L'Imitazione di Cristo, opera tradizionalmente attribuita al mistico tedesco
Tommaso da Kempis (Thomas Hamerken, 1380-1471), costituisce un semplice e concreto
tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo
fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all'abbandono dell'"uomo
vecchio" per costruire l'"uomo nuovo", per radicare interiormente una
profonda spiritualità personale.
Imperniato sulla dialettica tra le cose di lassù e quelle terrene di quaggiù, tra
l'uomo esteriore che si va disfacendo e l'uomo interiore che permane, l'Imitazione di
Cristo non presenta naturalmente quelle sensibilità vive oggi, nei confronti della
comunionalità ecclesiale, dell'impegno nella costruzione delle realtà terrene, della
carità attuata nell'ottica della dottrina sociale della Chiesa. In questo senso è
un'opera che non esaurisce tutti gli aspetti della vita cristiana e tutte le esigenze del
Vangelo, ma costituisce ancor oggi, come per tanti secoli passati, un importante mattone
nella costruzione di una santità cristiana perenne ed attuale.
Libro I
INCOMINCIANO LE ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO
Capitolo I
L'IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITA' DEL MONDO
"Chi segue me non cammina nelle tenebre" (Gv 8,12), dice il Signore. Sono
parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se
vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la
nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già
l'insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse
forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade che molta gente trae un
ben scarso desiderio del Vangelo dall'averlo anche più volte ascoltato, perché è priva
del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di
Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper
discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu
dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l'uomo; ma
è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione
che saperla definire. Senza l'amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una
conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi?
"Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire
lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo
mondo.
Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre
speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è
seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente
puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene.
Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d'ora al futuro.
Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura
eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: "Non si sazia l'occhio di guardare,
né mai l'orecchio è sazio di udire" (Qo 1,8). Fa', dunque, che il tuo cuore sia
distolto dall'amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di
lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria
coscienza e perde la grazia di Dio.
Capitolo II
L'UMILE COSCIENZA DI SE'
L'uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timor
di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un
sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada
studiando i movimenti del cielo. Colui che si conosce a fondo sente di valere ben poco in
se stesso e non cerca l'approvazione degli uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà
per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche possedessi tutta la scienza del mondo, ma
non avessi l'amore? Datti pace da una smania eccessiva di sapere: in essa, infatti, non
troverai che sviamento grande ed inganno. Coloro che sanno desiderano apparire ed essere
chiamati sapienti. Ma vi sono molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non giova
affatto, all'anima. Ed è tutt'altro che sapiente colui che attende a cose diverse da
quelle che servono alla sua salvezza. I molti discorsi non appagano l'anima; invece una
vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura dà grande fiducia in Dio. Quanto più
grande e profonda è la tua scienza, tanto più severamente sarai giudicato, proprio
partendo da essa; a meno che ancor più grande non sia stata la santità della tua vita.
Non volerti gonfiare, dunque, per alcuna arte o scienza, che tu possegga, ma piuttosto
abbi timore del sapere che ti è dato. Anche se ti pare di sapere molte cose; anche se hai
buona intelligenza, ricordati che sono molte di più le cose che non sai. Non voler
apparire profondo (Rm 11,20;12,16); manifesta piuttosto la tua ignoranza. Perché vuoi
porti avanti ad altri, mentre se ne trovano molti più dotti di te, e più esperti nei
testi sacri? Se vuoi imparare e conoscere qualcosa, in modo spiritualmente utile, cerca di
essere ignorato e di essere considerato un nulla. E' questo l'insegnamento più profondo e
più utile, conoscersi veramente e disprezzarsi. Non tenere se stessi in alcun conto e
avere sempre buona e alta considerazione degli altri; in questo sta grande sapienza e
perfezione.
Anche se tu vedessi un altro cadere manifestamente in peccato, o commettere alcunché di
grave, pur tuttavia non dovresti crederti migliore di lui; infatti non sai per quanto
tempo tu possa persistere nel bene. Tutti siamo fragili; ma tu non devi ritenere nessuno
più fragile di te.
Capitolo III
L'AMMAESTRAMENTO DELLA VERITA'
Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non
per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra
sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile
discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le
avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra
stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che
attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione.
"Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi
e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre
discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano
quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini
(Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi
sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte
nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che
sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso
mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta
tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo
parlami.
Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente
capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto.
Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici
faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca
di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo
retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non
saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le
sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di
colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno:
vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.
In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione;
ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la
constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente
che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la
semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -;
ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti
vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene,
proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita.
Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù,
quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e
tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per
certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo
studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo
parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano
ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che
brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non
è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un
gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di
questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in
questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben
poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi
scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si
disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui
che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è,
in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo
(Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà
di Dio, buttando in un canto la propria volontà.
Capitolo IV
LA PONDERATEZZA NELL'AGIRE
Non dobbiamo credere a tutto ciò che sentiamo dire; non dobbiamo
affidarci a ogni nostro impulso. Al contrario, ogni cosa deve essere valutata alla stregua
del volere di Dio, con attenzione e con grandezza d'animo. Purtroppo, degli altri spesso
pensiamo e parliamo più facilmente male che bene: tale è la nostra miseria. Quelli che
vogliono essere perfetti non credono scioccamente all'ultimo che parla, giacché conoscono
la debolezza umana, portata alla malevolenza e troppo facile a blaterare. Grande saggezza,
non essere precipitosi nell'agire e, d'altra parte, non restare ostinatamente alle nostre
prime impressioni. Grande saggezza, perciò, non andare dietro a ogni discorso della gente
e non spargere subito all'orecchio di altri quanto abbiamo udito e creduto. Devi preferire
di farti guidare da uno migliore di te, piuttosto che andare dietro alle tue
fantasticherie; prima di agire, devi consigliarti con persona saggia e di retta coscienza.
Giacché è la vita virtuosa che rende l'uomo l'uomo saggio della saggezza di Dio, e buon
giudice in molti problemi. Quanto più uno sarà inutilmente umile e soggetto a Dio, tanto
più sarà saggio, e pacato in ogni cosa.
Capitolo V
LA LETTURA DEI LIBRI DI DEVOZIONE
Nei libri di devozione si deve ricercare la verità, non la bellezza
della forma. Essi vanno letti nello spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata
l'utilità spirituale, piuttosto che l'eleganza della parola. Perciò dobbiamo leggere
anche opere semplici, ma devote, con lo stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e
profonde. Non lasciarti colpire dal nome dello scrittore, di minore o maggiore risonanza;
quel che ci deve indurre alla lettura deve essere il puro amore della verità. Non cercar
di sapere chi ha detto una cosa, ma bada a ciò che è stato detto. Infatti gli uomini
passano, "invece la verità del Signore resta per sempre" (Sal 116,2); e Dio ci
parla in varie maniere, "senza tener conto delle persone" (1Pt 1,17). Spesso,
quando leggiamo le Scritture, ci è di ostacolo la nostra smania di indagare, perché
vogliamo approfondire e discutere là dove non ci sarebbe che da andare avanti in
semplicità di spirito. Se vuoi trarre profitto, leggi con animo umile e semplice, con
fede. E non aspirare mai alla fama di studioso. Ama interrogare e ascoltare in silenzio la
parola dei santi. E non essere indifferente alle parole dei superiori: esse non vengono
pronunciate senza ragione.
Capitolo VI
GLI SREGOLATI MOTI DELL'ANIMA
Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si
diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il
povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente
morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e
disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla
carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e,
quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli
pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava,
immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua
passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si
trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che
è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel
cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.
Capitolo VII
GUARDARSI DALLE VANE SPERANZE E FUGGIRE LA SUPERBIA
Chi mette la sua fiducia negli uomini e nelle altre creature è un
insensato. Chi mette la sua fiducia negli uomini e nelle altre creature è un insensato.
Non ti rincresca di star sottoposto ad altri, per amore di Gesù Cristo, e di sembrare un
poveretto, in questo mondo. Non appoggiarti alle tue forze, ma salda la tua speranza in
Dio: se farai tutto quanto sta in te, Iddio aderirà al tuo buon volere. Non confidare nel
sapere tuo o nella capacità di un uomo purchessia, ma piuttosto nella grazia di Dio, che
sostiene gli umili e atterra i presuntuosi. Non vantarti delle ricchezze, se ne hai, e
neppure delle potenti amicizie; il tuo vanto sia in Dio, che concede ogni cosa, ed ama
dare se stesso, sopra ogni cosa. Non gonfiarti per la prestanza e la bellezza del tuo
corpo; alla minima malattia esse si guastano e si deturpano. Non compiacerti di te stesso,
a causa della tua abilità e della tua intelligenza, affinché tu non spiaccia a Dio, a
cui appartiene tutto ciò che di buono hai sortito dalla natura. Non crederti migliore di
altri, affinché, per avventura, tu non sia ritenuto peggiore dinanzi a Dio, che ben
conosce quello che c'è in ogni uomo (cfr. Gv 2,25). Non insuperbire per le tue opere
buone, perché il giudizio degli uomini è diverso da quello di Dio, cui spesso non piace
ciò che piace agli uomini. Anche se hai qualcosa di buono, pensa che altri abbia di
meglio, cosicché tu mantenga l'umiltà. Nulla di male se ti metti al di sotto di tutti
gli altri; molto male è invece se tu ti metti al di sopra di una sola persona. Nell'umile
è pace indefettibile; nel cuore del superbo sono, invece, continua smania e inquietudine.
Capitolo VIII
EVITARE L'ECCESSIVA FAMILIARITA'
"Non aprire il tuo cuore al primo che capita" (Sir 8,22); i
tuoi problemi, trattali invece con chi ha saggezza e timore di Dio. Cerca di stare
raramente con persone sprovvedute e sconosciute; non metterti con i ricchi per adularli;
non farti vedere volentieri con i grandi. Stai, invece, accanto alle persone umili e
semplici, devote e di buoni costumi; e con esse tratta di cose che giovino alla tua
santificazione. Non avere familiarità con alcuna donna, ma raccomanda a Dio tutte le
donne degne. Cerca di essere tutto unito soltanto a Dio e ai suoi angeli, evitando ogni
curiosità riguardo agli uomini. Mentre si deve avere amore per tutti, la familiarità non
è affatto necessaria. Capita talvolta che una persona che non conosciamo brilli per fama
eccellente; e che poi, quando essa ci sta dinanzi, ci dia noia solo al vederla. D'altra
parte, talvolta speriamo di piacere a qualcuno, stando con lui, e invece cominciamo allora
a non piacergli, perché egli vede in noi alcunché di riprovevole.
Capitolo IX
OBBEDIENZA E SOTTOMISSIONE
Stare sottomessi, vivere soggetti a un superiore e non disporre di sé è cosa grande e
valida. E' molto più sicura la condizione di sudditanza, che quella di comando. Ci sono
molti che stanno sottomessi per forza, più che per amore: da ciò traggono sofferenza, e
facilmente se ne lamentano; essi non giungono a libertà di spirito, se la loro
sottomissione non viene dal profondo del cuore e non ha radice in Dio. Corri pure di qua e
di là; non troverai pace che nell'umile sottomissione sotto la guida di un superiore.
Andar sognando luoghi diversi, e passare dall'uno all'altro, è stato per molti un
inganno.
Certamente ciascuno preferisce agire a suo talento, ed è maggiormente portato
verso chi gli dà ragione. Ma, se Dio è dentro di noi, dobbiamo pur talvolta lasciar
perdere i nostri desideri, per amore della pace. C'è persona così sapiente che possa
conoscere pienamente ogni cosa? Perciò non devi avere troppa fiducia nelle tue
impressioni; devi ascoltare volentieri anche il parere degli altri. Anche se la tua idea
era giusta, ma la abbandoni per amore di Dio seguendo quella di altri, da ciò trarrai
molto profitto. Stare ad ascoltare ed accettare un consiglio - come spesso ho sentito dire
- è cosa più sicura che dare consigli. Può anche accadere che l'idea di uno sia buona;
ma è sempre segno di superbia e di pertinacia non volersi arrendere agli altri, quando la
ragionevolezza o l'evidenza lo esigano.
Capitolo X
ASTENERSI DAI DISCORSI INUTILI
Per quanto possibile, stai lontano dall'agitarsi che fa la gente. Infatti, anche se vi
si attende con purezza di intenzione, l'occuparsi delle faccende del mondo è un grosso
impaccio, perché ben presto si viene inquinati dalle vanità, e fatti schiavi. Più di
una volta vorrei essere stato zitto, e non essere andato in mezzo alla gente.
Ma perché andiamo parlando e chiacchierando così volentieri con altri, anche
se poi è raro che, quando torniamo a star zitti, non abbiamo qualche guasto alla
coscienza? Parliamo così volentieri perché, con queste chiacchiere, cerchiamo di
consolarci a vicenda, e speriamo di sollevare il nostro animo oppresso dai vari pensieri.
Inoltre molto ci diletta discorrere e fantasticare delle cose che amiamo assai e che
desideriamo, o di ciò che sembra contrastarci. Ma spesso purtroppo tutto questo è vano e
inutile; giacché una simile consolazione esteriore va molto a scapito di quella interiore
e divina.
Non dobbiamo passare il nostro tempo in ozio, ma in vigilie e in orazioni; e,
se possiamo o dobbiamo parlare, dire cose edificanti. Infatti, mentre il malvezzo e la
trascuratezza del nostro progresso spirituale ci induce facilmente a tenere incustodita la
nostra lingua, giova assai al nostro profitto interiore una devota conversione intorno
alle cose dello spirito; tanto più quando ci si unisca, nel nome di Dio, a persone
animate da pari spiritualità.
Capitolo XI
LA CONQUISTA DELLA PACE INTERIORE E L'AMORE DEL PROGRESSO SPIRITUALE
Se non ci volessimo impicciare di quello che dicono o di quello che fanno gli altri, e
di cose che non ci riguardano, potremmo avere una grande pace interiore. Come, infatti, è
possibile che uno mantenga a lungo l'animo tranquillo se si intromette nelle faccende
altrui, se va a cercare all'esterno i suoi motivi di interesse, se raramente e
superficialmente si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, giacché avranno grande
pace. Perché mai alcuni santi furono così perfetti e pieni di spirito contemplativo?
Perché si sforzarono di spegnere completamente in sé ogni desiderio terreno, cosicché -
liberati e staccati da se stessi - potessero stare totalmente uniti a Dio, con tutto il
cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai nostri sfrenati desideri, e troppo preoccupati
delle cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere un nostro difetto, anche uno soltanto,
e non siamo ardenti nel tendere al nostro continuo miglioramento. E così restiamo inerti
e tiepidi. Se fossimo, invece, totalmente morti a noi stessi e avessimo una perfetta
semplicità interiore, potremmo perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare
esperienza, in qualche misura, della contemplazione celeste. Il vero e più grande
ostacolo consiste in ciò, che non siamo liberi dalle passioni e dalle brame, e che non ci
sforziamo di entrare nella via della perfezione, che fu la via dei santi: anzi, appena
incontriamo una difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo troppo presto abbattere e ci
volgiamo a consolazioni terrene.
Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non abbandonare la battaglia,
tosto vedremmo venire a noi dal cielo l'aiuto del Signore. Il quale prontamente sostiene
coloro che combattono fiduciosi nella sua grazia; anzi, ci procura occasioni di lotta
proprio perché ne usciamo vittoriosi. Che se facciamo consistere il progresso spirituale
soltanto in certe pratiche esteriori, tosto la nostra religione sarà morta. Via, mettiamo
la scure alla radice, cosicché, liberati dalle passioni, raggiungiamo la pace dello
spirito. Se ci strappassimo via un solo vizio all'anno diventeremmo presto perfetti.
Invece spesso ci accorgiamo del contrario; troviamo cioè che quando abbiamo indirizzata
la nostra vita a Dio eravamo più buoni e più puri di ora, dopo molti anni di vita
religiosa. Il fervore e l'avanzamento spirituale dovrebbe crescere di giorno in giorno;
invece già sembra gran cosa se uno riesce a tener viva una particella del fervore
iniziale.
Se facessimo un poco di violenza a noi stessi sul principio, potremmo poi fare
ogni cosa facilmente e gioiosamente. Certo è difficile lasciare ciò a cui si è
abituati; ancor più difficile è camminare in senso contrario al proprio desiderio. Ma se
non riesci a vincere nelle cose piccole e da poco, come supererai quelle più gravi?
Resisti fin dall'inizio alla tua inclinazione; distaccati dall'abitudine, affinché questa
non ti porti, a poco a poco, in una situazione più ardua. Se tu comprendessi quanta pace
daresti a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri, e vivendo una vita dedita al
bene, sono certo che saresti più sollecito nel tendere al tuo profitto spirituale.
Capitolo XII
I VANTAGGI DELLE AVVERSITA'
E' bene per noi che incontriamo talvolta difficoltà e contrarietà; queste, infatti,
richiamano l'uomo a se stesso, nel profondo, fino a che comprenda che quaggiù egli è in
esilio e che la sua speranza non va riposta in alcuna cosa di questo mondo. E' bene che
talvolta soffriamo contraddizione e che la gente ci giudichi male e ingiustamente, anche
se le nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone. Tutto ciò suol favorire l'umiltà,
e ci preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la gente attorno a noi ci offende e
ci scredita, noi aneliamo con maggior forza al testimone interiore, Iddio.
Dovremmo piantare noi stessi così saldamente in Dio, da non avere necessità
alcuna di andar cercando tanti conforti umani. Quando un uomo di buona volontà soffre
tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da pensieri malvagi, allora egli sente di aver
maggior bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene senza di lui. E si rattrista e
piange e prega, per il male che soffre; gli viene a noia che la vita continui; e spera che
sopraggiunga la morte (2 Cor 1,8), così da poter scomparire e dimorare in Cristo (Fil
1,23). Allora egli capisce che nel mondo non può esserci completa serenità e piena pace.
Capitolo XIII
RESISTERE ALLE TENTAZIONI
Finché saremo al mondo, non potremo essere senza tribolazioni e tentazioni; infatti sta
scritto nel libro di Giobbe che la vita dell'uomo sulla terra (Gb 7,1) è tutta una
tentazione. Ognuno dovrebbe, dunque, stare attento alle tentazioni e vigilare in preghiera
(1Pt 4,7), affinché il diavolo non trovi il punto dove possa esercitare il suo inganno;
il diavolo, che mai non posa, ma va attorno cercando chi possa divorare (1Pt 5,8). Nessuno
è così avanzato nella perfezione e così santo da non aver talvolta delle tentazioni.
Andare esenti del tutto da esse non possiamo. Tuttavia, per quanto siano moleste e
gravose, le tentazioni spesso sono assai utili; perché, a causa delle tentazioni, l'uomo
viene umiliato, purificato e istruito. I santi passarono tutti per molte tribolazioni e
tentazioni, e progredirono; invece coloro che non seppero sostenere le tentazioni si
pervertirono e tradirono. Non esiste una istituzione così perfetta, o un luogo così
nascosto, dove non si trovano tentazioni e avversità. L'uomo non è mai del tutto esente
dalla tentazione, fin che vive. Ciò per cui siamo tentati è dentro di noi, poiché siamo
nati nella concupiscenza. Se vien meno una tentazione o tribolazione, un'altra ne
sopraggiunge e c'è sempre qualcosa da sopportare, perché abbiamo perduto il bene della
nostra felicità. Molti, di fronte alle tentazioni, cercano di fuggire, ma cadono poi in
esse anche più gravemente. Non possiamo vincere semplicemente con la fuga; ma è con la
sopportazione e con la vera umiltà che saremo più forti di ogni nemico. Ben poco
progredirà colui che si allontana un pochino e superficialmente dalle tentazioni, senza
sradicarle: tosto ritorneranno ed egli sarà ancor peggio. Vincerai più facilmente, a
poco a poco, con una generosa pazienza e con l'aiuto di Dio; più facilmente che
insistendo cocciutamente nel tuo sforzo personale. Accogli frequentemente il consiglio di
altri, quando sei nella tentazione; e non essere aspro con colui che è tentato, ma dagli
conforto, come desidereresti fosse fatto a te.
Causa prima di ogni perversa tentazione è la mancanza di stabilità
spirituale e la scarsezza di fiducia in Dio; giacché, come una nave senza timone viene
spinta qua e là dalle onde, così l'uomo infiacchito, che abbandona i suoi propositi,
viene in vario modo tentato. Come il fuoco serve a saggiare il ferro (Sir 31,26), così la
tentazione serve a saggiare la santità di una persona (Sir 27,6). Quali possibilità
ciascuno abbia in potenza, spesso non lo sappiamo; ma la tentazione dispiega palesemente
ciò che siamo. Tuttavia bisogna vigilare, particolarmente intorno all'inizio della
tentazione; poiché il nemico si vince più facilmente se non gli si permette per nulla di
varcare le porte della nostra mente; e se gli si sbarra la strada al di là della soglia,
non appena abbia bussato. Di qui il detto: "resisti agli inizi; è troppo tardi
quando si prepara la medicina" (Ovidio, Remedia amoris, II,91). Infatti, dapprima
viene alla mente un semplice pensiero, di poi una forte immaginazione, infine un
compiacimento, un impulso cattivo e un'acquiescenza. E così, piano piano, il nemico
malvagio penetra del tutto, proprio perché non gli si è resistito all'inizio. E quanto
più a lungo uno ha tardato torpidamente a resistere, tanto più si è, via via,
interiormente indebolito, mentre il nemico è andato crescendo di forze contro di lui.
Alcuni sentono le maggiori tentazioni al principio della loro conversione a
Dio; altri invece alla fine. Alcuni sono fortemente turbati pressoché per tutta la vita;
altri sentono tentazioni piuttosto lievi: secondo quanto dispongono la sapienza e la
giustizia di Dio, le quali pesano la condizione e i meriti di ciascuno e preordinano ogni
cosa alla salvezza degli eletti. Perciò non dobbiamo lasciarci cogliere dalla
disperazione, quando siamo tentati. Dobbiamo invece, pregare Iddio ancor più
fervorosamente, affinché si degni di aiutarci in ogni tentazione; Lui che, in verità,
secondo quanto dice Paolo (1Cor 10,13), farà in modo che la tentazione sia accompagnata
dai mezzi per poterla sopportare. Abbassiamo, dunque, in umiltà, l'anima nostra sotto la
mano di Dio, quando siamo tentati e tribolati, giacché il Signore salverà gli umili di
spirito e li innalzerà (1Pt 5,6; Sal 33,19). Quanto uno abbia progredito si dimostra
nella tentazione e nella tribolazione; qui sta il suo maggior merito; qui appare più
chiaramente la sua virtù. Non è gran cosa esser devoti e fervorosi quando non si hanno
difficoltà; sapere invece sopportare se stessi nel momento dell'avversità dà a sperare
in un grande avanzamento spirituale. Avviene che alcuni sono al riparo da grandi
tentazioni, ma sono spesso sconfitti nelle piccole tentazioni di ogni giorno; e così,
umiliati per essere caduti in cose tanto da poco, non ripongono più fiducia in se stessi,
nelle cose più grandi.
Capitolo XIV
EVITARE I GIUDIZI TEMERARI
Rivolgi gli occhi a te stesso e stai attento a non giudicare quel che fanno gli altri.
In tale giudizio si lavora senza frutto; frequentemente ci si sbaglia e facilmente si cade
in peccato. Invece, nel giudizio e nel vaglio di se stessi, si opera sempre
fruttuosamente. Spesso giudichiamo secondo un nostro preconcetto; e così, per un nostro
atteggiamento personale, perdiamo il criterio della verità. Se il nostro desiderio fosse
diretto soltanto a Dio, non ci lasceremmo turbare così facilmente dalla resistenza
opposta dal nostro senso umano. Di più, spesso, c'è qualcosa, già nascosto, latente in
noi, o sopravveniente dall'esterno, che ci tira di qua o di là. Molti, in tutto ciò che
fanno, cercano se stessi, senza neppure accorgersene. Sembrano essere in perfetta pace
quando le cose vanno secondo i loro desideri e i loro gusti; se, invece, vanno
diversamente, subito si agitano e si rattristano.
Avviene di frequente che nascono divergenze tra amici e concittadini, persino
tra persone pie e devote, per diversità nel modo di sentire e di pensare. Giacché è
difficile liberarsi da vecchi posizioni abituali, e nessuno si lascia tirare facilmente
fuori dal proprio modo di vedere. Così, se ti baserai sui tuoi ragionamenti e sulla tua
esperienza, più che sulla forza propria di Gesù Cristo, raramente e stentatamente
riuscirai ad essere un uomo illuminato; Dio vuole, infatti, che noi ci sottomettiamo
perfettamente a lui, e che trascendiamo ogni nostro ragionamento grazie ad un
fiammeggiante amore.
Capitolo XV
LE OPERE FATTE PER AMORE
Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al mondo né per compiacenza verso
chicchessia; talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno, si deve senza esitazione
lasciare una cosa buona che si sta facendo, o sostituirla con una ancora più buona: in
tal modo non si distrugge l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in meglio.
A nulla giova un'azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa,
per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di
frutti. In verità Iddio non tiene conto dell'azione umana in sé e per sé, ma dei
moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera
lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio.
Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è
raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il nostro gusto,
la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e
perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa
si realizzi la gloria di Dio. Di nessuno è invidioso colui che non tende al proprio
godimento, né vuole personali soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni bene, di
avere beatitudine in Dio. Costui non attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma riporta
il bene totalmente a Dio; dal quale ogni cosa procede, come dalla sua fonte e, nel quale,
alla fine, tutti i santi godono pace. Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera
carità, per certo capirebbe che tutto ciò che è di questa terra è pieno di vanità.
Capitolo XVI
SOPPORTARE I DIFETTI DEGLI ALTRI
Quei difetti, nostro od altrui, che non riusciamo a correggere, li dobbiamo sopportare
con pazienza, fino a che Dio non disponga altrimenti. Rifletti che, per avventura, questa
sopportazione è la cosa più utile per te, come prova di quella pazienza, senza della
quale ben poco contano i nostri meriti. Tuttavia, di fronte a tali difficoltà, devi
chiedere insistentemente che Dio si degni di venirti in aiuto e che tu riesca a
sopportarle lietamente. Se uno, ammonito una volta e un'altra ancora, non si acquieta,
cessa di litigare con lui; rimetti invece ogni cosa in Dio, affinché in tutti noi, suoi
servi, si faccia la volontà e la gloria di Lui, che ben sa trasformare il male in bene.
Sforzati di essere paziente nel tollerare i difetti e le debolezze altrui, qualunque essi
siano, giacché anche tu presenti molte cose che altri debbono sopportare.
Se non riesci a trasformare te stesso secondo quella che pure è la tua volontà, come
potrai pretendere che gli altri si conformino al tuo desiderio? Vogliamo che gli altri
siano perfetti; mentre noi non correggiamo le nostre manchevolezze. Vogliamo che gli altri
si correggano rigorosamente; mentre noi non sappiamo correggere noi stessi. Ci disturba
una ampia libertà degli altri; mentre non sappiamo negare a noi stessi ciò che
desideriamo. Vogliamo che gli altri siano stretti entro certe regole; mentre noi non
ammettiamo di essere un po' più frenati. In tal modo, dunque, è chiaro che raramente
misuriamo il prossimo come noi stessi. Se fossimo tutti perfetti, che cosa avremmo da
patire dagli altri, per amore di Dio? Ora, Dio così dispone, affinché apprendessimo a
portare l'uno i pesi dell'altro (Gal 6,2). Infatti non c'è alcuno che non presenti
difetti o molestie; non c'è alcuno che basti a se stesso e che, di per sé, sia
sufficientemente saggio. Occorre, dunque, che ci sopportiamo a vicenda, che a vicenda ci
consoliamo, che egualmente ci aiutiamo e ci ammoniamo. Quanta virtù ciascuno di noi
abbia, ciò appare al momento delle avversità: non sono le occasioni che fanno fragile
l'uomo, ma esse mostrano quale esso è.
Capitolo XVII
LA VITA NEI MONASTERI
Se vuoi mantenere pace e concordia con gli altri, devi imparare a vincere decisamente te
stesso in molte cose. Non è cosa facile stare in un monastero o in un gruppo, e viverci
senza lamento alcuno, mantenendosi fedele sino alla morte. Beato colui che vi avrà
vissuto santamente e vi avrà felicemente compiuta la vita. Se vuoi stare saldo al tuo
dovere e avanzare nel bene, devi considerarti esule pellegrino su questa terra. Per
condurre una vita di pietà, devi farti stolto per amore di Cristo.
Poco contano l'abito e la tonsura; sono la trasformazione della vita e la completa
mortificazione delle passioni, che fanno il monaco. Chi tende ad altro che non sia
soltanto Dio e la salute dell'anima, non troverà che tribolazione e dolore. Ancora, non
avrà pace duratura chi non si sforza di essere il più piccolo, sottoposto a tutti. Qui
tu sei venuto per servire, non comandare. Ricordati che sei stato chiamato a sopportare e
a faticare, non a passare il tempo in ozio e in chiacchiere. Qui si provano gli uomini,
come si prova l'oro nel fuoco (cfr. Sir 27,6). Qui nessuno potrà durevolmente stare, se
non si sarà fatto umile dal profondo del cuore, per amore di Dio.
Capitolo XVIII
GLI ESEMPI DEI GRANDI PADRI SANTI
Guarda ai luminosi esempi dei grandi santi padri, nei quali rifulse una pietà veramente
perfetta e vedrai come sia ben poco, e quasi nulla, quello che facciamo noi. Ahimé!, che
cosa è la nostra vita, paragonata alla vita di quei santi? Veramente santi, e amici di
Cristo, costoro servirono il Signore nella fame e nella sete; nel freddo, senza avere di
che coprirsi; nel faticoso lavoro; nelle veglie e nei digiuni; nelle preghiere e nelle pie
meditazioni; spesso nelle ingiurie e nelle persecuzioni. Quante tribolazioni, e quanto
gravi, hanno patito gli apostoli, i martiri, i testimoni della fede, le vergini e tutti
gli altri che vollero seguire le orme di Cristo; essi infatti, ebbero in odio se stessi in
questo mondo, per possedere le loro anime nella vita eterna. Quale vita rigorosa, e piena
di rinunce, vissero questi grandi padri nel deserto; quante lunghe e gravi tentazioni
ebbero a sopportare; quanto spesso furono tormentati dal diavolo; quante ripetute e
fervide preghiere offrirono a Dio; quali dure astinenze seppero sopportare. Come furono
grandi l'ardore e il fervore con i quali mirarono al loro progresso spirituale; come fu
coraggiosa la battaglia che essi fecero per vincere i loro vizi; come fu piena e retta la
loro intenzione, che essi tennero sempre volta a Dio! Lavoravano per tutta la giornata, e
la notte la passavano in continua preghiera; ma neppure durante il lavoro veniva mai meno
in loro l'orazione interiore. Tutto il loro tempo era impiegato utilmente; e a loro
sembrava troppo corta ogni ora dedicata a Dio; ancora, per la grande soavità della
contemplazione, dimenticavano persino la necessità di rifocillare il corpo. Rinunciavano
a tutte le ricchezze, alle cariche, agli onori, alle amicizie e alle parentele; nulla
volevano avere delle cose del mondo; mangiavano appena quanto era necessario alla vita e
si lamentavano quando si dovevano sottomettere a necessità materiali.
Erano poveri di cose terrene, molto ricchi invece di grazia e di virtù; esteriormente
miserabili, ricompensati però interiormente dalla grazia e dalla consolazione divina;
lontani dal mondo, ma vicini a Dio, amici intimi di Dio,; si ritenevano un nulla ed erano
disprezzati dagli uomini, ma erano preziosi e cari agli occhi di Dio. Stavano in sincera
umiltà, vivevano in schietta obbedienza; camminavano in amore e sapienza: per questo
progredivano spiritualmente ogni giorno, e ottenevano tanta grazia presso Dio. Essi sono
offerti come esempio per tutti coloro che si sono dati alla vita religiosa; essi ci devono
indurre all'avanzamento nel bene, più che non ci induca al rilassamento la schiera delle
persone poco fervorose.
Quanto fu grande l'ardore di questi uomini di Dio, quando diedero inizio alle loro
istituzioni. Quale devozione nella preghiera, quale slancio nella vita, quale rigore in
esso vigoreggiò; quanto rispetto e quanta docilità sotto la regola del maestro fiorì in
tutti loro. Restano ancora certi ruderi abbandonati, ad attestare che furono veramente
uomini santi e perfetti, costoro, che con una strenua lotta, schiacciarono il mondo. Oggi,
invece, già uno è ritenuto buono se non tradisce la fede; se riesce a sopportare con
pazienza quel che gli tocca. Tale è la nostra attuale condizione di negligente
tiepidezza, che ben presto cadiamo nel fervore iniziale; pigri e stanchi, già ci viene a
noia la vita. Voglia il cielo che in te non si vada spegnendo del tutto l'avanzamento
nelle virtù; in te che frequentemente hai avuto sotto gli occhi gli esempi dei santi.
Capitolo XIX
COME SI DEVE ADDESTRARE COLUI CHE SI E' DATO A DIO
La vita di colui che si è dato a Dio deve essere rigogliosa di ogni virtù, cosicché,
quale egli appare esteriormente alla gente, tale sia anche interiormente. Anzi, e a
ragione, di dentro vi deve essere molto più di quanto appare di fuori; giacché noi siamo
sotto gli occhi di Dio, e a lui dobbiamo sommo rispetto, ovunque ci troviamo; Dio, dinanzi
al quale dobbiamo camminare puri come angeli. Ogni giorno dobbiamo rinnovare il nostro
proposito e spronare noi stessi al fervore, come fossimo appena venuti, oggi, alla vita
del monastero. Dobbiamo dire: aiutami, Signore Iddio, nel mio buon proposito e nel santo
servizio che ti è dovuto; concedimi di ricominciare oggi radicalmente, perché quel che
ho fatto fin qui è nulla. Il nostro progresso spirituale procede di pari passo con il
nostro proposito. Grande vigilanza occorre per chi vuol avanzare nel bene; ché, se cade
spesso colui che ha forti propositi, che cosa sarà di colui che soltanto di rado si
propone alcunché, e con poca fermezza? Svariati sono i modi nei quali ci accade di
abbandonare il nostro proposito; anche la semplice omissione di un solo esercizio di
pietà porta quasi sempre qualche guasto. In verità, la fermezza di proposito dei giusti
dipende, più che dalla loro saggezza, dalla grazia di Dio, nel quale essi ripongono la
loro fiducia, qualunque meta riescano a raggiungere, giacché l'uomo propone ma chi
dispone è Dio, le cui vie noi non conosciamo. Se talvolta, per fare del bene o per essere
utili ai fratelli, si omette un abituale esercizio di pietà, esso potrà facilmente
essere recuperato più tardi; che se, invece, quasi senza badare, lo si tralascia per
malavoglia o negligenza, ciò costituisce già una colpa, e deve essere sentito come una
perdita.
Per quanto ci mettiamo tutto l'impegno possibile, sarà facile che abbiamo a cadere
ancora, in varie occasioni. Tuttavia dobbiamo fare continuamente qualche proponimento
preciso, specialmente in contrapposto a ciò che maggiormente impedisce il nostro profitto
spirituale. Cose esterne e cose interiori sono necessarie al nostro progresso spirituale,
perciò, le une come le altre, dobbiamo esaminarle attentamente e metterle nel giusto
ordine. Se non riesci a stare sempre concentrato in te stesso, raccogliti di tempo in
tempo, almeno una volta al giorno, la mattina o la sera: la mattina per fare i tuoi
propositi, la sera per esaminare come ti sei comportato, cioè come sei stato, nelle
parole, nonché nei pensieri, con i quali forse hai più spesso offeso Dio o il prossimo.
Armati, come un soldato, contro le perversità del diavolo. Tieni a freno la gola; così
terrai più facilmente a freno ogni altra cattiva tendenza del corpo. Non stare mai senza
far nulla: sii occupato sempre, a leggero o a scrivere, a pregare o a meditare, o a fare
qualche lavoro utile per tutti. Gli esercizi corporali di ciascuno siano compiuti
separatamente; né tutti possono assumersene ugualmente. Se non sono esercizi di tutta la
comunità, non devono essere palesati a tutti, giacché ciò che è personale si fa con
maggior profitto nel segreto. Tuttavia guarda di non essere tardo alle pratiche
comunitarie; più pronto, invece, a quelle tue proprie. Che, compiuto disciplinatamente e
interamente il dovere imposto, se avanza tempo, ritornerai a te stesso, come vuole la tua
devozione personale. Non è possibile che tutti abbiano a fare il medesimo esercizio,
giacché a ciascuno giova qualcosa di particolare. E poi si amano esercizi diversi secondo
i momenti: alcuni ci sono più graditi nei giorni di festa, altri nei giorni comuni.
Inoltre, nel momento della tentazione e nel momento della pacifica tranquillità, abbiamo
bisogno di esercizi ben diversi. Infine quando siamo nella tristezza ci piace pensare a
certe cose; ad, invece quando siamo nella Letizia del Signore.
