Un appassionato zelo per la fede

[Tratto da «Inquisizione», di Michael Baigent e Richard Leight, Marco Tropea Edizioni]


Ispirandosi all'abilità commerciale di san Paolo, il cristianesimo ha sempre offerto scorciatoie per il paradiso. Fu così che riuscì a reclutare adepti anche prima di essere riconosciuto come religione. Attraverso il martirio, la mortificazione di se stessi, la meditazione, la contemplazione, la solitudine, la penitenza, la liturgia, la comunione e i sacramenti, attraverso tutte queste vie, le porte del Regno dei Cieli si sarebbero spalancate per i credenti. A ben vedere, alcune di quelle vie d'accesso potevano nascondere il germe di comportamenti patologici, ma, in gran parte, erano innocue. E anche quando i cristiani del primo millennio dovevano combattere - come, per esempio, al tempo di Carlo Martello, e poi di Carlo Magno - lo facevano soltanto per autodifesa.
Nell'anno 1095, però, fu ufficialmente e pubblicamente aperta una nuova porta che poteva condurre al regno di Dio: martedì 27 novembre, papa Urbano II salì su un palco eretto appena fuori della porta orientale della città francese di Clermont e, da quell'eminente tribuna, bandì la crociata, cioè una guerra condotta in nome della Croce. Secondo il pontefice, uccidere in una guerra di tal fatta poteva far guadagnare il favore di Dio e un posto accanto al suo trono.
Il papa, naturalmente, pose dei distinguo: esortò infatti i cristiani a desistere dalla deplorevole, anche se da lungo tempo consolidata, abitudine di uccidersi l'un l'altro, e li spinse a rivolgere le energie omicide verso gli infedeli islamici che occupavano la città santa di Gerusalemme e il Santo Sepolcro, presunto luogo di sepoltura di Cristo. Allo scopo di riconquistare per la cristianità la città santa e il Sepolcro, uomini d'armi di tutta Europa furono incoraggiati a intraprendere una guerra sotto la diretta guida di Dio.
Ma uccidere era solo una delle componenti dell'allettante "affare". Oltre alla licenza di uccidere, il buon cristiano poteva ottenere la remissione di tutto il tempo che avrebbe dovuto scontare in purgatorio e delle penitenze che avrebbe dovuto fare in terra. Gli veniva promesso infatti che, se fosse morto durante la santa crociata, sarebbe stato automaticamente assolto da tutti i peccati e, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato protetto dalla punizione temporale per qualunque peccato avesse potuto commettere. Come il monaco o il sacerdote, il crociato veniva svincolato dalla giustizia secolare e considerato soggetto solo a quella spirituale. Se fosse stato riconosciuto colpevole di un qualunque crimine, gli sarebbe stata semplicemente confiscata la croce rossa di crociato e sarebbe stato punito "con la stessa clemenza riservata agli ecclesiastici". Negli anni successivi, gli stessi benefici sarebbero stati offerti su più larga scala. Per usufruirne, il cristiano non doveva neppure impegnarsi di persona nella crociata, era sufficiente che si limitasse a fare una semplice donazione in denaro per sostenerla.
A parte i benefici spirituali e morali, c'erano numerosi vantaggi accessori di cui il crociato poteva godere durante il cammino terreno, anche prima di attraversare la porta del paradiso: poteva rivendicare beni, terre, donne e titoli nei territori che conquistava; accumulare tutto il bottino e le spoglie che desiderava; qualunque fosse il suo status sociale d'origine, per esempio quello di figlio cadetto senza diritto al titolo e alle terre, poteva diventare un potente signorotto, con una corte, un harem e sostanziose proprietà territoriali. Ecco la messe che era possibile raccogliere con la semplice partecipazione a una crociata: si trattava di un "pacchetto" la cui capacità di richiamo farebbe invidia anche ai moderni assicuratori.
