ed è proprio
qui che il Filioque ha trionfato.
Ciò
significa anche che dei problemi ed interessi politici enormi, come pure la
mancanza di un'informazione politico-ecclesiastica e pure teologica hanno
condizionato fin dagli inizi la controversia sul Filioque. Si pensi all'esito dei tentativi di unificazione
intrapresi dal concilio di Lione (1274)
e da quello di Firenze (1439), e si converrà che le possibilità d'intesa,
con il trascorrere dei secoli, si ridussero progressivamente.
a) Le date più importanti della
controversia sono le seguenti: già all’inizio del sec. V il Filioque
compare nell'uso liturgico in Spagna; lo troviamo in un testo del Concilio
di Toledo del 446-447, nell’Atanasiano («Spiritus Sanctus a Patre et Filio
(…) procedens (…), 22) come pure nel terzo e quarto Concilio di Toledo (589
e 633) e nei sinodi di Gentilly (767) e Francoforte (794). Nel sinodo del Friuli
(796) il Filioque è sostenuto da Paolino d’Aquileia. Ma già verso la metà
del secolo troviamo la prima spiegazione di una certa importanza da parte
orientale, quella di Giovanni Damasceno (Expos. Fid. Orth., I, 8,12), cui in
seguito ci s’appellerà continuamente.
b) L'occasione esterna per
un ricorso di Leone III a Carlo Magno venne dalle molestie cui i monaci francesi venivano
sottoposti nel monastero di San Saba a Gerusalemme per aver
introdotto il Filioque nella liturgia. L'imperatore incaricò Teodolfo
d'Orleans nell'809 di esaminare sul piano teologico la questione; nel
sinodo di Aquisgrana questa formula controversa fu inserita nel credo. In
seguito ci si richiamerà spesso all'atteggiamento riservato del papa: nel
sinodo di Roma (810) il Filioque viene
dichiarato senz'altro ortodosso, ma ci si rifiuta d'inserirlo nel credo (le
due famose tavole d'argento vengono incise con il testo del simbolo immutato
ed esposte al pubblico).
Non andremo quindi errati nel considerare la chiesa
di Francia, la corte di Carlo (con la De processione Spiritus
s. di Alcuino) e le precedenti difficoltà in Spagna come l'ambiente
nel quale il concetto teologico di Agostino divenne la componente accettata sul
piano politico-ecclesiastico e giuridico-ecclesiastico della confessione di
fede.
c)
La
controversia vera e propria ha inizio con Fozio, che
nell'858 sostituisce Ignazio nella carica di patriarca di Costantinopoli.
Per illustrare in qualche modo la confusione che regnava a quel tempo, sarà
forse utile contrapporre gli eventi che si verificarono in quegli anni in
Occidente e Oriente:
869 - Roma condanna Fozio.
870 - Roma contro le pretese di Ignazio sulla Bulgaria.
880 - A Costantinopoli i legati pontifici sottoscrivono la confessione di
fede senza la clausola del Filioque, confermano il reinsediamento di
Fozio (lo sostiene F. Dvornik in contrasto con i risultati delle precedenti
ricerche).
892 - Roma scomunica Fozio (per Dvornik questa è una leggenda
formatasi
in seguito).
867
- Fozio disapprova la missione in Bulgaria e il Filioque. Il concilio di Costantinopoli
scomunica papa Niccolò; Ignazio viene invece reinsediato.
869
- Costantinopoli conferma la
condanna.
877 - Muore Ignazio; Fozio di nuovo patriarca.
879-880 - Il concilio di Costantinopoli revoca la decisione
dell'869.
886
- L'imperatore Leone
VI depone Fozio.
d)
Anche
la successiva fase della controversia risulta caratterizzata da difficoltà e
confusioni di tipo politico. Nel 1009 papa
Sergio
IV
impiega il termine Filioque in una lettera inviata a
Costantinopoli come somma delle verità di fede; il suo omonimo in Oriente
esclude (intenzionarnente?) dalla lista ufficiale
il nome del papa romano.
Cinque anni più tardi papa Benedetto VIII, più
interessato a guerreggiare contro saraceni e greci che a problemi teologici,
sotto la pressione dell'imperatore Enrico II inserisce ufficialmente e definitivamente il Filioque nella versione occidentale del
simbolo niceno.