Nelle feste più solenni dobbiamo rinnovare gli esercizi di pietà ed implorare con
fervore più grande l'aiuto dei santi. I nostri proponimenti devono andare da una ad altra
festività, come se in quel punto dovessimo lasciare questo mondo e giungere alla festa
eterna. Per questo, nei periodi di particolare devozione, dobbiamo prepararci con cura, e
mantenerci in più grande pietà, attenendoci più rigorosamente ai nostri doveri, quasi
stessimo per ricevere da Dio il premio delle nostre fatiche. Che se tale premio sarà
rimandato, dobbiamo convincerci che non eravamo pienamente preparati e che non eravamo
ancora degni della immensa gloria, che ci sarà rivelata (Rm 8,18) nel tempo stabilito; e
dobbiamo fare in modo di prepararci meglio alla morte. "Beato quel servo - dice Luca
evangelista - che il padrone, al suo arrivo, avrà trovato sveglio e pronto. In verità vi
dico che gli darà da amministrare tutti i suoi beni" (Lc 12,44; cfr. Lc 12,37).
Capitolo XX
L'AMORE DELLA SOLITUDINE E DEL SILENZIO
Cerca il tempo adatto per pensare a te e rifletti frequentemente sui benefici che
vengono da Dio. Tralascia ogni cosa umanamente attraente; medita argomenti che ti
assicurino una compunzione di spirito, piuttosto che un modo qualsiasi di occuparti. Un
sufficiente spazio di tempo, adatto per dedicarti a buone meditazioni, lo troverai
rinunciando a fare discorsi inutilmente oziosi e ad ascoltare chiacchiere sugli
avvenimenti del giorno. I più grandi santi evitavano, per quanto possibile, di stare con
la gente e preferivano stare appartati, al servizio di Dio. E' stato detto: ogni volta che
andai tra gli uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca, Epist. VII, 3). E ne facciamo
spesso esperienza, quando stiamo a lungo a parlare con altri. Tacere del tutto è più
facile che evitare le intemperanze del discorrere, come è più facile stare chiuso in
casa che sapersi convenientemente controllare fuori casa. Perciò colui che vuole giungere
alla spiritualità interiore, deve, insieme con Gesù, ritirarsi dalla gente. Soltanto chi
ama il nascondimento sta in mezzo alla gente senza errare; soltanto chi ama il silenzio
parla senza vaneggiare; soltanto chi ama la sottomissione eccelle senza sbagliare;
soltanto chi ama obbedire comanda senza sgarrare; soltanto colui che è certo della sua
buona coscienza possiede gioia perfetta.
Però, anche nei santi, questo senso di sicurezza ebbe fondamento nel timore di Dio.
Essi brillarono per straordinarie virtù e per grazia, ma non per questo furono meno
fervorosi e intimamente umili. Il senso di sicurezza dei cattivi scaturisce, invece, dalla
superbia e dalla presunzione; e , alla fine, si muta in inganno di se stessi. Non sperare
di avere sicurezza in questo mondo, anche se sei ritenuto buon monaco o eremita devoto;
spesso, infatti, coloro che sembravano eccellenti agli occhi degli uomini sono stati messi
nelle più gravi difficoltà. Per molte persone è meglio dunque non essere del tutto
esenti da tentazioni ed avere sovente da lottare contro di queste, affinché non siamo
troppo sicure di sé, non abbiamo per caso a montare in superbia o addirittura a volgersi
sfrenatamente a gioie terrene. Quale buona coscienza manterrebbe colui che non andasse mai
cercando le gioie passeggere e non si lasciasse prendere dal mondo! Quale grande pace,
quale serenità avrebbe colui che sapesse stroncare ogni vano pensiero, meditando soltanto
intorno a ciò che attiene a Dio e alla salute dell'anima, e ponendo ben fissa ogni sua
speranza in Dio! Nessuno sarà degno del gaudio celeste, se non avrà sottoposto
pazientemente se stesso al pungolo spirituale. Ora, se tu vuoi sentire dal profondo del
cuore questo pungolo, ritirati nella tua stanza, lasciando fuori il tumulto del mondo,
come sta scritto: pungolate voi stessi, nelle vostre stanze (Sal 4,4). Quello che fuori,
per lo più, vai perdendo, lo troverai nella tua cella; la quale diventa via via sempre
più cara, mentre reca noi soltanto a chi vi sta di mal animo. Se, fin dall'inizio della
tua venuta in convento, starai nella tua cella, e la custodirai con buona disposizione
d'animo, essa diventerà per te un'amica diletta e un conforto molto gradito.
Nel silenzio e nella quiete l'anima devota progredisce e apprende il significato
nascosto delle Scritture; nel silenzio e nella quiete trova fiumi di lacrime per nettarsi
e purificarsi ogni notte, e diventa tanto più intima al suo creatore quanto più sta
lontana da ogni chiasso mondano. Se, dunque, uno si sottrae a conoscenti e ad amici, gli
si farà vicino Iddio, con gli angeli santi. E' cosa migliore starsene appartato a curare
il proprio perfezionamento, che fare miracoli, dimenticando se stessi. Cosa lodevole, per
colui che vive in convento, andar fuori di rado, evitare di apparire, persino schivare la
gente. Perché mai vuoi vedere ciò che non puoi avere? "Il mondo passa, e passano i
suoi desideri" (1Gv 2,17). I desideri dei sensi portano a vagare con la mente; ma,
passato il momento, che cosa ne ricavi se non un peso sulla coscienza e una profonda
dissipazione? Un'uscita piena di gioia prepara spesso un ritorno pieno di tristezza; una
veglia piena di letizia rende l'indomani pieno di amarezza; ogni godimento della carne
penetra con dolcezza, ma alla fine morde e uccide. Che cosa puoi vedere fuori del
monastero, che qui tu non veda? Ecco, qui hai il cielo e la terra e tutti glie elementi
dai quali sono tratte tutte le cose. Che cosa altrove potrai vedere, che possa durare a
lungo sotto questo sole? Forse credi di poterti saziare pienamente; ma a ciò non
giungerai. Ché, se anche tu vedessi tutte le cose di questo mondo, che cosa sarebbe
questo, se non un sogno senza consistenza? Leva i tuoi occhi in alto, a Dio, e prega per i
tuoi peccati e per le tue mancanze. Lascia le vanità alla gente vana; e tu attendi invece
a quello che ti ha comandato Iddio. Chiudi dietro di te la tua porta, chiama a te Gesù,
il tuo diletto, e resta con lui nella cella; ché una sì grande pace altrove non la
troverai. Se tu non uscirai e nulla sentirai dal chiasso mondano, resterai più facilmente
in una pace perfetta. E poiché talvolta sentire cose nuove reca piacere, occorre che tu
sappia sopportare il conseguente turbamento dell'animo.
Capitolo XXI
LA COMPUNZIONE DEL CUORE
Se vuoi fare qualche progresso conservati nel timore di Dio, senza ambire a una smodata
libertà; tieni invece saldamente a freno i tuoi sensi, senza lasciarti andare a una
stolta letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne ricaverai una vera devozione.
La compunzione infatti fa sbocciare molte cose buone, che, con la leggerezza di cuore,
sogliono subitamente disperdersi. E' meraviglia che uno possa talvolta trovare piena
letizia nella vita terrena, se considera che questa costituisce un esilio e se riflette ai
tanti pericoli che la sua anima vi incontra. Per leggerezza di cuore e noncuranza dei
nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima; anzi, spesso
ridiamo stoltamente, quando, in verità, dovremmo piangere. Non esiste infatti vera
libertà, né santa letizia, se non nel timore di Dio e nella rettitudine di coscienza.
Felice colui che riesce a liberarsi da ogni impacci dovuto a dispersione spirituale,
concentrando tutto se stesso in una perfetta compunzione. Felice colui che sa allontanare
tutto ciò che può macchiare o appesantire il suo spirito. Tu devi combattere da uomo:
l'abitudine si vince con l'abitudine. Se impari a non curarti della gente, questa lascerà
che tu attenda tranquillamente a te stesso. Non portare dentro di te le faccende degli
altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto
vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te
stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore
degli uomini; quello che ti deve pesare, invece, è la constatazione di non essere del
tutto e sicuramente nella via del bene, come si converrebbe a un servo di Dio e a un
monaco pieno di devozione.
E' grandemente utile per noi, e ci dà sicurezza di spirito, non ricevere molte gioie in
questa vita; particolarmente gioie materiali. Comunque, è colpa nostra se non riceviamo
consolazioni divine o ne proviamo raramente; perché non cerchiamo la compunzione del
cuore e non respingiamo del tutto le vane consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci
di essere indegno della consolazione divina, e meritevole piuttosto di molte sofferenze,
Quando uno è pienamente compunto in se stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare
pesante e amara. L'uomo retto, ben trova motivo di pianto doloroso. Sia che rifletta su di
sé o che vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno vive quaggiù senza
afflizioni; e quanto più severamente si giudica, tanto maggiormente si addolora. Sono i
nostri peccati e i nostri vizi a fornire materia di giusto dolore e di profonda
compunzione; peccato e vizi dai quali siamo così avvolti e schiacciati che raramente
riusciamo a guardare alle cose celesti. Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla
morte, più che alla lunghezza della vita, senza dubbio ci emenderemmo con maggior
fervore. Di più, se riflettessimo nel profondo del cuore alle sofferenze future
dell'inferno e del purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e dolori, e non avremmo
paura di un duro giudizio. Invece queste cose non penetrano nel nostro animo; perciò
restiamo attaccati alle dolci mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso, infatti, è
sorta di spirituale povertà quella che facilmente invade il nostro misero corpo. Prega
dunque umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di', con il profeta:
nutrimi, o Signore, "con il pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa
bevanda" (Sal 79,6).
Capitolo XXII
LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA
Dovunque tu sia e dovunque ti volga, sei sempre misera cosa; a meno che tu non ti volga
tutto a Dio. Perché resti turbato quando le cose non vanno secondo la tua volontà e il
tuo desiderio? Chi è colui che tutto ha secondo il suo beneplacito? Non io, non tu, né
alcun altro su questa terra. Non c'è persona al mondo, anche se è un re o un papa, che
non abbia qualche tribolazione o afflizione. E chi è dunque che ha la parte migliore?
Senza dubbio colui che è capace di sopportare qualche male per amore di Dio. Dice molta
gente, debole e malata nello spirito: guarda che vita beata conduce quel tale; come è
ricco e grande, come è potente e come è salito in alto! Ma, se poni mente ai beni
eterni, vedrai che tutte queste cose passeggere sono un nulla, anzi qualcosa di molto
insicuro e particolarmente gravoso, giacché le cose temporali non si possono avere senza
preoccupazioni e paure. Per la felicità non occorre che l'uomo possieda beni terreni in
sovrabbondanza; basta averne una modesta quantità, giacché la vita di quaggiù è
veramente una misera cosa. Quanto più uno desidera elevarsi spiritualmente, tanto più la
vita presente gli appare amara, perché constata pienamente le deficienze dovute alla
corrotta natura umana. Invero mangiare, bere, star sveglio, dormire, riposare, lavorare, e
dover soggiacere alle altre necessità che ci impone la nostra natura, tutto ciò, in
realtà, è una miseria grande e un dolore per l'uomo religioso; il quale amerebbe essere
sciolto e libero da ogni peccato. In effetti l'uomo che vive interiormente si sente
schiacciato, come sotto un peso, dalle esigenze materiali di questo mondo; ed è perciò
che il profeta prega fervorosamente di essere liberato, dicendo: "Signore, toglimi da
queste necessità" (Sal 24,17).
Guai a quelli che non riconoscono la loro miseria. Guai, ancor più, a quelli che amano
questa vita miserabile e destinata a finire; una vita alla quale tuttavia certa gente -
anche se, lavorando o elemosinando, mette insieme appena appena il necessario - si
abbarbica, come se potesse restare quaggiù in eterno, senza darsi pensiero del regno di
Dio. Gente pazza, interiormente priva di fede; gente sommersa dalle cose terrene, tanto da
gustare solo ciò che è materiale. Alla fine, però, constateranno, con pena, quanto poco
valessero - anzi come fossero un nulla - le cose che avevano amato. Ben diversamente, i
santi di Dio, e tutti i devoti amici di Cristo; essi non andavano dietro ai piaceri del
corpo o a ciò che rende fiorente questa vita mortale. La loro anelante tensione e tutta
la loro speranza erano per i beni eterni; il loro desiderio - per non essere tratti al
basso dall'attaccamento alle cose di quaggiù - si elevava interamente alle cose
invisibili, che non vengono meno. O fratello, non perdere la speranza di progredire
spiritualmente; ecco, ne hai il tempo e l'ora. Perché, dunque, vuoi rimandare a domani il
tuo proposito? Alzati, e comincia all'istante, dicendo: è questo il momento di agire; è
questo il momento di combattere; è questo il momento giusto per correggersi. Quando hai
dolori e tribolazioni, allora è il momento per farti dei meriti. Giacché occorre che tu
passi attraverso il "fuoco e l'acqua" prima di giungere nel refrigerio (Sal
65,12). E se non farai violenza a te stesso, non vincerai i tuoi vizi. Finché portiamo
questo fragile corpo, non possiamo essere esenti dal peccato, né vivere senza molestie e
dolori. Ben vorremmo aver tregua da ogni miseria; ma avendo perduto, a causa del peccato,
la nostra innocenza, abbiamo perduto quaggiù anche la vera felicità. Perciò occorre che
manteniamo in noi una ferma pazienza, nell'attesa della misericordia divina, "fino a
che sia scomparsa l'iniquità di questo mondo" (Sal 56,2) e le cose mortali
"siano assunte dalla vita eterna" (2Cor 5,4).
Tanto è fragile la natura umana che essa pende sempre verso il vizio. Ti accusi oggi
dei tuoi peccati e domani commetti di nuovo proprio ciò di cui ti sei accusato. Ti
proponi oggi di guardarti dal male, e dopo un'ora agisci come se tu non ti fossi proposto
nulla. Ben a ragione, dunque, possiamo umiliarci; né mai possiamo avere alcuna buona
opinione di noi stessi, perché siamo tanto deboli e instabili. Inoltre, può andare
rapidamente perduto per negligenza ciò che a stento, con molta fatica, avevamo alla fine
raggiunto, per grazia di Dio. E che cosa sarà di noi alla fine, se così presto ci prende
la tiepidezza? Guai a noi, se pretendessimo di riposare tranquillamente, come se già
avessimo raggiunto pace e sicurezza, mentre, nella nostra vita, non si vede neppure un
indizio di vera santità. Occorrerebbe che noi fossimo di nuovo plasmati, quasi in un buon
noviziato, a una vita irreprensibile; in tal modo potremo sperare di raggiungere un certo
miglioramento e di conseguire un maggior profitto spirituale.
Capitolo XXIII
LA MEDITAZIONE DELLA MORTE
Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione:
l'uomo oggi c'è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce
anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell'uomo: egli
pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni
pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta
la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che
sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani
è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se
correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i
difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente
anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla
loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente
morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui
che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire.
Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa
strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non
osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque
momento, la morte non ti trovi impreparato.
Sono molti coloro che muoiono in un istante, all'improvviso; giacché "il
Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa che possa venire" (Mt 24,44; Lc
12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente
tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto
fiacco. Quanto é saggio e prudente l'uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale
desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente
la daranno il completo disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di progredire nelle
virtù, l'amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il
saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto
puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato.
Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così
come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio,
diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza,
facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti
dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell'aiuto
di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po' di bene.
Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è
il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che
il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente
in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un
giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale
pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre
nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora
della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché
tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu
possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza,
affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.
Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere
neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa
vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che
uno, cadendo dall'alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un
altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una
pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa
rapidamente come un'ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai
scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado
di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo.
Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient'altro che alla
tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i
santi di Dio e imitando le loro azioni, "affinché ti ricevano nei luoghi eterni,
quando avrai lasciato questa vita" (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno
che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo
mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora
quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché,
dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.
Capitolo XXIV
IL GIUDIZIO DIVINO E LA PUNIZIONE DEI PECCATI
In ogni cosa tieni l'occhio fisso al termine finale; tieni l'occhio, cioè, a come
comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice che vede tutto, non si lascia placare
con doni, non accetta scuse; e giudica secondo giustizia (cfr. Is 11,4). Oh!, sciagurato e
stolto peccatore, come potrai rispondere a Dio, il quale conosce tutto il male che hai
fatto; tu che tremi talvolta alla vista del solo volto adirato di un uomo? Perché non
pensi a quel che avverrà di te nel giorno del giudizio, quando nessuno potrà essere
scagionato e difeso da altri, e ciascuno costituirà per se stesso un peso anche troppo
grave? E' adesso che la tua fatica è producente; è adesso che il tuo pianto e il tuo
sospiro possono piacere a Dio ed essere esauditi; è adesso che il tuo dolore può
ripagare il male compiuto e renderti puro.
Un grave e salutare purgatorio l'ha colui che sa sopportare. Questi, ricevendo
ingiustizie, si dispiace della cattiveria altrui, più che del male patito; è pronto a
pregare per quelli che lo contrastano e perdona di cuore le loro colpe; non esita a
chiedere perdono agli altri; è più incline ad aver compassione che ad adirarsi; fa
violenza sovente a se stesso e si sforza di sottoporre interamente la carne allo spirito.
Stroncare ora i vizi e purgarsi ora dai peccati è miglior cosa che lasciarli da purgare
in futuro. Invero noi facciamo inganno a noi stessi amando le cose carnali, contro
l'ordine stabilito da Dio. Che altro divorerà, quel fuoco, se non i tuoi peccati?
Perciò, quanto più indulgi a te stesso quaggiù, seguendo la carne, tanto più duramente
pagherai poi, preparando fin d'ora materiale più abbondante per quelle fiamme. Ciascuno
sarà più gravemente punito in ciò in cui ebbe a peccare. Colà i pigri saranno
incalzati da pungoli infuocati; e i golosi saranno tormentati da grande sete e fame. Colà
sui lussuriosi e sugli amanti dei piaceri saranno versati in abbondanza pece ardente e
zolfo fetido; e gli invidiosi, per il grande dolore, daranno in ululati, quali cani
rabbiosi. Non ci sarà vizio che non abbia il suo speciale tormento. Colà i superbi
saranno pieni di ogni smarrimento; e gli avari saranno oppressi da gravissima miseria.
Un'ora trascorsa colà, nella pena, sarà più grave di cento anni passati qui in
durissima penitenza. Nessuna tregua, colà, nessun conforto per i dannati; mentre quaggiù
talora ci si stacca dalla fatica e si gode del sollievo degli amici.
Devi darti da fare adesso, e piangere i tuoi peccati, per poter essere senza
pensiero nel giorno del giudizio. In quel giorno, infatti, i giusti staranno in piena
tranquillità in faccia a coloro che li oppressero (Sap 5,1) e li calpesteranno. Starà
come giudice colui che ora si sottomette umilmente al giudizio degli uomini. In quel
giorno, grande speranza avranno il povero e l'umile, e sarà pieno di paura il superbo;
apparirà che è stato saggio in questo mondo colui che ha saputo essere stolto e
disprezzato per amore di Cristo. In quel giorno sarà cara ogni tribolazione che sia stata
sofferta pazientemente, e "ogni iniquità chiuderà la sua bocca" (Sal 106,42);
l'uomo pio sarà nella gioia, mentre sarà nel dolore chi è vissuto senza fede. In quel
giorno il corpo tribolato godrà più che se fosse stato nutrito di delizie; risplenderà
la veste grossolana e quella fine sarà oscurata; una miserabile dimora sarà più
ammirata che un palazzo dorato. In quel giorno una pazienza che non sia venuta mai meno,
gioverà più che tutta la potenza della terra; la schietta obbedienza sarà glorificata
più che tutta l'astuzia del mondo. In quel giorno la pura e retta coscienza darà più
gioia che la erudita dottrina; il disprezzo delle ricchezze varrà di più che i tesori di
tutti gli uomini. In quel giorno avrai maggior gioia da una fervente preghiera che da un
pranzo prelibato; trarrai più gioia dal silenzio che avrai mantenuto, che da un lungo
parlare. In quel giorno le opere buone varranno di più che le molte parole; una vita
rigorosa è una dura penitenza ti saranno più care di ogni piacere di questa terra.
Impara a patire un poco adesso, affinché allora tu possa essere liberato da
patimenti maggiori. Prova te stesso prima, quaggiù, per sapere di che cosa sarai capace
allora. Se adesso sai così poco patire, come potrai sopportare i tormenti eterni? Se
adesso un piccolo patimento ti rende così incapace di sopportazione, come ti renderà la
Geenna? Ecco, in verità, non le puoi avere tutte e due, queste gioie: godere in questa
vita e poi regnare con Cristo. Che ti gioverebbe, se, fino ad oggi, tu fossi sempre
vissuto tra gli onori e i piaceri, e ora ti accadesse di morire improvvisamente? Tutto,
dunque, è vanità, fuorché amare Iddio e servire a Lui solo. E perciò, colui che ama
Dio con tutto il suo cuore non ha paura né della morte, né della condanna, né del
giudizio, né dell'inferno. Un amore perfetto porta con tutta sicurezza a Dio; chi invece
continua ad amare il peccato ha paura e - ciò non fa meraviglia - della morte e del
giudizio. Se poi non hai ancora amore bastante per star lontano dal male, è bene che
almeno la paura dell'inferno ti trattenga; in effetti, chi non tiene nel giusto conto il
timore di Dio non riuscirà a mantenersi a lungo nella via del bene, ma cadrà ben presto
nei lacci del diavolo.
Capitolo XXV
CORREGGERE FERVOROSAMENTE TUTTA LA NOSTRA VITA
Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio; ripensa frequentemente alla ragione per
la quale sei venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato forse per vivere in Dio e farti
tutto spirito? Che tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve tempo sarai ripagato dei
tuoi sforzi; né avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e dolore faticherai qui per
un poco, e poi troverai una grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai costante nella
fede e fervoroso nelle opere, Dio, senza dubbio, sarà giusto e generoso nella ricompensa.
Che tu mantenga la santa speranza di giungere alla vittoria, anche se non è bene che tu
ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in stato di torpore o di presunzione. Una volta,
un tale, dibattuto interiormente tra il timore e la speranza, sfinito dal doloro, si
prostrò in chiesa davanti ad un altare dicendo tra sé: "Oh! Se sapessi di poter
perseverare!". E subito, di dentro, udì una risposta, che veniva da Dio:
"Perché, se tu sapessi di poter perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso,
quello che vorresti fare, e sarai del tutto tranquillo". Allora, rasserenato e
confortato, egli si affidò alla volontà di Dio, e cessò in lui quella angosciosa
incertezza; egli non volle più cercar di sapere quel che sarebbe stato di lui in futuro,
e si diede piuttosto a cercare "quale fosse la volontà del Signore: volontà di bene
e di perfezione", (Rm 12, 2) per intraprendere e portare a compimento ogni opera
buona. Dice il profeta: "Spera nel Signore e fa il bene; abita la terra e nutriti
delle sue ricchezze" (Sal 36,3).
Una sola cosa è quella che distoglie molta gente dal progresso spirituale e
dal fervoroso sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli ostacoli e l'asprezza di
questa lotta. Invero avanzano nelle virtù coloro che si sforzano di superare virilmente
ciò che è per essi più gravoso, e che più li contrasta; giacché proprio là dove più
si vince se stessi, mortificandosi nello spirito, più si guadagna, e maggior grazia si
ottiene. Certo che non tutti gli uomini hanno pari forze per vincere se stessi e per
mortificarsi. Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche se le sue passioni sono
più violente, riuscirà a progredire più di un altro, pur buono, ma meno fervoroso nel
tendere verso le virtù. Due cose giovano particolarmente al raggiungimento di una totale
emendazione: il fare violenza a se stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno è
portato per natura; e il chiedere insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno ha
maggior bisogno. Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto ciò che più spesso
trovi brutto in altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di profitto spirituale.
Così, se ti capita di vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere dal desiderio
di imitarli; se, invece, ti pare che qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti
dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto, procura di emendarti. Come il tuo occhio
giudica gli altri, così, a tua volta, sarai giudicato tu dagli altri. Quale gioia e quale
dolcezza, vedere dei frati pieni di fervore e di devozione, santi nella vita interiore e
nella loro condotta; quale tristezza, invece, e quale dolore, vedere certi frati, che
vanno di qua e di là, disordinatamente, tralasciando di praticare proprio ciò per cui
sono stati chiamati! Gran danno procura, questo dimenticarsi delle promesse della propria
vocazione, volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci vengono ordinate.
Ricordati della decisione che hai presa, e poni dinanzi ai tuoi occhi la
figura del crocifisso. Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai veramente di che
vergognarti, ché non hai ancora cercato di farti più simile a lui, pur essendo stato per
molto tempo nella vita di Dio. Il monaco che si addestra con intensa devozione sulla vita
santissima e sulla passione del Signore, vi troverà in abbondanza tutto ciò che gli può
essere utile e necessario; e non dovrà cercare nulla di meglio, fuor di Gesù. Oh, come
saremmo d'un colpo pienamente addottrinati se avessimo nel nostro cuore Gesù crocifisso!
Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa santamente e accetta ciò che gli viene
imposto; invece quello negligente e tiepido trova una tribolazione sull'altra ed è
angustiato per ogni verso, perché gli manca la consolazione interiore, e quella esterna
gli viene preclusa. Il monaco che vive fuori della regola va incontro a piena rovina.
Infatti chi tende ad una condizione piuttosto libera ed esente da disciplina sarà sempre
nell'incertezza, poiché ora non gli andrà una cosa, ora un'altra. Come fanno gli altri
monaci, così numerosi, che vivono ben disciplinati dalla regola del convento? Escono di
rado e vivono liberi da ogni cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni grossolani;
lavorano molto e parlano poco; vegliano fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a
lungo, leggono spesso e si comportano strettamente secondo la regola. Guarda i Certosini,
i Cistercensi, e i monaci e le monache di altri Ordini, come si alzano tutte le notti per
cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti
lasciassi prendere dalla pigrizia, mentre un grandissimo numero di monaci comincia i suoi
canti di gioia, in unione con Dio. Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il
Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta la nostra voce. Oh!, se tu non avessi
mai bisogno di mangiare, di bere, di dormire; e potessi invece, lodare di continuo il
Signore, e occuparti soltanto delle cose dello spirito. Allora saresti più felice di
adesso, che sei al servizio del tuo corpo per varie necessità. E volesse il Cielo che non
ci fossero, queste necessità, e ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima, che
purtroppo gustiamo ben di rado.
Quando uno sarà giunto a non cercare il proprio conforto in alcuna creatura,
allora egli comincerà a gustare perfettamente Dio; allora accetterà di buon grado ogni
cosa che possa succedere; allora non si rallegrerà, o rattristerà, per il molto o il
poco che possieda. Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui
sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va
interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al
suo comando. Abbi sempre presente che tutto finisce e che il tempo perduto non ritorna.
Non giungerai a possedere forza spirituale, se non avrai sollecitudine e diligenza. Se
comincerai ad essere spiritualmente malato. Se invece ti darai tutto al fervore, troverai
una grande pace, e sentirai più lieve la fatica, per la grazia di Dio e per la forza
dell'amore. Tutto può, l'uomo fervido e diligente. Impresa più grande delle sudate
fatiche corporali è quella di vincere i vizi e di resistere alle passioni. E colui che
non sa evitare le piccole mancanze, cade, a poco a poco, in mancanze maggiori. Sarai
sempre felice, la sera, se avrai spesa la giornata fruttuosamente. Vigila su te stesso,
scuoti e ammonisci te stesso; checché facciano gli altri, non dimenticare te stesso. Il
tuo progresso spirituale sarà pari alla violenza che avrai fatto a te stesso. Amen.
FINISCONO LE ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO.
Libro II
INCOMINCIAMO LE ESORTAZIONI CHE CI INTRODUCONO ALL'INTERIORITA'
Capitolo I
IL RACCOGLIMENTO INTERIORE
"Il regno di Dio è dentro di voi" (Lc 17,21), dice il Signore. Volgiti a Dio
con tutto il tuo cuore, lasciando questo misero mondo, e l'anima tua troverà pace. Impara
a disprezzare ciò che sta fuori di te, dandoti a ciò che è interiore, e vedrai venire
in te il regno di Dio. Esso è, appunto, "pace e letizia nello Spirito Santo"
(Rm 14,17); e non è concesso ai malvagi. Se gli avrai preparato, dentro di te, una degna
dimora, Cristo verrà a te e ti offrirà il suo conforto. Infatti ogni lode e ogni onore,
che gli si possa fare, viene dall'intimo; e qui sta il suo compiacimento. Per chi ha
spirito di interiorità è frequente la visita di Cristo; e, con essa, un dolce
discorrere, una gradita consolazione, una grande pace, e una familiarità
straordinariamente bella. Via, anima fedele, prepara il tuo cuore a questo sposo,
cosicché si degni di venire presso di te e di prendere dimora in te. Egli dice infatti:
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e verremo a lui e abiteremo presso di lui"
(Gv 14,23). Accogli, dunque, Cristo, e non far entrare in te nessun'altra cosa. Se avrai
Cristo sarai ricco, sarai pienamente appagato. Sarà lui a provvedere e ad agire
fedelmente per te. Così non dovrai affidarti agli uomini. Questi mutano in un momento e
vengono meno rapidamente, mentre cristo "resta in eterno" (Gv 12, 34) e sta
fedelmente accanto a noi, fino alla fine. Non dobbiamo far molto conto sull'uomo, debole e
mortale, anche se si tratta di persona che ci è preziosa e cara; né dobbiamo troppo
rattristarci se talvolta ci combatte e ci contrasta. Quelli che oggi sono con te, domani
si possono mettere contro di te; spesso si voltano come il vento.
Riponi interamente la fiducia in Dio, e sia lui il tuo timore e il tuo amore.
Risponderà lui per te, e opererà per il bene, nel modo migliore. "Non hai stabile
dimora quaggiù" (Eb 13,14); dovunque tu abbia a trovarti, sei un forestiero e un
pellegrino, né mai avrai pace se non sarai strettamente unito a Cristo. Perché ti guardi
tutto attorno quaggiù, se non è questo il luogo della tua pace? La tua dimora deve
essere tra le cose celesti; quelle terrene le devi guardare come di passaggio. Passano
tutte le cose, e con esse anche tu; vedi di non invischiarti, per evitare di essere
catturato e perire. Sia il tuo pensiero sempre presso l'Altissimo; e la tua preghiera si
diriga, senza sosta a Cristo. Che se non riesci a meditare le profonde realtà celesti,
cerca rifugio nella passione di Cristo e prendi lieta dimora nelle sue sante ferite. Se ti
sarai rifugiato, con animo devoto, nelle ferite e nelle piaghe preziose di Gesù, sentirai
un gran conforto nella tribolazione, e non farai molto caso del disprezzo degli uomini,
sopportando con facilità quanto si dice contro di te. Anche Cristo fu disprezzato dagli
uomini in questo mondo e, nel momento in cui ne aveva maggior bisogno, fu abbandonato, tra
sofferenze disonoranti, da quelli che lo conoscevano e gli erano amici. Cristo volle
soffrire ed essere disprezzato; e tu osi lamentarti di qualcuno? Cristo ebbe avversari e
oppositori; e tu vuoi che tutti ti siano amici e ti facciano del bene? Come potrà essere
premiata la tua capacità di soffrire se non avrai incontrato alcuna avversità? Se non
vuoi sopportare nulla che ti si opponga, in che modo potrai essere amico di Cristo? Se
vuoi regnare con Cristo, sorreggiti in Cristo e per mezzo di Cristo. Che se, una sola
volta tu riuscissi ad entrare perfettamente nell'intimo di Gesù, gustando un poco
dell'ardente suo amore, non ti preoccuperesti per nulla di ciò che ti piace o non ti
piace; troveresti gioia, invece nelle offese che ti si fanno. Giacché l'amore per Gesù
ci porta a disprezzare noi stessi.
L'uomo che ama Gesù e la verità, l'uomo veramente interiore e libero da
desideri contrari alla suprema volontà, può volgersi a Dio senza impacci, e innalzarsi
in ispirito sopra se stesso, ricavandone una pace ricca di frutto. Veramente saggio, e
dotto di una dottrina impartita da Dio più che dagli uomini, è colui che stima tutte le
cose per quello che sono, non per quello che se ne dice nei giudizi umani. Se uno sa
procedere secondo la guida interiore, evitando di valutare le cose secondo i criteri del
mondo, non si perde nel ricercare il luogo adatto o nell'attendere il tempo opportuno per
dedicarsi ad esercizi di devozione. Se uno ha spirito di interiorità, subito si raccoglie
in se stesso, giacché non si disperde mai del tutto nelle cose esterne. Per lui non è un
ostacolo un lavoro che gli venga imposto né una occupazione che, in quel momento, appaia
doverosa; giacché egli sa adattarsi alle situazioni, così come esse si presentano. Colui
che è intimamente aperto e rivolto al bene, non bada alle azioni malvagie degli uomini,
pur se possano apparire mirabili; infatti, quanto più uno attira a sé le cose esteriori,
tanto più resta legato, e distratto da sé medesimo. Se tutto fosse a posto in te, e tu
fossi veramente puro, ogni cosa accadrebbe per il tuo bene e per il tuo vantaggio; che se
molte cose spesso ti sono causa i disagio o di turbamento, è proprio perché non sei
ancora perfettamente morto a te stesso e distaccato da tutto ciò che è terreno. Nulla
insozza e inceppa il cuore umano quanto un amore non ancora purificato, volto alle cose di
questo mondo; se invece tu rinunci a cercare gioia in ciò che sta fuori di te, potrai
contemplare le realtà celesti e godere frequentemente di gioia interiore.
Capitolo II
L'UMILE SOTTOMISSIONE
Non fare gran conto di chi ti sia favorevole o contrario; piuttosto preoccupati assai
che, in ogni cosa che tu faccia, Dio sia con te. Abbi retta coscienza; Dio sicuramente ti
difenderà. Non ci sarà cattiveria che possa nuocere a colui che Dio vorrà aiutare. Se
tu saprai tacere e sopportare, constaterai senza dubbio l'aiuto del Signore. E' lui che
conosce il tempo e il modo di sollevarti; a lui perciò devi rimetterti: a lui che può
soccorrerci e liberarci da ogni smarrimento.
Perché ci possiamo mantenere in una più grande umiltà, è sovente assai
utile che altri conosca i nostri difetti, e che ce li rimproveri. Quando uno si umilia per
i propri difetti facilmente fa tacere gli altri, e acquieta senza difficoltà coloro che
si sono adirati contro di lui. All'umile Dio dona protezione ed aiuto; all'umile Dio dona
il suo amore e il suo conforto; verso l'umile Dio si china; all'umile largisce tanta
grazia, innalzandolo alla gloria, perché si è fatto piccolo; all'umile Dio rivela i suoi
segreti, invitandolo e traendolo a sé con dolcezza. Così colui che umilmente ammette la
propria colpa si sente pienamente in pace, avendo egli la sua dimora in Dio, e non nel
mondo. Non credere di aver fatto alcun progresso spirituale, se non ti senti inferiore ad
ogni altro.
Capitolo III
CHI E' COLUI CHE AMA IL BENE E LA PACE
Se, in primo luogo, manterrai te stesso nella pace, potrai dare pace agli altri; ché
l'uomo di pace è più utile dell'uomo di molta dottrina. Colui che è turbato dalla
passione trasforma anche il bene in male, pronto com'è a vedere il male dappertutto;
mentre colui che ama il bene e la pace trasforma ogni cosa in bene. Chi è pienamente
nella pace non sospetta di alcuno. Invece chi è inquieto e turbato sta sempre in
agitazione per vari sospetti. Non è tranquillo lui, né permette agli altri di esserlo;
dice sovente cose che non dovrebbe dire e tralascia cose che più gli converrebbe fare;
sta attento a ciò che dovrebbero fare gli altri, e trascura ciò a cui sarebbe tenuto lui
stesso. Sii dunque zelante, innanzi tutto , con te stesso; solo così potrai essere
giustamente zelante con il tuo prossimo. Tu sei molto abile nel trovare giustificazioni
per quello che fai e nel farlo apparire sotto una certa luce, mentre rifiuti di accettare
le giustificazioni negli altri. Sarebbe invece più giusto che tu accusassi te stesso e
scusassi il tuo fratello. Se vuoi essere sopportato, sopporta gli altri anche tu.
Vedi quanto sei ancora lontano dal vero amore e dalla umiltà di chi non sa
adirarsi e indignarsi con alcuno, fuor che con se stesso. Non è grande merito stare con
persone buone e miti; è cosa, questa, che fa naturalmente piacere a tutti, e nella quale
tutti troviamo facile contentezza, giacché amiamo di più quelli che ci danno ragione. E'
invece grande virtù, e lodevole comportamento, degno di un uomo, riuscire a vivere in
pace con le persone dure e cattive, che si comportano senza correttezza e non hanno
condiscendenza verso di noi. Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e mantengono pace
anche con gli altri. Ci sono invece alcuni che non stanno in pace essi, né lasciano pace
agli altri: pesanti con il prossimo, e ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni che
stanno essi nella pace e si preoccupano di condurre alla pace gli altri. La verità è che
la vera pace, in questa nostra misera vita, la dobbiamo far consistere nel saper
sopportare con umiltà, piuttosto che nel non avere contrarietà. Colui che saprà meglio
sopportare, conseguirà una pace più grande. Vittorioso su se stesso e padrone del mondo,
questi è l'amico di Cristo e l'erede del cielo.