Questa l'origine delle crociate. Nel 1099, con la prima di esse, venne fondato il Regno franco di Gerusalemme, prototipo storico di quello che, secoli più tardi, sarebbe stato considerato l'imperialismo e il colonialismo occidentale. La Seconda crociata iniziò nel 1147, la terza nel 1189, la quarta nel 1202. In tutto, se ne ebbero sette. In quegli anni di campagne militari su larga scala, organizzate e finanziate dall'Europa, lunghi periodi di guerra fra cristiani e musulmani si alternarono a momenti di pace instabile, durante i quali il commercio, sia di beni che di idee, prosperò. Outremer, la terra d'oltremare, così veniva chiamata, divenne una sorta di principato europeo indipendente nel cuore del Medio Oriente islamico, sostenuto e difeso dalle armi e dalla manodopera che provenivano da ogni regno d'Europa. La città di Gerusalemme sarebbe stata riconquistata dai saraceni nel 1187. Come avamposto della cristianità del vecchio continente, comunque, Outremer sarebbe sopravvissuto per un altro secolo. San Giovanni d'Acri, l'unica fortezza rimasta, fu espugnata solo nel maggio del 1291, quando la sua ultima torre crollò in una cascata di pietre, macerie e fiamme che seppellirono sia gli assedianti che i difensori.
Se gli assicuratori dell'epoca siano stati o meno in grado di onorare le loro garanzie spirituali di benefici celesti e di un posto alla destra di Dio, ovviamente, non ci è dato saperlo. È più facile verificare se sono state mantenute le promesse temporali. Come spesso succede con offerte speciali e programmi di investimento, anche la crociata si dimostrò un colpo di fortuna per qualcuno, una disillusione per altri. Un numero incredibilmente alto di nobili europei, di cavalieri, di soldati, di mercanti, di imprenditori, di artigiani e di altri ancora, incluse donne e bambini, trovò la morte senza ragione alcuna, sovente dopo terribili traversie, talvolta servendo da cibo agli affamati compagni dì sventura. Tuttavia, furono numerosi anche quelli che prosperarono, ottennero terre, titoli, bottini, ricchezze e altre ricompense materiali, e il loro esempio fu di incentivo. Almeno, era possibile acquisire esperienza nelle armi, nella tecnica e nella tattica bellica, nell'arte di combattere e di uccidere; e se la Terra Santa non procurava un adeguato compenso alle nuove capacità apprese, si poteva sempre portarle con sé in Europa, e lì renderle produttive.

Santo fratricidio

Nel 1208, mentre in Terra Santa si combatteva ancora e il Regno franco di Gerusalemme lottava per la sopravvivenza, venne bandita una nuova crociata da papa Innocenzo III. I nemici, questa volta, non erano gli infedeli musulmani sull'altra sponda del Mediterraneo, ma i seguaci di un'eresia del Sud della Francia. Gli eretici in questione venivano da alcuni definiti "catari", cioè "puri", "perfetti", da altri, nemici compresi, erano chiamati "albiagiani" o "albigesi", designazione derivata dal primo centro delle loro attività, Albi, una città della Francia meridionale.
I catari, oggi, sono diventati di moda, resi attuali dall'interesse per il misticismo comparativo e dalla generalizzata febbre millenaristica. Si è giunti ad ammantarli del romanticismo, della poesia e del fascino che tanto spesso vengono associati alle cause tragicamente perse. Ma se pure essi non giustificano del tutto le idealizzazioni più bizzarre di cui sono stati recentemente fatti oggetto, sono tuttavia da annoverarsi tra le vittime più profondamente patetiche della nostra storia e meritano di venire considerati i primi bersagli di un genocidio organizzato e sistematico nella storia della civiltà occidentale.
Anche se, in senso lato, possono essere definiti "cristiani" (perché attribuirono un significato teologico al Cristo), i catari erano strenui oppositori di Roma e della Chiesa romana. Come avrebbero fatto più tardi le confessioni protestanti, videro in Roma l'incarnazione del male, la biblica "prostituta di Babilonia". Nell'ambito delle congregazioni cristiane organizzate del loro tempo, erano più vicini, per una parte del loro insegnamento, alla Chiesa bizantina o greco-ortodossa. Sotto alcuni aspetti - la loro fede nella reincarnazione, per esempio - avevano elementi in comune con tradizioni ancora più orientali, come l'induismo e il buddismo.
