Isabelle Chareire
docente presso la Facoltà di teologia dell'Università Cattolica di Lione.
Gesù opera un rovesciamento di prospettiva nel modo di intendere la
legge da parte del suo universo religioso: egli non la disprezza, ma supera il dilemma
sottomissione-trasgressione per far intervenire un terzo dato, la situazione e
attaccandosi ad un'osservanza meticolosa e ossessiva della Legge e della tradizione, i
Farisei ne perdono infatti di vista l'ispirazione profonda che è quella di promuovere la
giustizia, la misericordia e la fedeltà e di essere al servizio di questi valori.
Il discorso sulla purezza si inscrive in questo quadro che vede nel dinamismo profondo del
cuore, di ogni cuore, dove è di casa lo Spirito, il luogo in cui può essere vinta la
doppiezza ed essere accolta la Grazia che apre alla visione di Dio.
La proclamazione della sesta beatitudine da parte di Gesù dovette apparire agli occhi dei
Farisei paradossale e addirittura scandalosa: come poteva tessere l'elogio della purezza
Colui che senza complessi trasgrediva le regole della purità legale?
Questa apparente contraddizione segna più in generale l'atteggiamento di Gesù nei
confronti della Legge.
Il compimento della Legge da parte di Gesù sposta radicalmente gli abituali punti di
riferimento della Legge stessa.
Dopo aver messo in evidenza questo rovesciamento di prospettiva, vedremo di cogliere il
nuovo modo di intendere la purezza che esso comporta, per concludere la nostra analisi con
gli ostacoli e le poste in gioco di tale comprensione della purezza.
1. Gesù e la legge
L'aperto conflitto tra Gesù ed i Farisei si sviluppa in relazione alla
Legge ed alla tradizione. Secondo C. Duquoc, la predicazione di Gesù è sovversiva in
quanto opera un triplice rovesciamento di prospettiva: nei confronti della giustizia,
della Legge e della tradizione.
La parabola del Figlio prodigo (Luca 15) e quella degli Operai dell'undicesima ora (Matteo
20) relativizzano la giustizia.
Matteo 20, rompe quell'equilibrio sociale per cui il parassita non viene trattato alla
pari del lavoratore; il fatto è che le leggi del Regno non obbediscono affatto a questo
genere di evidenze.
In realtà, la giustizia sociale, applicata rigidamente, genera alla fine esclusione. In
base alla giustizia - che avrebbe riservato un diverso trattamento al figlio minore
rispetto a quello maggiore - il figlio prodigo, nonostante il suo pentimento, sarebbe
stato vittima della memoria, e cioè della sua reputazione.
La festa organizzata dal padre, il quale non lo tratta in base al peccato commesso,
cancella nel figlio la memoria della colpa.
Il Regno di Dio non ha niente a che vedere con la logica sociale che produce l'esclusione,
in quanto esso è speranza per coloro che sono senza speranza.
Gesù non disprezza la Legge, ma esce dal dilemma sottomissione/trasgressione facendo
intervenire un terzo dato: la situazione.
Qui tuttavia la situazione viene fatta intervenire non nel senso deteriore della
casistica, la quale è disposta ad accantonare la legge solo per non farsi scomodare dal
prossimo, ma al contrario proprio nella misura in cui essa richiede un coinvolgimento nei
confronti dell'altro. Gesù non disprezza la Legge, ma si sente libero riguardo ad essa:
la trasgredisce in ragione della disperazione che incontra (guarisce il giorno di Sabato)
e rimprovera ai Farisei di dimenticare lo scopo della Legge, quello cioè di
"rivelare che ogni essere umano è affidato all'altro". L'essenza
della legge consiste nello svincolarsi dall'esclusiva attenzione verso se stessi per
richiamare il fatto che l'altro, gli altri esistono; fuori da questa funzione, della quale
è al servizio, essa risulta vana, non oggettiva.
Nell'universo religioso di Gesù, la tradizione (cf Mt 15) assolveva una duplice
funzione:
- come principio critico, era il luogo di verifica delle decisioni da assumere in presenza
di situazioni inedite; questa giurisprudenza, tuttavia, tendeva a diventare impositiva, ed
è questo che Gesù rifiuta;
- di fatto la tradizione, in quanto principio globale capace di fare memoria delle
esperienze in ragione della loro esemplarità, fosse questa positiva o negativa, giungeva
al punto di escludere ogni possibile spazio per una pratica trasgressiva di queste regole:
"Gesù non rifiuta l'esperienza del passato come cosa senza valore, ma non accetta
che essa sia la misura di ogni possibile esperienza. L'inatteso della decisione presa nel
momento presente non viene giustificato facendo ricorso alla coerenza con le norme imposte
dal passato".