Capitolo IV
LA LIBERTA' DI SPIRITO E LA SEMPLICITA' DI INTENZIONE
Due sono le ali che permettono all'uomo di sollevarsi al di sopra delle cose terrene, la
semplicità e la libertà: la semplicità, necessaria nella intenzione; la libertà,
necessaria nei desideri. La semplicità tende a Dio; la libertà raggiunge e gode Dio.
Nessuna buona azione ti sarà difficile se sarai interiormente libero da ogni desiderio
non retto. E godrai pienamente di questa interiore libertà se mirerai soltanto alla
volontà di Dio e se cercherai soltanto l'utilità del prossimo. Se il tuo cuore fosse
retto, ogni cosa creata sarebbe per te specchio di vita e libro di santa dottrina.
Giacché non v'è creatura così piccola e di così poco valore che non rappresenti la
bontà di Dio. Se tu fossi interiormente buono e puro, vedresti ogni cosa senza velame, e
la comprenderesti pienamente: è infatti il cuore puro che penetra il cielo e l'inferno.
Come uno è di dentro, così giudica di fuori. Chi è puro di cuore è tutto
preso dalla gioia, per quanta gioia è nel mondo. Se, invece, da qualche parte, ci sono
tribolazioni ed angustie, queste le avverte di più chi ha il cuore perverso. Come il
ferro, messo nel fuoco, lasciando cadere la ruggine, si fa tutto splendente, così colui
che si dà totalmente a Dio si spoglia del suo torpore e si muta in un uomo nuovo. Quando
uno comincia ad essere tiepido spiritualmente teme anche il più piccolo travaglio, e
accoglie volentieri ogni conforto che gli venga dal di fuori. All'incontro, quando uno
comincia a vincere pienamente se stesso e a camminare veramente da uomo nella via del
Signore, allora fa meno conto di quelle cose che prima gli sembravano gravose.
Capitolo V
L'ATTENTO ESAME DI SE STESSI
Non possiamo fare troppo affidamento su noi stessi, perché spesso ci manca la grazia e
la capacità di sentire rettamente. Scarsa è la luce che è in noi, e subitamente la
perdiamo per la nostra negligenza. Spesso poi non ci accorgiamo neppure di essere così
ciechi interiormente: facciamo il male e, cosa ancora peggiore, ci andiamo scusando.
Talora siamo mossi dalla passione, e la prendiamo per zelo; rimproveriamo negli altri
piccole cose e passiamo sopra a quelle più grosse, commesse da noi. Avvertiamo con
prontezza, e pesiamo ben bene ciò che gli altri ci fanno soffrire, ma non ci accorgiamo
di quanto gli altri soffrono per causa nostra. Chi riflettesse bene e a fondo su se
stesso, non giudicherebbe severamente gli altri. L'uomo interiore, prima di occuparsi di
altre cose, guarda dentro di sé; e, intento diligentemente a se stesso, è portato a
tacere degli altri. Solamente se starai zitto sugli altri, guardando specialmente a te
stesso, giungerai a una vera e devota interiorità.
Se sarai tutto intento a te stesso e a Dio, ben poco ti scuoterà quello che
sentirai dal di fuori. Sei forse da qualche parte, quando non sei presente in te? E se,
dimenticando te stesso, tu avessi anche percorso il mondo intero, che giovamento ne
avresti ricavato? Se vuoi avere pace e spirituale solidità, devi lasciar andare ogni
cosa, e avere dinanzi agli occhi solamente te stesso. Grande sarà il tuo progresso se
riuscirai a mantenerti libero da ogni preoccupazione terrena; se invece apprezzerai in
qualche modo una qualsiasi cosa temporale, farai un gran passo indietro. Nulla per te sia
grande, nulla eccelso, nulla gradito e caro, se non solamente Iddio, oppure cosa che venga
da Dio. Considera vano ogni conforto che ti venga da qualsiasi creatura. L'anima che ama
Dio disprezza tutto ciò che sia inferiore a Dio. Conforto dell'anima e vera letizia del
cuore è soltanto Dio, l'eterno, l'incommensurabile, colui che riempie di sé l'universo.
Capitolo VI
LA GIOIA DI UNA COSCIENZA RETTA
Giusto vanto dell'uomo retto è la testimonianza della buona coscienza. Se sarai certo,
in coscienza, di aver agito rettamente, sarai sempre nella gioia. La buona coscienza
permette di sopportare tante cose ed è piena di letizia, anche nelle avversità. Al
contrario, se sentirai in coscienza di aver fatto del male, sarai sempre timoroso ed
inquieto. Dolce riposo sarà il tuo, se il cuore non avrà nulla da rimproverarti. Non
rallegrarti se non quando avrai fatto del bene. I cattivi non godono mai di una vera
letizia e non sentono mai la pace dell'anima, giacché "non c'è pace per gli
empi", dice il Signore (Is 48,22; 57,21). E se la gente dice: "siamo in pace,
non ci accadrà alcun male (Mic 3,11), chi mai oserà farci del male?", non creder
loro; ché improvvisa si leverà la collera di Dio, "e quello che hanno fatto andrà
in fumo, e i loro piani svaniranno" (Sal 145,4). Per colui che ama Iddio, non è
difficile trovare la propria gloria nella sofferenza, poiché ciò significa trovarla
nella croce del Signore. La gloria data o ricevuta dagli uomini dura poco; e una certa
tristezza le si accompagna sempre. Invece la gloria dei giusti viene dalla loro coscienza,
non dalle parole della gente; la loro letizia viene da Dio ed è in Dio; la loro gioia
viene dalla verità. Colui che aspira alla gloria vera ed eterna non si preoccupa di
quella temporale; invece colui che cerca questa gloria caduca, anziché disprezzarla dal
profondo dell'animo, evidentemente ama di meno la gloria celeste. Grande serenità di
spirito possiede colui che non bada alle lodi né ai rimproveri della gente; giacché, se
ha la coscienza pulita, si sentirà facilmente contento e tranquillo.
Tu non sei maggiormente santo se ricevi delle lodi, né maggiormente cattivo
se ricevi dei rimproveri; sei quello che sei, e non puoi essere ritenuto più grande di
quanto tu non sia agli occhi di Dio. Se fai attenzione a quello che tu sei in te stesso,
interiormente, non baderai a ciò che possano dire di te gli uomini. L'uomo vede in
superficie, Dio invece vede nel cuore; l'uomo guarda alle azioni esterne. Dio giudica
invece le intenzioni. Agire bene, sempre, e avere poca stima di se medesimi, è segno di
umiltà di spirito; non cercare conforto da alcuna creatura è segno di grande libertà e
di fiducia interiore. Chi non cerca per sé alcuna testimonianza dal di fuori,
evidentemente si abbandona del tutto a Dio. Infatti, come dice S. Paolo, "non riceve
il premio colui che si loda da sé, ma colui che è lodato da Dio" (2Cor 10,18).
Procedere tenendo Dio nel cuore, e non essere stretto da alcun legame che venga di fuori,
ecco la condizione dell'uomo spirituale.
Capitolo VII
L'AMORE DI GESU' SOPRA OGNI COSA
Beato colui che comprende che cosa voglia dire amare Gesù e disprezzare se stesso per
Gesù. Si deve lasciare ogni persona amata, per colui che merita tutto il nostro amore:
Gesù esige di essere amato, lui solo, sopra ogni cosa. Ingannevole e incostante è
l'amore della creatura; fedele e durevole è l'amore di Gesù. Chi s'attacca alla creatura
cadrà con la creatura, che facilmente vien meno; chi abbraccia Gesù troverà saldezza
per sempre. Ama e tienti amico colui che, quando tutti se ne andranno, non ti
abbandonerà, né permetterà che, alla fine, tu abbia a perire. Che tu lo voglia oppure
no, dovrai un giorno separarti da tutti; tienti dunque stretto, in vita e in morte, a
Gesù, e affidati alla fedeltà di lui, che solo ti potrà aiutare allorché gli altri ti
verranno meno.
Per sua natura, Gesù, tuo amore, è tale da non permettere che tu ami altra
cosa; egli vuole possedere da solo il tuo cuore, e starvi come un re sul suo trono. Di
buon grado Gesù starà presso di te, se tu saprai liberarti perfettamente da ogni
creatura. Qualunque fiducia tu abbia posto negli uomini, escludendo Gesù, ti risulterà
quasi del tutto buttata via. Non affidarti o appoggiarti ad una canna, che si piega al
vento, perché "ogni carne è come fieno e ogni suo splendore cadrà come il fiore
del fieno" (1Pt 1,24). Se guarderai soltanto alle esterne apparenze umane, sarai
tosto ingannato. E se cercherai consolazione e profitto negli altri, ne sentirai molto
spesso un danno. Se cercherai in ogni cosa Gesù, troverai certamente Gesù. Se invece
cercherai te stesso, troverai ancora te stesso, ma con tua rovina. Infatti, se non cerca
Gesù, l'uomo nuoce a se stesso, più che non possano nuocergli i suoi nemici e il mondo
intero.
Capitolo VIII
L'INTIMA AMICIZIA CON GESU'
Quando è presente Gesù, tutto è per il bene, e nulla pare difficile. Invece, quando
Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non è presente, tutto è
difficile. Quando Gesù non parla nell'intimo, ogni consolazione vale assai poco. Invece,
se Gesù dice anche soltanto una parola, sentiamo una grande consolazione. Forse che Maria
Maddalena non balzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse:
"C'è qui il maestro, ti chiama?" (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui
Gesù ci invita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù;
come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d'altro, che non sia Gesù. Non è,
questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai
dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duro inferno; essere con
Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa farti del male, se avrai Gesù
presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi, trova un bene più
grande di ogni altro bene. Chi perde Gesù perde più che non si possa dire; perde più
che se perdesse tutto quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui
che vive saldamente con lui è ricco di tutto.
Grande avvedutezza è saper stare vicino a Gesù; grande sapienza sapersi
tenere stretti a lui. Abbi umiltà e pace, e Gesù sarà con te; abbi devozione e
tranquillità di spirito, e Gesù starà con te. Che se comincerai a deviare verso le cose
esteriori, potrai subitamente allontanare da te Gesù, perdendo la sua grazia; e se avrai
cacciato lui, e l'avrai perduto, a chi correrai per rifugio, a chi ti volgerai come ad
amico? Senza un amico non puoi vivere pienamente; e se non hai come amico, al di sopra di
ogni altro, Gesù, sarai estremamente triste e desolato.
E' da stolto, dunque, quello che fai, ponendo la tua fiducia e la tua gioia in
altri che in Gesù. E' preferibile avere il mondo intero contro di te che avere Gesù
disgustato di te. Sicché, tra tutte le persone care, caro, per sé, sia il solo Gesù;
tutti gli altri si devono amare a causa di Lui; Lui, invece, per se stesso. Gesù Cristo,
il solo che troviamo buono e fedele più di ogni altro amico, lui solo dobbiamo amare, di
amore particolare. Per lui e in lui ti saranno cari sia gli amici che i nemici; e lo
pregherai per gli uni e per gli altri, affinché tutti lo conoscano e lo amino. Non
desiderare di essere apprezzato od amato per te stesso, poiché questo spetta soltanto a
Dio, che non ha alcuno che gli somigli. Non volere che uno si lasci prendere, nel suo
cuore, tutto da te, né lasciarti tutto prendere tu dall'amore di chicchessia. Gesù
soltanto deve essere in te, come in ognuno che ami il bene. Sii puro interiormente e
libero, senza legami con le creature. Se vuoi essere pienamente aperto a gustare
"com'è soave il Signore" (Sal 33,9), devi essere del tutto spoglio e offrire a
Dio un cuore semplice e puro.
Ma, in verità, a tanto non giungerai, se prima non sarà venuta a te la sua
grazia trascinandoti, cosicché, scacciata e gettata via ogni cosa, tu possa unirti con
Lui, da solo a solo. Quando la grazia di Dio scende sull'uomo, allora egli diventa capace
di ogni impresa; quando invece la grazia viene meno, l'uomo diventa misero e debole, quasi
abbandonato al castigo. Ma anche così non ci si deve lasciare abbattere; né si deve
disperare. Occorre piuttosto stare fermamente alla volontà di Dio e, qualunque cosa
accada, sopportarla sempre a lode di Gesù Cristo; giacché dopo l'inverno viene l'estate,
dopo la tempesta una grande quiete.
Capitolo IX
LA MANCANZA DI OGNI CONFORTO
Non è difficile disprezzare il conforto umano, quando abbiamo quello che viene da Dio.
Ma è cosa difficile assai saper sopportare la mancanza, sia del conforto umano sia del
conforto divino, saper accettare volonterosamente di soffrire, per amore di Dio, la
solitudine del cuore, e senza guardare i propri meriti. Che c'è di straordinario se sei
pieno di santa gioia, quando scende su di te la grazia divina? E', questo, un momento che
è nel desiderio di tutti. Galoppa leggero chi è sostenuto dalla grazia. Che c'è di
strabiliante se non sente fatica colui che è sostenuto dall'Onnipotente ed è condotto
dalla somma guida? Di buona voglia e prontamente accettiamo un po' d'aiuto; difficilmente
uno se la cava da solo. Il santo martire Lorenzo seppe staccarsi da questo mondo, persino
dall'amato suo sacerdote, giacché egli disprezzò ogni cosa che gli apparisse cara
quaggiù. Egli giunse a sopportare con dolcezza che gli fosse tolto Sisto, sommo sacerdote
di Dio, che egli amava sopra ogni cosa. Per amore del Creatore egli, dunque, superò
l'amore verso un uomo; di fronte a un conforto umano preferì la volontà di Dio. Così
impara anche tu ad abbandonare, per amore di Dio, qualche intimo e caro amico; e non
sentire come cosa intollerabile se vieni abbandonato da un amico, ben sapendo che, alla
fine, tutti dobbiamo separarci, l'uno dall'altro. Grande e lunga è la lotta che l'uomo
deve fare dentro di sé, per riuscire a superare se stesso e a porre in Dio tutto il
proprio cuore. Colui che pretende di bastare a se stesso va molto facilmente alla ricerca
di consolazioni umane. Colui invece che ama veramente Cristo e segue volenterosamente la
via della virtù non scende a tali consolazioni: egli non cerca le dolcezze esteriori , ma
cerca piuttosto di sopportare grandi prove e dure fatiche per amore di Cristo.
Quando, dunque, Dio ti dà una consolazione spirituale, accoglila con
gratitudine. Ma comprendi bene che si tratta di un dono che ti viene da Dio, non di
qualcosa che risponda a un tuo merito. Per tale dono non devi gonfiarti o esaltarti, né
presumere vanamente di te; al contrario, per tale dono, devi farti più umile, più
prudente e più timorato in tutte le tue azioni, giacché passerà quel momento e verrà
poi la tentazione. Quando poi ti sarà tolta quella consolazione, non disperare
subitamente, ma aspetta con umiltà e pazienza di essere visitato dall'alto: Dio può
ridarti una consolazione più grande. Non è, questa, cosa nuova né strana, per coloro
che conoscono la via di Dio; questo alterno ritmo si ebbe frequentemente nei grandi santi
e negli antichi profeti. Ecco la ragione per la quale, mentre la grazia era presso di lui,
quello esclamava: "Nella pienezza dissi: così starò in eterno" (Sal 29,7);
poi, allontanatasi la grazia, avendo esperimentato la sua interiore condizione,
aggiungeva: "togliesti, o Dio, da me la tua faccia e sono pieno di tristezza"
(Sal 29,8). Tuttavia quegli frattanto non disperava, ma pregava Iddio più
insistentemente, dicendo: "A te, Signore, innalzerò la mia voce, innalzerò la mia
preghiera al mio Dio"(Sal 29,9). Ricavava alla fine il frutto della sua orazione, e
proclamava di essere stato esaudito, con queste parole: "Il Signore mi udì ed ebbe
misericordia di me; il Signore è venuto in mio soccorso" (Sal 29,11). Come?
"Mutasti - disse - il mio pianto in gioia, e mi circondasti di letizia" (Sal
29,12). Poiché così avvenne per i grandi santi, noi deboli e poveri, non dobbiamo
disperarci, se siamo ora ferventi, ora tiepidi; ché lo spirito viene e se ne parte, a suo
piacimento. E' per questo che il santo Giobbe diceva: "Lo visiti alla prima luce, ma
tosto lo metti alla prova" (Gb 7,18).
Su che cosa posso io fare affidamento, in chi posso io confidare? Soltanto
nella grande misericordia divina e nella speranza della grazia celeste. Persone amanti del
bene, che mi stiano vicine, devoti confratelli, amici fedeli, libri edificanti ed
eccellenti trattati, dolcezza di canti e di inni: anche se avessi tutte queste cose, poco
mi aiuterebbero e avrebbero per me ben poco sapore, quando io fossi abbandonato dalla
grazia e lasciato nella mia miseria. Allora, il rimedio più efficace sta nel saper
attendere con pazienza, sprofondandosi nella volontà di Dio. Non ho mai trovato un uomo
che avesse devozione e pietà tanto grandi da non sentire talvolta venir meno la grazia o
da non avvertire un affievolimento del suo fervore. Non ci fu mai un santo rapito così in
alto e così illuminato, da non subire, prima o poi, la tentazione. Infatti, chi non è
provato da qualche tribolazione non è degno di una profonda contemplazione di Dio. Ché
la tentazione di oggi è segno di una divina consolazione di domani; la quale viene,
appunto, promessa a coloro che sono stati provati dalla tentazione. A colui che avrà
vinto, dice, "concederò di mangiare dell'albero della vita" (Ap 2,7). In
effetti, la consolazione divina viene data affinché l'uomo sia più forte nel sostenere
le avversità; poi viene la tentazione, affinché egli non si insuperbisca di quello stato
di consolazione. Non dorme il diavolo, e la carne non è ancor morta. Perciò non devi
smettere mai di prepararti alla lotta, perché da ogni parte ci sono nemici, che non si
danno riposo.
Capitolo X
LA GRATITUDINE PER LA GRAZIA DIVINA
Perché vai cercando quiete, dal momento che sei nato per la tribolazione? Disponiti a
patire, più che ad essere consolato; a portare la croce, più che a ricevere gioia. Anche
tra coloro che vivono nel mondo, chi non sarebbe felice - se potesse ottenerli in ogni
momento - di non avere il conforto e la letizia dello spirito, poiché le gioie spirituali
superano tutti i piaceri mondani e le delizie materiali? Le delizie del mondo sono tutte
vuote o poco buone; mentre le delizie spirituali, esse soltanto, sono veramente piene di
gioia ed innocenti, frutto delle virtù e dono soprannaturale di Dio agli spiriti puri. In
verità però nessuno può godere a suo talento di queste divine consolazione, perché il
tempo della tentazione non dà lunga tregua. E poi una falsa libertà di spirito e una
eccessiva fiducia in se stessi sono di grande ostacolo a questa visita dall'alto. Dio ci
fa dono dandoci la consolazione della grazia; ma l'uomo risponde in modo riprovevole se
non attribuisce tutto a Dio con gratitudine. E così non possono fluire su di noi i doni
della grazia, perché non sentiamo gratitudine per colui dal quale essa proviene e non
riportiamo tutto alla sua fonte originaria. La grazia sarà sempre dovuta a chi è
giustamente grato; mentre al superbo sarà tolto quello che suole esser dato all'umile.
Non voglio una consolazione che mi tolga la compunzione del cuore; non desidero una
contemplazione che mi porti alla superbia. Ché non tutto ciò che è alto è santo; non
tutto ciò che è soave è buono; non tutti i desideri sono puri; non tutto ciò che è
caro è gradito a Dio. Invece, accolgo con gioia una grazia che mi faccia essere sempre
più umile e timorato, e che mi renda più pronto a lasciare me stesso. Colui che è stato
formato dal dono della grazia ed ammaestrato dalla dura sottrazione di essa, non oserà
mai attribuirsi un briciolo di bene; egli riconoscerà piuttosto di essere povero e nudo.
Da' a Dio ciò che è di Dio, e attribuisci a te ciò che è tuo: mostrati
riconoscente a Dio per la grazia , e a te attribuisci soltanto il peccato, cosciente di
meritare una pena per la colpa commessa. Mettiti al posto più basso, e ti sarà dato il
più alto; giacché la massima elevazione non si ha che con il massimo abbassamento. I
santi più alti agli occhi di Dio sono quelli che, ai propri occhi , sono i più bassi;
essi hanno una gloria tanto più grande quanto più si sono sentiti umili. Ripieni della
verità e della gloria celeste, non desiderano la vana gloria di questo mondo; basati
saldamente in Dio, non possono in alcun modo insuperbire. Essi, che attribuiscono a Dio
tutto quel che hanno ricevuto di bene, non vanno cercando di essere esaltati l'uno
dall'altro, ma vogliono invece quella gloria, che viene soltanto da Dio; aspirano e sono
tutti tesi a questo: che, in loro stessi e in tutti i beati, sia lodato Iddio sopra ogni
cosa. Sii dunque riconoscente anche per la più piccola cosa; così sarai degno di
ricevere doni più grandi. La cosa più piccola sia per te come la più grande; quello che
è più disprezzabile sia per te come un dono straordinario. Se si guarda all'altezza di
colui che lo dà, nessun dono sembrerà piccolo o troppo poco apprezzabile. Non è piccolo
infatti ciò che ci viene dato dal Dio eccelso. Anche se ci desse pene e tribolazioni,
tutto questo deve esserci gradito, perché il Signore opera sempre per la nostra salvezza,
qualunque cosa permetta che ci accada. Chi vuol conservare la grazia divina, sia
riconoscente quando gli viene concessa, e sappia sopportare quando gli viene tolta; preghi
perché essa ritorni, sia prudente ed umile affinché non abbia a perderla.
Capitolo XI
SCARSO E' IL NUMERO DI COLORO CHE AMANO LA CROCE DI GESU'
Oggi, di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova
di pronti a portare la sua croce. Trova molti desiderosi di consolazione, pochi desiderosi
della tribolazione, molti disposti a sedere a mensa, pochi disposti a digiunare. Tutti
desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire per Lui. Molti seguono Gesù fino alla
distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il calice della passione.
Molti guardano con venerazione ai suoi miracoli, pochi seguono l'ignominia della croce.
Molti amano Iddio fin tanto che non succedono avversità. Molti lo lodano e lo benedicono
soltanto mentre ricevono da lui qualche consolazione; ma, se Gesù si nasconde e li
abbandona per un poco, cadono in lamentazione e in grande abbattimento. Invece coloro che
amano Gesù per Gesù, non già per una qualche consolazione propria, lo benedicono nella
tribolazione e nella angustia del cuore, come nel maggior gaudio spirituale. E anche se
Gesù non volesse mai dare loro una consolazione, ugualmente vorrebbero sempre lodarlo e
ringraziarlo.
Oh!, quanta è la potenza di un amore schietto di Gesù, non commisto con
alcun interesse ed egoismo! Forse che non si debbono definire quali mercenari tutti quelli
che vanno sempre cercando consolazione? Forse che non si dimostrano più innamorati di sé
che di Cristo quelli che pensano sempre al proprio utile e al proprio vantaggio? Dove si
troverà uno che voglia servire Iddio senza ricompensa? E' difficile trovare chi sia
spiritualmente così alto da voler essere spogliato di ogni cosa. Invero, chi lo troverà
uno veramente povero nello spirito e distaccato da ogni creatura? Il suo pregio è come
quello di cose provenienti da lontano, dagli estremi confini della terra (Pro 31,10).
Anche se uno si spogliasse di tutte le sue sostanze (Ct 8,7), non è ancor nulla; anche se
facesse grande penitenza, è ancora poca cosa; anche se avesse appreso ogni scienza, egli
è ancora ben lungi dalla meta; anche se avesse grande virtù e fervente devozione, ancora
gli manca molto: cioè la sola cosa, che gli è massimamente necessaria. Che cosa dunque?
Che, abbandonato tutto, abbandoni anche se stesso, ed esca totalmente da sé, senza che
gli rimanga un briciolo di amore di sé; che, dopo aver compiuto tutto quello che
riconosce suo dovere, sia persuaso di non aver fatto niente; che non faccia gran conto di
ciò che pur possa sembrare grande, ma sinceramente si proclami servo inutile, come dice
la Verità stessa: "Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite:
siamo servi inutili" (Lc 17,10). Allora sì, che uno potrà essere davvero povero e
nudo spiritualmente, e dire col profeta: "Sono abbandonato e povero" (Sal
24,16). Ma nessuno è più ricco, nessuno più potente, nessuno più libero di costui, che
sa abbandonare se stesso e ogni cosa e porsi all'ultimo posto.
Capitolo XII
LA VIA MAESTRA DELLA SANTA CROCE
Per molti è questa una parola dura: rinnega te stesso, prendi la tua croce e segui
Gesù (Mt 16,24; Lc 9,23). Ma sarà molto più duro sentire, alla fine, questa parola:
"allontanatevi da me maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41). In verità coloro
che ora accolgono volonterosamente la parola della croce non avranno timore di sentire, in
quel momento, la condanna eterna. Ci sarà nel cielo questo segno della croce, quando il
Signore verrà a giudicare. In quel momento si avvicineranno, con grande fiducia, a Cristo
giudice tutti i servi della croce, quelli che in vita si conformarono al Crocefisso.
Perché, dunque, hai paura di prendere la croce, che è la via per il regno? Nella croce
è la salvezza; nella croce è la vita; nella croce è la difesa dal nemico; nella croce
è il dono soprannaturale delle dolcezze del cielo; nella croce sta la forza delle mente e
la letizia dello spirito; nella croce si assommano le virtù e si fa perfetta la santità.
Soltanto nella croce si ha la salvezza dell'anima e la speranza della vita eterna. Prendi,
dunque, la tua croce, e segui Gesù; così entrerai nella vita eterna. Ti ha preceduto lui
stesso, portando la sua croce (Gv 19,17) ed è morto in croce per te, affinché anche tu
portassi la tua croce, e desiderassi di essere anche tu crocefisso. Infatti, se sarai
morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza,
gli sarai compagni anche nella gloria.
Ecco, tutto dipende dalla croce, tutto è definito con la morte. La sola
strada che porti alla vita e alla vera pace interiore, è quella della santa croce e della
mortificazione quotidiana. Va' pure dove vuoi, cerca quel che ti piace, ma non troverai,
di qua o di là, una strada più alta e più sicura della via della santa croce.
Predisponi pure ed ordina ogni cosa, secondo il tuo piacimento e il tuo gusto; ma altro
non troverai che dover sopportare qualcosa, o di buona o di cattiva voglia troverai cioè
sempre la tua croce. Infatti, o sentirai qualche dolore nel corpo o soffrirai nell'anima
qualche tribolazione interiore. Talvolta sarà Dio ad abbandonarti, talaltra sarà il
prossimo a metterti a dura prova; di più, frequentemente, sarai tu di peso a te stesso. E
non potrai trovare conforto e sollievo in alcuno modo; ma dovrai sopportare tutto ciò
fino a che a Dio piacerà. Dio, infatti, vuole che tu impari a soffrire tribolazioni senza
consolazione, e che ti sottometta interamente a lui, facendoti più umile per mezzo della
sofferenza. Nessuno sente così profondamente la passione di Cristo, come colui al quale
sia toccato di soffrire cose simili. La croce è, dunque, sempre pronta e ti aspetta
dappertutto; dovunque tu corra non puoi sfuggirla, poiché, in qualsiasi luogo tu giunga,
porti e trovi sempre te stesso. Volgiti verso l'alto o verso il basso, volgiti fuori o
dentro di te, in ogni cosa troverai la croce. In ogni cosa devi saper soffrire, se vuoi
avere la pace interiore e meritare il premio eterno.
Se porti la croce di buon animo, sarà essa a portarti e a condurti alla meta
desiderata, dove ogni patimento avrà quella fine che quaggiù non può aversi in alcun
modo. Se invece la croce tu la porti contro voglia, essa ti peserà; aggraverai te stesso,
e tuttavia la dovrai portare, Se scansi una croce, ne troverai senza dubbio un'altra, e
forse più grave. Credi forse di poter sfuggire a ciò che nessun mortale poté mai
evitare? Quale santo stesse mai in questo mondo senza croce e senza tribolazione? Neppure
Gesù Cristo, nostro signore, durante la sua vita, passò una sola ora senza il dolere
della passione. "Era necessario - diceva - che il Cristo patisse, e risorgesse da
morte per entrare nella sua gloria" (Lc 24,26 e 46). E perché mai tu vai cercando
una via diversa da questa via maestra, che è quella della santa croce? Tutta la vita di
Cristo fu croce e martirio e tu cerchi per te riposo e gioia? Sbagli, sbagli se cerchi
qualcosa d'altro, che non sia il patire tribolazioni; perché tutta questa vita mortale è
piena di miseria e segnata tutt'intorno da croci. Spesso, quanto più uno sarà salito in
alto progredendo spiritualmente, tanto più pesanti saranno le croci che troverà,
giacché la sofferenza del suo esilio su questa terra aumenta insieme con l'amore di Dio.
Tuttavia, costui, in mezzo a tante afflizioni, non manca di consolante
sollievo, giacché, sopportando la sua croce, sente crescere in sé un frutto grandissimo;
mentre si sottopone alla croce volontariamente, tutto il peso della tribolazione si
trasforma in sicura fiducia di conforto divino. Quanto più la carne è prostrata da
qualche afflizione, tanto più lo spirito si rafforza per la grazia interiore. Anzi,
talvolta, per amore di conformarsi alla croce di Cristo, uno si rafforza talmente, nel
desiderare tribolazioni e avversità, da non voler essere privato del dolore e
dell'afflizione giacché si sente tanto più accetto a Dio quanto più numerosi e gravosi
sono i mali che può sopportare Cristo. Non che ciò avvenga per forza umana, ma per la
grazia di Cristo; la quale tanto può e tanto fa, nella nostra fragile carne, da farle
affrontare ed amare con fervore di spirito ciò che, per natura, essa fugge e abortisce.
Non è secondo la natura umana portare e amare la croce, castigare il corpo e ridurlo in
schiavitù, fuggire gli onori, sopportare lietamente le ingiurie, disprezzare se stesso e
desiderare di essere disprezzato; infine, soffrire avversità e patimenti, senza
desiderare, in alcun modo, che le cose vadano bene quaggiù. Se guardi alle tue forze, non
potresti far nulla di tutto questo. Ma se poni la tua fiducia in Dio, ti verrà forza dal
cielo, e saranno sottomessi al tuo comando il mondo e la carne. E neppure avrai a temere
il diavolo nemico, se sarai armato di fede e porterai per insegna la croce di Cristo.
Disponiti dunque, da valoroso e fedele servo di Cristo, a portare virilmente la croce del
tuo Signore, crocefisso per amor tuo. Preparati a dover sopportare molte avversità e
molti inconvenienti, in questa misera vita. Così sarà infatti per te, dovunque tu sia;
questo, in realtà, troverai, dovunque tu ti nasconda. Ed è una necessità che le cose
stiano così. Non c'è rimedio o scappatoia dalla tribolazione, dal male o dal dolore,
fuor di questo, che tu li sopporti. Se vuoi essere amico del Signore ed essergli compagno,
bevi avidamente il suo calice. Quanto alle consolazioni, rimettiti a Dio: faccia lui, con
queste, come meglio gli piacerà. Ma, da parte tua, disponiti a sopportare le
tribolazioni, considerandole come le consolazioni più grandi; giacché "i patimenti
di questa nostra vita terrena", anche se tu li dovessi, da solo, sopportare tutti,
"non sono nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18).
Quando sarai giunto a questo punto, che la sofferenza ti sia dolce e saporosa
per amore di Cristo, allora potrai dire di essere a posto, perché avrai trovato un
paradiso in terra. Invece, fino a che il patire ti sia gravoso e tu cerchi di fuggirlo,
non sarai a posto: ti terrà dietro dappertutto la serie delle tribolazioni. Ma le cose
poi andranno subito meglio, e troverai pace, se ti sottoporrai a ciò che è inevitabile,
e cioè a patire e a morire. Anche se tu fossi innalzato fino al terzo cielo, come Paolo,
non saresti affatto sicuro, con ciò, di non dover sopportare alcuna contrarietà.
"Io gli mostrerò - dice Gesù - quante cose egli debba patire per il mio nomo"
(At 9,16). Dunque, se vuoi davvero amare il Signore e servirlo per sempre, soltanto il
patire ti rimane. E magari tu fossi degno di soffrire qualcosa per il nome di Gesù! Quale
grande gloria ne trarresti; quale esultanza ne avrebbero i santi; e quanto edificazione ne
riceverebbero tutti! Saper patire è cosa che tutti esaltano a parole; sono pochi però
quelli che vogliono patire davvero. Giustamente dovresti preferire di patire un poco per
Cristo, dal momento che molti sopportano cose più gravose per il mondo.
Sappi per certo di dover condurre una vita che muore; sappi che si progredisce
nella vita in Dio quanto più si muore a se stessi. Nessuno infatti può comprendere le
cose del cielo, se non si adatta a sopportare le avversità per Cristo. Nulla è più
gradito a Dio, nulla è più utile per te, in questo mondo, che soffrire lietamente per
Cristo. E se ti fosse dato di scegliere, dovresti preferire di sopportare le avversità
per amore di Cristo, piuttosto che essere allietato da molte consolazioni; giacché
saresti più simile a Cristo e più conforme a tutti i santi. Infatti, il nostro merito e
il progresso della nostra condizione non consistono nelle frequenti soavi consolazioni, ma
piuttosto nelle pesanti difficoltà e nelle tribolazioni da sopportare. Ché, se ci fosse
qualcosa di meglio e di più utile per la salvezza degli uomini, Cristo ce lo avrebbe
certamente indicato, con la parola e con l'esempio. Invece egli esortò apertamente i
discepoli che stavano con lui, e tutti coloro che desideravano mettersi al suo seguito,
dicendo: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e
mi segua" (Mt 16,24; Lc 9,23). Dunque, la conclusione finale, attentamente lette e
meditate tutte queste cose, sia questa, "che per entrare nel regno di Dio, occorre
passare attraverso molte tribolazioni" (At 14,22).
FINISCONO LE ESORTAZIONI CHE CI INDUCONO ALL'INTERIORITA'.
Libro III
INCOMINCIA IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE
Capitolo I
CRISTO PARLA INTERIORMENTE ALL'ANIMA FEDELE
"Darò ascolto a quello che stia per dire dentro di me il Signore" (Sal 84,9).
Beata l'anima che ascolta il Signore che le parla dentro, e accoglie dalla sua bocca la
parola di consolazione. Beate le orecchie che colgono la preziosa e discreta voce di Dio,
e non tengono alcun conto dei discorsi di questo mondo. Veramente beate le orecchie che
danno retta, non alla voce che risuona dal di fuori, ma alla verità, che ammaestra dal di
dentro. Beati gli occhi, che, chiusi alle cose esteriori, sono attenti alle interiori.
Beati coloro che sanno penetrare ciò che è interiore e si preoccupano di prepararsi
sempre più, con sforzo quotidiano, a comprendere le cose arcane del cielo. Beati coloro
che bramano di dedicarsi a Dio, sciogliendosi da ogni impaccio temporale.
Comprendi tutto ciò, anima mia, e chiudi la porta dei sensi, affinché tu
possa udire quello che ti dice interiormente Iddio, tuo signore. Questo dice il tuo
diletto: "Io sono la tua salvezza" (Sal 34,3), la tua pace, la tua vita; stai
accanto a me e troverai la pace; lascia tutte le cose che passano, cerca le cose eterne.
Che altro sono le cose corporali, se non illusioni? E a che gioveranno tutte le creature,
se sarai abbandonata dal Creatore? Oh, anima mia, rinuncia a tutto e fatti cara e fedele
al tuo Creatore, così da poter raggiungere la vera beatitudine.
Capitolo II
SI FA SENTIRE DENTRO DI NOI SENZA ALTISONANTI PAROLE
"Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). "Io sono il tuo
servo; dammi luce per apprezzare quello che tu proclami" (Sal 118,125). Disponi il
mio cuore alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda come rugiada. Dissero una
volta a Mosè i figli di Israele: "Parlaci tu, e potremo ascoltarti; non ci parli il
Signore, affinché non avvenga che ne moriamo" (Es 20,19). Non così, la mia
preghiera, o Signore. Piuttosto, con il profeta Samuele, in umiltà e pienezza di
desiderio, io ti chiedo ardentemente: "Parla, o Signore, il tuo servo ti
ascolta" (1 Sam 3,10). Non mi parli Mosè o qualche altro profeta; parlami invece tu,
Signore Dio, che ispiri e dai luce a tutti i profeti: tu solo, senza di loro, mi puoi
ammaestrare pienamente; quelli, invece, senza di te, non gioverebbero a nulla. Possono, è
vero, far risuonare parole, ma non danno lo spirito; parlano bene, ma, se tu non
intervieni, non accendono il cuore; lasciano degli scritti, ma sei tu che ne mostri il
significato; presentano i misteri, ma sei tu che sveli il senso di ciò che sta dietro al
simbolo; emettono ordini, ma sei tu che aiuti ad eseguirli; indicano la strada , ma sei tu
che aiuti a percorrerla. Essi operano solamente all'esterno, ma tu prepari ed illumini i
cuori; essi irrigano superficialmente, ma tu rendi fecondi; essi fanno risuonare delle
parole, ma sei tu che aggiungi all'ascolto il potere di comprendere.