In ultima analisi, tuttavia, e nonostante la simpatia accordata loro dagli storici contemporanei, i catari aderivano a una serie di dogmi che pochi, oggi, in Occidente, troverebbero congeniali e che più di qualcuno potrebbe ritenere patologicamente stravaganti. Essenzialmente, i catari erano dualisti: consideravano tutta la creazione materiale come intrinsecamente malvagia, opera di una divinità secondaria e inferiore. La carne, la materia, la sostanza dovevano essere ripudiate e trascese in favore di una realtà esclusivamente spirituale; ed era solo nel regno dello spirito che risiedeva la vera divinità.
In questo senso, i catari rappresentavano lo sviluppo successivo di una tradizione da lungo tempo consolidatasi nell'Occidente cristianizzato. Avevano molto in comune con gli eretici bogomili dei Balcani, dai quali derivavano un certo numero di credenze ed echeggiavano la assai più antica eresia manichea, divulgata dal maestro Mani in Persia. Su ciò avevano trapiantato molti elementi del dualismo gnostico che era fiorito ad Alessandria e in altre zone nei primi due secoli dell'era cristiana, e che probabilmente aveva origine nell'antico pensiero zoroastriano.
Come i bogomili, i manichei e i dualisti gnostici, i catari enfatizzavano l'importanza della conoscenza del divino e del contatto diretto con esso. Si riteneva che questo contatto costituisse la "gnosi", che significa "conoscenza" e, più particolarmente, conoscenza del sacro. Insistendo su questa esperienza personale e senza mediazioni del sacro, i catari, come i loro predecessori, escludevano la necessità di un clero e di una ge-rarchia ecclesiastica. Se la virtù più grande era la conoscenza individuale ed empirica del soprannaturale, il sacerdote diventava superfluo come custode e interprete della spiritualità e il dogma teologico diventava irrilevante, perché non traeva origine dalla rivelazione divina, ma era un mero costrutto intellettuale prodotto dalla mente arrogante dell'uomo. Una siffatta teoria rappresentava una sfida non solo agli insegnamenti, ma alla struttura stessa della Chiesa di Roma.
Certamente, nella sostanza, anche il cristianesimo è implicitamente dualista, nel momento in cui esalta lo spirito ripudiando la carne e l'intera "natura non redenta". I catari predicavano ciò che potrebbe essere considerato una forma estrema di teologia cristiana o un tentativo di portare la teologia cristiana alle sue logiche conclusioni. Essi reputavano che la loro dottrina fosse più vicina agli insegnamenti di Gesù e degli apostoli: e più vicina di quello che veniva sostenuto allora dalla Chiesa, certamente lo era. Nella loro semplicità e nel ripudio del lusso terreno, i catari erano più aderenti del clero romano allo stile di vita abbracciato da Cristo e dai suoi seguaci nei Vangeli.
Nella pratica quotidiana, naturalmente, i catari vivevano nella realtà concreta e dovevano per forza ricorrere alle risorse terrene. Ma era loro proibita qualunque forma di violenza, per esempio il suicidio come scorciatoia per liberarsi dalla materialità. Come le più antiche sette dualiste, procreavano e si moltiplicavano, lavoravano la terra, praticavano artigianato e commercio e, nonostante la professione teorica di pacifismo, quando era necessario, ricorrevano alle armi. Secondo la loro liturgia e la loro formazione religiosa, però, ogni attività pratica doveva essere considerata solo come un banco di prova, un'arena in cui misurarsi nella sfida contro il male, per vincerlo e dominarlo. Ci saranno stati, ovviamente, catari "buoni" e "cattivi", così come ogni fede ha seguaci superficiali o rigorosi. Ma, nel complesso, e a prescindere dal loro credo, i catari apparivano ai contemporanei come uomini di grande rettitudine; sotto molti aspetti, venivano considerati come lo saranno in epoca più recente i quaccheri. La loro esistenza virtuosa li metteva al centro del generale rispetto e il clero romano non usciva molto bene dal confronto. In un'antica deposizione, conservata oggi nella Biblioteca vaticana, un uomo descrive come, in gioventù, due amici lo avvicinarono con queste parole: I buoni cristiani sono venuti in questo paese; seguono la via che hanno seguito san Pietro, san Paolo e gli altri apostoli; seguono il Signore; non mentono; non fanno agli altri quello che non vorrebbero fosse fatto a loro.