Questo ora viene cantato durante la messa.
e)
Dovremo
poi ricordare, prima della caduta di Bisanzio del 29
maggio 1453 - e fino a quel giorno nell'Hagia Sophia ortodossi e
latini avevano celebrato sempre insieme le loro messe - i concili,
così
umilianti per l'Ortodossia, di Lione (1274) e di Firenze (1438-1439)
in vista di una unificazione.
E' noto che dopo Lione i delegati ortodossi
non riuscirono a far valere nelle chiese locali il loro voto per
il
Filioque e che dopo Firenze non vennero proclamati in Oriente i risultati del
concilio.
Non fu possibile risolvere, sul terreno della politica
ecclesiastica, il vero conflitto teologico, miseramente diluito ormai in
litigi politico-ecclesiastici.
Già la persona di Fozio concentrava in se stessa
tutta una serie di intrighi politici, confuse aspirazioni al potere e autentica
erudizione teologica (in Occidente non abbiamo un partner di pari
levatura), per cui non si riusciva più a cogliere chiaramente il problema
teologico intratrinitario allo stesso modo in cui avevano incominciato a
riflettere la teologia classica greca e quella agostiniana.
I teologi medievali
d'Occidente, e soprattutto Anselmo e Tommaso, congiunsero con il vecchio tema
altri interessi.
La loro riflessione rese ancor più difficile un possibile
consenso con l'oriente.
f) Le chiese non romane d'Occidente, infine,
assunsero un comportamento differente nella questione del Filioque.
Per
secoli questo non fu più oggetto di dispute a carattere ecclesiastico-giuridico
o politico-ecclesiastico.
Negli scarsi contatti fra chiese della Riforma e
Ortodossia non si trattò il tema.
I riformatori e le confessioni sia luterane
che riformate si attennero al Filioque anche perché apprezzavano
enormemente l'Atanasiano.
Cirilio
Lukatis (assassinato nel 1638), patriarca e teologo greco vicino alle posizioni
calviniste, non rinnovò la controversia, mentre poco più tardi Pietro Mogila,
personaggio molto influente, che conosceva bene l'Occidente e aveva introdotto
il latino nel mondo accademico di Kiev e di altre città, nella sua Confessione
Ortodossa (1642-1643) riaffermò il rifiuto dei
due punti fondamentali: il primato del papa e il Filioque.
Nemmeno la
duttilità mostrata dall'atteggiamento occidentale, ad esempio da papa Benedetto
XIV, che non intendeva mantenere il Filioque come condizione per l’unità
con la chiesa d'oriente, pose qualcosa in movimento.
L'invito
all'unione formulato da Leone XIII nel 1894 provocò invece la dura risposta del
patriarca Antìmo, che rimproverava alla chiesa d'Occidente innovazioni arroganti
e l'arresto del processo di riunificazione, ricordando espressamente il Filioque,
l'infallibilità del papa, la dottrina del purgatorio, l'uso dei pani azzimi
nell'eucaristia, ecc.
Se il papa avesse potuto provare che queste dottrine erano
state patrimonio comune dell'Oriente ed Occidente prima del sec. IX, la
riunificazione sarebbe stata possibile. Balza così in primo piano l'argomento
che fa leva sulla tradizione.
g) Più
complessi sono i rapporti che si stabiliscono fra l'Ortodossia e la comunità
anglicana, e naturalmente anche la chiesa dei Vecchi Cattolici, che
nel 1875 eliminò dal Niceno il Filioque.
I
teologi anglicani, che all'inizio avevano preso le difese del Filioque (Roger
Hutchinson), già nel sec. XVII (John Pearson, E. Stiffingfleet), ma soprattutto
nello spirito dell'Oxford Movement, dopo il 1833, incominciarono
ad interpretare ed a problematizzare la concezione teologica del Filioque.
Giustamente
qui si distingue, come già con Pearson, fra eternal procession e temporal
mission dello Spirito, ma non si dovrebbe giungere ad un rifiuto del Filioque,
scelta verso cui propende invece uno degli esponenti più rappresentativi: J.M.
Neale, studioso e poeta lirico di un certo rilievo.
Nelle conferenza di Bonn con
i Vecchi Cattolici e Ortodossi (1874-1875) il
rappresentante inglese E.B. Pusey si manifestò invece come difensore della
concezione occidentale del Filioque.