Non mi parli dunque Mosè; parlami tu, Signore mio Dio, verità eterna,
affinché, se ammonito solo esteriormente e privo di fuoco interiore, io non resti senza
vita e non mi isterilisca; affinché non mi sia di condanna la parola udita non tradotta
in pratica, conosciuta ma non amata, creduta ma non osservata. "Parla, dunque, o
Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10): "tu hai infatti parole di vita
eterna" (Gv 6,69). Parlami, affinché scenda un po' di consolazione all'anima mia, e
tutta la mia vita sia purificata. E a te sia lode e onore perpetuo.
Capitolo III
DARE UMILE ASCOLTO ALLA PAROLA DI DIO, DA MOLTI NON MEDITATA A DOVERE
Ascolta, figlio, le mie parole; parole dolcissime, più alte di tutta la dottrina dei
filosofi e dei sapienti di questo mondo. "Le mie parole sono spirito e vita" (Gv
6,63), e non vanno valutate secondo l'umano sentire. Non si debbono convertire in vano
compiacimento; ma si debbono ascoltare nel silenzio, accogliendole con tutta umiltà e con
grande amore. E dissi: "Beato colui che sarà stato formato da te, o Signore, e da te
istruito intorno alla legge, così che gli siano alleviati i giorni del dolore" ed
egli non sia desolato su questa terra (Sal 93,12s). Io, dice il Signore, fin dall'inizio
ammaestrai i profeti, e ancora non manco di parlare a tutti. Ma molti sono sordi e duri
alla mia voce. Numerosi sono coloro che ascoltano più volentieri il mondo che Dio, e
seguono più facilmente i desideri della carne che la volontà di Dio. Il mondo promette
cose da poco e che durano ben poco; eppure ci si fa schiavi del mondo, con grande smania.
Io prometto cose grandissime ed eterne; eppure il cuore degli uomini resta torbido. Chi
mai mi obbedisce e mi serve con tanto zelo, come si serve al mondo a ai suoi padroni?
"Arrossisci, o Signore, così dice il mare" (Is 23,4). E se vuoi sapere il
perché, ascolta. Per uno scarso vantaggio si percorre un lungo cammino; ma. Per la vita
eterna, molti a stento alzano da terra un piede. Si corre dietro ad un modesto guadagno;
talora, per un soldo, si litiga vergognosamente; per una cosa da nulla e dietro una
piccola speranza non si esita a faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per un bene
che non viene meno, per un premio inestimabile, per l'onore più grande e la gloria che
non ha fine, si stenta a faticare anche un poco.
Arrossisci, dunque, servo pigro e lamentoso; ché certuni sono più pronti ad
andare alla perdizione di quanto non sia pronto tu ad andare alla vita: trovano essi più
gioia in cose false di quanta ne trovi tu nella verità. Eppure essi sono ben spesso
traditi dalla loro speranza, mentre la mia promessa non delude nessuno, né lascia a mani
vuote colui che confida in me. Quel che ho promesso, darò; quel che ho detto adempirò,
purché uno sia rimasto costante, sino alla fine, nel mio amore. Io sono colui che
compenserà tutti i buoni e metterà severamente alla prova tutte le persone devote.
Scrivi le mie parole nel tuo cuore e meditale attentamente; ti saranno molto utili
nell'ora della tentazione. Quello che non avrai capito alla prima lettura, lo comprenderai
nel giorno in cui io verrò a te. Due sono i modi con i quali io visito i miei eletti; la
tentazione e la consolazione. Due sono le lezioni che io do loro ogni giorno; una,
rimproverando i loro vizi, l'altra, esortandoli a rafforzare le loro virtù. Colui che,
avendo ricevuto "le mie parole, le disprezza, avrà chi lo giudica". Nell'ultimo
giorno (Gv 12,48).
Preghiera per chiedere la grazia della devozione.
Signore mio Dio, tu sei tutto il mio bene. E io, chi sono per osare di rivolgermi a te?
Sono il tuo miserabile piccolo servo, un abietto vermiciattolo, molto più misero e
disprezzabile di quanto io stesso non capisca e non osi confessare. Tuttavia, Signore,
ricordati di me, che sono un nulla, nulla ho e nulla valgo. Tu solo sei buono, giusto e
santo; tutto puoi e ogni cosa viene da te; tutto tu colmi, soltanto il peccatore tu lasci
a mani vuote. Ricordati della tua misericordia (Sal 24,6) e riempi il mio cuore con la tua
grazia; tu, che non permetti che resti vana la tua opera. Come potrò sopportare me
stesso, in questa misera vita, se tu non mi conforterai con la tua pietà e con la grazia?
Non distogliere da me la tua faccia, non tardare con la tua visita, non farmi mancare la
tua grazia, affinché l'anima mia non divenga per te come una terra arida (Sal 142,6).
Signore, insegnami a fare la tua volontà (Sal 142,10); insegnami a stare degnamente e
umilmente accanto a te. Tutto tu sai di me, poiché mi conosci nell'intimo; anzi mi
conoscevi prima che il mondo esistesse, prima che io fossi nato.
Capitolo IV
INTIMAMENTE UNITI A DIO, IN SPIRITO DI VERITA' E DI UMILTA'
Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di verità, e cercami sempre con
semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me in spirito di verità sarà protetto dagli
assalti malvagi; la verità lo farà libero da quelli che cercano di sedurlo e dai
perversi, con le loro parole infamanti. Se ti farà libero la verità, sarai libero
veramente e non terrai in alcun conto le vane parole degli uomini. E' vero, o Signore: ti
prego, così mi avvenga, come tu dici. Mi sia maestra la tua verità; mi custodisca e mi
conduca alla meta di salvezza; mi liberi da effetti e da amori perversi, contrari alla
divina volontà. Allora camminerò con te, con grande libertà di spirito.
Io ti insegnerò, dice la Verità, ciò che è retto e mi è gradito. Ripensa
con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e non credere mai di valere qualcosa, per opere
buone che tu abbia compiuto. In realtà sei un peccatore, irretito da molte passioni e
schiavo di esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi e sei vinto; subitamente vieni
sconvolto e dissolto. Non hai nulla di che ti possa vantare; hai molto, invece, di che ti
debba umiliare, giacché sei più debole assi di quanto tu possa capire. Di tutto quello
che fai, niente ti sembri grande, prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole di
stima. Alto, lodevole e desiderabile davvero ti sembri soltanto ciò che è eterno. Più
di ogni altra cosa, ti sia cara la verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua estrema
pochezza. Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i tuoi vizi e i tuoi peccati;
cose che ti debbono affliggere più di ogni danno materiale.
Ci sono persone che camminano al mio cospetto con animo non puro: persone che
- dimentiche di se stesse e della propria salvezza, e mosse da una certa curiosità e
superbia - vorrebbero conoscere i miei segreti, e comprendere gli alti disegni di Dio.
Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in grandi peccati per quella loro superbia e
curiosità, che io ho in odio. Mantieni una religiosa riverenza dinanzi al giudizio
divino, dinanzi allo sdegno dell'Onnipotente. Non volere, dunque, sondare l'operato
dell'Altissimo. Esamina invece le tue iniquità: in quante cose hai errato e quante cose
buone hai tralasciato. Ci sono alcuni che fanno consistere la loro pietà soltanto nelle
letture, nelle immagini sacre e nelle raffigurazioni esteriori e simboliche; altri mi
hanno sulla bocca, ma poco c'è nel loro cuore. Ci sono invece altri che, illuminati nella
mente e puri nei loro affetti, anelando continuamente alle cose eterne, provano fastidio a
sentir parlare di cose terrene e soffrono ad assoggettarsi a ciò che la natura impone.
Sono questi che ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo spirito di verità. Il quale
li ammaestra a disprezzare le cose di questa terra e ad amare quelle del cielo; ad
abbandonare il mondo e ad aspirare, giorno e notte, al cielo.
Capitolo V
MIRABILI EFFETTI DELL'AMORE VERSO DIO
Ti benedico, o Padre celeste, padre del mio Signore Gesù Cristo, perché ti sei degnato
di ricordarti della mia miseria. Ti ringrazio, o Padre delle misericordie, Dio di ogni
consolazione (2Cor 1,3), che, con il tuo conforto, talora mi ritempri, quantunque io ne
sia totalmente indegno. In ogni momento ti benedico e do gloria a te, con l'unigenito tuo
Figlio e con lo Spirito Santo Paraclito, per tutti i secoli. Oh!, mio Signore, che sei
santo e mi ami, come esulteranno tutte le mie viscere, quando verrai nel mio cuore!
"In te è la mia gloria, la gioia del mio cuore, la mia speranza e il mio rifugio nel
giorno della tribolazione" (Sal 3,4; 118; 111; 58,17). Poiché, però, il mio amore
per te è ancora fiacco, e deboli sono le mie forze, ho bisogno del tuo aiuto e del tuo
conforto. Vieni a me, dunque, il più spesso, e istruiscimi nella via della santità;
liberami dalle passioni malvage e risana il mio cuore da tutti gli affetti sregolati,
cosicché, interiormente risanato e del tutto purificato, io diventi pronto nell'amarti,
forte nel patire, fermo nel perseverare.
Grande cosa è l'amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende
leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta il peso,
senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore di Gesù spinge ad
operare grandi cose e suscita desideri di sempre maggiore perfezione. L'amore aspira a
salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Esige di essere libero e
staccato da ogni affetto umano, cosicché non abbia ostacoli a scrutare nell'intimo, non
subisca impacci per interessi temporali, non sia sopraffatto da alcuna difficoltà. Niente
è più dolce dell'amore; niente è più forte, più alto o più grande: niente, né in
cielo né in terra, è più colmo di gioia, più completo o più buono: perché l'amore
nasce da Dio e soltanto in Dio, al di sopra di tutte le cose create, può trovare riposo.
Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il
tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell'uno supremo, dal
quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato,
ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona. Spesso l'amore non consce misura, in un
fervore che oltrepassa ogni confine. L'amore non sente gravezza, non tiene conto della
fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua
insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile. Colui che ama
può fare ogni cosa, e molte cose compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama
viene meno e cade. L'amore vigila; anche nel sonno, non s'abbandona; affaticato, non è
prostrato; legato, non si lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe verso l'alto
e procede sicuro, come fiamma viva, come fiaccola ardente.
Questo mio grido l'intende appieno colui che possiede amore. Un grande grido
agli orecchi di Dio è lo slancio stesso ardente dell'anima, che esclama: Dio mio, mio
amore, tu sei interamente mio ed io sono interamente tua. Accrescimi nell'amore, affinché
io impari a gustare nell'intimo quanto l'amore è soave; impari a sciogliermi nell'amore e
ad immergermi in esso. Che io sia tutto preso dall'amore, che mi elevi sopra me stesso, in
estasi appassionata, che io canti il canto dell'amore e che mi innalzi con te, o mio
diletto; venga meno, nel lodarti, l'anima mia, nella gioia dell'amore. Che io ti ami più
che me stesso, e me stesso soltanto per te; che in te io ami tutti coloro che ti amano
veramente, come comanda la legge dell'amore, luce che da te proviene.
L'amore è sollecito, sincero e devoto; lieto e sereno; forte e paziente;
fedele e prudente; longanime; virile e sempre dimentico di sé: ché, se uno cerca se
stesso, esce fuori dall'amore. L'amore è attento, umile e sicuro; non fiacco, non
leggero, né intento a cose vuote; sobrio, casto, costante, quieto e vigilante nei sensi.
L'amore è sottomesso, basso e disprezzato ai suoi propri occhi; devoto e grato a Dio. In
Dio confida e spera sempre, anche quando non lo sente vicino, perché non si vive
nell'amore senza dolore. Colui che non è pronto a soffrire ogni cosa e ad ubbidire al suo
Diletto, non è degno di essere chiamato uomo d'amore; questi deve abbracciare con slancio
tutte le avversità e le amarezze per il suo Diletto, senza da ciò deflettere, qualsiasi
evidenza si frapponga.
Capitolo VI
CHI HA VERO AMORE, COME NE DA' PROVA
Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore. Perché, o Signore? Perché, per una
piccola contrarietà lasci la strada intrapresa e troppo avidamente cerchi consolazione.
Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede alla suadente furbizia del
nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così gli sono caro nelle avversità. Chi è
saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona.
Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona
amata. Chi è nobile nell'amore non si appaga nel dono, ma si appaga in me, al di sopra di
qualunque dono. Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai l'animo meno ben
disposto di quanto vorresti, non per questo tutto è perduto. Quell'amore che talora
senti, buono e dolce, è effetto della grazia presente in te; è, per così dire, un primo
assaggio della patria celeste. Ma è cosa su cui non bisogna fare troppo conto, perché
non è ferma e costante.
Segno di virtù e di grande merito, è questo: lottare quando si affacciano cattivi
impulsi dell'animo, e disprezzare le suggestioni del diavolo. Dunque non lasciarti turbare
da alcun pensiero che ti venga dal di fuori, di qualsivoglia natura. Saldamente mantieni,
invece, i tuoi propositi, con l'animo diretto a Dio. Non è una vana illusione che,
talvolta, tu sia d'un tratto portato fino all'estremo rapimento, per poi ritornare subito
alle consuete manchevolezze spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma le subisci
contro tua voglia. Anzi, fino a che tali manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti,
questo è cosa meritoria, non già rovinosa per l'anima. Sappi che l'antico avversario
tenta in ogni modo di ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti da qualsiasi
esercizio di devozione; distogliendoti, cioè dal culto dei santi, dal pio ricordo della
mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi peccati, dalla vigilanza del tuo cuore; infine
dal fermo proponimento di progredire nella virtù. L'antico avversario insinua molti
pensieri perversi, per molestarti e spaventarti, per distoglierti dalla preghiera e dalle
sante letture. Lo disgusta che uno umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe disertare
dalla comunione. Non credergli, non badargli, anche se ti avrà teso sovente i lacci
dell'inganno. Ascrivile a lui, quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli: vattene,
spirito impuro; arrossisci, miserabile. Veramente immondo sei tu, che fai entrare nei miei
orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido ingannatore; non avrai alcun posto in me:
presso di me starà Gesù, come un combattente valoroso; e tu sarai svergognato.
Preferisco morire e patire qualsiasi pena, piuttosto che cedere a te. Taci, ammutolisci;
non ti ascolterò più, per quante insidie tu mi possa tendere. "Il Signore è per me
luce e salvezza; di chi avrò paura? (Sal 26,1). Anche se fossero eretti contro di me
interi accampamenti, il mio cuore non vacillerà (Sal 26,3). Il Signore è il mio alleato
e il mio redentore" (Sal 18,15).
Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta cadi per la tua debolezza, riprendi
forza maggiore, fiducioso in una mia grazia più grande, guardandoti però attentamente
dalla vana compiacenza e dalla superbia: è a causa di esse che molti vengono indotti in
inganno, cadendo talora in una cecità pressoché incurabile. E' questa rovina degli
uomini superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve indurre a prudenza e ad indefettibile
umiltà.
Capitolo VII
PROTEGGERE LA GRAZIA SOTTO LA SALVAGUARDIA DELL'UMILTA'
O figlio, è per te cosa assai utile e sicura tenere nascosta la grazia della devozione;
non insuperbirne, non continuare a parlarne e neppure a ripensarci molto. Disprezza,
invece, temendo questa grazia come data a uno che non ne era degno. Non devi attaccarti
troppo forte a un tale slancio devoto, che subitamente può trasformarsi in un sentimento
contrario. Nel tempo della grazia ripensa a quanto, di solito, sei misero e povero senza
la grazia. Un progresso nella vita spirituale non lo avrai raggiunto quando avrai avuto la
grazia della consolazione, ma quando, con umiltà, abnegazione e pazienza, avrai saputo
sopportare che essa ti sia tolta. Cosicché, neppure allora, tu sia pigro nell'amore alla
preghiera o lasci cadere del tutto le abituali opere di pietà; anzi, tu faccia
volenterosamente tutto quanto è in te, come meglio potrai e saprai, senza lasciarti
andare del tutto a causa dell'aridità e dell'ansietà spirituale che senti.
Molti, non appena accade qualcosa di male, si fanno tosto impazienti e perdono la buona
volontà. Ma le vie dell'uomo non dipendono sempre da lui. E' Dio che può dare e
consolare, quando vuole e quanto vuole e a chi egli vuole; nella misura che gli piacerà e
non di più. Molti, poi, fattisi arditi per il fatto che sentivano la grazia della
devozione, procurarono la loro rovina: essi vollero fare di più di quanto era nelle loro
possibilità, non considerando la propria pochezza e seguendo l'impulso del cuore
piuttosto che il giudizio della ragione. Presunsero di poter fare più di quello che era
nella volontà di Dio; perciò d'un tratto persero la grazia. Essi, che avevano posto il
loro nido nel cielo, restarono a mani vuote, abbandonati alla loro miseria; cosicché,
umiliati e spogliati, imparassero, a non volare con le loro ali, ma a star sotto le mie
ali, nella speranza. Coloro che sono ancora novellini e inesperti nella via del Signore
facilmente si ingannano e cadono, se non si attaccano al consiglio di persone elette. E se
vogliono seguire quello che loro sembra giusto, anziché affidarsi ad altri più esperti,
finiranno male, a meno che non vogliano ritrarsi dal proprio interno. Coloro che si
credono sapienti di per sé, di rado si lasciano umilmente guidare da altri. Sennonché
uno scarso sapere e una modesta capacità di comprendere, accompagnati dall'umiltà,
valgono di più di un gran tesoro di scienza, accompagnato dal vuoto compiacimento di sé.
E' meglio per te avere poco, piuttosto che molto; del molto potresti insuperbire.
Non agisce con sufficiente saggezza colui che, avendo la grazia, si dà interamente alla
gioia, senza pensare alla sua miseria di prima e alla purezza che si deve aver nel timore
di Dio; timore cioè di perdere quella grazia che gli era stata data. Così non dimostra
di avere sufficiente virtù colui che, al momento dell'avversità o in altra circostanza
che lo opprima, si dispera eccessivamente e concepisce, nei confronti, pensieri e
sentimenti di fiducia meno piena di quanto mi si dovrebbe. Al momento della lotta, si
troverà spesso estremamente abbattuto e pieno di paura proprio colui che, in tempo di
quiete, avrà voluto essere troppo sicuro. Se tu, invece, riuscissi a restare umile e
piccolo in te stesso, e a ben governare e dirigere il tuo spirito non cadresti così
facilmente nel pericolo e nel peccato. Un buon consiglio è questo, che, quando hai
nell'animo uno speciale ardore spirituale, tu consideri bene quello che potrà accadere se
verrà meno tale luce interiore. Quando poi ciò accadesse, pensa che poi di nuovo possa
tornare quella luce che per un certo tempo ti ha tolta, per tua sicurezza e per la mia
gloria. Infatti, subire una simile prova è spesso a te più utile che godere stabilmente
di una situazione tranquilla, secondo il tuo piacere. In verità i meriti non si valutano
secondo questo criterio, che uno abbia frequenti visioni, o riceva particolari gioie
interiori, o sia posto in un grado più alto. Ma piuttosto secondo questo criterio, che
uno sia radicato nella vera umiltà e ripieno dell'amore divino; che ricerchi sempre
soltanto e interamente di rendere gloria a Dio; che consideri se stesso un nulla; che si
disprezzi veramente e preferisca perfino essere disprezzato ed umiliato dagli altri,
anziché essere onorato.
Capitolo VIII
LA BASSA OPINIONE DI SE' AGLI OCCHI DI DIO
"Che io osi parlare al mio Signore, pure essendo polvere e cenere" (Gn 18,27).
Se avrò tenuto troppo grande opinione di me, ecco tu mi starai dinanzi e le mie iniquità
daranno testimonianza del vero, contro di me; né potrò controbattere. Se invece mi sarò
considerato cosa da poco - riducendomi a un nulla, liberandomi da ogni reputazione di me
stesso, facendomi polvere, quale sono - la tua grazia mi sarà propizia e la tua luce
sarà vicina al mio cuore. Così ogni stima, anche minima, svanirà per sempre, sommersa
nell'abisso della mia umiltà. In tal modo, o Dio, tu mi mostri a me stesso: che cosa sono
e che cosa fui, a che giunsi. Sono un nulla ì, e neppure me ne rendo conto. Lasciato a me
stesso, ecco il nulla; tutto è manchevolezza. Se, invece, d'un tratto, tu guardi me,
immediatamente divento forte e pieno di nuova gioia. Ed è così veramente meravigliosa
questo sentirmi così improvvisamente sollevato, e così amorosamente abbracciato da te;
ché, per la mia gravezza, sono portato sempre al basso. E' opera, questa, del tuo amore:
senza mio merito esso mi viene incontro, mi aiuta in tante mie varie necessità, mi mette
al riparo da ogni grave pericolo e mi strappa da mali veramente innumerevoli.
Mi ero perduto, amandomi di un amore davvero non retto; invece, cercando
soltanto te, e con retto amore, ho travato, ad un tempo, e me stesso e te. Per tale amore
mi sono sprofondato ancor di più nel mio nulla; perché sei tu, che, nella tua grande
bontà, vai, nei mie confronti, al di là di ogni merito, e al di là di quello che io oso
sperare e chiedere. Sii benedetto, o mio Dio, perché, quantunque io non sia degno di
alcun dono, la tua magnanimità e la tua infinita bontà non cessano di largire benefici
anche agli ingrati, che si sono allontanati da te. Portaci di nuovo a te, affinché siamo
pieni di gratitudine, di umiltà e di devozione. Tu sei infatti il nostro sostegno, la
nostra forza, la nostra salvezza.
Capitolo IX
RIFERIRE TUTTO A DIO, ULTIMO FINE
O figlio, se veramente desideri farti santo, devo essere io il tuo supremo ed ultimo
fine: un fine che renderà puri i tuoi affetti, troppo spesso piegati verso te stesso e
verso le creature; ed è male giacché, quando in qualche cosa cerchi te stesso,
immediatamente vieni meno ed inaridisci. Tutto devi dunque ricondurre, in primo luogo, a
me; perché tutto da me proviene. Considera ogni cosa come emanata dal sommo bene, e
perciò riferisci tutto a me, come alla sua origine. Acqua viva attingono a me, come a
fonte viva, l'umile e il grande, il povero e il ricco. Colui che si mette al mio servizio,
con spontaneità e libertà di spirito, riceverà grazia. Invece colui che cerca onore e
gloria, non in me, ma altrove; colui che cerca diletto in ogni bene particolare non godrà
di quella gioia vera e duratura che allarga il cuore. Anzi incontrerà molti ostacoli ed
angustie.
Nulla di ciò che è buono devi ascrivere a te; nessuna capacità, devi
attribuire ad un mortale. Riconosci, invece, che tutto è di Dio, senza del quale nulla ha
l'uomo. Tutto è stato dato da me, tutto voglio riavere; e chiedo con forza che l'uomo me
ne sia grato. E' questa la verità, che mette in fuga ogni inconsistente vanteria. Quando
verranno la grazia celeste e il vero amore, allora scompariranno l'invidia e la grettezza
del cuore; perché l'amore di Dio vince ogni cosa e irrobustisce le forze dell'anima. Se
vuoi essere saggio, poni la tua gioia e la tua speranza soltanto in me. Infatti
"nessuno è buono; buono è soltanto Iddio" (Lc 18,19). Sia egli lodato, al di
sopra di ogni cosa; e sia in ogni cosa benedetto.
Capitolo X
DOLCE COSA, ABBANDONARE IL MONDO E SERVIRE A DIO
Parlerò ancora, e non tacerò; dirò all'orecchio del mio Dio, mio signore e mio re,
che sta nei cieli: se "è tanto grande e sovrabbondante, o Signore, la dolcezza che
hai preparato per coloro che ti temono" (Sal 30,20), che cosa sei tu, per coloro che
ti amano e per coloro che ti servono con tutto il cuore? Davvero ineffabile è la dolcezza
della tua contemplazione, che tu concedi a coloro che ti amano. Ecco dove massimamente
mostrasti la soavità del tuo amore per me: non ero, e mi hai creato; mi ero allontanato
da te, e tu mi hai ricondotto a servirti; infine mi hai comandato di amarti. Oh!, fonte di
eterno amore, che potrò dire di te; come mi potrò dimenticare di te, che ti sei degnato
di ricordarti di me, dopo che mi ero perduto nel marciume? Hai usato misericordia con il
tuo servo, al di là di ogni speranza; gli hai offerto grazia ed amicizia, al di là di
ogni merito. Che cosa mai potrò dare in cambio di un tal beneficio? Giacché non a tutti
è concesso di abbandonare ogni cosa, di rinunciare al mondo e di scegliere la vita del
monastero.
E' forse gran cosa che io serva a te, al quale ogni creatura deve servire? Non
già il servirti mi deve sembrare gran cosa; piuttosto mi deve sembrare grande e
meraviglioso che tu, unendolo ad eletti tuoi servi, ti degni di accogliere quale servo,
uno come me, così misero e privo di meriti. A te appartiene chiaramente tutto ciò che io
posseggo e con cui ti servo. E invece sei tu che mi servi, più di quanto io non serva te.
Ecco, tutto fanno prontamente, secondo il tuo comando, il cielo e la terra, che tu hai
creati per servizio dell'uomo. E questo è ancor poco; ché anche gli angeli li hai
predisposti per servizio dell'uomo. Ma, al di sopra di tutto ciò, sta il fatto che tu
stesso ti sei degnato di servire l'uomo, promettendogli in dono te stesso. E io che darò,
in cambio di tutti questi innumerevoli benefici? Potessi stare al tuo servizio tutti i
giorni della mia vita; potessi almeno riuscire a servirti degnamente per un solo giorno.
In verità, a te è dovuto ogni servizio, ogni onore e ogni lode, in eterno. In verità tu
sei il mio Signore, ed io sono il tuo misero servo, che deve porre al tuo servizio tutte
le sue forze, senza mai stancarsi di cantare le tue lodi. Questo è il mio desiderio,
questa è la mia volontà. Degnati tu di supplire alle mie deficienze.
Mettersi al tuo servizio, disprezzando ogni cosa per amor tuo, è grande onore
e grande merito. Infatti, coloro che si saranno sottoposti spontaneamente al tuo santo
servizio avranno grazia copiosa. Coloro che, per tuo amore, avranno lasciato ogni piacere
della carne troveranno la soave consolazione dello Spirito Santo. Coloro che, per il tuo
nome, saranno entrati nella via stretta, lasciando ogni cosa mondana, conseguiranno una
grande libertà interiore. Quanto è grato e lieto questo servire a Dio, che rende l'uomo
veramente libero e santo. Quanto è benedetta la condizione del religioso servizio, che
rende l'uomo simile agli angeli: compiacenza di Dio, terrore dei demoni, esempio ai
fedeli. Con indefettibile desiderio dobbiamo, dunque, abbracciare un tale servizio, che ci
assicura il sommo bene e ci fa conseguire una gioia perenne, senza fine.
Capitolo XI
VAGLIARE E FRENARE I DESIDERI DEL NOSTRO CUORE
Figlio, tu devi imparare ancora molte cose, fin qui non bene apprese. Signore, quali
sono queste cose? Che tu indirizzi il tuo desiderio interamente secondo la mia volontà;
che tu non stia attaccato a te stesso; che ardentemente tu brami di seguire la mia
volontà. Sovente vari desideri ti accendono e urgono in te fortemente. Ma devi riflettere
se tu sia mosso dall'impulso di rendere onore a me o non piuttosto di far piacere a te
stesso. Se si tratta di me, sarai pienamente felice, comunque io voglia che vadano le
cose; se invece c'è sotto una qualunque tua voglia, ecco, è questo che ti impedisce e ti
appesantisce. Guardati, dunque, dal basarti troppo su un desiderio concepito senza che io
sia stato consultato; affinché poi tu non abbia a pentirti; affinché non abbia a
disgustarti ciò che dapprima ti era sembrato caro e che avevi agognato, come preferibile
sopra ogni cosa.
In verità, non ogni moto, pur se ci appare degno di approvazione, va subito
favorito; ne ogni moto che ci ripugna va respinto fin dal principio. Occorre talvolta che
tu usi il freno, anche nell'intraprendere e nel desiderare cose buone. Ché il tuo animo
potrebbe poi esser distolto da ciò, come cosa eccessiva; o potresti ingenerare scandalo
in altri, per essere andato al di là delle regole comuni; o potresti d'un tratto cadere
in agitazione perché ti si ostacola. Altra voce, invece, occorre che tu faccia violenza a
te stesso, andando virilmente contro l'impulso dei sensi. Occorre che tu non faccia caso a
ciò che la carne desidera o non desidera, preoccupandoti piuttosto che essa, pur contro
voglia, sia sottomessa allo spirito. Occorre che la carne sia imbrigliata e costretta a
stare soggetta, fino a che non sia pronta a tutto; fino a che non sappia accontentarsi,
lieta di poche e semplici cose, senza esitare di fronte ad alcuna difficoltà.
Capitolo XII
L'EDUCAZIONE A PATIRE E LA LOTTA CONTRO LA CONCUPISCENZA
Signore Dio, capisco che è per me veramente necessario saper soffrire, giacché in
questo mondo accadono tante avversità. Invero, comunque io abbia disposto per la mia
tranquillità, la mia vita non può essere esente dalla lotta e dal dolore. Così è, o
figlio. Ma tale è la mia volontà: tu non devi andar cercando una pace, che non abbia e
non senta tentazione o avversità; anzi devi ritenere per certo di avere trovato pace,
anche quando sarai afflitto da varie tribolazioni e sarai provato da varie contrarietà.
Se obietterai di non riuscire ora a sopportare tanto, come riuscirai a sostenere poi il
fuoco del purgatorio? Tra due mali, scegliere sempre il minore. Così, per poter sfuggire
alle pene eterne future, vedi di sopportare, con fermezza e per amore di Dio, i mali
presenti. Credi forse che quelli che vivono nel mondo non abbiano a patire per nulla, o
soltanto un pochino? No; questo non lo riscontrerai, nemmeno cercando tra le persone che
vivono tra gli agi più grandi. Tuttavia - mi dirai - costoro hanno molte gioie, fanno
ciò che loro più piace e alle loro tribolazioni non danno, perciò, gran peso.
Ammettiamo che le cose stiano così e che costoro abbiano tutto ciò che vogliono. Ma
quanto pensi che potrà durare? Ecco "come fumo si disperderanno" (Sal 36,20)
coloro che in questo mondo sono nell'abbondanza; delle loro gioie di un tempo non resterà
ricordo alcuno.
Di più, anche mentre sono ancora in vita, costoro non sono esenti da
amarezze, da noie e da timori. Che anzi, frequentemente, proprio dalle stesse cose dalle
quali si ripromettono gioia, essi traggono una dolorosa pena. E giustamente per loro ciò
accade. Infatti, cercando essi ed inseguendo il piacere anche contro l'ordine disposto da
Dio, non lo raggiungono senza vergogna ed amarezza. Come è breve, questo piacere e falso
e contrario al volere di Dio; e come è turpe. Eppure gli uomini, ebbri e ciechi, non
capiscono; e, come bruti, vanno incontro alla morte dell'anima per un piccolo piacere di
questa vita corruttibile. Ma tu, figlio, non andare dietro alle "tue concupiscenze;
distogliti dal tuo capriccio" (Sir 18,30). "Metti il tuo gaudio nel Signore;
Egli ti darà ciò che il tuo cuore domanderà" (Sal 36,4). In verità, se veramente
desideri la pienezza della gioia e della mia consolazione, ecco, la tua felicità
consisterà nel disprezzo di tutto ciò che è nel mondo e nel distacco da ogni piacere.
Così ti saranno concesse grandi consolazioni. Quanto più ti allontanerai da ogni
conforto che venga dalle creature, tanto più grandi e soavi consolazioni troverai in me.
A questo non giungerai, però, senza avere prima sofferto e faticosamente lottato. Farà
resistenza il radicato costume; ma sarà vinto poi da una abitudine migliore. Protesterà
la carne, ma sarà tenuta in freno dal fervore spirituale. Ti istigherà, fino
all'esasperazione, l'antico serpente; ma sarà messo in fuga dalla preghiera oppure gli
sarà ostacolato un facile ingresso, se ti troverà preso da un lavoro pratico.
Capitolo XIII
METTERSI AL DI SOTTO DI TUTTI IN UMILE OBBEDIENZA, SULL'ESEMPIO DI GESU'
CRISTO
Figlio, colui che tenta di sottrarsi all'obbedienza si sottrae anche alla grazia. Colui
che cerca il bene suo personale perde anche il bene che è proprio del vivere in comune.
Colui che non si sottopone lietamente e spontaneamente al suo superiore, dimostra che la
carne non gli obbedisce ancora perfettamente, ma spesso recalcitra e mormora. Impara
dunque a sottometterti prontamente al tuo superiore, se vuoi soggiogare la tua carne.
Infatti, il nemico di fuori lo si vincerà più presto, se sarà stato sconfitto l'uomo
interiore. Non c'è peggiore e più insidioso nemico dell'anima tua, di te stesso, quando
il corpo non si accorda con lo spirito. Per avere vittoria sulla carne e sul sangue, devi
assumere un totale e vero disprezzo di te. Tu hai ancora invece un eccessivo e disordinato
amore di te stesso; per questo sei tanto esitante a rimetterti interamente alla volontà
degli altri.
Ma che c'è di strano, se tu, polvere e nulla, ti sottoponi a un uomo, per
amore di Dio, quando io, onnipotente ed altissimo, che dal nulla ho creato tutte le cose
per amor tuo, mi feci piccolo fino a sottopormi all'uomo? Mi sono fatto l'ultimo e il più
piccolo di tutti, proprio perché, per questo mio abbassarmi, tu potessi vincere la tua
superbia. Impara ad obbedire, tu che sei polvere; impara ad umiliarti, tu che sei terra e
fango; impara a piegarti sotto i piedi di tutti, a disprezzare i tuoi desideri e a
metterti in totale sottomissione. Insorgi infiammato contro te stesso, e non permettere
che in te si annidi la tumefazione della superbia. Dimostrati così basso e così piccolo
che tutti possano camminare sopra di te e possano calpestarti come il fango della strada.
Che hai da lamentare tu, uomo da nulla. Che hai tu, immondo peccatore, da contrapporre a
coloro che ti accusano; tu, che tante volte hai offeso Dio, meritando assai spesso
l'inferno? Ma, ecco, apparve preziosa al mio sguardo l'anima tua; ecco il mio occhio ebbe
compassione di te, così che, conoscendo il mio amore, tu avessi continua gratitudine per
i miei benefici ed abbracciassi, senza esitare, un'umile sottomissione, nella paziente
sopportazione dell'altrui disprezzo.
Capitolo XIV
PENSARE ALL'OCCULTO GIUDIZIO DI DIO, PER NON INSUPERBIRCI DEL BENE
Come tuono fai scendere sopra di me i tuoi giudizi, Signore; timore e terrore scuotono
tutte le mie ossa; l'anima mia si ritrae spaventata. Sbigottito penso che neppure i cieli
sono puri, di fronte a te. Se hai trovato dei malvagi persino tra gli angeli e non li hai
risparmiati, che cosa accadrà di me? Caddero le stelle del cielo, ed io, che sono
polvere, che cosa presumo di me? Caddero nel profondo certuni, che sembrava avessero
compiuto opere degne di lode; certuni che mangiavano il pane degli angeli, li ho visti
contentarsi delle carrube che mangiavano i porci. Invero, non c'è santità se tu, o
Signore, togli la tua mano; la sapienza non serve a nulla, se tu cessi di reggerci; la
fortezza non giova, se tu cessi di custodirla; la castità non è sicura, se tu non la
difendi; la vigilanza su se stessi non vale, se tu non sei presente con la tua santa
protezione. Infatti se tu ci abbandoni, andiamo a fondo e moriamo; se tu, invece, ci
assisti ci teniamo ritti e viviamo. In verità, noi siamo malfermi, ma tu ci rafforzi;
siamo tiepidi, ma tu ci infiammi.
Oh!, come devo essere conscio della mia bassezza e della mia abiezione; e come
devo considerare un nulla quel poco di bene che mi possa sembrare di aver fatto. Con quale
pienezza di sottomissione devo accettare, o Signore, i tuoi profondi giudizi, giacché mi
trovo ad essere nient'altro che nulla e poi nulla. E' cosa grande, invalicabile, questo
riscontrare che di mio non c'è assolutamente niente. Dove mai si nasconde la mia boria,
dove finisce la sicurezza che riponevo nella mia virtù. Ogni mia vuota vanteria è
inghiottita nella profondità dei tuoi giudizi sopra di me. Che cosa mai è l'uomo di
fronte a te? Forse che la creta può vantarsi nei confronti di colui che la plasma? (cfr.
Is 45,9). Come può gonfiarsi, con vane parole, colui che, in verità, nell'intimo è
soggetto a Dio? Neppure il mondo intero lo potrebbe far montare in superbia, poiché la
Verità stessa lo ha soggiogato. Neppure un elogio da parte di tutti gli uomini lo
potrebbe smuovere, poiché ha posto interamente la sua speranza in Dio: infatti, quelli
che fanno tanti elogi, ecco, non sono che nulla, e scompariranno con il suono delle loro
parole. Mentre la "parola del Signore resta in eterno" (Sal 116,2).