Lo stesso testimone riferisce, poi, che a proposito dei catari gli venne detto: Sono gli unici che seguano la via della giustizia e della verità che hanno seguito gli apostoli. Non prendono le cose degli altri. Anche se trovassero per strada dell'oro o dell'argento, non lo "solleverebbero", a meno che qualcuno non glielo regalasse. Ci si guadagna la salvezza nella fede di questi uomini che chiamano eretici più che in qualunque altra fede.
All'inizio del XIII secolo nel Sud della Francia il catarismo minacciava davvero di soppiantare il cristianesimo, e predicatori catari itineranti, che viaggiavano a piedi nelle campagne, ottenevano sempre nuove conversioni. Questi predicatori non ricorrevano a estorsioni, non utilizzavano il senso di colpa o il ricatto morale, non tiranneggiavano né terrorizzavano con oscure minacce di dannazione, non esigevano denaro o donazioni a ogni occasione. Si distinguevano, proprio come faranno i quaccheri, per i "gentili metodi persuasivi". Non è detto che tutti quelli che si dichiaravano convertiti diventassero poi dei credenti praticanti; è legittimo il sospetto che molti prendessero la nuova fede non più seriamente di quanto facessero alcuni cristiani del tempo con il loro cattolicesimo. Tuttavia, è indubbio che il catarismo risultasse attraente per molti. Ai cavalieri, ai nobili, ai commercianti e ai contadini del Sud della Francia, sembrava offrire una consona alternativa alla detestata Chiesa di Roma: duttilità, generosità, onestà, tolleranza erano qualità non facilmente reperibili nella gerarchia ecclesiastica istituzionale. Inoltre, in campo pratico, offriva una via di scampo all'onnipresente clero romano, all'arroganza clericale e agli abusi di una Chiesa corrotta, i cui latrocini diventavano sempre più intollerabili.
Non è un mistero che la Chiesa del tempo fosse vergognosamente corrotta. Nei primi anni del XIII secolo, il pontefice in persona descriveva i suoi preti come «peggiori delle bestie che sguazzano nel loro stesso letame» e così sì esprime il maggiore poeta lirico tedesco medievale, Walther Von Der Vogelweide (1170 -1230 ca.): «Fino a quando dormirai, Signore? [...] I tuoi ministri rubano le ricchezze che avevi serbato: in un luogo depredano, in un altro uccidono. E del tuo gregge ha cura pastorale un lupo.»
I vescovi furono descritti dai contemporanei come "pescatori di denaro e non di anime, esperti in mille inganni per svuotare le tasche ai poveri". Il legato papale in Germania lamentò che il clero della sua giurisdizione passava il tempo fra lussi e gozzoviglie, non osservava i digiuni, praticava la caccia con il falcone, giocava d'azzardo e si occupava di contrattazioni commerciali. Le opportunità di corruzione erano enormi e si trovavano ben pochi preti che si sforzassero seriamente di resistere alle tentazioni. Anzi, molti esigevano denaro anche per le pratiche religiose di rito: i matrimoni e i funerali non venivano celebrati se il compenso non era stato saldato in anticipo; la comunione veniva rifiutata se non era preceduta da un'offerta pecuniaria; persino l'estrema unzione ai morenti era soggetta a balzello. Inoltre, la potestà di concedere le indulgenze e la remissione dalle penitenze di espiazione procurava un immenso reddito aggiuntivo.
Nel Sud della Francia, la corruzione del clero prosperava largamente. In alcune chiese, addirittura, non si officiava la messa da trent'anni, perché i sacerdoti trascuravano i parrocchiani e si dedicavano ai commerci o all'amministrazione dei loro possedimenti. L'arcivescovo di Tours, notoriamente omosessuale e che era stato il favorito del suo predecessore, pretese che l'episcopato di Orléans fosse assegnato al proprio amante. L'arcivescovo di Narbona non si curò neppure di visitare la città e la sua diocesi. Numerosi ecclesiastici si dedicavano ai banchetti, mantenevano cortigiane, viaggiavano in lussuose carrozze, tenevano al loro servizio un seguito enorme di servitori; conducevano, insomma, uno stile di vita consono più alla grande nobiltà che al clero, mentre le anime affidate alle loro cure erano abbandonate alle vessazioni e ridotte in uno stato di degrado e di miseria sempre più profondo.