Nella 'Joint Doctrinal Commission'
del 1931 si rinnovò il consenso del 1875 e si convenne
che la formula impiegata da Giovanni Damasceno «per mezzo del Figlio», invece
che «e dal Figlio», sarebbe
Gli anglicani si rifiutarono di considerare il Filioque come parte
del credo ecumenico, perché: a) la proposizione del credo sulla
processione dello Spirito dal Padre intendeva affermare la processio eterna,
non la sua missio storica; b) perché l'aggiunta del Filioque nel
credo non poggiava sul consenso ecumenico, e infine: c) perché il credo è una
professione pubblica di fede che il popolo di Dio fa durante l’eucaristia. La
'Lambeth Conference' del 1978 approvò questo risultato e
invitò le chiese della comunità anglicana a valutare la possibilità di
togliere dal Credo il Filioque.
III/
IL DECORSO TEOLOGICO INTERNO
DELLA CONTROVERSIA
L'esame degli eventi più importanti che nel corso della storia si sono
verificati durante la controversia sul Filioque condusse infine, con la
scelta dei Vecchi Cattolici e le esortazioni della chiesa
anglicana, a riproporre al centro del problema del Filioque la questione
intratrinitaria sul modo d'intendere la processione dello Spirito dal Padre. E
in effetti qui gli sviluppi teologici che la tradizione agostiniana conobbe in
Occidente si muovono in direzioni completamente diverse da quelle proprie della
teologia greca in Oriente. E’ ciò che ora intendiamo brevemente abbozzare.
1. L'apparato concettuale di Atanasio.
Di estrema importanza è
l'inserimento delle riflessioni della teologia greca nel linguaggio liturgico,
dossologico.
I concetti teologici devono servire all'autentica adorazione.
E’
ciò che appare chiaramente già in Atanasio, il costruttore
classico della dottrina trinitaria. In lui però le distinzioni fra termini
importanti, come quelli di ousia (la substantia), hypòstasis e pròsopon
(lat. persona), e pure physis ed enérgeia, non sono
così chiare come più tardi si vorrà credere. E del resto anche l'Occidente si
è richiamato ad Atanasio. Ma i suoi eredi sono i tre grandi Cappadoci: Basilio,
Gregorio di Nazianzio e Gregorio di Nissa, i soli ad offrire - prescindendo da
qualche eccezione - un apparato concettuale chiaro. Di che si tratta?
Benché
non sia possibile dissociare le ‘energie’che esistono in Dio dalla sua ousìa,
i fedeli non possono, utilizzando la loro conoscenza, penetrare
immediatamente fino alla ousìa di Dio.
Come tutto ciò che esiste
nella creazione ha il proprio essere nelle 'energie' divine, così anche il
fedele lo ha nella sua partecipazione al Dio Uno e Trino.
Tale concetto, che
troviamo già fondamentalmente delineato in Atanasio, il quale può quindi
congiungere fra loro creazione e redenzione, dopo un lungo processo evolutivo lo
ritroveremo anche nella teologia, ormai perfettamente strutturata, di un
Gregorio Palamas (+ 1358), il
quale vede le 'energie' increate della Trinità nel loro rapporto con
l'esperienza di fede.
Ma già Atanasio, negli scritti polemici Contra Arianos
e nelle dichiarazioni più amichevoli Ad Serapionem, insegna che il
Padre, il Figlio e lo Spirito riposano l'uno nell'altro (lo aveva già detto
Ireneo del Padre e del Figlio); che dello Spirito si deve pensare ciò che si
pensa della seconda persona della Trinità, e soprattutto che la
partecipazione dei fedeli a Dio stesso è una partecipazione nello Spirito
Santo. Dato però che qui si tratta di un'unione con Dio per mezzo del
Figlio, attraverso il Verbo, i fedeli sono partecipi di Dio nello
Spirito attraverso ed a motivo di Gesù Cristo.
In questo senso dev'essere
intesa la formula, continuamente ripetuta e più tardi contestata, del dià tù hyiù [attraverso il Figlio).
Atanasio dice che il Padre
è 'sopra tutto' ed anche 'attraverso tutto e in tutto" il Figlio
'attraverso tutto' e lo Spirito ‘in tutti’ (o tutto).