Capitolo XV
COME COMPORTARCI E CHE COSA DIRE DI FRONTE A OGNI NOSTRO DESIDERIO
Figliolo, così tu devi dire in ogni cosa: Signore, se questa è la tua volontà, così
si faccia. Signore, se questo è per tuo amore, così si faccia, nel tuo nome. Signore, se
questo ti parrà necessario per me, e lo troverai utile, fa' che io ne usi per il tuo
onore; se invece comprenderai che questo è male per me e non giova alla mia salvezza,
toglimi questo desiderio. Infatti, non tutti i desideri vengono dallo Spirito Santo, anche
se a noi appaiono retti e buoni. E' difficile giudicare veramente se sia uno spirito
buono, o uno spirito contrario, che ti spinge a desiderare questa o quell'altra cosa;
oppure se tu sia mosso da un sentimento personale. Molti, che dapprima sembravano guidati
da sentimento buono, alla fine si sono trovati ingannati. Perciò ogni cosa che balza alla
mente come desiderabile sempre la si deve volere e cercare con animo pieno di timor di Dio
e con umiltà di cuore. Soprattutto, ogni cosa va rimessa a me, con abbandono di se
stessi, dicendo: Signore, tu sai cosa sia meglio per me. Si faccia così, o altrimenti,
secondo la tua volontà. Dammi quello che vuoi, e quanto vuoi e quando vuoi. Disponi di me
secondo la tua sapienza, la tua volontà e la tua maggior gloria. Mettimi dove tu vuoi, e
fai con me quello che vuoi, liberamente. Sono nelle tue mani; fammi rigirare per ogni
verso. Ecco, io sono il tuo servo, disposto a tutto, perché non voglio vivere per me ma
per te: e volesse il cielo che ciò fosse in modo degno e perfetto.
Preghiera perché riusciamo a compiere la volontà di Dio.
Amorosissimo Gesù, dammi la tua grazia, perché "sia operante in me" (Sap
9,10) e in me rimanga sino alla fine. Dammi di desiderare e di volere ciò che più ti è
gradito, e più ti piace. La tua volontà sia la mia volontà; che io la segua e che ad
essa mi confermi pienamente; che io abbia un solo volere e disvolere con te; che io possa
desiderare o non desiderare soltanto quello che tu desideri e non desideri. Dammi di
morire a tutte le cose del mondo; fammi amare di esser disprezzato per causa tua, e di
essere dimenticato in questo mondo. Fammi bramare sopra ogni altra cosa di avere riposo in
te, e di trovare in te la pace del cuore. Tu sei la vera pace interiore, tu sei il solo
riposo; fuori di te ogni cosa è aspra e tormentosa. "In questa pace, nella pace
vera, cioè in te, unico sommo eterno bene, avrà riposo e quiete" (Sal 4,9). Amen.
Capitolo XVI
SOLTANTO IN DIO VA CERCATA LA VERA CONSOLAZIONE
Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non l'aspetto qui,
ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da solo tutte le gioie e le
delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo. Sicché, anima mia, non
potrai essere pienamente consolata e perfettamente confortata se non in Dio, che allieta i
poveri e accoglie gli umili. Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso
e avrai in cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali,
perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso
temporaneo, col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti
potrà appagare perché non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche
se tu avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e beata, perché è in
Dio, creatore di tutte le cose, che consiste la tua completa beatitudine e la tua
felicità. Non è una felicità quale appare nella esaltazione di coloro che amano
stoltamente questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di Cristo;
quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono dello spirito e
dai puri di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).
Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro è quello che
la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé, dappertutto, il suo
consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni
tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare lietamente ad ogni conforto umano.
Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia per me di supremo conforto, appunto, questo
tuo volere, questa giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e le
tue minacce non saranno eterne" (Sal 102,9).
Capitolo XVII
AFFIDARE STABILMENTE IN DIO OGNI CURA DI NOI STESSI
Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so quello che ti è
necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono spesso suggestioni umane.
Signore, è ben vero quanto dici. La tua sollecitudine per me è più grande di ogni
premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non rimette in te tutte le sue
preoccupazioni si affida proprio al caso. Signore, purché la mia volontà sia
continuamente retta e ferma in te, fai di me quello che ti piace. Giacché, qualunque cosa
avrai fatto di me non può essere che per il bene. Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia
benedetto; e se mi vuoi nella luce, che tu sia ancora benedetto. Se ti degni di darmi
consolazione, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente
benedetto.
Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo atteggiamento.
Devi essere pronto a patire, come pronto a godere; devi lietamente essere privo di tutto e
povero, come sovrabbondante e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai che mi succeda, la
sopporterò di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo voglio accettare dalla tua
mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza; e voglio renderti grazie per
ogni cosa che mi accada. Preservami da tutti i peccati, e non temerò né la morte né
l'inferno. Purché tu non mi respinga per sempre cancellandomi dal libro della vita,
qualunque tribolazione mi piombi addosso non mi farà alcun male.
Capitolo XVIII
SOPPORTARE SERENAMENTE LE MISERIE DI QUESTO MONDO SULL'ESEMPIO DI CRISTO
Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza e presi sopra di me le tue miserie, non
perché vi fossi costretto, ma per slancio d'amore; e ciò perché tu imparassi a soffrire
e a sopportare senza ribellione le miserie di questo mondo. Infatti, dall'ora della mia
nascita fino alla morte in croce, non venne mai meno in me la forza di sopportare il
dolore. Ho conosciuto grande penuria di beni terreni; ho udito molte accuse rivolte a me;
ho sopportato con dolcezza cose da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho
ricevuto ingratitudine; per i miracoli, bestemmie; per il mio insegnamento, biasimi.
Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua vita, compiendo pienamente, in
tal modo, la volontà del Padre tuo; perciò è giusto che io, misero peccatore, sappia
sopportare me stesso, fin quando a te piacerà; è giusto che, per la mia salvezza, io
porti il peso di questa vita corruttibile, fino a quando tu vorrai. In verità, anche se
noi la sentiamo come un peso, la vita di quaggiù, per effetto della tua grazia, già fu
resa capace di molti meriti e più tollerabile e luminosa, per noi, povera gente, in
virtù del tuo esempio e dietro le orme dei tuoi santi. Anzi la nostra vita è piena di
consolazione, molto più di quanto non fosse al tempo della vecchia legge, quando era
ancora chiusa la porta del cielo e ancora era nascosta la via di esso; quando erano ben
pochi quelli che si davano pensiero di cercare il regno dei cieli, e neppure i giusti,
meritevoli di salvezza, avevano potuto entrare nella patria celeste, non essendo ancora
stato pagato - prima della tua passione e della tua santa morte - il debito del peccato.
Oh, come ti debbo ringraziare per avere mostrato a me, e a tutti i tuoi seguaci, la strada
diritta e sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada è la tua vita stessa:
attraverso una santa capacità di patire camminiamo verso di te, che sei il nostro premio.
Se tu non ci avessi preceduto, con questo insegnamento, chi si prenderebbe cura di
seguirti? Quanti rimarrebbero indietro assai, se non potessero guardare al tuo esempio
luminoso. Ecco, siamo ancora ben poco fervorosi, pur dopo tanti miracoli e nonostante i
tuoi ammaestramenti; che cosa mai sarebbe di noi, se non avessimo avuto una così grande
luce per seguirti?
Capitolo XIX
LA CAPACITA' DI SOPPORTARE LE OFFESE E LA VERA PROVATA PAZIENZA
Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento, tenendo presenti le
sofferenze mie e quelle degli altri santi. "Non hai resistito ancora fino al
sangue" (Eb 12,4). Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti metti a confronto con
coloro che patirono tanto gravemente: così fortemente tentati, così pesantemente
tribolati, provati in vari modi e messi a dura prova. Occorre dunque che tu rammenti le
sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole. Che se
piccole non ti sembrano, vedi se anche questo non dipenda dalla tua incapacità di
sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi questi mali, fa' in modo di sopportare
tutto pazientemente. Il tuo agire sarà tanto più saggio, e tanto più grande sarà il
tuo merito, quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve,
se, intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito. E non dire: questo non lo posso
sopportare; non devo tollerare cose simili da una tale persona, che mi fa del male assai,
e mi rimprovera cose che non avevo neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei
di buon grado, e riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza un simile
ragionamento. Esso non tiene conto della virtù della pazienza, né di colui a cui spetta
di premiarla; ma tiene conto piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero
paziente non è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato giusto, e
da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui che non guarda da quale persona
egli venga messo alla prova: se dal superiore, oppure da un suo pari, o da un inferiore;
se da un uomo buono o santo, oppure da un malvagio, o da persona che non merita nulla.
Vero paziente è colui che indifferentemente - da qualunque persona, e per quante volte,
gli venga qualche contrarietà - tutto accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo
ritiene un vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché sopportata
per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.
Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria. Senza lotta
non puoi giungere ad essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la sofferenza,
rifiuti anche il premio; se invece desideri essere premiato, devi combattere da vero uomo
e saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si giunge se non dopo aver faticato,
così alla vittoria non si giunge se non dopo aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi
possibile, per tua grazia, quello che mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai che
ben scarsa è la mia capacità di soffrire, e che al sorgere di una, sia pur piccola,
difficoltà, mi trovo d'un colpo atterrato. Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo
nome, qualsiasi prova e qualsiasi tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo,
ecco ciò che è grandemente salutare all'anima mia.
Capitolo XX
RICONOSCERE LA PROPRIA DEBOLEZZA E LA MISERIA DI QUESTA NOSTRA VITA
"Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore,
confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e
rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una
piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla
perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento
abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto.
"Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità,
che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango,
così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre.
Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia
instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse
non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi
affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro
dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili
a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che,
nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla
fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge.
Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio:
questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna
combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove
tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una tentazione,
una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne sopraggiungono molte altre, e
insospettate. Ora, come si può amare una vita così soggetta a disgrazie e a miserie? Di
più, come si può chiamare vita questa, se da essa procedono tante morti e calamità? E
invece la si ama e molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene
sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo viene facilmente
abbandonato, perché troppo prevalgono le brame terrene. Altro è ciò che induce ad amare
il mondo; altro è ciò che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio
dell'uomo carnale, "il desiderio degli occhi e la superbia della vita" (1 Gv
2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne disgustato le pene e le sofferenze che
giustamente conseguono a quei desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri
malvagi hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e
"considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono, di
vedere e di gustare la soavità di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che
disprezzano totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa disciplina,
conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa davvero rinunciare; essi
comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli inganni del mondo.
Capitolo XXI
IN DIO, AL DI SOPRA DI OGNI BENE E DI OGNI DONO, DOBBIAMO TROVARE LA
NOSTRA PACE
O anima mia, in ogni cosa e al di sopra di ogni cosa, troverai riposo, sempre, nel
Signore, perché lui stesso costituisce la pace dei santi, in eterno. Dammi, dolcissimo e
amabilissimo Gesù, di trovare quiete in te. In te, al di sopra di ogni creatura, di ogni
ben e di ogni bellezza; al di sopra di ogni gloria ed onore, potere e autorità; al di
sopra di tutto il sapere, il più penetrante; al di sopra di ogni ricchezza e capacità;
al di sopra di ogni letizia e gioia, e di ogni fama e stima degli uomini; al di sopra di
ogni dolcezza, consolazione, speranza o promessa umana; al di sopra di ogni ambita
ricompensa, di ogni dono o favore che, dall'alto, tu possa concedere; al di sopra di ogni
motivo di gaudio e di giubilo, che mente umana possa concepire e provare; infine, al di
sopra degli Angeli, degli Arcangeli e di tutte le schiere celesti, al di sopra delle cose
visibili e delle cose invisibili, e di tutto ciò che non sia tu, Dio mio. In verità, o
Signore mio Dio, tu sei eccellentissimo su ogni cosa; tu solo sei l'altissimo e
l'onnipotente; tu solo dai ogni appagamento e pienezza e ogni dolcezza e conforto; tu solo
sei tutta la bellezza e l'amabilità; tu solo sei, più d'ogni cosa, ricco di nobiltà e
di gloria; in te sono, furono sempre e saranno, tutti quanti i beni, compiutamente.
Perciò, qualunque cosa tu mi dia, che non sia te stesso, qualunque cosa tu mi riveli di
te, o mi prometta, senza che io possa contemplare o pienamente possedere te, è ben poco e
non mi appaga. Ché, in verità, il mio cuore non può realmente trovare quiete, e totale
soddisfazione se non riposi in te, portandosi più in alto di ogni dono e di ogni
creatura.
Cristo Gesù, mio sposo tanto amato, amico vero, signore di tutte le creature,
chi mi darà ali di vera libertà, per volare e giungere a posarmi in te? Quando mi sarà
dato di essere completamente libero da me stesso e di contemplare la tua soavità, o
Signore mio Dio? Quando mi raccoglierò interamente in te, cosicché, per amor tuo, non mi
accorga di me stesso, ma soltanto di te, al di là del limite di ogni nostro sentire e in
un modo che non tutti conoscono? Ma eccomi qui ora a piangere continuamente e a portare
dolorosamente la mia infelicità. Giacché, in questa valle di miserie, molti mali mi si
parano innanzi: sovente mi turbano, mi rattristano e mi ottenebrano; sovente mi
intralciano il cammino o me ne distolgono, tenendomi legato e impacciato, tanto da non
poter accostarmi liberamente a te, a godere del gioioso abbraccio, costantemente aperto
agli spiriti beati. Che il mio sospiro e la grande e varia desolazione di questo mondo
abbiano a commuoverti, o Gesù, splendore di eterna gloria, conforto dell'anima
pellegrina. A te è rivolta la mia faccia; senza che io dica nulla, è il mio silenzio che
ti parla. Fino a quando tarderà a venire il mio Signore? Venga a me, che sono il suo
poverello, e mi dia letizia; stenda la sua mano e strappi me misera da ogni angustia.
Vieni, vieni: senza di te non ci sarà una sola giornata, anzi una sola ora, gioiosa,
perché la mia gioia sei tu, e vuota è la mia mensa senza di te. Un pover'uomo, io sono,
quasi chiuso in un carcere e caricato di catene, fino a che tu non mi abbia rifatto di
nuovo, con la tua presenza illuminante, mostrandomi un volto benevolo, e fino a che tu non
mi abbia ridato la libertà. Vadano altri cercando altra cosa, invece di te, dovunque loro
piaccia. Quanto a me, nulla mi è ora gradito, nulla mi sarà mai gradito, fuori di te,
mio Dio, mia speranza e salvezza eterna. Né tacerò, o smetterò di supplicare, fino a
che non torni a me la tua grazia e la tua parola non si faccia sentire dentro di me.
Ecco, sono qua; eccomi a te, che mi hai invocato. Le tue lacrime, il desiderio
dell'anima tua, la tua umiliazione e il pentimento del tuo cuore mi hanno piegato e mi
hanno fatto avvicinare a te. Dicevo io allora: ti avevo invocato, Signore, avevo
desiderato di godere di te, pronto a rinunciare ad ogni cosa per te; ma eri stato tu, per
primo, che mi avevi mosso a cercarti. Sii dunque benedetto, o Signore, tu che hai usato
tale bontà con questo tuo servo, secondo la grandezza della tua misericordia. Che cosa
mai potrà dire ancora, al tuo cospetto, il tuo servo, se non parole di grande umiliazione
dinanzi a te, sempre ricordandosi della propria iniquità e della propria bassezza? Non
c'è, infatti, tra tutte le meraviglie del cielo e della terra, cosa alcuna che ti possa
somigliare. Le tue opere sono perfette, e giusti i tuoi comandi; per la tua provvidenza si
reggono tutte le cose. Sia, dunque, lode e gloria a te, o sapienza del Padre. La mia
bocca, la mia anima e insieme tutte le cose create ti esaltino e ti benedicano.
Capitolo XXII
RICONOSCERE I MOLTI E VARI BENEFICI DI DIO
Introduci, o Signore, il mio cuore nella tua legge e insegnami a camminare nei tuoi
precetti. Fa' che io comprenda la tua volontà; fa' che, con grande reverenza e con
attenta riflessione, io mi rammenti, uno per uno e tutti insieme, i tuoi benefici, così
che sappia rendertene degne grazie. Per altro, so bene e confesso di non potere, neppure
minimamente, renderti i dovuti ringraziamenti di lode. Ché io sono inferiore a tutti i
beni che mi sono stati concessi. Quando penso alla tua altezza, il mio spirito viene meno
di fronte a questa immensità. Tutto ciò che abbiamo, nello spirito e nel corpo, tutto
ciò che possediamo, fuori di noi e dentro di noi, per natura e per grazia, tutto è tuo
dono; e sta a celebrare la benevolenza, la misericordia e la bontà di colui, da cui
riceviamo ogni bene. Che se uno riceve di più e un altro di meno, tutto è pur sempre
tuo: senza di te, non possiamo avere neppure la più piccola cosa. Da un lato, chi riceve
di più non può vantarsene come di un suo merito, né innalzarsi sugli altri e schernire
chi ha di meno. Più grande e più santo è, infatti, colui che fa minor conto di se
stesso e ringrazia Dio con maggiore umiltà e devozione; più pronto a ricevere
maggiormente è colui che si ritiene più disprezzabile di tutti e si giudica più
indegno. D'altro lati, chi riceve di meno non deve rattristarsi, non deve indignarsi o
nutrire invidia per chi ha avuto di più; deve piuttosto guardare a te e lodare
grandemente la tua bontà, perché tu largisci i tuoi doni con tanta abbondanza e
benevolenza, "senza guardare alle persone" (1Pt 1,17).
Tutto viene da te. Che tu sia, dunque, lodato per ogni cosa. Quello che sia
giusto concedere a ciascuno, lo sai tu. Perché uno abbia di meno e un altro di più, non
possiamo comprenderlo noi, ma solo tu, presso cui sono stabilmente definiti i meriti di
ciascuno. Per questo, o Signore Iddio, io considero un grande dono anche il non avere
molte di quelle cose, dalle quali vengono lodi e onori dall'esterno, secondo il giudizio
umano. Così, guardando alla sua povertà, e alla nullità della sua persona, nessuno ne
tragga un senso di oppressione, di tristezza e di abbattimento, ma invece ne tragga
consolazione e grande serenità; perché i poveri e coloro che stanno in basso,
disprezzati dal mondo, tu, o Dio, li hai scelti come tuoi intimi amici. Una prova di
questo è data dai tuoi apostoli. Tu li hai posti come "principi su tutta la
terra" (Sal 44,17); e tuttavia essi passarono in questo mondo senza un lamento: tanto
umili e semplici, tanto lontani da ogni astuzia e malizia, che trovarono gioia anche nel
sopportare oltraggi "a causa del tuo nome" (At 5,41), abbracciando con grande
slancio quello da cui il mondo rifugge. Colui che ti ama, colui che apprezza i tuoi doni
di nulla deve esser lieto quanto di realizzare in sé la tua volontà e il comando dei
tuoi eterni decreti. Solo nel tuo volere egli deve trovare appagamento e consolazione,
tanto da desiderare di essere il più piccolo, con lo stesso slancio con il quale altri
può desiderare di essere il più grande. Colui che ti ama deve trovare pace e contentezza
nell'ultimo posto, come nel primo; deve accettare di buon grado sia di essere disprezzato
e messo in disparte, senza gloria e senza fama, sia di essere onorato al di sopra degli
altri e di emergere nel mondo. Invero, il desiderio di fare la tua volontà e di rendere
gloria a te deve prevalere in lui su ogni altra cosa, consolandolo e allietandolo più di
tutti i doni che gli siano stati dati o gli possano essere dati.
Capitolo XXIII
LE QUATTRO COSE CHE RECANO UNA VERA GRANDE PACE
O figlio, ora ti insegnerò la via della pace e della vera libertà. Fa', o Signore,
come tu dici; mi è gradito ascoltare il tuo insegnamento. Studiati, o figlio, di fare la
volontà di altri, piuttosto che la tua. Scegli sempre di aver meno, che più. Cerca
sempre di avere il posto più basso e di essere inferiore a tutti. Desidera sempre, e
prega, che in te si faccia interamente la volontà di Dio. Un uomo che faccia tali cose,
ecco, entra nel regno della pace e della tranquillità. Una grande dottrina di perfezione
è racchiusa, o Signore, in queste tue brevi parole: brevi a dirsi, ma piene di
significato e ricche di frutto. Che se io potessi fedelmente custodirle, tali parole,
nessun turbamento dovrebbe tanto facilmente sorgere in me; in verità, ogni volta che mi
sento inquieto od oppresso, trovo che mi sono allontanato da questa dottrina. Ma tu, che
tutto puoi; tu che hai sempre caro il progresso dell'anima mia, accresci sempre la tua
grazia, così che io possa adempiere alle tue parole e raggiungere la mia salvezza.
Preghiera contro i malvagi pensieri
O Signore, mio Dio, "non allontanarti da me; Dio mio, volgiti in mio aiuto"
(Sal 70,12); ché vennero contro di me vari pensieri e grandi terrori, ad affliggere
l'anima mia. Come ne uscirò illeso, come mi aprirò un varco attraverso di essi? Dice il
Signore: io andrò innanzi a te e "abbatterò i grandi della terra" (Is 45,2).
Aprirò le porte della prigione e ti rivelerò i più profondi segreti. O Signore, fa'
come dici; e ogni iniquo pensiero fugga dinanzi a te. Questa è la mia speranza, questo è
il mio unico conforto: in tutte le tribolazioni rifugiarmi in te, porre la mia fiducia in
te; invocarti dal profondo del mio cuore e attendere profondamente la tua consolazione.
Preghiera per ottenere luce all'intelletto
Rischiarami, o buon Gesù, con la luce del lume interiore, e strappa ogni tenebra dal
profondo del mio cuore; frena le varie fantasie; caccia le tentazioni che mi fanno
violenza; combatti valorosamente per me e vinci queste male bestie, dico le allettanti
concupiscenze, cosicché, per la forza che viene da te, si faccia pace, e nell'aula santa,
cioè nella coscienza pura (Sal 121,7), risuoni la pienezza della tua lode. Comanda ai
venti e alle tempeste. Dì al mare "calmati", al vento "non soffiare";
e si farà grande bonaccia (Mt 8,26). "Manda la tua luce e la tua verità" (Sal
52,3) a brillare sulla terra; ché terra io sono, povera e vuota, fino a quando tu non mi
illumini. Effondi dall'alto la tua grazia; irriga il mio cuore di celeste rugiada; versa
l'acqua della devozione ad irrigare la faccia della terra, che produca buono, ottimo
frutto. Innalza la mia mente schiacciata dalla mole dei peccati; innalza alle cose celesti
tutto l'animo mio, in modo che gli rincresca di pensare alle cose di questo mondo, dopo
aver gustato la dolcezza della felicità suprema. Strappami e distoglimi dalle effimere
consolazioni che danno le creature; poiché non v'è cosa creata che possa soddisfare il
mio desiderio e darmi pieno conforto. Congiungimi a te con il vincolo indissolubile
dell'amore, poiché tu solo basti a colui che ti ama, e a nulla valgono tutte le cose, se
non ci sei tu.
Capitolo XXIV
GUARDARSI DALL'INDAGARE CURIOSAMENTE LA VITA DEGLI ALTRI
Figlio, non essere curioso; non prenderti inutili affanni. Che t'importa di questo e di
quello? "Tu segui me" (Gv 21,22). Che ti importa che quella persona sia di tal
fatta, o diversa, o quell'altra agisca e dica così e così? Tu non dovrai rispondere per
gli altri; al contrario renderai conto per te stesso. Di che cosa dunque ti vai
impicciando? Ecco, io conosco tutti, vedo tutto ciò che accade sotto il sole e so la
condizione di ognuno: che cosa uno pensi, che cosa voglia, a che cosa miri la sua
intenzione. Tutto deve essere, dunque, messo nelle mie mani. E tu mantieniti in pace
sicura, lasciando che altri si agiti quanto crede, e metta agitazione attorno a sé: ciò
che questi ha fatto e ciò che ha detto ricadrà su di lui, poiché, quanto a me, non mi
può ingannare.
Non devi far conto della vanità di un grande nome, né delle molte amicizie, né del
particolare affetto di varie persone: tutte cose che sviano e danno un profondo
offuscamento di spirito. Invece io sarò lieto di dirti la mia parola e di palesarti il
mio segreto, se tu sarai attento ad avvertire la mia venuta, con piena apertura del cuore.
Stai dunque in guardia, veglia in preghiera (1 Pt 4,7), e umiliati in ogni cosa (Sir
3,20).
Capitolo XXV
IN CHE CONSISTONO LA STABILITA' DELLA PACE INTERIORE E IL VERO PROGRESSO
SPIRITUALE
O figlio, così ho detto "io vi lascio la pace; vi dono la mia pace; non quella,
però, che dà il mondo" (Gv 14,27). Tutti tendono alla pace; non tutti però si
preoccupano di ciò che caratterizza la vera pace. La mia pace è con gli umili e i miti
di cuore; e la tua pace consisterà nel saper molto sopportare. Se mi ascolterai e
seguirai le mie parole, potrai godere di una grande pace. Che farò dunque? In ogni cosa
guarda bene a quello che fai e a quello che dici. Sia questa la sola tua intenzione,
essere caro soltanto a me; non desiderare né cercare altro, fuori di me; non giudicare
mai avventatamente quello che dicono o fanno gli altri e non impicciarti in faccende che
non ti siano state affidate. In tal modo potrai essere meno turbato, o più raramente;
ché non sentire mai turbamento alcuno e non patire alcuna noia, nello spirito e nel
corpo, non è di questa vita, ma è condizione propria della pace eterna.
Perciò non credere di aver trovato la vera pace, soltanto perché non senti difficoltà
alcuna; non credere che tutto vada bene, soltanto perché non hai alcuno che ti si ponga
contro; non credere che tutto sia perfetto, soltanto perché ogni cosa avviene secondo il
tuo desiderio; non pensare di essere qualcosa di grande o di essere particolarmente caro a
Dio, soltanto perché ti trovi in stato di grande e soave devozione. Non è da queste
cose, infatti, che si distingue colui che ama veramente la virtù; non è in queste cose
che consistono il progresso e la perfezione dell'uomo. In che cosa, dunque, o Signore?
Nell'offrire te stesso, con tutto il cuore, al volere di Dio, senza cercare alcunché di
tuo, nelle piccole come nelle grandi cose, per il tempo presente come per l'eternità;
così che tu sia sempre, alla stessa maniera, imperturbabilmente, in atto di
ringraziamento, bilanciando bene tutte le cose, le prospere e le contrarie. Quando sarai
tanto forte e generoso nella fede che, pur avendo perduta ogni consolazione interiore,
saprai disporre il tuo animo a soffrire ancor di più - senza trovare scuse, come se tu
non dovessi subire tali e tanto grandi patimenti -; anzi quando mi proclamerai giusto e mi
dirai santo qualunque sia la mia volontà, allora sì che tu camminerai nella vera e
giusta strada della pace; allora sì che avrai la sicura speranza di rivedere con gioia il
mio volto. Se poi arriverai a disprezzare pienamente te stesso, sappi che allora godrai di
pace sovrabbondante , per quanto è possibile alla tua condizione di pellegrino su questa
terra.
Capitolo XXVI
L'ECCELSA LIBERTA' DELLO SPIRITO, FRUTTO DELL'UMILE PREGHIERA PIU' CHE
DELLO STUDIO
O Signore, questo è il compito di chi vuole essere perfetto: non staccarsi mai
spiritualmente dal tendere alle cose celesti e passare tra le molte preoccupazioni quasi
senza affanno. E ciò non già per storditezza, ma per quel tal privilegio, proprio di uno
spirito libero, di non essere attaccato ad alcuna cosa creata, con un affetto che sia
contrario al volere di Dio. Ti scongiuro, o mio Dio pieno di misericordia, tienimi lontano
dalle preoccupazioni di questa vita, così che esse non mi siano di troppo impaccio;
tienimi lontano dalle molte esigenze materiali, così che io non sia prigioniero del
piacere; tienimi lontano da tutto quanto è di ostacolo all'anima, così che io non
finisca schiacciato da queste difficoltà. E non voglio dire che tu mi tenga lontano
soltanto dalle cose che la vanità di questo mondo brama con pieno ardore; ma da tutte
quelle miserie che, a causa della comune maledizione dell'umanità, gravano dolorosamente
sull'anima del tuo servo, impedendole di accedere, a sua voglia, alla libertà dello
spirito.
O mio Dio, dolcezza ineffabile, muta in amarezza per me ogni piacere terrestre: esso mi
distoglie dall'amare le cose eterne e mi avvince tristemente a sé, facendomi balenare
qualcosa che, al momento, appare buono e gradito. O mio Dio, non sia più forte di me la
carne, non sia più forte di me il sangue; non mi inganni il mondo, con la sua gloria
passeggera; non mi vinca il diavolo, con la sua astuzia. Dammi fortezza a resistere,
pazienza a sopportare, costanza a perseverare. In luogo di tutte le consolazioni del
mondo, dammi la dolcissima unzione del tuo spirito; in luogo dell'attaccamento alle cose
della terra, infondi in me l'amore della tua gloria. Ecco, per uno spirito fervoroso sono
ben pesanti e cibo e bevanda e vestito e tutte le altre cose utili a sostenere il corpo.
Di queste cose utili fa' che io usi moderatamente, senza attaccarmi ad esse con desiderio
eccessivo. Abbandonare tutto non si può, perché alla natura si deve pur dare
sostentamento; ma la santa legge di Dio vieta di cercare le cose superflue e quelle che
danno maggiormente piacere. Diversamente la carne si porrebbe sfacciatamente contro lo
spirito. Tra questi due estremi, mi regga la tua mano, o Signore, te ne prego; e mi guidi,
per evitare ogni eccesso.
Capitolo XXVII
PIU' DI OGNI ALTRA COSA L'AMORE DI SE STESSO RALLENTA IL NOSTRO PASSO
VERSO IL SOMMO BENE
O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non più appartenerti per nulla: sappi che
l'amore di te stesso ti danneggia più di ogni altra cosa di questo mondo. Ciascuna cosa
sta più o meno fortemente a te abbracciata, a seconda dell'amore e della passione che tu
porti per essa. Ma se il tuo sarà un amore puro, libero e conforme al volere di Dio,
sarai affrancato dalla schiavitù delle cose. Non desiderare ciò che non ti è lecito
avere; non volere ciò che ti può essere d'impaccio, privandoti della libertà interiore.
Pare incredibile che tu non ti rimetta a me, dal profondo del cuore, con tutto te stesso e
con tutte le cose che puoi desiderare ed avere. Perché ti consumi in vana tristezza?
Perché ti opprimi con inutili affanni? Sta' al mio volere, e non subirai alcun nocumento.
Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se vorrai essere qui oppure là, per
conseguire maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non sarai mai in pace, libero da
angosce; perché in ogni cosa ci sarà qualche difetto e dappertutto ci sarà uno che ti
contrasta.
Quello che giova, dunque, non è ciò che possa essere da noi raggiunto o fatto più
grande, fuori di noi; quello che giova è ciò che viene da noi disprezzato e strappato
radicalmente dal nostro cuore. E questo va inteso non solamente della stima, del denaro o
delle ricchezze, ma anche della bramosia degli onori e del desiderio di vane lodi: tutte
cose che passano, col passare di questo mondo. Non sarà un certo luogo che ti darà
sicurezza, se ti manca il fervore spirituale. Non sarà una pace cercata fuori di te che
reggerà a lungo, se ti manca quello che è il vero fondamento della fermezza del cuore:
vale a dire se tu non sei saldamente in me. Puoi trasferirti altrove, quanto vuoi; ma non
puoi migliorare te stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la coglierai, troverai ancora,
e ancora di più, quello che avevi fuggito.
Preghiera per ottenere la purificazione del cuore e la celeste
sapienza.
O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito Santo; fa' che il mio cuore si liberi
da ogni vano, angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da vari desideri di cosa
alcuna, di poco prezzo o preziosa; fa' che io guardi tutte le cose come passeggere, e me
con esse, parimenti passeggero, poiché nulla resta fermo, sotto il sole, qui dove tutto
è "vanità e afflizione di spirito" (Qo 1,14). Quanto è saggio chi ragiona
così. Dammi, o Signore, la celeste sapienza; così che io apprenda a cercare e a trovare
te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare e ad amare te, sopra ogni cosa; apprenda a
considerare tutto il resto per quello che è, secondo il posto assegnatogli dalla
sapienza. Dammi la prudenza, per saper allontanare chi mi lusinga; dammi la pazienza, per
sopportare chi mi contrasta. Perché qui è grande saggezza, nel non lasciarsi smuovere da
ogni vuota parola e nel non prestare orecchio alla sirena che perfidamente ci invita.
Cominciata in tal modo la strada, si procede in essa con sicurezza.
Capitolo XXVIII
CONTRO LE LINGUACCE DENIGRATRICI
O figlio, non sopportare di mal animo se certuni danno un cattivo
giudizio su di te e dicono, nei tuoi confronti, parole che non ascolti con piacere. Il tuo
giudizio su te stesso deve essere ancora più grave; devi credere che non ci sia nessuno
più debole di te. Se terrai conto massimamente dell'interiorità, non darai molto peso a
parole che volano; giacché, nei momenti avversi, è prudenza, e non piccola, starsene in
silenzio, volgendo l'animo a me, senza lasciarsi turbare dal giudizio della gente. La tua
pace non riposi nella parola degli uomini. Che questi ti abbiano giudicato bene o male,
non per ciò sei diverso.
Dove sta la vera pace, dove sta la vera gloria? Non forse in me? Godrà
di grande pace chi non desidera di piacere agli uomini, né teme di spiacere ad essi. E'
appunto da un tale desiderio, contrario al volere di Dio, e da un tale vano timore, che
nascono tutti i turbamenti del cuore e tutte le deviazioni degli affetti.
Capitolo XXIX
INVOCARE E BENEDIRE DIO NELLA TRIBOLAZIONE
"Sia sempre benedetto il tuo nome" (Tb 3,23), o Signore; tu
che hai disposto che venisse su di me questa tormentosa tentazione. Sfuggire ad essa non
posso; devo invece rifugiarmi in te, perché tu mi aiuti, mutandomela in bene.
Signore, ecco io sono nella tribolazione: non ha pace il mio cuore,
anzi è assai tormentato da questa passione.
Che dirò, allora, o Padre diletto? Sono stretto tra queste angustie;
"fammi uscire salvo da un tale momento. Ma a tale momento io giunsi" (Gv 12,27)
perché, dopo essere stato fortemente abbattuto e poi liberato per merito tuo, tu ne fossi
glorificato. "Ti piaccia, o Signore, di salvarmi tu" (Sal 39,14); infatti che
cosa posso fare io nella mia miseria; dove andrò, senza di te? Anche in questo momento di
pericolo dammi di saper sopportare; aiutami tu, o mio Dio: non avrò timore di nulla, per
quanto grande sia il peso che graverà su di me. E frattanto che dirò? O Signore,
"che sia fatta la tua volontà" (Mt 26,42). Bene le ho meritate, la tribolazione
e l'oppressione; e ora debbo invero saperle sopportare, - e, volesse il cielo, sopportare
con pazienza - finché la tempesta sia passata e torni la bonaccia.
La tua mano onnipotente può fare anche questo, togliere da me questa
tentazione o mitigarne la violenza, affinché io non perisca del tutto: così hai già
fatto più volte con me, "o mio Dio e mia misericordia" (Sal 58,17). Quanto è a
me più difficile, tanto è più facile a te "questo cambiamento della destra
dell'Altissimo" (Sal 76,11).
Capitolo XXX
CHIEDERE L'AIUTO DI DIO, NELLA FIDUCIA DI RICEVERE LA SUA GRAZIA
O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della tribolazione" (Na
1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore ostacolo alla celeste
consolazione è proprio questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera. Infatti,
prima di rivolgere a me intense orazioni, tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in
cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a che tu non
comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di me, non c'è aiuto
efficace, utile consiglio, rimedio durevole. Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca,
devi trovare nuovo vigore nella luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto,
dice il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma. C'è
forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che dice e non fa?
Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte.
Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta me; aspetta: verrò e ti risanerò. E'
una tentazione quella che ti tormenta; è una vana paura quella che ti atterrisce. A che
serve la preoccupazione di quel che può avvenire in futuro, se non a far sì che tu
aggiunga tristezza a tristezza? "Ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34).
Vano e inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose future, che forse non accadranno mai.
Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della nostra
pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni del nemico. Il
quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false; non badare se ti abbatta
con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore delle cose future. "Non si
turbi dunque il tuo cuore, e non abbia timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia
nella mia misericordia. Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono
accanto; spesso, quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la
possibilità di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa
contraria. Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna
difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni
speranza di riemergere. Non crederti abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a
suo tempo, qualche tribolazione o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così,
infatti, si passa nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei servi,
essere provati dalle avversità è più utile che avere tutto a comando. Io conosco i
pensieri nascosti; so che, per la tua salvezza, è molto bene che tu sia lasciato talvolta
privo di soddisfazione, perché tu non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti di
ciò che non sei. Quel che ho dato posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi
piacerà. Quando avrò dato, avrò dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa
tua; poiché mio è "tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni dono
perfetto" (Gc 1,17).
Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né si prostri
l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio. Io
sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche quando opero in tal modo con te. Se
senti rettamente, se guardi alla luce della verità, non devi mai abbatterti così, e
rattristarti, a causa delle avversità, ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie;
devi anzi considerare gaudio supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga
delle sofferenze. "Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9),
dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo
mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma
alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza.