Non sorprende, quindi, che una parte rilevante della popolazione, a prescindere da ogni questione spirituale, volgesse le spalle a Roma e abbracciasse il catarismo. Né sorprende che Roma, trovandosi di fronte a un numero così alto di defezioni e, dunque, a un consistente calo nelle proprie rendite, cominciasse a sentirsi sempre più minacciata. Preoccupazione che non era per nulla ingiustificata: esisteva, infatti, una realistica possibilità che il catarismo sostituisse il cattolicesimo come religione predominante nella Francia meridionale. E di lì avrebbe potuto facilmente diffondersi in altre regioni.
Nel novembre del 1207 papa Innocenzo III scrisse al re di Francia e ad alcuni nobili di alto rango un'esortazione a sopprimere gli eretici con la forza delle armi. Come ricompensa, sarebbero state assegnate loro tutte le proprietà confiscate e concesso lo stesso trattamento di indulgenza dei crociati in Terra Santa. A quanto pare, questi incentivi non furono di grande stimolo, specialmente nel Sud della Francia. Il conte di Tolosa, per esempio, giurò che avrebbe sterminato tutti gli eretici del suo feudo, ma in effetti non fece nulla per mettere in pratica la promessa. Giudicando troppo tiepida la sete di sangue del conte, il legato papale, Pierre di Castelnau, pretese di incontrarlo: l'abboccamento degenerò in una lite furibonda, l'emissario del papa accusò il nobile di appoggiare i catari e lo scomunicò all'istante; l'altro, che probabilmente aveva aderito lui stesso alla nuova fede, rispose con sprezzanti minacce.
La mattina del 14 gennaio, mentre Pierre di Castelnau si accingeva ad attraversare il Rodano, un cavaliere al servizio del conte gli si avvicinò e lo uccise con un colpo di pugnale. Il papa, furibondo, emanò immediatamente una Bolla indirizzata a tutti i nobili della Francia meridionale, nella quale accusava il conte di essere il mandante dell'assassinio e gli riconfermava la scomunica. Il pontefice, inoltre, pretese che il conte venisse condannato pubblicamente dal pulpito di ogni chiesa, cosicché ogni cattolico fosse autorizzato a dargli la caccia e, naturalmente, anche a confiscare e occupare i suoi possedimenti.
Ma non fu tutto: il papa scrisse al re di Francia chiedendogli di iniziare una "guerra santa" per sterminare gli eretici catari, che dovevano considerarsi ancor più perniciosi degli infedeli musulmani, Tutti coloro che avessero partecipato alla campagna militare, per un minimo di quaranta giorni, sarebbero stati sotto la diretta protezione del papato: esentati dal pagamento degli interessi sui loro debiti, affrancati dalla giurisdizione delle corti secolari, assolti da tutti i loro peccati e da tutte le loro colpe.
Così, papa Innocenzo in bandì la spedizione militare, che venne in seguito ricordata come la Crociata albigese. Fu la prima interna a un paese cristiano e rivolta contro altri cristiani (per quanto eretici potessero essere). Oltre ai dichiarati benefici, la crociata offriva, non c'era bisogno di dirlo, la licenza di saccheggiare, razziare, depredare ed espropriare proprietà. Ma non erano gli unici vantaggi: il crociato che avesse preso le armi contro i catari non doveva neppure attraversare il mare, gli erano risparmiati i disagi e le spese del viaggio, oltre che la fatica di combattere nel deserto e nel clima torrido del Medio Oriente. Se fosse incorso in qualche difficoltà, non si sarebbe trovato isolato in una terra straniera e ostile, ma, al contrario, avrebbe potuto facilmente rimediare un rifugio sicuro, mimetizzandosi fra la gente del posto.
Verso la fine del giugno 1209 un esercito di quindici/ventimila uomini, composto da nobili del Nord della Francia, da cavalieri, soldati, scudieri, avventurieri e gente al seguito, si era riunito sul Rodano. Un barone francese di basso rango, Simon de Montfort, si sarebbe distinto in qualità di comandante militare, mentre il capo spirituale era il legato pontificio Arnald-Amaury, un fanatico cistercense, allora abate di Citeaux.