Tale rovesciamento di prospettiva nei confronti di questi tre punti di forza del Giudaismo
porta all'elaborazione di un giudizio critico sui loro possibili effetti perversi e apre
all'immagine di un Dio non più ostaggio della Legge e della tradizione, ma mostrato da
Gesù nell'inedito del suo divenire. E' in questo orizzonte che dobbiamo intendere la
purezza alla quale Gesù ci invita.
2. L'essenziale e l'accessorio
Le dispute di Gesù a proposito del puro e dell'impuro sono riportate
da Matteo ai capitoli 15,10-20, e 23,25 ss. Il primo passaggio si colloca dopo un
contrasto con gli scribi e i Farisei a proposito della tradizione; Gesù si rivolge allora
alla folla: ciò che rende impuro è ciò che esce dalla bocca dell'essere umano, non
quanto vi entra.
La seconda pericope è inserita nel quadro di una lunga serie di invettive contro i
Farisei; qui Gesù si rivolge alla folla e ai discepoli. Il Signore raccomanda di fare
ciò che dicono i Farisei, ma di non imitarli nelle loro azioni perché "tutte le
loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini" (23,5); sono degli ipocriti
che, pur senza entrarvi essi stessi, chiudono agli altri l'ingresso nel Regno di Dio. Dopo
uno sviluppo del discorso sui voti4 dal quale emerge lo stravolgimento dei
valori - agli occhi dei Farisei l'oro del tempio pareva più sacro del tempio stesso, e la
decima della menta, dell'anèto e del cumino più importante della giustizia, della
misericordia e della fedeltà - Gesù affronta la questione del puro e dell'impuro.
La pratica farisaica, che dà maggior peso all'apparenza esteriore che alla carità dei
cuori, è ipocrita; questo non avere cura dell'essenziale a beneficio dell'accessorio
porta a sconfessare gravemente i veri profeti.
Da questi testi emergono tre critiche:
- l'atteggiamento dei Farisei è caratterizzato dall'incoerenza e dall'ipocrisia in quanto
essi predicano, ma non fanno ciò che predicano;
- attaccandosi ad un'osservanza meticolosa della Legge e della tradizione, i Farisei ne
perdono di vista l'ispirazione profonda; certo, ciò che è secondario non può essere
omesso (Mt 23,23), ma esso, tuttavia, deve sempre essere collocato all'interno
della dinamica profonda della Legge, senza mascherarla;
- la purità rituale non conta nulla, è quanto si agita all'interno dell'essere umano che
lo rende puro o impuro.
La doppiezza farisaica nasce dalla rimozione di ciò che è essenziale: la giustizia, la
misericordia e la fedeltà. La giustizia è la nervatura della Legge, ne rappresenta la
sua ragion d'essere; ma poiché questa giustizia è quella di Dio, essa va oltre una
rigida applicazione che produrrebbe un'altra ingiustizia (cf Mt 20 e Lc 25)
e viene esercitata col metro della misericordia. La misericordia non nega la giustizia, ma
la libera: attraverso il perdono accordato a chi ha sbagliato, essa la rende continuamente
possibile.
Mentre l'esclusione chiude ogni orizzonte, la misericordia persiste senza posa a
prospettare un avvenire, oltre ogni tradimento, ogni diserzione. É all'interno di questa
tensione tra giustizia e misericordia che può essere vissuta una fedeltà perseverante al
Dio della vita, perché Lui è indettibilmente fedele.
Scegliere la reale posta in gioco della Legge significa farla gravitare al servizio della
giustizia autentica.
Questa giustizia non è quella degli esseri umani perché non opera esclusioni, quale che
sia la situazione, e permette a chiunque di rinnovare l'Alleanza che Dio propone senza
stancarsi mai.
Dimenticare questi tre elementi fondamentali equivale a rendersi davvero impuri. Se la
purezza è l'assenza di ambiguità, prendere cioè in considerazione la giustizia di Dio
senza secondi fini, essa può realizzarsi proprio incontrandosi sull'essenziale.
Quando i mezzi fanno perdere di vista il fine, per forza siamo indotti ad un atteggiamento
ambiguo, di doppiezza: in fondo, l'ipocrisia dei Farisei non è che la conseguenza di
questa dimenticanza di base, quella della giustizia e della misericordia.
L'osservanza della Legge, sottratta alla sua dinamica profonda, funziona allora in modo
ideologico. L'ideologia, secondo la formula di Regis Debray, elude la storia e "ci
passa sul corpo senza passare attraverso la testa".
Tagliar fuori il reale equivale a votarsi alla doppiezza, stabilendo un ideale meramente
formale senza presa dinamica sulle azioni umane.
L'osservanza della Legge non ha senso se non alla condizione d'essere orientata alla
volontà di desiderare il bene; la purezza esige di passare dalla eteronomia
all'autonomia, di essere cioè mossa da un dinamismo interno e non esterno. E'quanto
esprime il Dottore Angelico:
"Colui che evita il male in virtù di un precetto del Signore non è libero.