Ricordati, figlio mio, di queste parole.
Capitolo XXXI
ABBANDONARE OGNI CREATURA PER POTER TROVARE DIO
O Signore, davvero mi occorre una grazia sempre più grande, se debbo giungere là dove
nessuno né alcuna cosa creata mi potrà essere di impaccio; infatti, finché una
qualsiasi cosa mi trattenga, non potrò liberamente volare a te. E liberamente volare a
te, era appunto, l'ardente desiderio di colui che esclamava: "Chi mi darà ali come
di colomba, e volerò, e avrò pace?" (Sal 54,7). Quale pace più grande di quella di
un occhio puro? Quale libertà più grande di quella di chi non desidera nulla di terreno?
Occorre dunque passare oltre ad ogni creatura; occorre tralasciare pienamente se stesso,
uscire spiritualmente da sé; occorre capire che tu, che hai fatto tutte le cose, non hai
nulla in comune con le creature. Chi non è libero da ogni creatura, non potrà attendere
liberamente a ciò che è divino. Proprio per questo sono ben pochi coloro che sanno
giungere alla contemplazione, perché pochi riescono a separarsi appieno dalle cose
create, destinate a perire. Per giungere a ciò, si richiede una grazia grande, che
innalzi l'anima e la rapisca più in alto di se medesima. Ché, se uno non è elevato
nello spirito e libero da ogni creatura; se non è totalmente unito a Dio, tutto quello
che sa e anche tutto quello che possiede non ha grande peso. Sarà sempre piccolo e
giacerà a terra colui che apprezza qualcosa che non sia il solo, unico, immenso ed eterno
bene. In verità ogni cosa, che non sia Dio, è un nulla, e come un nulla va considerata.
Ben differenti sono la virtù della sapienza, propria dell'uomo illuminato e devoto, e la
scienza, propria dell'erudito e dotto uomo di studio. Giacché la sapienza che emana da
Dio, e fluisce dall'alto in noi, è di gran lunga più sublime di quella che faticosamente
si acquista con il nostro intelletto.
Troviamo non poche persone che desiderano la contemplazione, ma poi non si
preoccupano di mettere in pratica ciò che si richiede per la contemplazione stessa; e il
grande ostacolo consiste in questo, che ci si accontenta degli indizi esterni e di ciò
che cade sotto i sensi, possedendo ben poco della perfetta mortificazione. Non so come
sia, da quale spirito siamo mossi, a quale meta tendiamo, noi che sembriamo aver fama di
spirituali: ci diamo tanta pena e ci preoccupiamo tanto di queste cose che passano e non
hanno valore alcuno, mentre a stento riusciamo, qualche rara volta, a pensare al nostre
essere interiore, in totale raccoglimento. Un raccoglimento breve, purtroppo; dopo del
quale ben presto ci buttiamo alle cose esteriori, senza più sottoporre il nostro agire a
un vaglio severo. Dove siano posti e ristagnino i nostri affetti, noi non badiamo; e non
ci disgusta che tutto sia corrotto. Invece il grande diluvio avvenne perché
"ciascuno aveva corrotto la sua vita" (Gn 6,12). Quando, dunque, la nostra
interna inclinazione è profondamente guastata, necessariamente si guasta anche la
conseguente azione esterna, rivelatrice di scarsa forza interiore. E' dal cuore puro che
discendono frutti di vita virtuosa. Si indaga quanto uno abbia fatto, ma non si indaga
attentamente con quanta virtù egli abbia agito. Si guarda se uno sia stato uomo forte e
ricco e nobile; se sia stato abile e valente scrittore, cantante eccellente o bravo
lavoratore; ma si tace, da parte di molti, su quanto egli sia stato povero in spirito e
paziente e mite e devoto, e quanta spiritualità interiore egli abbia avuto. La natura
bada alle cose esterne dell'uomo; la grazia si rivolge alle cose interiori. Quella
frequentemente si inganna, questa si affida a Dio per non essere ingannata.
Capitolo XXXII
RINNEGARE SE STESSI E RINUNCIARE AD OGNI DESIDERIO
O figlio, se non avrai rinnegato totalmente te stesso, non potrai avere una perfetta
libertà. Infatti sono come legati, tutti coloro che portano amore alle cose e a se
stessi, pieni di bramosia e di curiosità, svagati, sempre in cerca di mollezze. Essi
vanno spesso immaginando e raffigurando, non ciò che è di Gesù Cristo, ma ciò che è
perituro; infatti ogni cosa che non è nata da Dio scomparirà. Tieni ben ferma questa
massima, breve e perfetta: tralascia ogni cosa; rinunzia alle brame e troverai la pace.
Quando avrai attentamente meditato nel tuo cuore questa massima, e l'avrai messa in
pratica, allora comprenderai ogni cosa. O Signore, non è, questa, una faccenda che si
possa compiere in un giorno; non è un gioco da ragazzi. Che anzi in queste brevi parole
si racchiude tutta la perfezione dell'uomo di fede.
O figlio, non devi lasciarti piegare, non devi subito abbatterti, ora che hai
udito quale è la strada di chi vuole essere perfetto. Devi piuttosto sentirti spinto a
cose più alte; almeno ad aspirare ad esse col desiderio. Volesse il cielo che così fosse
per te; che tu giungessi a non amare più te stesso, e ad attenerti soltanto alla volontà
mia e di colui che ti ho mostrato quale padre. Allora tu mi saresti assai caro e la tua
vita si tramuterebbe tutta in una pace gioiosa. Ma tu hai ancora molte cose da
abbandonare; e se non rinunzierai a tutte le cose e del tutto, per me, non otterrai quello
che chiedi. "Il mio invito è che, per farti più ricco, tu acquisti da me l'oro
colato" (Ap 3,18), vale a dire la celeste sapienza, che sovrasta tutto ciò che è
basso; che tu lasci indietro e la sapienza di questo mondo ed ogni soddisfazione di se
stesso ed ogni compiacimento degli uomini. Il mio invito è che tu, in luogo di ciò che
è ritenuto prezioso e importante in questo mondo, acquisti una cosa disprezzante: la vera
sapienza, che viene dal cielo ed appare qui disprezzata assai, piccola e quasi lasciata in
oblio. Sapienza che non presume molto di sé, non ambisce ad essere magnificata quaggiù e
viene lodata a parole da molti, i quali, con la loro vita, le stanno invece lontani.
Eppure essa è la gemma preziosa, che i più lasciano in disparte.
Capitolo XXXIII
L'INSTABILITA' DEL NOSTRO CUORE E LA INTENZIONE ULTIMA, CHE DEVE ESSERE
POSTA IN DIO
figlio, non ti fidare della disposizione d'animo nella quale ora ti
trovi; ben presto essa muterà in una disposizione diversa. Per tutta la vita sarai
oggetto, anche se tu non lo vuoi, a tale mutevolezza. Volta a volta, sarai trovato lieto o
triste, tranquillo o turbato, fervente oppure no, voglioso o pigro, pensoso o spensierato.
Ma colui che è ricco di sapienza e di dottrina spirituale si pone saldamente al di sopra
di tali mutevolezze, non badando a quello che senta dentro di sé, o da che parte spiri il
vento della instabilità; badando, invece, che tutto il proposito dell'animo suo giovi al
fine dovuto e desiderato. Così infatti egli potrà restare sempre se stesso in modo
irremovibile, tenendo costantemente fisso a me, pur attraverso così vari eventi, l'occhio
puro della sua intenzione.
E quanto più puro sarà l'occhio dell'intenzione, tanto più sicuro
sarà il cammino in mezzo alle varie tempeste. Ma quest'occhio puro dell'intenzione, in
molta gente, è offuscato, perché lo sguardo si volge presto a qualcosa di piacevole che
balzi dinanzi. E poi raramente si trova uno che sia esente del tutto da questo neo, di
cercare la propria soddisfazione: Come gli Ebrei, che erano venuti, quella volta, a
Betania, da Marta e Maria, "non già per vedere Gesù, ma per vedere Lazzaro"
(Gv 12,9).
Occorre, dunque, che l'occhio dell'intenzione sia purificato, reso
semplice e retto; occorre che esso, al di là di tutte le varie cose che si frappongono,
sia indirizzato a me.
Capitolo XXXIV
CHI E' RICCO D'AMORE GUSTA DIO IN TUTTO E AL DI SOPRA DI OGNI COSA
Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di più; quale altra cosa posso io desiderare per
la mia felicità? O parola piena di dolce sapore, sapore però che gusta soltanto colui
che ama il Verbo, non colui che ama il mondo e le cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. E'
detto abbastanza per chi ha intelletto; ed è una gioia, per chi ha amore, ripeterlo
spesso. In verità, se tu sei con noi, recano gioia tutte le cose; se, invece, tu sei
lontano, tutto infastidisce. Sei tu che dai pace al cuore: una grande pace e una gioia
festosa. Sei tu che fai gustare rettamente ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in tutte
le cose. Senza di te nulla ci può dare diletto durevole. Perché una cosa possa esserci
gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua grazia non sia assente; occorre che
questa cosa sia condita del condimento della tua sapienza. C'è forse una cosa che uno non
sappia rettamente gustare, se questi ha gusto di te? E che cosa mai potrà esserci di
gioioso per uno che non ha gusto di te? Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti
di questo mondo; scompaiono anche coloro che amano ciò che è carnale: tra quelli si
trova una grande vanità, tra questi la morte. Veri sapienti sono riconosciuti ,
all'incontro, coloro che seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e mortificando
la carne: veri sapienti, perché passati dalla vanità alla verità, dalla carne allo
spirito. Sono questi che sanno gustare Dio, e riconducono a lode del Creatore tutto ciò
che di buono si trova nelle creature.
Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che dà il Creatore e il gusto
che dà la creatura; quello dell'eternità e quello del tempo; quello della luce increata
e quello della luce che viene data. O eterna luce, che trascendi ogni luce creata, manda
dall'alto un lampo splendente, che tutto penetri nel più profondo del mio cuore! Rendi
puro e lieto e limpido e vivo il mio spirito, in tutte le sue facoltà; che esso sia
intimamente unito a te, in un gioioso abbandono. Quando, dunque, verrà quel momento beato
ed atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con la tua presenza e sarai tutto e in tutto
per me? Fino a quando questo non mi sarà concesso, non ci sarà per me una piena letizia.
Ancora, purtroppo, vive in me l'uomo vecchio; ancora non è totalmente crocefisso, non è
morto del tutto; ancora si pone duramente, con le sue brame, contro lo spirito; muove
lotte interiori e non permette che il regno dell'anima abbia pace. Ma "tu, che
comandi alla forza del mare e plachi il moto dei flutti (Sal 88,10), levati in mio
soccorso (Sal 43,25); disperdi le genti che vogliono la guerra (Sal 67,31)abbattile con la
tua potenza" (Sal 58,12). Mostra, te ne scongiuro, le tue opere grandi, e sarà data
gloria alla tua speranza, altro rifugio non mi è dato se non in te, Signore Dio mio.
Capitolo XXXV
IN QUESTA VITA, NESSUNA CERTEZZA DI ANDARE ESENTI DA TENTAZIONI
O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché avrai vita,
avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e vieni assalito da
destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte e dall'altra, dello scudo
della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più, se non terrai il tuo animo fisso
in me, con l'unico proposito di tutto soffrire per amor mio, non potrai reggere l'ardore
della lotta e arrivare al premio dei beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e
avere braccio valido contro ogni ostacolo: "la manna viene concessa al
vittorioso" (Ap 2,17), mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore.
Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace
eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi preparare.
Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli uomini, o
nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente sopportare, per amore di
Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie, miserie e malanni; ingiurie,
biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche sprezzanti.
Cose, queste, che aiutano nella via della virtù e costituiscono una prova per chi si è
posto al servizio di Cristo; cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una
eterna ricompensa io darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una
umiliazione destinata a passare.
Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo
piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono, invece, tante
difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni. Sennonché, con la virtù
della sopportazione, essi si tennero sempre ritti, confidando più in Dio che in se
stessi; consci che "le sofferenze del momento presente non sono nulla a confronto
della conquista della gloria futura" (Rm 8,18). O vuoi tu avere subito quello che
molti ottennero a stento, dopo tante lacrime e tante fatiche? "Aspetta il Signore,
comportati da uomo" (Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non disertare.
Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo, per la gloria di Dio. Strabocchevole sarà
la mia ricompensa. Io sarò con te in ogni tribolazione.
Capitolo XXXVI
CONTRO I VUOTI GIUDIZI UMANI
O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti proclama onesto
e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e santa è sopportare il
giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di cuore e confida in Dio, più che in
se stesso. C'è molta gente che parla tanto: e, perciò, poco è il credito che le si deve
dare. Del resto, fare contenti tutti non è possibile. Che se Paolo cercò di piacere a
tutti nel Signore e si fece "tutto per tutti" (1Cor 9,22), tuttavia non diede
alcuna importanza al fatto d'essere giudicato da questo tempo"(1Cor 4,3). Egli operò
grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per l'edificazione e la
salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta fosse giudicato e persino
disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di Dio, a cui tutto è noto.
Con la pazienza e con l'umiltà egli si difese dalla sfrontatezza di quelli che dicevano
iniquità o pensavano vuotaggini e menzogne o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio:
pur talvolta rispondendo, perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.
"Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale? " (Is 51,12).
L'uomo, oggi c'è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti sgomenterai di ciò
che può farti paura da parte degli uomini. Che cosa può un uomo contro di te, con parole
e improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a te; né potrà sfuggire al giudizio di
Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu tieni fissi gli occhi in Dio, e
"non voler opporti a lui, con parole di lamento" ("Tm 2,14). Che se, al
momento, sembra che tu soccomba e che tu sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per
questo, sdegnarti; né devi fare che sia più piccolo il tuo premio, per difetto di
pazienza. Guarda, invece, a me, cui è dato di strappare l'uomo da ogni ingiustizia,
"rendendo a ciascuno secondo le sue opere" (Mt 16,27; Rm 2,6).
Capitolo XXXVII
L'ASSOLUTA E TOTALE RINUNCIA A SE STESSO PER OTTENERE LIBERTA' DI
SPIRITO
O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai. Vivi libero da preferenze, libero da tutto
ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre vantaggio; ché una grazia sempre più grande
sarà riversata sopra di te, non appena avrai rinunciato a te stesso, senza volerti più
riavere. O Signore, quante volte dovrò rinunciare, e in quali cose dovrò abbandonare me
stesso? Sempre, e in ogni momento, sia nelle piccole come nelle grandi cose. Nulla io
escludo: ti voglio trovare spogliato di tutto. Altrimenti, se tu non fossi interiormente
ed esteriormente spogliato di ogni tua volontà, come potresti essere mio; e come potrei
io essere tuo? Più presto lo farai, più sarai felice; più completamente e sinceramente
lo farai, più mi sarai caro e tanto maggior profitto spirituale ne trarrai. Ci sono
alcuni che rinunciano a se stessi, ma facendo certe eccezioni: essi non confidano
pienamente in Dio, e perciò si affannano a provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che
dapprima offrono tutto; ma poi, sotto i colpi della tentazione, ritornano a ciò che è
loro proprio, senza progredire minimamente nella virtù. Alla vera libertà di un cuore
puro e alla grazia della rallegrante mia intimità, costoro non giungeranno, se non dopo
una totale rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di che non si ha e non si avrà
una giovevole unione con me.
Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te
stesso e godrai di grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto; non cercare, non
richiedere nulla; sta' risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai libertà di
spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua
preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di tutto ciò che è tuo proprio, a
metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a te stesso, a vivere sempre in me.
Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le inutili preoccupazioni, tutto questo
scomparirà. Allora scompariranno il timore dissennato, e ogni amore non conforme al
volere di Dio.
Capitolo XXXVIII
IL BUON GOVERNO DI SE' NELLE COSE ESTERNE E IL RICORSO A DIO NEI
PERICOLI
O figlio, tu devi attentamente mirare a questo, che dappertutto, e in qualunque azione
ed occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero e padrone di te; che le cose siano
tutte sotto di te, e non tu sotto di esse. Cosicché tu abbia a dominare e governare i
tuoi atti, e tu non sia come un servo o mercenario, ma tu sia libero veramente come
l'ebreo, che passa dalla servitù alla condizione di erede e alla libertà dei figli di
Dio. I figli di Dio stanno al di sopra delle cose di questo mondo, e tengono gli occhi
fissi all'eterno; guardano con l'occhio sinistro le cose che passano, e con il destro le
cose del cielo; infine non sono attratti, così da attaccarvisi, dalle cose di questo
tempo, ma traggono le cose a sé, perché servano al bene, così come sono state disposte
da Dio e istituite dal sommo artefice. Il quale nulla lascia, in alcuna sua creatura, che
non abbia il suo giusto posto.
Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti fermerai all'apparenza esterna e
non apprezzerai con occhio carnale tutto ciò che vedi ed ascolti; se, all'incontro, in
ogni questione, entrerai subito, come Mosè, sotto la tenda, per avere consiglio dal
Signore, udrai talvolta la risposta di Dio, e ne uscirai istruito su molte cose di oggi e
del futuro. Era solito Mosè ritornare alla sua tenda, per dubbi e quesiti da risolvere;
era solito rifugiarsi nella preghiera, per alleviare i pericoli e le perversità degli
uomini. Così anche tu devi rifugiarti nel segreto del tuo cuore, implorando con tanta
intensità l'aiuto divino. Che se - come si legge - Giosuè e i figli di Israele furono
raggirati dai Gabaoniti, fu proprio perché non chiesero prima il responso del Signore;
ma, facendo troppo affidamento su questi allettanti discorsi, furono traditi da una falsa
benevolenza.
Capitolo XXXIX
NESSUN AFFANNO NEL NOSTRO AGIRE
O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre io per il
meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore, di gran cuore affido
a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani. Volesse il cielo che io non
fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in futuro, e mi offrissi, invece, senza
esitare alla tua volontà.
O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui sente
la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente, perché i
nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono invece da una
cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare a se stessi, anche in cose di
poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione di sé. Pienamente
libero e sereno è appunto soltanto chi rinnega se stesso. Ecco, però, che l'antico
avversario, il quale si pone contro tutti coloro che amano il bene, non tralascia la sua
opera di tentazione; anzi, giorno e notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di far
cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia poco guardingo. "Vegliate e pregate,
dice i Signore, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41).
Capitolo XL
NULLA DI BUONO HA L'UOMO DA SE' E DI NULLA PUO' VANTARSI
"O Signore, che cosa è l'uomo, che tu abbia a ricordarti di lui? Che cosa è il
figlio dell'uomo, che tu venga a lui?" (Sal 8,5). Quali meriti ha mai l'uomo, perché
tu gli dia la tua grazia? O Signore, di che posso lamentarmi se mi abbandoni; che cosa
posso, a buon diritto, addurre se tu non mi concedi quello che chiedo? Soltanto questo, in
verità, posso dire, con certezza, in cuor mio: Signore, nulla io sono, nulla posso, nulla
di buono io ho da me stesso; anzi fallisco in ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se non
vengo aiutato da te e plasmato interiormente, mi infiacchisco totalmente e mi abbandono.
"Invece tu, o Signore, sei sempre te stesso e tale resti in eterno" (Sal 101,
28.31), immutabilmente buono, giusto, santo, talché fai e disponi ogni cosa con sapienza.
Io, invece, essendo più pronto a regredire che ad avanzare, non mi mantengo sempre nella
stessa condizione; che anzi "sette tempi diversi passano sopra di me" (Dn 4,
13.20.22); anche se il mio stato può, d'un tratto, mutarsi in meglio, non appena tu lo
vuoi, e mi porgi la mano soccorritrice. Da te solo, infatti, non già dall'uomo soccorso,
mi può venire l'aiuto e il dono della fermezza, cosicché la mia faccia non muti
continuamente, e il mio cuore si volga solo a te, e in te trovi pace. Dunque, se io fossi
capace di disprezzare ogni consolazione degli uomini - sia per conseguire maggior fervore,
sia per rispondere al bisogno di cercare te, in mancanza di chi mi possa confortare -
allora potrei fondatamente sperare nella tua grazia ed esultare del dono di una
rinnovellata consolazione.
Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto discende, se qualcosa di buono mi
accade. Ché io non sono altro che vanità, "anzi un nulla, al tuo cospetto"
(Sal 38, 6), un uomo incostante e debole. Di che cosa posso io vantarmi; come posso
pretendere di essere stimato? Forse per quel nulla che io sono? Sarebbe vanità sempre
più grande. O veramente vuota vanteria, peste infame, massima presunzione, che distoglie
dalla vera gloria, privandoci della grazia del cielo. Giacché mentre si compiace di se
stesso, l'uomo dispiace a te; mentre ambisce ad essere lodato dagli altri, si spoglia
della vera virtù. Vera gloria, invece, e gaudio santo, è gloriarci in te, non in noi;
trovare compiacimento nel tuo nome, non nella nostra virtù; non cercare diletto in alcuna
creatura, se non per te. Sia lodato il tuo nome, non il mio; siano esaltate le tue opere,
non le mie; sia benedetto il tuo nome santo, e a me non sia data lode alcuna da parte
degli uomini. Tu sei la mia gloria e la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi
glorierò sempre: "per nulla invece in me, se non nella mia debolezza"
("Cor 12,5). Lasciando ai Farisei il cercare gloria gli uni dagli altri, io cercherò
quella gloria che viene solo da Dio. A confronto della tua gloria eterna, è vanità e
stoltezza ogni lode che viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù, ogni mondana
grandezza. O mia verità e mia misericordia, mio Dio, Trinità beata, a te solo sia lode,
onore, virtù e gloria, per gli infiniti secoli dei secoli!
Capitolo XLI
IL DISPREZZO DI OGNI ONORE DI QUESTO MONDO
Figlio, non crucciarti se vedi che altri sono onorati ed innalzati,
mentre tu sei disprezzato ed umiliato. Drizza il tuo animo a me, nel cielo; così non ti
rattristerà il disprezzo degli uomini, su questa terra. O Signore, noi siamo come ciechi
e facilmente ci lasciamo sedurre dall'apparenza. Ma se esamino seriamente me stesso, non
c'è cosa che possa essermi fatta da alcuna creatura che sia un torto nei miei confronti:
dunque non avrei motivo di lamentarmi con te. E', appunto, perché spesso e gravemente ho
peccato al tuo cospetto, che qualsiasi creatura si può muovere a ragione contro di me. A
me, dunque, è giusto che si dia vergogna e disprezzo; a te invece, lode, onore e gloria.
E se non mi sarò ben predisposto a desiderare di essere disprezzato da ogni creatura, ad
essere buttato in un canto e ad essere considerato proprio un nulla, non potrò trovare
pace e serenità interiore; non potrò essere spiritualmente illuminato e pienamente a te
unito.
Capitolo XLII
LA NOSTRA PACE NON DOBBIAMO PORLA NEGLI UOMINI
O figlio, se la tua pace l'attendi da qualcuno, secondo il tuo sentimento e il piacere
di stare con lui, avrai sempre incertezza ed impacci. Se, invece, tu ricorrerai alla
verità, sempre viva e stabile, non sarai contristato per l'abbandono da parte di un
amico; neppure per la sua morte. Su di me deve essere fondato l'amore per l'amico; in me
deve essere amato chi ti appare degno e ti è particolarmente caro in questa vita; senza
di me non regge e non dura l'amicizia; non c'è legame d'amicizia veramente puro, se non
sono io ad annodarlo. Perciò tu devi essere totalmente morto ad ogni attaccamento verso
persone che ti siano care così da preferire, per quanto sta in te, di essere privo di
ogni umana amicizia.
Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto più ci si ritira lontano da ogni
conforto terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio, quanto più si entra nel profondo
di noi stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla. Che se uno, invece, attribuisce
a sé qualcosa di buono, questi ostacola la venuta della grazia divina il lui; giacché la
grazia dello Spirito Santo cerca sempre un cuore umile. Se tu sapessi annichilirti e
uscire da ogni affetto di quaggiù, liberandoti da ogni attaccamento di questo mondo,
allora, certamente, io verrei a te, con larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle
creature, ti si sottrae la vista del Creatore. Per amore del Creatore, dunque, vinci te
stesso, in tutte le cose; così potrai giungere a conoscere Dio. Se una cosa, per quanto
piccola sia, la si ama e ad essa si guarda non rettamente, questa ti ostacola la via verso
il sommo Dio, e ti corrompe.
Capitolo XLIII
CONTRO L'INUTILE SCIENZA DI QUESTO MONDO
Figlio, non ti smuovano i ragionamenti umani, per quanto eleganti e profondi; ché
"il regno di Dio non consiste nei discorsi, ma nelle virtù" (1Cor 4,20). Guarda
alle mie parole; esse infiammano i cuori e illuminano le menti; conducono al pentimento e
infondono molteplice consolazione. Che tu non legga mai neppure una parola al fine di
poter apparire più dotto e più sapiente. Attendi, invece, alla mortificazione dei vizi;
cosa che ti gioverà assai più che essere a conoscenza di molti difficili problemi. Per
quanto tu abbia molto studiato ed appreso, dovrai sempre tornare al principio primo. Sono
io "che insegno all'uomo la sapienza" (Sal 93,10); sono io che concedo ai
piccoli una conoscenza più chiara di quella che possa essere impartita dall'uomo. Colui
per il quale sono io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e progredirà assai nello
spirito. Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni, e poco
si preoccupano di quale sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il tempo in cui
apparirà il maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad ascoltare quel che
ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la coscienza di ognuno. Allora Gerusalemme sarà
giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si nascondeva nelle tenebre apparirà
in piena chiarezza; allora verrà meno ogni ragionamento fatto di sole parole.
Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti
fondamenti della verità eterna; più che se uno avesse studiato a scuola per dieci anni.
Sono io che insegno, senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni diverse, senza
contrapposizione di argomenti; senza solennità di cattedra. Sono io che insegno a
disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è contingente e a cercare l'eterno;
inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare le offese, a riporre ogni speranza in me, a
non desiderare nulla all'infuori di me e ad amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa.
In verità ci fu chi, solo con il profondo amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le
sue parole erano meravigliose. Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che
applicandosi a sottili disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per tutti; ad
altri rivolgo parole particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di figurazioni
simboliche, ad altri rivelo i misteri con grande fulgore. La voce dei libri è una sola, e
non plasma tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro interiore, anzi la verità
stessa, io che scruto i cuori e comprendo i pensieri e muovo le azioni degli uomini, vado
distribuendo a ciascuno secondo che ritengo giusto.
Capitolo XLIV
NON CI SI DEVE ATTACCARE ALLE COSE ESTERIORI
O figlio, molte cose occorre che tu le ignori, considerandoti come morto su questa
terra, come uno per cui il mondo intero è crocifisso; molte altre cose, occorre che tu vi
passi in mezzo, senza prestare ascolto, meditando piuttosto su ciò che costituisce la tua
pace. Giova di più distogliere lo sguardo da ciò che non approviamo, lasciando che
ciascuno si tenga il suo parere, piuttosto che metterci in accanite discussioni. Se sarai
in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più facilmente la vittoria.
Signore, a che punto siamo arrivati? Ecco per una perdita nelle cose di questo
mondo, si piange; per un piccolo guadagno ci si affatica e si corre. Invece un danno
spirituale passa nell'oblio, e a stento, troppo tardi, si ritorna in sé. Ci si preoccupa
di ciò che non serve a nulla o a ben poco; e ciò che è sommamente necessario lo si
lascia da parte con negligenza. Giacché l'uomo inclina tutto verso le cose esteriori, e
beatamente vi si acquieta, se subito non si ravvede.
Capitolo XLV
NON FARE AFFIDAMENTO SU ALCUNO: LE PAROLE FACILMENTE INGANNANO
"Aiutami, o Signore, nella tribolazione, perché è vana la salvezza che viene
dagli uomini" (Sal 59,13). Quante volte non trovai affatto fedeltà, proprio là dove
avevo creduto di poterla avere; e quante volte, invece, la trovai là dove meno avevo
creduto. Vana è, dunque, la speranza negli uomini, mentre in te, o Dio, sta la salvezza
dei giusti. Sii benedetto, o Signore mio Dio, in tutto quanto ci accade. Deboli siamo, e
malfermi; facilmente ci inganniamo e siamo mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e tanto
attento da saper sempre custodire se stesso, così da non cadere mai in qualche delusione
e incertezza? Ma non cadrà così facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti
cerca con semplicità di cuore. Che se incontrerà una tribolazione, in qualunque modo sia
oppresso, subitamente ne sarà strappato da te, o sarà da te consolato, poiché tu non
abbandoni chi spera in te, fino all'ultimo. Cosa rara è un amico sicuro, che resti tale
in tutte le angustie dell'amico. Ma tu, o Signore, tu solo sei sempre pienamente fedele:
non c'è amico siffatto, fuori di te.
Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima santa che poté dire: il mio
spirito è saldo, e fondato su Cristo! Se così fosse anche per me, non sarei tanto
facilmente agitato da timori umani, né mi sentirei ferito dalle parole. Chi può mai
prevedere ogni cosa e cautelarsi dai mali futuri? Se, spesso, anche ciò che era previsto
riesce dannoso, con quanta durezza ci colpirà ciò che è imprevisto? Perché non ho
meglio provveduto a me misero?; e perché mi sono affidato tanto leggermente ad altri?
Siamo uomini, nient'altro che fragili uomini, anche se molti ci ritengono e ci dicono
angeli. Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a te? Tu sei la verità che non inganna
e non può essere ingannata; mentre "l'uomo è sempre bugiardo" (Sal 115,11),
debole, insicuro e mutevole, specie nelle parole, tanto che a stento ci si può fidare
subito di quello che, in apparenza, pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci
avevi ammonito che ci dobbiamo guardare dagli uomini; che "nemici dell'uomo sono i
suoi più vicini" (Mt 10,36); che non si deve credere se uno dice: "ecco qua,
ecco là!" (Mt 24,23; Mc 13,21)! Ho imparato a mie spese, e voglia il cielo che ciò
mi serva per acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella stoltezza. Bada, mi dice
taluno, bada bene, e serba per te quel che ti dico. Ma, mentre io sto zitto zitto,
credendo che la cosa resti segreta, neppure lui riesce a tacere ciò per cui mi aveva
chiesto il silenzio: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche se stesso; e se ne va.
Oh, Signore, difendimi da siffatte fandonie e dalla gente stolta, cosicché io non cada
nelle loro mani, e mai non commetta simili cose. Da' alla mia bocca una parola vera e
sicura, e lontana da me il linguaggio dell'inganno. Che io mi guardi in ogni modo da ciò
che non vorrei dover sopportare da altri.
Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio intorno agli altri; non credere
pari pari ad ogni cosa, né andare ripetendola; rivelare sé stesso soltanto a pochi;
cercare sempre te, che scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e di là da ogni
vuoto discorso; volere che ogni cosa interiore ed esterna, si compia secondo la tua
volontà! Quale tranquillità, fuggire le apparenze umane, per conservare la grazia
celeste; non ambire a ciò che sembri assicurare ammirazione all'esterno, e inseguire
invece, con ogni sollecitudine, ciò che assicura emendazione di vita e fervore! Di quanto
danno fu, per molti, una virtù a tutti nota e troppo presto lodata. Di quanto vantaggio
fu, invece, una grazia conservata nel silenzio, durante questa nostra fragile vita, della
quale si dice a ragione che è tutta una tentazione e una lotta!
Capitolo XLVI
AFFIDARSI A DIO QUANDO SPUNTANO PAROLE CHE FERISCONO
O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non parole?:
volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad emendarti di buona
voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare lietamente per amor di Dio.
Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che non sei capace
ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono
nell'animo, se non perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più
importanza di quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino,
non vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa.
Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di
piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato
e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né
veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia
parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si
potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare
esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza? Ti
potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di interiorità e non
tiene Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola
offensiva. Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà
libero dal timore degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i
segreti; io so come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che
patisce l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché
io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di tutti" (Lc
2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma voglio che prima siano
saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio, invece,
è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via via a pochi,
esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto agli occhi di chi non
ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si fidi del proprio
criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato, "qualunque cosa gli venga" da
Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne
darà molto pensiero; così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà
scagionato da altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i
cuori e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana.
Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano,
passa degno di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso"
(Sal 7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e
tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io non
so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e sopportarlo con
mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua
benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In verità, a
conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più che non mi giovi una
mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza. Ché, "pur quando non
sentissi di dovermi nulla rimproverare", non potrei per questo ritenermi giusto (1
Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua misericordia, "nessun vivente sarebbe
giusto, al tuo cospetto" (Sal 142,2).
Capitolo XLVII
OGNI COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA, PER CONSEGUIRE LA VITA ETERNA
O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti che ti sei assunto per amor mio; non
lasciarti mai abbattere dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti dia, invece, forza e
consolazione la mia promessa; ché io ben so ripagare al di là di qualsiasi limite e
misura. Non durerà a lungo la tua sofferenza quaggiù; non continuerà per sempre il peso
dei tuoi dolori. Attendi un poco, e li vedrai finire d'un tratto, questi dolori; verrà il
momento in cui fatiche ed agitazioni cesseranno. E' poca cosa, e dura poco, tutto ciò che
passa con questa vita. Fa quel che devi; lavora fedelmente nella mia vigna: io stesso
sarò la tua ricompensa. Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le
avversità: premio a tutto questo, alle più grandi lotte, è la vita eterna. Sarà pace,
in quell'ora che sa il Signore. E non ci sarà giorno e notte, come adesso, ma perpetua
luce, chiarità infinita, pace ferma e sicura tranquillità. Allora non dirai: "chi
mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24); e non esclamerai "ohimé!,
quanto si prolunga questo mio stare quaggiù" (Sal 119,5). Ché la morte sarà
annientata e vi sarà piena salvezza, senza ombra di angustia; e, intorno a te, una gioia
beata, una soave schiera gloriosa.
Oh!, se tu vedessi il premio eterno che ricevono i santi in cielo; se tu
vedessi di quanta gloria esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti spregevoli e quasi
immeritevoli di vivere, per certo, ti getteresti subito a terra, preferendo essere
inferiore a tutti, piuttosto che eccellere anche su di un solo; non desidereresti giorni
lieti in questa vita, godendo piuttosto delle tribolazioni sopportate per amore di Dio,;
infine crederesti che il guadagno più grande consiste nell'essere considerato un nulla
tra gli uomini. Oh!, se queste cose avessero un gusto per te e ti scendessero nel profondo
del cuore, come oseresti fare anche il più piccolo lamento? Forse che, per la vita
eterna, non si deve sopportare ogni tribolazione? Non è cosa di poco conto, perdere o
guadagnare il regno di Dio. Alza, dunque, il tuo sguardo al cielo: eccomi, insieme a tutti
i miei santi, i quali sopportano grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi sono nella
gioia, ricevono consolazione, stanno nella serenità, nella pace e nel riposo. E
resteranno con me nel regno del Padre mio, per sempre.
Capitolo XLVIII
LA VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE
O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non
offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e
sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose
temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per
sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa
terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo
quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia
grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono
i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e
irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni,
distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori,
atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto
dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole
schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te
troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza
alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla
turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù,
quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando
sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato
dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica,
ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio
dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il
mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di
te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose
temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al
di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E
così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20),
ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.
Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle
cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali.
Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in
collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa
turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico"
(Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi
tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli
immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché
nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni
cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua
misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In
verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io
non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla
mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta
ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine,
che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti
chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il
cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi
rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado.
Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello
spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri;
di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia
andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i
desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza
tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti,
rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.
Capitolo XLIX
IL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA. I GRANDI BENI PROMESSI A QUELLI CHE
LOTTANO
Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine; quando
aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il mio
splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande
sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà, che
si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e
ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le
tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo
sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà
dato così di progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti
alle lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi
con volonteroso fervore.
Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così
certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla tentazione di
restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur avevano chiesto a Dio con
tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la gloria di Dio. Tale è sovente il
tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco confacente: non è puro e
perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti
piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben
vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e
seguirlo. Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere
nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del
cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un
momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di essere
ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io "aspettami,
dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi essere ancora provato
qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma
non ti sarà concessa una piena sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo"
(Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti
rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu
faccia quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo
quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato quanto
dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri chiederanno, e
riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli uomini;
sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o quella faccenda; tu, invece, non
sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà
molto se sopporterai in silenzio.
In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si
solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso. Altro,
forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che constatare ciò
che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare; specialmente allorché ti viene
imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o utile. Non osando opporre resistenza a
un potere superiore, tu, che sei sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e
lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste
sofferenze, cioè il rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun
peso in tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di
quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la
pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai, tutto ciò
che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è bene e non temerai
che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito, a nulla aspirerà
che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza,
nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te;
ma tutti i desideri saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo,
appagandolo del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la
tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei
cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà
coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il
potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato
alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a
chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di
eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori
in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece, non in
questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel disprezzare te stesso, nel
piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo che devi desiderare, che in te sia
glorificato sempre Iddio, "per la vita e per la morte" (Fil 1,20).
Capitolo L
CHI E' NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO
Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi
così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in
se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio
premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non
quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me,
tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza"
(Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se
stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace
dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace,
se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar
lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non
potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più,
gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come
prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue
ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.
Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve
essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca
un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi
sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve
essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli
uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te,
in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto,
così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai
all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò
quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu
lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che
tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far
sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa,
che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a
cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo
giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale
giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi
hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed
interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare
consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci
e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola
stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.
Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi
corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa
secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile
discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è
mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù,
che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla
rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che
esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su
questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la
tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io,
appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno
conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da
comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace
a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è
abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi
materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana
(Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito
di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il
giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che
sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è
migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi
lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un
essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile;
quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto
dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di
più.
Capitolo LI
DEDICARSI A COSE PIU' UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU' ALTE
Tu non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso desiderio di
virtù e restare in un alto grado di contemplazione. Talora, a causa della colpa che è
all'origine dell'umanità, devi scendere più in basso e portare il peso di questa vita
corruttibile, pur contro voglia e con disgusto; disgusto e pesantezza di spirito, che
sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque, e sotto il peso
della carne devi spesso patire, poiché non sei capace di stare interamente e
continuamente in occupazioni spirituali e nella contemplazione di Dio. Allora devi
rifugiarti in occupazioni umili e materiali e fortificarti con azioni degne; devi
attendere, con ferma fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi sopportare
con pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a che io non venga di nuovo
a te, liberandoti da tutte le angosce. Invero ti farò dimenticare le tue fatiche, nel
godimento della pace interiore; ti aprirò dinanzi il campo delle Scritture, nel quale
potrai cominciare a correre con animo sollevato "la via dei mie comandamenti"
(Sal 118,32). Allora dirai: "i patimenti di questo mondo non sono nulla in confronto
alla futura gloria, che si rivelerà in noi" (R>m 8,18).
Capitolo LII
L'UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI
ESSERE COLPITO
E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e desolato;
perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io non son degno, e non
lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un mare. Altro io non merito che
di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in grave modo, e per avere, in
molte occasioni peccato grandemente. Dunque, a conti fatti, in verità, io non sono
meritevole del minimo tuo conforto. Ma tu, Dio clemente e pietoso, per manifestare
l'abbondanza della tua bontà in copiosa misericordia, non vuoi che l'uomo, opera della
tue mani, perisca; inoltre ti degni di consolare il tuo servo, anche al di là di ogni
merito, in modo superiore all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli uomini, le tue
parole consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi abbia a concedere qualche
celeste conforto? Non rammento di aver fatto nulla di buono; rammento invece di essere
sempre stato facile al vizio e tardo all'emendamento. Questa è la verità; non posso
negarlo. Se dicessi il contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno verrebbe a
difendermi. Che cosa ho meritato con i mie peccati, se non l'inferno e il fuoco eterno?
Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i
modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli. Anche se questo me
lo dico con dolore, paleserò chiaramente, contro di me, per amore di verità, i miei
peccati, così da rendermi degno di ottenere più facilmente la tua misericordia. Che
dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la sfrontatezza di pronunziare
parola; se non questa soltanto: ho peccato, Signore, ho peccato, abbi pietà di me, dammi
il tuo perdono. "Lasciami un poco; lascia che io pianga tutto il mio dolore, prima di
andare nel luogo della tenebra, coperto dalla caligine della morte" (Gb 10,20s). Che
cosa chiedi massimamente dal colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e
si umilii per le sue colpe? Dalla sincera contrizione e dall'umiliazione interiore sboccia
la speranza del perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo riacquista la
grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima penitente si incontrano in un
vicendevole santo bacio. Sacrificio a te gradito, o Signore - sacrificio che odora, al tuo
cospetto, molto più soave del profumo dell'incenso - è l'umile sincero pentimento dei
peccatori. E' questo pure l'unguento gradito che hai voluto fosse versato sui tuoi sacri
piedi, giacché tu non hai disprezzato "un cuore contrito ed umiliato" (Sal
50,19). In questo sincero pentimento si trova rifugio dalla faccia minacciosa del nemico.
Con esso si ripara e si purifica tutto ciò che, da qualche parte, fu deturpato e
inquinato.
Capitolo LIII
LA GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIO' CHE HA SAPORE DI COSE TERRENE
Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a cose
esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che ostacola la
grazia, se vuoi che questa sia infusa in te. Procurati un luogo appartato, compiaciti di
stare solo con te stesso, non andare cercando di chiacchierare con nessuno; effondi,
invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare compunzione d'animo e purezza di
coscienza. Il mondo intero, consideralo un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti
di Dio. Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle
cose passeggere. Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole
bene; occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo
apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino in questo
mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11). Quanta sicurezza in colui che
muore, senza essere legato alla terra dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito
debole, invece, non riesce a mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non
conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole veramente essere uomo
spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai vicini; e guardarsi da se stesso
più ancora che dagli altri. Se avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai
tutto il resto. Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina
se stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione obbedisca in
tutto e per tutto a Dio - questi è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.
Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con
coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua segreta
inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò che è tuo
utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla volontà divina,
deriva, si può dire, tutto quanto deve essere stroncato radicalmente. Domato e superato
questo vizio, si farà stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi
quelli che si adoprano per morire del tutto a se stessi, e per uscire pienamente da se
stessi. I più restano avviluppati, né sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé.
Coloro che desiderano camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i loro
affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare attaccati di cupido
amore personale ad alcuna creatura.
Capitolo LIV
GLI OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA
Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si
muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li
distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il
bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per
una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta
gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta,
evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa
soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole
morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o
sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla
mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e
vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non
vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a
cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo
vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto
di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce
onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura
rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire
oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla
tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la
fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e
grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non
disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si
rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia,
invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita
di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e
la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere
che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e
aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più
bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio
corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù;
rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il
desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode
volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia,
invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo,
mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio
vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne
uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente
che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla
che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle
cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a
conseguire le cose eterne.
La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della
provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti,
corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i
nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine
o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben
disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera
gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti;
esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi"
(1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di
qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza
ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La
grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine;
nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non
pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in
ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di
conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte
esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e
ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità,
perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su
questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno
i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò
che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e
i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di
sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio,
che tutto elargisce per puro amore.
E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare
di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia
innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in
spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior
grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine,
l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.
Capitolo LV
LA CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA
o Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa
grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così che io possa
superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché,
nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la legge del
peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai
sensi. E io non posso far fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge
del peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne
avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre
proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura
decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti
gli uomini, talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa
come "vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le è
lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza che
rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa la ragione
naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di giudicare il bene ed il
male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che
riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume della verità e la
perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi
compiaccio della tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e
santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi
sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo
che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18).
E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi
aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà. E'
per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con chiarezza
quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della corruzione
dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.
La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per
cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non posso
far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la
tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale i nostri
meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni naturali. Abilità e
ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o
Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i buoni che i cattivi;
mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale
grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia;
tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare miracoli, né la più alta
contemplazione non valgono nulla, senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né
le altre virtù sono a te accette, senza la carità e la grazia.
O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai
ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal mattino
della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità
interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi
basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la natura umana. Anche se
sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la tua
grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è più
sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore,
conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la
pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco,
un ramo inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre
e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo.
Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).
Capitolo LVI
RINNEGARE SE STESSI E IMITARE CRISTO NELLA CROCE
O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te stesso.
Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di desideri esterni
porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare pienamente te stesso, in
adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza lamentele. "Seguimi" (Mt
9,9). "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Senza la via non si
cammina; senza la verità non si conosce; senza la vita non si vive. Io sono la via che
devi seguire; la verità cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che
non si deve lasciare, la verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la
via diritta, la verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai nella
mia via, conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv 8,32); così
raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva i comandamenti"
(Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me. "Vuoi essere perfetto? Vendi ogni
tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere mio discepolo? Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23;
14,27; Mt 16,24). Vuoi avere la vita eterna? Disprezza la vita presente. Vuoi essere
esaltato in cielo? Umiliati in questo mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce.
Soltanto quelli che si fanno servi della croce trovano la via della beatitudine e della
vera luce.
O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io
ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più del suo
padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24). Che il tuo servo si
addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia salvezza e la vera santità;
qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa, non mi ristora e non mi allieta
pienamente. Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette; sarai beato se le
metterai in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li osserva,
questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a lui" (Gv 24,21) e lo farò sedere con
me nel regno del Padre mio (Ap 3,21). O Signore Gesù, come hai detto e hai promesso,
così sia fatto veramente, e a me sia dato di meritarlo. Ho ricevuto la croce, l'ho
ricevuta dalla tua mano; la porterò, la porterò fino alla morte, come tu me l'hai posta
sulle spalle. In verità la vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al
paradiso. Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che
abbiamo intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo
preso questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui
che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare avanti a
noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). Seguiamolo con animo virile; che
nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti a morire coraggiosamente
nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga (1Mac
9,10) dinanzi alla croce.
Capitolo LVII
NON CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE QUANDO SI CADE IN QUALCHE
MANCANZA
O figlio, più mi è cara l'umile sopportazione nelle avversità, che la pienezza di
devota consolazione del tempo favorevole. Perché ti rattrista una piccolezza che venga
detta contro di te? Anche se si trattasse di qualcosa di più, non dovresti turbarti.
Lascia andare, invece. Non è cosa strana; non è la prima volta, né sarà l'ultima, se
vivrai a lungo. Tu sei molto forte fino a che nulla ti contraria; sai persino dare buoni
consigli e fare forza ad altri con le tue parole. Ma non appena si presenta alla tua porta
un'improvvisa tribolazione, consiglio e forza ti vengono meno. Guarda alla tua grande
fragilità, che hai constatata molto spesso, di fronte a piccole contraddizioni. Pure, è
per il tuo bene che accadono simili cose; deponile, dunque, dal tuo cuore, come meglio
puoi. E se una cosa ti colpisce, non per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo.
Sopporta almeno con pazienza, se non ti riesce con gioia. Anche se una cosa te la senti
dire malvolentieri e ne provi indignazione, devi dominarti; non devi permettere che dalla
tua bocca esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo ai semplici. Ben presto
l'eccitazione emotiva si placherà, e l'eterna sofferenza si farà più lieve, con il
ritorno della grazia.
Ecco, "io vivo - dice il Signore -" (Is 49,18), pronto ad aiutarti
più ancora del solito, se a me ti affiderai, devotamente invocandomi. "Tu sii più
rassegnato" (Bar 4,30); sii pronto a una maggiore sopportazione. Non è del tutto
inutile che tu ti senta tribolato e fortemente tentato: sei un uomo, e non Dio; carne, non
spirito angelico. Come potresti mantenerti sempre nel medesimo stato di virtù, quando
questo venne meno a un angelo, in cielo, e al primo uomo, nel paradiso? Io sono
"colui che solleva e libera quelli che piangono" (Gb 5,11); colui che innalza
alla mia condizione divina quelli che riconoscono la loro debolezza. O Signore, benedetta
sia la tua parola, dolce al mio orecchio "più del miele di favo" (Sal 18,11).
Che farei io mai, in così grandi tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non mi
confortassi con le tue sante parole? Purché, alla fine, io giunga al porto della
salvezza, che importa quali e quanto grandi cose dovrò aver patito? Concedimi un felice
concepimento, un felice trapasso da questo mondo. "Ricordati di me , o mio Dio"
(2Esd 13,22) e conducimi nel tuo regno, per retto cammino. Amen.
Capitolo LVIII
NON DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE SUPERIORI COSE DEL CIELO E GLI
OCCULTI GIUDIZIO DI DIO
O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di
Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così grande stato di
grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro viene tanto innalzato.
Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è alcun ragionamento, non v'è
alcuna disquisizione che valga a comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una
spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando,
rispondi con quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo
giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi
in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché
essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei
meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli. Sono cose
che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la superbia e la
vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di
portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere
ed indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati, poiché
"io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste
nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.
Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o
questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che divino.
Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io che ho
accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono andato loro
incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di
tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me"
(Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia
misericordia; sono stato io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro
stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro
sofferenze. Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in
un amore che non ha misura. In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa,
a me va data la benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto
grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito.
Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello che sia
grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap 6,8). E chi
diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli altri che sono nel
regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa del vincolo
dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente si amano. Di
più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i propri meriti.
Giacché, innalzati sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si
volgono totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li
possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un
inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno
apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei
santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto
dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume
interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale
affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi, e concepiscono
il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli uomini di quaggiù;
mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della gente lontana dalla
perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore rivelazione, da coloro che sono
particolarmente illuminati.
Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che vanno
al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di poterti
trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno sapesse chi sia
più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò
gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a
lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla
enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano
dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che disputa intorno
alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote
preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore
che andare indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono
paghi, e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui.
I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono,
tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare ad essi
ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così strabocchevole i santi
sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può mancare di felicità. I
santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto più sono umili in se stessi, e
a me più cari. Per questo trovi scritto che "deponevano le loro corone dinanzi a
Dio, cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei
secoli" (Ap 4,10; 5,14).
Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno
neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran cosa
essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché "saranno detti
- e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più piccolo diventerà come
mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20).
Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei
cieli, si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete
fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo
come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai
a coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la
piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi,
che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi
resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il
regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate nella
verità.
Capitolo LIX
PORRE OGNI NOSTRA SPERANZA E OGNI FIDUCIA SOLTANTO IN DIO
O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio più grande
conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio
Dio di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene, senza di te; quando mai ho avuto
male con te? Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare
pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te.
Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. Sei tu il
mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo seguire, con gemiti e lacrime ed alte, commosse
preghiere. In una parola, non posso avere piena fiducia in alcuno che mi venga in aiuto
nelle varie necessità, fuori che in te soltanto, mio Dio. "La mia speranza" e
la mia fiducia sei tu (Sal 141,6); tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni momento.
"Ognuno va cercando ciò che a lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi
soltanto la mia salvezza e tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie
tentazioni e avversità, tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu
ami usi metterli in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare e ringraziare,
non meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.
In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il
mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché tutto
trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te. Non mi gioveranno, infatti, i molti
amici; non mi saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi, per quanto forti; non mi
potranno dare un parere utile i prudenti, per quanto saggi; non mi potranno dare conforto
i libri dei sapienti; non ci sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non
ci sarà un luogo ameno e raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu
ad aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi e a
proteggermi. In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e felicità non
sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei tu. Tu sei, dunque,
l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita, la massima profondità di ogni
parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il maggior conforto di chi si è posto al tuo
servizio. "A te sono rivolti i miei occhi (Sal 140,80); in te confido, o mio Dio (Sal
24,1s), padre di misericordia" (2Cor 1,3). Benedici e santifica, con la tua celeste
benedizione, l'anima mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora e sede della eterna
gloria; e nulla si trovi in questo tempio della tua grandezza, che offenda l'occhio della
tua maestà. Guarda a me, nella tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua
misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo, che va peregrinando in questa terra
oscura di morte. Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo servo, nei tanti
pericoli della vita di quaggiù; dirigila con la tua grazia per la via della pace, alla
patria della eterna luce. Amen.
FINISCE IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE.
Libro IV
INCOMINCIANO I CONSIGLI DEVOTI PER LA SANTA COMUNIONE
Parola di Cristo
"Venite a me tutti, voi che siete affaticati e oppressi; ed io vi
ristorerò", dice il Signore (Mt 11,28).
"Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo"
(Gv 6,52). "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, che sarà dato per voi: fate
questo in memoria di me" (1Cor 11,24).
"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me, ed io
in lui" (Gv 6,57).
"Le parole che vi ho dette sono spirito e vita" (Gv 6,64).
Capitolo I
CON QUANTA VENERAZIONE SI DEBBA ACCOGLIERE CRISTO
Parola del discepolo
O Cristo, verità eterna. Sono queste, parole tue, anche se non pronunciate in un solo
momento, né scritte in un sol punto. E poiché sono parole tue, e veritiere, esse devono
essere accolte tutte da me con gratitudine e con fede. Sono parole tue, pronunciate da te;
ma sono anche mie, giacché le hai proferite per la mia salvezza. E dalla tua bocca le
prendo con gioia, per farle penetrare più profondamente nel mio cuore. Parole di così
grande misericordia, piene di dolcezza e di amore, mi sollevano; ma mi atterriscono i miei
peccati, e la mia coscienza non pura mi impedisce di ricevere sì grandi misteri. La
dolcezza delle tue parole mi spinge, ma poi mi attarda il cumulo dei miei difetti. Tu mi
comandi di accostarmi a te con fiducia, se voglio stare intimamente in te; tu mi comandi
di ricevere il cibo dell'immortalità, se voglio conquistare la vita eterna e la gloria.
"Venite tutti a me - dici - voi che siete faticati e oppressi, ed io vi
ristorerò" (Mt 11,28). Dolce all'orecchio del peccatore, e piena d'intimità, questa
parola; una parola con la quale tu, o Signore Dio mio, inviti me, misero e povero, alla
comunione del tuo corpo santissimo.
Ma chi sono io, o Signore, per credermi degno di accostarmi a te? Gli immensi
cieli non ti contengono, e tu dici: "Venite a me tutti". Che cosa vuol dire una
degnazione così misericordiosa, un invito così pieno di amicizia? Come oserò venire, io
che so bene di non avere nulla di buono, per cui possa credermene degno? Come ti farò
entrare nella mia casa, io che molte volte ho offeso il tuo volto tanto benigno? Gli
angeli e gli arcangeli ti venerano; ti temono i santi e i beati; e tu dici: "Venite
tutti a me". Se non fossi tu a dirlo, o Signore, chi lo crederebbe; e se non fossi tu
a comandarlo, chi avrebbe il coraggio di avvicinarsi? Ecco, Noè, uomo giusto, lavorò
cent'anni nella costruzione dell'arca, per trovare salvezza con pochi suoi; e come potrò
io, solo in un'ora, prepararmi a ricevere con religioso timore il costruttore del mondo?
Mosè, il servo tuo grande, a te particolarmente caro, fece un'arca con legni non soggetti
a marcire e la rivestì d'oro purissimo, per riporvi le tavole della legge; ed io, putrida
creatura, oserò ricevere con tanta leggerezza te, autore della legge e datore della vita?
Salomone, il sapientissimo re d'Israele, costruì, con un lavoro di sette anni, un tempio
grandioso a lode del tuo nome; ne celebrò la dedicazione con una festa di otto giorni e
con l'offerta di mille vittime pacifiche; e collocò solennemente, tra gioiosi suoni di
tromba, l'arca dell'alleanza nel luogo per essa predisposto. E come ti introdurrò nella
mia casa, io, infelice, il più miserabile tra gli uomini; io che, a stento, riesco a
passare devotamente una mezz'ora? E fosse almeno, una volta, una mezz'oretta passata come
si deve!
O mio Dio, quanto si sforzarono di fare costoro per piacerti! Ahimé! Come è
poco quello che faccio io. Come è breve il tempo che impiego quando mi preparo a
comunicarmi: raramente tutto raccolto; ancor più raramente libero da ogni distrazione.
Mentre, alla presenza salvatrice della tua essenza divina, non dovrebbe, di certo,
affacciarsi alcun pensiero non degno di te; ed io non dovrei lasciarmi prendere da alcuna
creatura, giacché sto per ricevere nella mia casa, non un angelo, ma il Signore degli
angeli. Eppure c'è un abisso tra l'arca dell'alleanza, con le cose sante che custodisce,
e il corpo tuo purissimo, con la sua forza indicibile; tra i sacrifici legali di allora,
immagine dei sacrifici futuri, e il tuo corpo, vittima vera, che porta a compimento tutti
gli antichi sacrifici. Perché dunque non mi infiammo di più alla tua adorabile presenza;
perché non mi preparo con cura più grande a nutrirmi della tua santità, quando quei
santi dell'Antico Testamento - patriarchi e profeti, e anche re e principi, in unione con
tutto il popolo - dimostrarono un così grande slancio devoto verso il culto divino?
Danzò il piissimo re Davide, con tutte le sue forze, la danza sacra dinanzi all'arca di
Dio, riandando col pensiero alle prove d'amore date, in passato, da Dio ai patriarchi;
apprestò strumenti vari, compose salmi e li fece cantare in letizia, e più volte cantò
lui stesso sulla cetra, mosso dalla grazia dello Spirito Santo; istruì il popolo
d'Israele a lodare Iddio con tutto il cuore, a benedire ed esaltare ogni giorno il nome di
Dio, d'una sola voce. Se allora si viveva in così grande devozione; se di quel tempo
restò il ricordo delle lodi date a Dio davanti all'arca dell'alleanza, quanta venerazione
e quanta devozione devono essere ora in me, e in tutto il popolo cristiano, di fronte al
sacramento e nell'atto di nutrirsi del corpo di Cristo, cosa più di ogni altra sublime?
Corrono molti, fino a luoghi lontani, per vedere le reliquie dei santi e
stanno a bocca aperta a sentire le cose straordinarie compiute dai santi stessi; ammirano
le grandi chiese; osservano e baciano le sacre ossa, avvolte in sete intessute d'oro.
Mentre qui, accanto a me, sull'altare, ci sei tu, mio Dio, santo dei santi, il creatore
degli uomini e il signore degli angeli. Spesso è la curiosità umana che spinge a quelle
visite, un desiderio di cose nuove, non mai viste; ma se ne riporta scarso frutto di
miglioramento interiore, specialmente quando il peregrinare è così superficiale, privo
di una vera contrizione. Mentre qui, nel sacramento dell'altare, sei interamente presente
tu, mio Dio, "uomo Cristo Gesù" (1Tm 2,5); qui si riceve frutto abbondante di
salvezza eterna, ogni volta che ti accoglie degnamente e con devozione. Non una qualunque
superficialità, né la smania curiosa di vedere con i propri occhi, ci porta a questo
sacramento, ma una fede sicura, una pia speranza, un sincero amore. O Dio, invisibile
creatore del mondo, come è mirabile quello che tu fai con noi; come è soave e
misericordioso quello che concedi ai tuoi eletti, ai quali offri te stesso, come cibo nel
sacramento. Sacramento che oltrepassa ogni nostra comprensione, trascina in modo del tutto
particolare il cuore delle persone devote e infiamma il loro amore. Anche coloro che ti
seguono con pia fedeltà, coloro che regolano tutta la loro vita al fine del
perfezionamento spirituale, ricevono spesso da questo eccelso sacramento aumento di grazia
nella devozione e nell'amore della virtù. Mirabile e nascosta, questa grazia del
sacramento, che soltanto i seguaci di Cristo conoscono, mentre non la sentono coloro che
non hanno la fede e sono asserviti al peccato. In questo sacramento è data la grazia
spirituale, è restaurata nell'anima la virtù perduta e torna l'innocenza, che era stata
deturpata dal peccato. Tanto grande è talora questa grazia che, per la pienezza della
devozione conferita, non soltanto lo spirito, ma anche il fragile corpo sente che gli sono
state date forze maggiori.
Rammarichiamoci altamente e lamentiamo la nostra tiepidezza e negligenza,
poiché non siamo tratti da un ardore più grande a ricevere Cristo, nel quale consiste
tutta la speranza e il merito della salvezza. E' lui, infatti, "la nostra
santificazione e la nostra redenzione" (1Cor 1,30); è lui il conforto di noi che
siamo in cammino; è lui l'eterna gioia dei santi. Rammarichiamoci, dunque, altamente che
tanta gente si renda così poco conto di questo mistero di salvezza, letizia del cielo e
fondamento di tutto il mondo. Cecità e durezza del cuore umano, non curarsi maggiormente
di un dono così grande, o, godendone tutti i giorni, finire persino col non badarvi! Se
questo sacramento santissimo si celebrasse soltanto in un certo luogo, e fosse consacrato
da un solo sacerdote in tutto il mondo, pensa da quale desiderio sarebbero tutti presi di
andare in quel luogo, a quel sacerdote, per veder celebrare i divini misteri. Ma, ecco, i
sacerdoti sono moltissimi, e Cristo viene immolato in molti luoghi; e così quanto più è
diffusa nel mondo la sacra comunione, tanto più è manifesta la grazia e la carità di
Dio verso l'uomo. Che tu sia ringraziato, o Gesù buono, pastore eterno, che con il tuo
corpo prezioso e con il tuo sangue ti sei degnato di ristorare noi poveri ed esuli,
invitandoci a ricevere questi misteri con queste parole, uscite dalla tua stessa bocca:
"venite tutti a me, voi che siete faticati ed oppressi, ed io vi ristorerò" (Mt
11,28).
Capitolo II
NEL SACRAMENTO SI MANIFESTANO ALL'UOMO LA GRANDE BONTA' E L'AMORE DI DIO
Parola del discepolo
O Signore, confidando nella tua bontà e nella tua grande misericordia, mi appresso
infermo al Salvatore, affamato e assetato alla fonte della vita, povero al re del cielo,
servo al Signore, creatura al Creatore, desolato al pietoso mio consolatore. Ma "per
qual ragione mi è dato questo, che tu venga a me?" (Lc 1,43). Chi sono io, perché
tu ti doni a me; come potrà osare un peccatore di apparirti dinanzi; come ti degnerai di
venire ad un peccatore? Ché tu lo conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui non c'è
alcunché di buono, per cui tu gli dia tutto ciò. Confesso, dunque, la mia pochezza,
riconosco la tua bontà, glorifico la tua misericordia e ti ringrazio per il tuo immenso
amore. Infatti non è per i miei meriti che fai questo, ma per il tuo amore: perché mi si
riveli maggiormente la tua bontà, più grande mi si offra il tuo amore e l'umiltà ne
risulti più perfettamente esaltata. Poiché, dunque, questo ti è caro, e così tu
comandasti che si facesse, anche a me è cara questa tua degnazione. E voglia il Cielo che
a questo non sia di ostacolo la mia iniquità.
Gesù, pieno di dolcezza e di benignità, quanta venerazione ti dobbiamo, e
gratitudine e lode incessante, per il fatto che riceviamo il tuo santo corpo, la cui
grandezza nessuno può comprendere pienamente. Ma quali saranno i miei pensieri in questa
comunione con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio Signore che non riesco a
venerare nella misura dovuta e che tuttavia desidero accogliere devotamente? Quale
pensiero più opportuno e più salutare di quello di abbassarmi totalmente di fronte a te,
esaltando, su di me la tua bontà infinita? Ti glorifico, o mio Dio, e ti esalto in
eterno; disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal profondo della mia pochezza. Ecco,
tu sei il santo dei santi, ed io una sozzura di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me,
che non sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco, tu vieni a me, vuoi stare con
me, mi inviti al tuo banchetto; tu mi vuoi dare il cibo celeste, mi vuoi dare da mangiare
il pane degli angeli: nient'altro, veramente, che te stesso, "pane vivo, che sei
disceso dal cielo e dai la vita al mondo (Gv 6,33.51). Se consideriamo da dove parte
questo amore, quale degnazione ci appare; quanto profondi ringraziamenti e quante lodi ti
si debbono!
Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo disegno, quando hai istituito
questo sacramento; come è soave e lieto questo banchetto, nel quale hai dato in cibo te
stesso! Come è ammirabile questo che tu fai; come è efficace la tua potenza e
infallibile la tua verità. Infatti, hai parlato "e le cose furono" (Sal 148,
5); e fu anche questo sacramento, che tu hai comandato. Mirabile cosa, degna della nostra
fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e
uomo, sia tutto sotto quella piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato
senza essere consumato. "Tu, o Signore di tutti", che, di nessuno avendo
bisogno, hai voluto, per mezzo del Sacramento, abitare fra noi (2 Mac 14,35), conserva
immacolato il mio cuore e il mio corpo, affinché io possa celebrare sovente i tuoi
misteri, con lieta e pura coscienza; e possa ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu
hai stabilito e istituito massimamente a tua glorificazione e perenne memoria di te.
Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per un dono così sublime, per un
conforto così straordinario, lasciato a te in questa valle di lacrime. In verità, ogni
qualvolta medito questo mistero e ricevi il corpo di Cristo, lavori alla tua redenzione e
ti rendi partecipe di tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno, infatti, l'amore di
Cristo; né si esaurisce la grandezza della sua intercessione. E' dunque con animo sempre
rinnovato che ti devi disporre a questo Sacramento; è con attenta riflessione che devi
meditare il mistero della salvezza. E quando celebri la Messa, o l'ascolti, ciò deve
apparirti un fatto così grande, così straordinario e così pieno di gioia, come se, in
quello stesso giorno, scendendo nel seno della Vergine, Cristo si facesse uomo, patisse e
morisse pendendo dalla croce.
Capitolo III
UTILITA' DELLA COMUNIONE FREQUENTE
Parola del discepolo
Ecco, io vengo a te, o Signore, per trarre beneficio dal tuo dono e ricevere allegrezza
al banchetto santo, "che, nella tua bontà, o Dio, hai preparato al misero" (Sal
67,11). Ecco, quanto io posso e debbo desiderare sta tutto in te; tu sei la mia salvezza,
la redenzione, la speranza, la fortezza, la maestà e la gloria. "Ricolma dunque oggi
di letizia l'anima del tuo servo, perché, o Signore Gesù, a te ho innalzato l'anima
mia" (Sal 85,4). Ardentemente desidero ora riceverti, con devozione e venerazione;
desidero introdurti nella mia casa, per meritare, come Zaccheo, di essere da te benedetto
e di essere annoverato tra i figli d'Abramo. L'anima mia ha fame del tuo corpo; il mio
cuore arde di farsi una cosa sola con te. Dammi in dono te stesso, e mi basta; poiché non
c'è consolazione che abbia valore, fuori di te. Non posso stare senza di te; non riesco a
vivere senza la tua presenza. E così occorre che io mi accosti frequentemente a te,
ricevendoti come mezzo della mia salvezza. Che non mi accada di venir meno per strada, se
fossi privato di questo cibo celeste. Tu stesso, o Gesù tanto misericordioso, predicando
alle folle e guarendo varie malattie, dicesti una volta: "non li voglio mandare alle
loro case digiuni, perché non vengano meno per strada" (Mt 15,32). Fa', dunque, la
stessa cosa ora con me; tu, che, per dare conforto ai fedeli, hai lasciato te stesso in
sacramento. Sei tu, infatti, il soave ristoro dell'anima; e chi ti mangia degnamente sarà
partecipe ed erede della gloria eterna. Poiché, dunque, io cado tanto spesso in peccato,
e intorpidisco e vengo meno tanto facilmente, è veramente necessario che, pregando,
confessandomi frequentemente e prendendo il santo cibo del tuo corpo, io mi rinnovi, mi
purifichi e mi infiammi; cosicché non avvenga che, per una prolungata astinenza, io mi
allontani dal mio santo proposito. In verità, "i sensi dell'uomo, fin
dall'adolescenza, sono proclivi al male" (Gn 8,21); tosto egli cade in mali peggiori,
se non lo soccorre la medicina celeste. Ed è appunto la santa Comunione che distoglie
l'uomo dal male e lo rafforza nel bene. Che se ora sono così spesso svogliato e tiepido
nella Comunione o nella celebrazione della Messa, che cosa sarebbe di me, se non prendessi
questo rimedio e non cercassi un così grande aiuto? Anche se non mi sento sempre degno e
pienamente disposto a celebrare, farò in modo di ricevere, in tempi opportuni, questi
divini misteri e di rendermi partecipe di una grazia così grande. Giacché la principale,
anzi l'unica, consolazione dell'anima fedele - finché va peregrinando, lontana da te,
entro il corpo mortale - consiste proprio in questo, nel ricordarsi frequentemente del suo
Dio e nel ricevere, in spirito di devozione, il suo diletto.
Oh!, meravigliosa degnazione della tua misericordia verso di noi, che tu,
Signore Dio, creatore e vivificatore di tutti gli spiriti celesti, ti abbassi a venire in
questa anima poveretta, saziando la sua fame con la tua divinità e insieme con la tua
umanità. Felice quello spirito, beata quell'anima che merita di ricevere devotamente te,
Signore e Dio, colmandosi in tal modo di gioia interiore. Quale grande signore essa
accoglie; quale amato ospite, qual piacevole compagno riceve; quale fedele amico accetta;
quale nobile e bello sposo essa abbraccia, degno di amore più di ogni persona cara e di
ogni cosa che si possa desiderare. Tacciano dinanzi a te, o dolcissimo mio diletto, il
cielo e la terra, con tutte le loro bellezze; giacché dalla degnazione della tua
munificenza cielo e terra ricevono quanto hanno di grande e di nobile, pur non arrivando
essi alla grandezza del tuo nome, "immenso nella sua sapienza" (Sal 146,5).
Capitolo IV
MOLTI SONO I BENEFICI CONCESSI A COLORO CHE SI COMUNICANO DEVOTAMENTE
Parola del discepolo
Signore Dio mio, "con la dolcezza delle tue benedizioni" (Sal 20,4) vieni in
soccorso a me, tuo servo, affinché io possa accostarmi degnamente e devotamente al tuo
grande sacramento. Muovi il mio cuore verso di te e scuotimi dal mio grande torpore.
"Vieni a me con la tua forza salvatrice" (Sal 105,4), cosicché io possa gustare
in ispirito la tua dolcezza, insita tutta in questo sacramento, quasi sua fonte. Apri i
miei occhi, cosicché io possa intravvedere un così grande mistero; dammi la forza di
credere in esso, con fede sicura. Tutto ciò è infatti opera delle tue mani, non opera
dell'uomo; tua sacra istituzione, non invenzione umana. Quindi non v'è alcuno che possa
da sé solo comprendere pienamente queste cose, che superano anche l'intelligenza degli
angeli. Ed io, indegno peccatore, polvere e cenere, come potrò mai sondare e comprendere,
un così profondo e santo mistero? O Signore, nella semplicità del mio cuore, in pienezza
e sicurezza di fede e in adesione al tuo comando, mi accosto a te con sentimenti di
speranza e di devozione: credo veramente che tu sia presente qui nel Sacramento, Dio e
uomo. Tu vuoi che io ti accolga in me, in unione d'amore. Perciò domando alla tua
clemenza ed imploro il dono di questa grazia speciale, di essere totalmente immedesimato
in te, in sovrabbondanza d'amore e di non più ricercare altra consolazione. Giacché
questo Sacramento, così alto e prezioso, è salvezza dell'anima e del corpo e rimedio ad
ogni infermità dello spirito. Per mezzo di questo Sacramento vengono curati i miei vizi;
le passioni sono frenate; le tentazioni sono sconfitte o almeno diminuite; viene aumentata
la grazia, rafforzata la virtù cui si è posto mano, rinsaldata la fede, rinvigorita la
speranza e l'amore fatto più ardente e più grande.
O mio Dio, "tu che innalzi l'anima mia" (Sal 53,6), e ripari
all'umana fragilità con il dono di ogni consolazione interiore, tu hai concesso e ancora
spesso concedi nel Sacramento grandi benefici ai tuoi diletti che devotamente si
comunicano. Tu infondi in essi grande conforto nelle varie tribolazioni, innalzandoli dal
fondo della loro prostrazione alla speranza del tuo aiuto; tu li ricrei interiormente e li
fai risplendere con una grazia rinnovata. Così, mentre prima della Comunione si sentivano
angosciati e privi d'amore, poi, ristorati dal cibo e dalla bevanda celeste, si trovano
trasformati e migliori. E questo tu fai generosamente con i tuoi eletti, affinché essi
conoscano in verità, ed esperimentino chiaramente, quanto siano deboli per se stessi e
quale bontà e grazia ottengano da te. Giacché, per se stessi, sono freddi, duri e
mancanti di devozione; invece, per tuo dono, sono fatti degni di essere fervorosi, alacri
e pieni di devozione. Chi mai, essendosi accostato umilmente alla fonte stessa della
soavità, non riporta anche solo un poco di dolcezza; chi mai, stando accanto a un grande
fuoco, non ne risente un po' di calore? Ora, tu sei la fonte sempre piena, straboccante;
tu sei il fuoco sempre vivo, che mai non si estingue. Perciò, anche se non posso
attingere alla pienezza di questa fonte e bere a sazietà, metterò ugualmente la bocca
all'orlo della celeste cannella, per prendere almeno una piccola goccia, a saziare la mia
sete, onde non inaridire del tutto. Anche se non posso essere ancora nella pienezza della
beatitudine celeste, né posso essere ardente come un cherubino o un serafino, mi
sforzerò tuttavia di perseverare nella devozione e di predisporre l'anima mia ad
impadronirsi di una, sia pur piccola, fiamma del divino incendio, nutrendosi umilmente al
sacramento della salvezza. A quello che mi manca, supplisci tu, con benignità e
misericordia, o buon Gesù, salvatore santissimo; tu che ti sei degnato di chiamare tutti
a te, dicendo: "venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi
ristorerò (Mt 11,28). In verità io mi affatico, e suda il mio volto; il mio cuore è
tormentato da sofferenze interiori; sono oppresso dai peccati, legato e schiacciato da
molte passioni perverse. "E non c'è nessuno che possa aiutarmi" (Sal 21,12),
non c'è nessuno "che possa liberarmi e soccorrermi" (Sal 7,3), all'infuori di
te, "Dio mio salvatore" (Sal 24,5), al quale affido me stesso e ogni mia cosa,
perché tu mi custodisca e mi conduca alla vita eterna. Accettami a lode e gloria del tuo
nome; tu che hai apprestato il tuo corpo e il tuo sangue quale cibo e bevanda. O
"Signore Dio, mia salvezza" (Sal 26,9), fa' che nella dimestichezza del tuo
mistero s'accresca lo slancio della mia devozione.