La comunione con Dio è quindi una comunione con il Padre, che è sempre Padre
del Figlio, nello Spirito.
Lo Spirito partecipa pienamente del Padre e del Logos,
a motivo della perfetta unità delle attività ed essenza di Dio (enérgeia),
per cui è lecito chiedersi se l'interpretazione successiva non abbia
voluto leggere in Atanasio una dissociazione troppo marcata tra la ousìa di
Dio e la sua energeia.
Non è qui il caso di dare una risposta.
Comunque
è chiaro che in tutte le sue fasi delle diverse argomentazioni, Atanasio parla
non soltanto su Dio così com'egli è in se stesso ('Trinità
immanente'),
ma anche sul modo in cui egli è ad extra, rispetto al fedele che lo
conosce e lo loda. Si potrebbe così ritenere che Atanasio abbia consentito il
passaggio dall'ordine della conoscenza (nello Spirito, attraverso il Figlio, dal
Padre) all'ordine interno (taxis) della Trinità.
2. La chiarificazione concettuale.
I
Cappadoci non trascurano in alcun modo la dimensione
soteriologica della dottrina trinitaria di Atanasio, il riferimento quindi
all'agire salvifico nei suoi effetti per l'uomo. Essi però approfondiscono
e
differenziano meglio la dottrina del Dio Uno e Trino.
Basilio defluisce in modo
più preciso l’hypostasis, mentre è ancor vago il suo modo di esprimersi
sulla processione dello Spirito dal Padre.
Gregorio di Nazianzio si serve del
nuovo concetto di ekporéusis, effusione, mentre il più giovane
Gregorio di
Nissa
approfondisce quello del dià tù huyù [attraverso il Figlio].
Ciò che
comunque tutti e tre intendono è eliminate il rischio di vedere nello Spirito
Santo qualcosa di 'creato' (ktisma). Basilio, che propende a distinguere
fra l'ordine interno (taxis) delle tre persone e la loro manifestazione
all'esterno, sostiene la necessità di non confondere in alcun modo le
caratteristiche (potremmo parlare anche di prosopon) del Figlio con
quello dello Spirito.
La proprietà del Figlio, che è quella di essere
generato, non va riconosciuta allo Spirito.
Continuando, Gregorio di Nazianzio
insegna che la proprietà dello Spirito è quella dell'ekporéusis, rispetto
a quella della gennesìa (essere generato) del Figlio. Questo
parallelismo costituisce un punto importante nella comprensione della dottrina
ortodossa trinitaria: se in Atanasio e in Basilio si potrebbe, in certi casi,
vedere ancora un 'allineamento' del tipo Padre-Figlio-Spirito, questo non è
più possibile nella concezione appena delineata.
l più giovane Gregorio
insegna in modo convincente che Dio è la forza vivificante, l'unica sorgente (pegé), radice
(riza), principio (arché) e causa (aitìa).
Se
si può dire quindi che lo Spirito del Padre giunge ai fedeli «attraverso il
Figlio», una simile affermazione rispetto alla dinamica interna della Trinità
risulta assurda, fuorviante, poiché suggerisce il concetto che ci troveremmo
di fronte a due sorgenti, due cause, due radici nella stessa Divinità.
Ciò che intende dire la dottrina ortodossa è che il Padre è l'unica
sorgente del Figlio e dello Spirito, poiché è appunto questa la sua peculiarità
ipostatica, quella di far procedere da sé il Figlio e lo Spirito, che a loro
volta hanno un'ipostasi inconfondibile con l'altra. Il concetto risulta così
dominato dalla 'monarchia' del Padre.
Con queste posizioni non si
concilia, evidentemente, il Filioque occidentale.
Ci si chiederà allora se l'ortodossia sarà mai in grado di risolvere in
modo soddisfacente il problema sollevato in Occidente ed evoluto entro le
categorie aristoteliche di causa ed ipostasi. In che modo nell'ekporéusis eterna
lo Spirito è congiunto al Figlio? e il Padre che emette lo Spirito non è già
il Padre del Figlio? Non sembrano dunque eliminati due pericoli: a) che il
Padre, in virtù della sua funzione ipostatica, non venga posto al di sopra
delle altre due ipostasi, e b) che lo Spirito Santo non sia chiaramente lo 'Spirito di
Cristo', come si è sempre inteso affermare nel Nuovo Testamento ed alla luce
della Trinità non-immanente bensì 'economicosalvifica'.