All'opposto, chi evita il male perché è male, costui è libero. E' qui
che opera lo Spirito Santo che perfeziona interiormente il nostro spirito comunicandogli
un nuovo dinamismo, e così è per amore che egli non commette il male, e dunque è
libero, non nel senso che egli non sia sottomesso alla legge divina, ma in quanto il suo
dinamismo interiore lo porta a fare ciò che la legge divina prescrive".
3. La purezza: un dinamismo interiore
La trappola dell'atteggiamento farisaico consiste nello stabilire un
ideale assoluto senza prendere in considerazione le condizioni concrete nelle quali gli
uomini e le donne si trovano a vivere; siamo qui di fronte ad un meccanismo ideologico,
vale a dire la teorizzazione di un comportamento a partire da un'unica chiave di lettura
che nega la complessità del reale.
La doppiezza è conseguenza dell'atteggiamento ideologico che rifiuta le ombre e la
fallibilità della condizione umana. Ma ciò che Gesù propone non è quell'autenticità
un po' sfrontata spesso evidenziata dai comportamenti dei nostri tempi, e che tende ad
identificare direttamente la moralità con la schiettezza e la spontaneità.
Il criterio della moralità si ridurrebbe in questo caso alla pura soggettività, alla
trasparenza verso se stessi e gli altri; ora, anche in modo autentico, si può ben essere
perversi o immorali! Rifiutare la doppiezza non vuol dire cadere nell'ideologia della
spontaneità.
La purezza è, invece, un atteggiamento che deve essere costruito nell'incontro tra la
verità personale e la legge.
L'autonomia, e cioè la coerenza interiore tra il desiderio profondo del soggetto e il
fine ultimo della legge, non significa assenza di oggettivi punti di riferimento, ma
trasformazione interiore che armonizza la legge ed il desiderio.
E' distintivo della Nuova Legge, secondo san Tommaso d'Aquino, il trovarsi all'interno
dell'essere umano: "grazia dello Spirito Santo che si manifesta mediante la fede
operante nella carità ".
Ciò che caratterizza la Nuova Legge è che essa antepone l'etica alla morale.
Mutuiamo questa distinzione da Paul Ricoeur: l'etica è il dinamismo interiore del
soggetto, la moralità è l'insieme degli imperativi e dei divieti ai quali il soggetto
deve ridare una sistemazione in rapporto al suo progetto etico primario.
La legge non viene per prima, ma per ultima, dal momento che si pone come istanza di
verifica del desiderio o del progetto etico; la legge è la realizzazione e non il
requisito della filtrazione di senso della nostra azione.
Nel cristianesimo è proprio l'etica, ed il suo fondamento propriamente teologale, ad
avere la priorità; come dice san Paolo "non sono più io che vivo, ma è Cristo
che vive in me".
La purezza nasce da questa disponibilità alla grazia che forma il desiderio interiore.
Questa trasformazione del desiderio non è alienazione, ma liberazione, in quanto
rappresenta non la negazione dell'umanità ditale desiderio, ma il suo compimento.
Non esiste purezza possibile al di fuori di questo orientamento teologale del soggetto e
della sua azione; solo il dinamismo profondo del cuore può produrre un'azione
autenticamente morale e cioè frutto realmente della giustizia e della misericordia.
La tensione tra questi due poli, giustizia e misericordia, è in effetti un crinale che
può essere percorso solo con la disponibilità del cuore.
Non è senza significato che questa esigenza di purezza ci venga trasmessa da Colui che ha
frequentato i peccatori ed i lebbrosi.
All'orgogliosa purità dei Farisei, basata sul criterio di fondo della legalità, Gesù
oppone una purezza densa d'umiltà. Se la peccatrice è perdonata (Lc 7,36ss) è
"poiché ha molto amato"; non è che Gesù non la inviti alla
conversione, ma essa è perdonata perché, avendo amato molto, è capace, riconoscendosi
debole e peccatrice (v. 38), di operare in modo effettivo e non ideologico, sul proprio
desiderio.
Puro non è chi non commette peccato - ciò equivarrebbe a sottrarsi in modo illusorio
alla propria condizione - ma colei o colui per i quali questi peccati rappresentano non
l'occasione per un facile compiacimento né per una eccessiva colpevolizzazione, ma il
luogo d'accoglienza della grazia in vista di una conversione che deve essere continuamente
operata.
"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio": se la purezza è proprio
questa capacità dell'essere umano di lasciarsi rinnovate interiormente dall'azione dello
Spirito, al punto che il suo desiderio si armonizza con la legge divina, questo
atteggiamento non può che aprire alla visione di Dio.
Proiettandoci nella dinamica del divenire, voluta per noi dal nostro Creatore, essa ci
orienta, nel cuore stesso della complessità della nostra condizione umana, verso
l'Avvenire della visione definitiva di Colui-che-viene.
Isabelle Chareire
(traduzione dal francese di Luigi Ghia)