Il 22 luglio l'esercito aveva raggiunto la città strategica di Béziers, la cui popolazione contava un gran numero di convertiti al catarismo. Dopo che fu messa a ferro e fuoco e saccheggiata, ad Arnald-Amaury fu chiesto di distinguere gli abitanti eretici dai cattolici rimasti leali al papa, al che il legato pontificio rispose con una delle frasi più ignobili di tutta la storia della Chiesa: «Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi». Vennero così massacrate quindicimila persone, fra uomini, donne e bambini. Con un trionfalismo che rasentava l'esaltazione, Arnald-Amaury scrisse al papa che "nessuno era stato risparmiato né per età, né per sesso, né per posizione sociale".
Il sacco di Béziers gettò nel terrore l'intera Francia meridionale. Mentre i crociati si radunavano fra le rovine fumanti, giunse una deputazione da Narbona con l'offerta sia della consegna di tutti i catari e di tutti gli ebrei (da sempre "bersagli leciti") della loro città, sia di rifornire l'esercito di vettovaglie e di denaro. Gli abitanti dei paesi e dei villaggi vicini abbandonarono le case e si rifugiarono nei boschi. L'obiettivo dei crociati, però, non era unicamente il ripristino della supremazia del papa, ma piuttosto lo sterminio totale degli eretici e il saccheggio capillare della regione; di conseguenza la campagna proseguì.
Il 15 agosto, dopo un breve assedio, Carcassonne si arrese e Simon de Montfort divenne visconte della città. In tutto il Mezzogiorno, gli eretici venivano bruciati a decine e chiunque tentasse di difenderli veniva impiccato. Nonostante ciò, i catari, con l'appoggio di molti nobili meridionali che cercavano di opporsi alle devastazioni delle loro terre, passarono al contrattacco e numerosi castelli e cittadine cambiarono ripetutamente padrone. L'accanimento e la dimensione dei massacri crebbero. Nel 1213 il re di Aragona provò a intervenire in difesa dei catari e dei nobili meridionali, ma il suo esercito fu sconfitto dai crociati nella battaglia di Muret, dove lui stesso trovò la morte. Nell'autunno del 1217 i crociati piombarono su Tolosa e ne seguì un assedio di nove mesi. Il 25 giugno 1218 Simon de Montfort morì sotto le mura della città, colpito da un masso che una donna tra i difensori aveva lanciato con una catapulta.
Con la sua morte, l'esercito crociato cominciò a disgregarsi e una pace inquieta scese sulla devastata regione. Ma essa non durò a lungo. Nel 1224 venne indetta un'altra crociata contro il Sud, capeggiata da re Luigi VIII in persona, quale comandante militare, e con il fanatico veterano Arnald-Amaury, ancora una volta come capo ecclesiastico. Nonostante la scomparsa del re francese, avvenuta due anni dopo, la campagna proseguì fino a che, nel 1229, l'intera Linguadoca non fu annessa alla Corona francese. Alcune rivolte di catari contro la nuova autorità si ebbero ancora nel 1240 e nel 1242. Il 16 marzo 1244 Montségur, la più importante roccaforte catara ancora inviolata, cadde dopo un lungo assedio e più di duecento eretici vennero immolati su una pira ai piedi della montagna su cui sorgeva il castello.
Quéribus, l'ultima fortezza catara, cadde undici anni più tardi, nel 1255. Solo allora la resistenza catara organizzata si spense; già molti degli eretici sopravvissuti erano fuggiti in Catalogna e in Lombardia, dove vennero fondate nuove comunità. Tuttavia, persino nel Sud della Francia, il catarismo non scomparve del tutto. Molti eretici si confusero semplicemente con il resto della popolazione e continuarono a professare il loro credo e a praticare clandestinamente i loro riti.
Rimasero nella regione per altro mezzo secolo almeno, e durante il primo ventennio del Trecento si ebbe una rinascita catara nel villaggio di Montaillou, nei Pirenei francesi. Ma ormai, per occuparsi degli eretici, era stata istituita un'organizzazione sinistra quanto qualunque esercito crociato.


           Ikthys