3. Agostino
e la tradizione concettuale d'Occidente.
E’ noto, e qui vogliamo
soltanto alludervi, che la tradizione occidentale del modo agostiniano
d'intendete le relationes nella Trinità ha influito
costantemente nel corso della storia, per cui a poco a poco si persero anche di
vista le differenti proprietà delle tre persone (con
Tertuliano questo ora è il concetto occidentale).
Harnack forse esagerava
ritenendo che Agostino «non sarebbe mai giunto alla Trinità se non fosse stato
legato alla Tradizione».
E' certo però che l'Occidente deve la
sua tendenza ad un concetto puramente monoteistico di Dio alla costruzione
triangolare del concetto modalistico di Agostino.
Questi iniziò a riflettere
non partendo dal Padre, come i greci, bensì dall'astratta 'Trinità' come
tale, dove le tre persone si condizionano reciprocamente in delle relationes
simmetriche, fino al punto che si vede la partecipazione del Figlio nella
sua stessa missione.
In definitiva soltanto il riferimento alla Bibbia esclude
la conclusione logicamente possibile che il Padre od anche il Figlio procedano
dallo Spirito.
Pure il termine processio viene
così impiegato secondo un'accezione ben più ampia di quella consentita dalle
definizioni greche delle inconfondibili proprietà ipostatiche. Lo si osserva
chiaramente in Anselmo (De processione Spintus s.) e
nella successiva Scolastica.
4.
Il compito ecumenico.
Se i teologi ortodossi richiamano l'attenzione sul
fatto che la dottrina trinitaria d'Occidente rende impossibile la
trasfigurazione spirituale dei fedeli in una partecipazione al Padre nello
Spirito, la critica che si muove da posizioni occidentali è che nella teologia
trinitaria ortodossa gli effetti prodotti dallo Spinto non sono
sufficientemente inquadrati nell'intera opera di Cristo.
Ed è appunto questa la
vera esigenza del Filioque che nel nostro secolo è stata
avanzata specialmente da Karl Barth.
I
più recenti sviluppi stanno ad indicare che l'esempio della chiesa
vetero-cattolica e di quella anglicana influisce sul resto delle chiese
occidentali, favorendo un'autocritica per quanto concerne il concetto a-trinitario (o soltanto
trinitario-intellettualistico) di Dio della
tradizione agostiniana. Al tempo stesso ci s'attende che l'ortodossia
chiarisca meglio i rapporti dello Spirito con il Figlio.
Ciò che qui si profila
come un pericolo di smorto monoteismo con una tradizione trinitaria non
compresa dalle comunità, sull'altra sponda è la costruzione di un
monopatrismo, espresso secondo gli schemi concettuali greci, che blocca la
dimensione ecclesiologica ed etica dello 'Spirito di Cristo' nella dossologia.
E’ possibile comprendere il nocciolo della questione
soltanto in termini
teologici, non storici: quale figura dovrà oggi assumere la dottrina trinitaria
per diventarci davvero familiare? I modelli fin qui impiegati sono
comprensibili, come pure i dilemmi che essi contengono. Sono però anche
utilizzabili?
(*)
Dietrich
Ritschl
E' nato il 17 gennaio 1929 a Basilea (Svizzera).
Ha compiuto gli studi a Tubingen,
Basilea, Berna.
E' stato vicario a Ziefen, Cantone di Basilea, negli anni 1950-1952.
Dal 1952 al 1958 pastore delle comunità evangeliche di lingua tedesca in Scozia.
Ha insegnato patristica e teologia sistematica ad Austin, Tex., Pittsburgh, Pa., Union Seminary di New York, negli anni 1957-1970. Ha svolto corsi accademici a
Melbourne, Austr., e Dunedin, N.Z., negli anni 1970,
1974, 1977, 1979, e a Houston, Tex.
Ha tenuto conferenze nei Paesi
Orientali, in Asia, in Inghilterra e Scozia.
Dal 1970 è titolare della cattedra di teologia
sistematica ed etica all'università di Mainz (Germania).
É inoltre autore di diversi articoli apparsi su riviste.
(Indirizzo: Im Begli 13, CH-4418
Reigoldwil, BL, Svizzera).