Capitolo V
GRANDEZZA DEL SACRAMENTO E CONDIZIONE DEL SACERDOTE
Parola del Diletto
Anche se tu avessi la purezza degli angeli e la santità di San Giovanni Battista, non
saresti degno di ricevere o anche solo di toccare questo sacramento. Non dipende infatti
dai meriti degli uomini che si consacri e si tocchi il sacramento di Cristo, e ci si nutra
del pane degli angeli. Grande è l'ufficio, grande la dignità dei sacerdoti, ai quali è
dato quello che non è concesso agli angeli; giacché soltanto i sacerdoti, ordinati
regolarmente nella Chiesa, hanno il potere di celebrare e di consacrare il corpo di
Cristo. Il sacerdote, invero, è servo di Dio: si vale della parola di Dio, per comando e
istituzione di Dio. Nel sacramento, attore primo, invisibilmente operante, è Dio, al
quale è sottoposta ogni cosa, secondo il suo volere, in obbedienza al suo comando. In
questo sublime sacramento, devi dunque credere più a Dio onnipotente che ai tuoi sensi o
ad alcun segno visibile; a questa realtà, istituita da Dio, ti devi accostare con
reverenza e con timore. "Rifletti su te stesso" e considera di chi sei stato
fatto ministro, con l'imposizione delle mani da parte del vescovo (1Tm 4,16.14). Ecco, sei
stato fatto sacerdote e consacrato per celebrare. Vedi, dunque, di offrire il sacrificio a
Dio con fede, con devozione, e al tempo conveniente; vedi di offrire te stesso,
irreprensibile. Non si è fatto più leggero il tuo carico; anzi sei ormai legato da un
più stretto vincolo di disciplina e sei tenuto a una maggiore perfezione di santità.
Il sacerdote deve essere ornato di ogni virtù e offrire agli altri l'esempio
di una vita santa; abituale suo rapporto non sia con la gente volgare secondo modi
consueti a questo mondo, ma con gli angeli in cielo o con la gente santa, in terra. Il
sacerdote, rivestito delle sacre vesti, fa le veci di Cristo, supplichevolmente e
umilmente pregando Iddio per sé e per tutto il popolo. Egli porta, davanti e dietro, il
segno della croce del Signore, perché abbia costante ricordo della passione di Cristo;
davanti, sulla casula, porta la croce, perché guardi attentamente a quelle che sono le
orme di Cristo, e abbia cura di seguirla con fervore; dietro è pure segnato dalla croce,
perché sappia sopportare con dolcezza ogni contrarietà che gli venga da altri. Porta
davanti la croce, perché pianga i propri peccati; e la porta anche dietro, perché pianga
compassionevolmente anche i peccati commessi da altri, e sappia di essere stato posto tra
Dio e il peccatore, non lasciandosi illanguidire nella preghiera e nell'offerta, fin che
non sia fatto degno di ottenere grazia e misericordia. Con la celebrazione, il sacerdote
rende onore a Dio, fa lieti gli angeli, dà motivo di edificazione ai fedeli, aiuta i
vivi, appresta pace ai defunti e fa di se stesso il dispensatore di tutti i benefici
divini.
Capitolo VI
INVOCAZIONE PER PREPARARSI ALLA COMUNIONE
Parola del discepolo
Quando considero, o Signore, la tua grandezza e la mia miseria, mi
metto a tremare forte e mi confondo. Ché, se non mi accosto al sacramento, fuggo la vita;
e se lo faccio indegnamente, cado nello scandalo. Che farò, o mio Dio, "mio
aiuto" (Is 50,7) e mia guida nella mia miseria? Insegnami tu la strada sicura;
mettimi dinanzi una opportuna, breve istruzione per la santa Comunione; giacché è buona
cosa conoscere con quale devozione e reverenza io debba preparare il mio cuore a ricevere
con profitto il tuo sacramento e a celebrare un così grande, divino sacrificio.
Capitolo VII
L'ESAME DI COSCIENZA E IL PROPOSITO DI CORREGGERSI
Parola del Diletto
Sopra ogni cosa è necessario che il sacerdote di Dio si appresti a celebrare, a toccare
e a mangiare questo sacramento con somma umiltà di cuore e supplice reverenza, con piena
fede e devota intenzione di dare gloria a Dio. Esamina attentamente la tua coscienza;
rendila, per quanto ti è possibile, pura e luminosa per mezzo del sincero pentimento e
dell'umile confessione dei tuoi peccati, cosicché nulla di grave tu abbia, o sappia di
avere, che ti sia di rimprovero e ti impedisca di accedere liberamente al Sacramento. Abbi
dispiacere di tutti i tuoi peccati in generale; e maggiormente, in particolare, abbi
dolere e pianto per le tue colpe di ogni giorno. Se poi ne hai il tempo, confessa a Dio,
nel segreto del tuo cuore, tutte le miserie delle tue passioni. Piangi e ti rincresca di
essere ancora così legato alla carne e al mondo; così poco mortificato di fronte alle
passioni e così pieno di impulsi di concupiscenza; così poco vigilante su ciò che
percepiscono di fuori i sensi, così spesso perduto dietro a vane fantasie; così
fortemente inclinato verso le cose esteriori e così poco attento a ciò che è dentro di
noi; così facile al riso e alla dissipazione e così restio al pianto e alla compunzione;
così pronto alla rilassatezza e alle comodità materiali, così pigro, invece, al rigore
e al fervore; così avido di udire o vedere cose nuove e belle, e così lento ad
abbracciare ciò che è basso e spregevole; così smanioso di molto possedere e così
tenace nel tenere per te; così sconsiderato nel parlare e così incapace di tacere; così
disordinato nella condotta e così avventato nell'agire; così profuso nel cibo; così
sordo alla parola di Dio; così sollecito al riposo e così tardo al lavoro; così attento
alle chiacchiere, così pieno di sonno nelle sacre veglie, compiute distrattamente
affrettandone col desiderio la fine; così negligente nell'adempiere alle Ore, così
tiepido nella celebrazione della Messa, così arido nella Comunione; così facilmente
distratto, così di rado pienamente raccolto in te stesso; così subitamente mosso
all'ira, così facile a far dispiacere agli altri; così proclive a giudicare, così
severo nell'accusare; così gioioso quando le cose ti vanno bene e così poco forte nelle
avversità; così facile nel proporti di fare molte cose buone, ma capace, invece, di
realizzarne ben poche.
Confessati e deplorati, con dolore e con grande amarezza per la tua
fragilità, questi e gli altri tuoi difetti, fa' il fermo proponimento di correggere per
sempre la tua vita e di progredire maggiormente. Dopo di che, rimettendo a me
completamente ogni tua volontà, offri te stesso sull'altare del tuo cuore, a gloria del
mio nome, sacrificio perpetuo, affidando a me con fede il tuo corpo e la tua anima;
cosicché tu ottenga di accostarti degnamente ad offrire a Dio la Messa e a mangiare il
sacramento del mio corpo, per la tua salvezza. Non v'è dono più appropriato; non v'è
altro modo per riscattare e cancellare pienamente i peccati, all'infuori della totale e
perfetta offerta di se stessi a Dio, nella Messa e nella Comunione, insieme con l'offerta
del corpo di Cristo. Se uno farà tutto quanto gli è possibile e si pentirà veramente,
ogni volta che verrà a me per ottenere il perdono e la grazia, "Io vivo, dice il
Signore, e non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (Ez 33,11):
"giacché più non mi ricorderò dei suoi peccati" (Eb 10,17), ma tutti gli
saranno rimessi.
Capitolo VIII
L'OFFERTA DI CRISTO SULLA CROCE E LA DONAZIONE DI NOI STESSI
Parola del Diletto
Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il corpo, io offersi
liberamente me stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in me che non
si trasformasse in sacrificio, per placare Iddio. Allo stesso modo anche tu devi offrire a
me volontariamente te stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più
profondo del cuore, in oblazione pura e santa. Che cosa posso io desiderare da te più di
questo, che tu cerchi di offrirti a me interamente? Qualunque cosa tu mi dia, fuor che te
stesso, l'ho per un nulla, perché io non cerco il tuo dono, ma te. Come non ti basterebbe
avere tutto, all'infuori di me, così neppure a me potrebbe piacere qualunque cosa tu mi
dessi, senza l'offerta di te. Offriti a me; da te stesso totalmente a Dio: così
l'oblazione sarà gradita. Ecco, io mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino tutto
il mio corpo e il mio sangue in cibo, perché io potessi essere tutto tuo e perché tu
fossi sempre con me. Se tu, invece, resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente
te stesso secondo la mia volontà, l'offerta non sarebbe piena e la nostra unione non
sarebbe perfetta. Perché, se vuoi giungere alla vera libertà e avere la mia grazia, ogni
tuo atto deve essere preceduto dalla piena offerta di te stesso nelle mani di Dio. Proprio
per questo sono così pochi coloro che raggiungono la luce e l'interiore libertà, perché
non sanno rinnegare totalmente se stessi. Immutabili sono le mie parole: se uno non avrà
rinunciato a "tutto, non potrà essere mio discepolo" (Lc 14,33). Tu, dunque, se
vuoi essere mio discepolo, offriti a me con tutto il cuore.
Capitolo IX
OFFRIRE NOI STESSI A DIO, CON TUTTO QUELLO CHE E' IN NOI, PREGANDO PER
TUTTI
Parola del discepolo
Tue sono le cose, o Signore, quelle del cielo e quelle della terra: a te voglio,
liberamente, offrire me stesso e restare tuo per sempre. O Signore, con cuore sincero,
oggi io mi dono a te in perpetuo servizio, in obbedienza e in sacrificio di lode perenne.
Accettami, insieme con questa offerta santa del tuo corpo prezioso, che io - alla presenza
e con l'assistenza invisibile degli angeli - ora ti faccio, per la mia salvezza e per la
salvezza di tutto il popolo, O Signore, sull'altare della tua espiazione offro a te tutti
i miei peccati e le colpe da me commesse al cospetto tuo e dei tuoi santi angeli, dal
giorno in cui fui capace di peccare fino ad oggi; affinché tutto tu accenda e consumi nel
fuoco del tuo amore, cancellando ogni macchia dei miei peccati; affinché tu purifichi la
mia coscienza da ogni colpa; affinché tu mi ridia la tua grazia, che ho perduta col
peccato, tutto perdonando e misericordiosamente accogliendomi nel bacio della pace. Che
posso io fare per i miei peccati, se non confessarli umilmente nel pianto e pregare senza
posa per avere la tua intercessione? Ti scongiuro, dammi benevolo ascolto, mentre mi pongo
dinanzi a te, o mio Dio. Grande disgusto io provo per tutti i miei peccati; non voglio
più commetterne, anzi di essi mi dolgo e mi dorrò per tutta la vita, pronto a fare
penitenza e, per quanto io possa, a pagare per essi. Rimetti, o Signore, rimetti i miei
peccati, per il tuo santo nome: salva l'anima mia, che tu hai redenta con il tuo sangue
prezioso. Ecco, io mi affido alla tua misericordia; mi metto nelle tue mani. Opera tu con
me secondo la tua bontà, non secondo la mia perfidia e la mia iniquità.
Anche tutto quello che ho di buono, per quanto sia molto poco e imperfetto, lo
offro a te, affinché tu lo perfezioni e lo santifichi; affinché ti sia gradito e tu
voglia accettarlo, accrescendone il valore; affinché tu voglia portarmi - inoperoso e
inutile piccolo uomo, qual sono - a un termine beato e glorioso. Offro parimenti a te
tutti i buoni desideri delle persone devote e le necessità dei parenti e degli amici, dei
fratelli e delle sorelle, di tutti i miei cari e di coloro che, per amor tuo, fecero del
bene a me o ad altri; infine di tutte le persone - quelle ancora in vita e quelle che già
hanno lasciato questo mondo - che da me desiderarono e chiesero preghiere e sante Messe,
per loro e per tutti i loro cari. Che tutti sentano venire sopra di sé l'aiuto della tua
grazia, l'abbondanza della consolazione, la protezione dai pericoli, la liberazione dalle
pene! Che tutti, liberati da ogni male, ti rendano in letizia grazie solenni. Ancora, e in
modo speciale, ti offro preghiere e sacrifici di espiazione per quelli che mi hanno fatto
qualche torto, mi hanno cagionato dolore, mi hanno calunniato o recato danno, mi hanno
messo in difficoltà; e anche per tutti quelli ai quali io ho dato talora motivo di
tristezza e di turbamento, di dolore o di scandalo, con parole o con fatti, consciamente
oppure no, affinché tu perdoni parimenti a tutti noi i nostri peccati e le offese
vicendevoli. O Signore, strappa dai nostri cuori ogni sospetto, ogni sdegno, ogni collera,
ogni contesa e tutto ciò che possa ferire la carità e affievolire l'amore fraterno. Abbi
compassione, o Signore, di noi che imploriamo la tua misericordia; concedi la tua grazia a
noi che ne abbiamo bisogno; fa che noi siamo fatti degni di godere della tua grazia e che
possiamo avanzare verso la vita eterna.
Capitolo X
LA SANTA COMUNIONE NON VA TRALASCIATA CON LEGGEREZZA
Voce del Diletto
A questa sorgente della grazia e della misericordia divina, a questa sorgente della
bontà e di ogni purezza devi ricorrere frequentemente, fino a che tu non riesca a guarire
dalle tue passioni e dai tuoi vizi; fino a che tu non ottenga di essere più forte e più
vigilante contro tutte le tentazioni e gli inganni del diavolo. Questi, il nemico, ben
sapendo quale sia il beneficio e il rimedio grande insito nella santa Comunione, tenta in
ogni modo e in ogni momento di ostacolare, per quanto può, le anime fedeli e devote,
distogliendole da essa. Taluni, infatti, quando vogliono prepararsi alla santa Comunione,
subiscono i più forti assalti del demonio. Lo spirito del male - come è detto nel libro
di Giobbe (1,6; 2,1) - viene in mezzo ai figli di Dio, per turbarli, con la consueta sua
perfidia, e per renderli troppo timorosi e perplessi, finché non abbia affievolito il
loro slancio o abbia loro strappato, di forza, la fede: nella speranza che essi lascino
del tutto la Comunione o vi si accostino con poco fervore. Ma non ci si deve curare per
nulla delle sue astuzie e delle sue suggestioni, per quanto turpi e terrorizzanti, Su di
lui bisogna ritorcere le immaginazioni che provengono da lui. Va disprezzato e deriso,
quel miserabile. Per quanti assalti egli compia e per quante agitazioni egli susciti, la
santa Comunione non deve essere tralasciata. Talora avviene che siano di ostacolo alla
Comunione persino una eccessiva preoccupazione di essere sufficientemente devoti e una
certa angustia dubbiosa sul confessarsi. Ma tu agisci secondo il consiglio dei saggi,
tralasciando ansie e scrupoli, che costituiscono impedimento alla grazia divina e
distruggono lo spirito di devozione. Non lasciare la santa Comunione, per ogni piccola
difficoltà o stanchezza. Ma va subito a confessarti e perdona di cuore agli altri ogni
offesa ricevuta; che se tu hai offeso qualcuno e chiedi umilmente scusa, il Signore
prontamente avrà misericordia di te.
Che giova ritardare tanto la confessione o rimandare la santa Comunione?
Purificati al più presto; sputa subito il veleno; corri a prendere il rimedio: ti
sentirai meglio che se tu avessi differito tutto ciò. Se oggi, per una piccola cosa,
rinunci, domani forse accadrà qualcosa di più grave: così ti potrebbe essere
impossibile per lungo tempo, la Comunione e potresti diventare ancora più indegno.
Scuotiti al più presto dalla stanchezza e dall'inerzia, in cui oggi ti trovi: non serve a
nulla restare a lungo nell'ansietà e tirare avanti nel turbamento, separandoti, in tal
modo, per questi quotidiani ostacoli, dalle cose divine. Anzi è molto dannoso rimandare
tanto la Comunione, perché ciò suole anche ingenerare grave torpore. Avviene persino -
cosa ben dolorosa - che taluni, nella loro tiepidezza e leggerezza, accettino di buon
grado questi ritardi della confessione, e desiderino di ritardare così la santa
Comunione, proprio per non essere obbligati a una più severa custodia di sé. Oh!, come
è scarso l'amore, come è fiacca la devozione di coloro che rimandano tanto facilmente la
Comunione. E come è felice e caro a Dio colui che vive in modo da custodire la sua
coscienza in una tale limpidezza da essere pronto e pieno di desiderio di comunicarsi
anche ogni giorno, se gli fosse consentito e se potesse farlo senza essere criticato. Se
uno qualche volta si astiene dalla Comunione per umiltà, o per un giusto impedimento, gli
va data lode, a causa del suo rispettoso timore. Se invece fa questo per una sorta di
torpore, che si è insinuato in lui, deve scuotersi e agire, quanto gli è possibile: il
Signore aderirà al suo desiderio, grazie alla buona volontà, alla quale Dio guarda in
modo speciale.
Se, invece, uno è trattenuto da ragioni valide, ma avrà la buona volontà e
la devota intenzione di comunicarsi, costui non mancherà dei frutti del Sacramento.
Giacché ognuno che abbia spirito di devozione può, in ogni giorno e in ogni ora, darsi
salutarmente, senza che alcuno glielo impedisca, alla comunione spirituale con Cristo; pur
dovendo, in certi giorni e nel tempo stabilito, con reverente affetto, prendere
sacramentalmente in cibo il corpo del suo Redentore, mirando più a dare lode e onore a
Dio che ad avere consolazione per sé. Infatti questo invisibile ristoro dell'anima, che
è la comunione spirituale, si ha ogni volta che uno medita con devozione il mistero
dell'incarnazione e della passione di Cristo, accendendosi di amore per lui. Chi si
prepara soltanto perché è imminente il giorno festivo, o perché la consuetudine lo
sospinge, è per lo più tutt'altro che pronto. Beato colui che si offre a Dio in
sacrificio ogni qualvolta celebra la Messa o si comunica.
Nel celebrare, non essere né troppo prolisso né troppo frettoloso; ma
osserva il ragionevole uso, comune a coloro con i quali ti trovi a vivere. Non devi,
infatti, ingenerare in altri fastidio e noia; devi mantenere invece la via consueta,
secondo la volontà dei superiori, e badare più all'utile degli altri, che alla tua
devozione e al tuo sentimento.
Capitolo XI
IL CORPO DI CRISTO E LA SACRA SCRITTURA MASSIMAMENTE NECESSARI ALL'ANIMA
DEVOTA
Parola del discepolo
O soave Signore Gesù, quanto è dolce all'anima devota sedere alla tua mensa, al tuo
convito, nel quale le viene presentato come cibo nient'altro all'infuori di te, unico suo
amato, desiderabile più di ogni desiderio del suo cuore. Anche per me sarebbe cosa soave
sciogliermi in pianto, con profonda commozione, dinanzi a te, e, con la Maddalena amorosa,
bagnare di lacrime i tuoi piedi. Ma dove è tanto slancio di devozione; dove è una tale
profusione di lacrime sante? Eppure, alla tua presenza e alla presenza dei tuoi angeli,
dovrei ardere tutto nell'intimo e piangere di gioia; giacché nel Sacramento ti possiedo
veramente presente, per quanto nascosto sotto altra apparenza. Infatti i miei occhi non ti
potrebbero sostenere, nella tua luce divina; anzi neppure il mondo intero potrebbe
sussistere, dinanzi al fulgore della tua maestà. Tu vieni incontro, dunque, alla mia
debolezza, nascondendoti sotto il Sacramento. Possiedo veramente ed adoro colui che gli
angeli adorano in cielo. Io lo adoro per ora nella fede; gli angeli, invece, faccia a
faccia, senza alcun velo. Io devo starmene nel lume della fede, e camminare in essa,
finché appaia il giorno dell'eterna luce e venga meno il velo delle figure simboliche
(cf. Ct 2,17; 4,6). "Quando poi verrà il compimento di tutte le cose" (1Cor
13,10), cesserà l'uso dei segni sacramentali. Nella gloria del cielo, i beati non hanno
bisogno infatti del rimedio dei sacramenti: il loro gaudio non ha termine, essendo essi
alla presenza di Dio, vedendo essi, faccia a faccia, la sua gloria. Passano di luce in
luce fino agli abissi della divinità, e gustano appieno il verbo di Dio fatto carne,
quale fu all'inizio e quale rimane in eterno. Conscio di queste cose meravigliose, trovo
molesta persino ogni consolazione spirituale: infatti tutto ciò che vedo e odo quaggiù
lo considero un niente, fino a che non veda manifestamente il mio Signore, nella sua
gloria. Tu mi sei testimone, o Dio, che non c'è cosa che mi possa dare conforto, non c'è
creatura che mi possa dare contentezza, all'infuori di te, che bramo contemplare in
eterno. Ma ciò non è possibile mentre sono in questa vita mortale; e perciò occorre che
mi rassegni a una grande pazienza e mi sottometta a te in tutti i miei desideri. Anche i
tuoi santi, o Signore, che ora esultano in te nel regno dei cieli, aspettarono l'evento
della tua gloria, mentre erano in questa vita, con fede e con pazienza grande. Ciò che
essi credettero, credo anch'io; ciò che essi sperarono, spero anch'io; dove essi
giunsero, confido, per la tua grazia, di giungere anch'io. Frattanto, camminerò nella
fede, irrobustito dagli esempi dei santi. Terrò poi, "come conforto" (1Mac
12,9) e specchio di vita, i libri santi; soprattutto terrò, come unico rimedio e come
rifugio, il tuo Corpo santissimo.
In verità, due cose sento come massimamente necessarie per me, quaggiù;
senza di esse questa vita di miserie mi sarebbe insopportabile. Trattenuto nel carcere di
questo corpo, di due cose riconosco di avere bisogno, cioè di alimento e di luce. E a me,
che sono tanto debole, tu hai dato, appunto come cibo il tuo santo corpo, e come lume hai
posto dinanzi ai miei piedi "la tua parola" (Sal 118,105). Poiché la parola di
Dio è luce dell'anima e il tuo Sacramento è pane di vita, non potrei vivere santamente
se mi mancassero queste due cose. Le quali potrebbero essere intese come le "due
mense" (Ez 40,40) poste da una parte e dall'altra nel prezioso tempio della santa
Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo di Cristo;
l'altra la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera fede,
e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum (Eb 6,19s; 9,3).
Ti siano, dunque, rese grazie, o Signore Gesù, che brilli di eterna luce, per
questa mensa della santa dottrina, che ci hai preparato per mezzo dei tuoi servi, i
profeti, gli apostoli e gli altri dottori. Ti siano rese grazie, Creatore e Redentore
degli uomini, che, per dimostrare al mondo intero il tuo amore, hai preparato la grande
cena, in cui disponesti come cibo, non già il simbolico agnello, ma il tuo corpo
santissimo e il tuo sangue, inebriando tutti i tuoi fedeli al calice della salvezza e
colmandoli di letizia al tuo convito: il convito che compendia tutte le delizie del
paradiso e nel quale banchettano con noi, e con più dolce soavità, gli angeli santi.
Quale grandezza, quale onore, nell'ufficio dei sacerdoti, ai quali è dato di consacrare,
con le sacre parole, il Signore altissimo; di benedirlo con le proprie labbra, di tenerlo
con le proprie mani; di nutrirsene con la propria bocca e di distribuirlo agli altri.
Quanto devono essere pure quelle mani; quanto deve essere pura la bocca, e santo il corpo
e immacolato il cuore del sacerdote, nel quale entra tante volte l'autore della purezza.
Non una parola, che non sia santa, degna e buona, deve venire dalle labbra del sacerdote,
che riceve così spesso il Sacramento; semplici e pudichi devono essere gli occhi di lui,
che abitualmente sono fissi alla visione del corpo di Cristo; pure ed elevate al cielo
devono essere le mani di lui, che sovente toccano il Creatore del cielo e della terra. E'
proprio per i sacerdoti che è detto nella legge: "siate santi, perché io, il
Signore Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2). Onnipotente Iddio, venga in nostro
soccorso la tua grazia, affinché noi, che abbiamo assunto l'ufficio sacerdotale, sappiamo
stare intimamente vicini a te, in modo degno, con devozione, in grande purezza di cuore e
con coscienza irreprensibile. Che se non possiamo mantenerci in così piena innocenza di
vita, come dovremmo, almeno concedi a noi di piangere sinceramente il male che abbiamo
compiuto; concedi a noi di servirti, per l'avvenire, più fervorosamente, in spirito di
umiltà e con proposito di buona volontà.
Capitolo XII
COLUI CHE SI APPRESTA A COMUNICARSI CON CRISTO VI SI DEVE PREPARARE CON
SCRUPOLOSA DILIGENZA
Voce del Diletto
Io sono colui che ama la purezza; io sono colui che dona ogni santità. Io cerco un
cuore puro: là è il luogo del mio so. Allestisci e "apparecchia per me un'ampia
sala ove cenare (Mc 14,15; Lc 22,12), e farò la Pasqua presso di te con i miei
discepoli". Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te, espelli "il vecchio
fermento" (1Cor 5,7) e purifica la dimora del tuo cuore. Caccia fuori tutto il mondo
e tutto il disordine delle passioni; sta "come il passero solitario sul tetto"
(Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di cuore, ai tuoi peccati. Invero, colui che ama
prepara al suo caro, da cui è amato, il luogo migliore e più bello: di qui si conosce
l'amorosa disposizione di chi riceve il suo diletto. Sappi tuttavia che, per questa
preparazione - anche se essa durasse un intero anno e tu non avessi altro in mente - non
potresti mai fare abbastanza con le tue sole forze. E' soltanto per mia benevolenza e per
mia grazia, che ti viene concesso di accostarti alla mensa: come se un poveretto fosse
chiamato al banchetto di un ricco e non avesse altro modo per ripagare quel beneficio che
farsi piccolo e rendere grazie. Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con tutta
attenzione, non per abitudine, non per costrizione. Il corpo del tuo Diletto Signore Dio,
che si degna di venire a te, accoglilo con timore, con venerazione, con amore. Sono io ad
averti chiamato; sono io ad aver comandato che così fosse fatto; sarò io a supplire a
quel che ti manca. Vieni ed accoglimi. Se ti concedo la grazia della devozione, che tu ne
sia grato al tuo Dio; te la concedo, non già per il fatto che tu ne sia degno, ma perché
ho avuto misericordia di te. Se non hai questa devozione, e ti senti piuttosto arido,
insisti nella preghiera, piangi e bussa, senza smettere finché non avrai meritato di
ricevere almeno una briciola o una goccia della grazia di salvezza. Sei tu che hai bisogno
di me, non io di te. Sono io che vengo a santificare te e a farti migliore, non sei tu che
vieni a dare santità a me. Tu vieni per ricevere da me la santità, nell'unione con me;
per ricevere nuova grazia, nel rinnovato, ardente desiderio di purificazione. "Non
disprezzare questa grazia" (1Tm 4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e
fa' entrare in te il tuo diletto.
Ancora, occorre, non solo che tu ti disponga a pietà, avanti la Comunione, ma
anche che tu ti conservi in essa, con ogni cura, dopo aver ricevuto il Sacramento. La
vigilanza di poi non deve essere inferiore alla devota preparazione di prima; ché tale
attenta vigilanza è a sua volta la migliore preparazione per ottenere una grazia più
grande. Taluno diventa assai mal disposto, proprio per essersi subito abbandonato a
consolazioni esteriori. Guardati dal molto parlare; tieniti appartato, a godere del tuo
Dio. E' lui che tu possiedi; neppure il mondo intero te lo potrà togliere. Io sono colui
al quale devi darti interamente, così che tu non viva più in te, ma in me, fuori da ogni
affanno.
Capitolo XIII
NEL SACRAMENTO L'ANIMA DEVOTA TENDA CON TUTTO SE STESSA ALL'UNIONE CON
CRISTO
Voce del discepolo
"Chi mi darà, o Signore, di trovare te solo", di aprirti tutto il mio cuore e
di godere di te, secondo il desiderio dell'anima mia? "Allora nessuno potrebbe
offendermi" (Ct 8,1), nessuna creatura potrebbe scuotermi, e neppure sfiorarmi con
uno sguardo; ma sarai tu solo a parlarmi, ed io a te, come colui che ama suole parlare con
la persona amata, e come l'amico suole stare a mensa con l'amico. Questo io chiedo, questo
io desidero: unirmi tutto a te, distogliere il mio cuore da tutto ciò che è creato e
apprendere a gustare sempre più le cose celesti ed eterne, grazie alla santa Comunione e
alla frequente celebrazione della Messa. Ah, Signore Dio, quando sarò interamente unito e
assunto in te, dimenticando del tutto me stesso? Tu in me ed io in te. Fa' che possiamo
rimanere uniti così. Veramente tu sei "il mio diletto scelto tra mille" (Ct
5,10), con il quale piacque all'anima mia di restare per tutti i giorni della vita.
Veramente tu sei colui che mi dà la pace; colui nel quale consiste la pace suprema, il
riposo vero, e fuori del quale tutto è fatica e dolore e miseria senza fine.
"Veramente tu sei il Dio nascosto" (Is 45,15); la tua conversazione non è con i
malvagi; la tua parola si rivolge agli umili e ai semplici. "Oh, quanto è soave, o
Signore, il tuo Spirito" (Sap 12,1): tu vuoi mostrare la tua benevolenza ai tuoi
figli e ti degni di ristorarli "con il pane sommamente soave che scende dal
cielo" (Sap 16,20s).
Davvero "non c'è altro popolo così grande, a cui i propri dei si siano
fatti così vicini, come sei vicino tu, o Dio nostro" (Dt 4,7), a tutti i tuoi
fedeli. A questi, infatti, tu doni te stesso in salutare nutrimento, quale quotidiano
conforto e quale mezzo per volgere il cuore verso il cielo. C'è un'altra gente così
gloriosa, come il popolo cristiano? C'è, sotto il nostro cielo, una creatura da te così
amata come l'anima devota, nella quale entra Dio stesso, per nutrirla del suo corpo di
Gloria? Oh!, grazia ineffabile, degnazione meravigliosa, oh!, amore incommensurabile,
privilegio concesso agli uomini. Ma che cosa darò io al Signore in cambio di tale grazia,
di un amore così straordinario? Nulla io posso offrire, che sia più gradito del dono
totale del mio cuore al mio Dio e dell'intima unione con lui. Allora esulterò nel
profondo, quando l'anima mia sarà perfettamente unita a Dio. Allora Dio stesso mi dirà:
se tu vuoi essere con me, io voglio essere con te. Ed io a lui risponderò: degnati, o
Signore, di restare con me; mi piace, e lo voglio, essere con te. Qui è tutto il mio
desiderio, che il mio cuore sia unito al tuo.
Capitolo XIV
L'ARDENTE BRAMA DEL CORPO DI CRISTO IN ALCUNI DEVOTI
Parola del discepolo
"Quanto è grande, o Signore, la ricchezza della tua bontà, riservata a coloro che
ti temono" (Sal 30,20). O Signore, quando penso a certe anime devote, che si
accostano al tuo Sacramento con grandissima devozione ed amore, spesso mi sento in colpa
ed arrossisco. Al tuo altare e alla mensa della santa Comunione io vengo infatti con tanta
tiepidezza e freddezza, restando così arido e senza slancio del cuore, non totalmente
infiammato dinanzi a te, o mio Dio, e non così fortemente attratto d'amore verso di te,
come lo furono molte anime devote. Nel loro grande desiderio della Comunione e nel
palpitante loro amore, queste anime devote non potevano trattenersi dal pianto; con la
bocca del cuore, e insieme con quella del corpo, anelavano dal profondo a te, fonte viva,
non potendo calmare o saziare la propria sete in altro modo che ricevendo il tuo corpo,
con piena letizia e con spirituale avidità. Veramente ardente, la loro fede; tale da
costituire essa stessa motivo di prova della tua presenza. Questi devoti riconoscono
davvero il loro Signore nello spezzare il pane, e il loro cuore arde tutto per quel Gesù,
che sta camminando con loro (Lc 24,30s). Da me sono spesso ben lontani un tale slancio
devoto, un amore così ardente.
Usami misericordia, o buon Gesù, dolce e benigno. Al poveretto tuo, che va
implorando, concedi di sentire, almeno qualche volta, nella santa Comunione, un poco
dell'impeto amoroso del tuo cuore; così si irrobustirà la mia fede, si dilaterà la
speranza nella tua bontà, e in me non verrà mai meno un amore che già arde pienamente e
che ha potuto gustare la manna del cielo. Ben può la tua misericordia concedermi almeno
la grazia del desiderio e venire a me donandomi ardore di spirito, finché non giunga il
giorno da te stabilito. In verità, benché io non sia acceso da una brama così grande
come quella delle persone particolarmente a te devote, tuttavia sento, per grazia sua, di
desiderare quel desiderio, grande e ardente; prego e sospiro di essere unito a tutti
coloro che ti amano con fervore e di essere considerato della loro santa schiera.
Capitolo XV
UMILTA' E RINNEGAMENTO DI SE', MEZZI PER OTTENERE LA GRAZIA DELLA
DEVOZIONE
Parola del Diletto
La grazia della devozione devi cercarla senza posa, chiederla con gran desiderio,
aspettarla con fiduciosa pazienza; devi riceverla con gratitudine e umilmente conservarla;
con essa devi diligentemente operare; devi poi rimetterti a Dio per il tempo e il modo di
questa visita dall'alto. Quando dentro di te non senti alcuna devozione, o ne senti ben
poca, ti devi fare particolarmente umile, ma senza abbatterti troppo, senza rattristarti
oltre misura. Quello che per lungo tempo non aveva concesso, spesso Dio lo concede in un
breve istante; quello che al principio della preghiera non aveva voluto dare, talvolta Dio
lo dà alla fine. Se questa grazia venisse data sempre prontamente e si presentasse ogni
volta che la si desidera, l'uomo, nella sua fragilità, non la saprebbe portare. Perciò
la grazia della devozione la si deve attendere con totale fiducia e con umile pazienza.
Quando non ti viene data, oppure ti viene tolta senza che tu ne veda la ragione, danne la
colpa a te stesso e ai tuoi peccati. Talvolta è una piccola cosa che fa ostacolo alla
grazia e la nasconde: se pur piccola, e non grande cosa, possa chiamarsi ciò che
impedisce un bene così eccelso. E se questa piccola, o, meglio, grande cosa riuscirai a
rimuoverla e a vincerla del tutto, ciò che chiedevi si avvererà. In verità, non appena
ti sarai dato a Dio con tutto il tuo cuore; non appena, anziché chiedere questo o
quest'altro, ti sarai rimesso interamente a lui, ti troverai tranquillo e in pace con te
stesso, giacché nulla avrà per te sapore più gradito di ciò che vuole Iddio.
Perciò colui che, con semplicità di cuore, avrà elevato la sua intenzione a
Dio, liberandosi da qualsiasi attaccamento non retto e da un distorto amore per le cose di
questo mondo, sarà veramente degno di ricevere la grazia e meriterà il dono della
devozione. Giacché dove trova un terreno sgombro, là il Signore concede la sua
benedizione. E tanto più rapida scende la grazia, tanto più copiosa si riversa, tanto
più in alto trasporta un cuore libero, quanto più uno rinuncia del tutto alle cose di
quaggiù, morendo a se stesso e disprezzando se stesso. Allora, "il cuore di costui
vedrà e sarà traboccante, e contemplerà e si allargherà in Dio" (Is 60,5),
poiché "con lui è la potenza del Signore" (Ez 3,14; Lc 1,66), nelle mani del
quale egli si è messo, interamente e per sempre. "Ecco, così sarà benedetto"
(Sal 127,4), colui che cerca il Signore con tutto il cuore, e "non ha ricevuto invano
la sua vita" (Sal 23,4). Della grazia grande di essere unito a Dio egli si rende
degno proprio qui, nel ricevere la santa Eucarestia; perché non mira alla propria
devozione e alla propria consolazione, e mira invece, di là di ogni devozione o
consolazione, a glorificare e ad onorare Iddio.
Capitolo XVI
MANIFESTARE A CRISTO LE NOSTRE MANCHEVOLEZZE E CHIEDERE LA SUA GRAZIA
Parola del discepolo
O dolcissimo e amorosissimo Signore, che ora desidero devotamente
ricevere, tu conosci la mia debolezza e la miseria che mi affligge; sai quanto siano
grandi il male e i vizi in cui giaccio e come io sia frequentemente oppresso, provato,
sconvolto e pieno di corruzione. Io vengo a te per essere aiutato, consolato e sollevato.
Parlo a colui che tutto sa e conosce ogni mio pensiero; a colui che solo mi può
pienamente confortare e soccorrere. Tu ben sai di quali beni io ho massimamente bisogno e
quanto io sono povero di virtù. Ecco che io mi metto dinanzi a te, povero e nudo,
chiedendo grazia e implorando misericordia. Ristora questo tuo misero affamato; riscalda
la mia freddezza con il fuoco del tuo amore; rischiara la mia cecità con la luce della
tua presenza. Muta per me in amarezza tutto ciò che è terreno; trasforma in occasione di
pazienza tutto ciò che mi pesa e mi ostacola; muta in oggetto di disprezzo e di oblio
ciò che è bassa creatura. Innalza il mio cuore verso il cielo, a te, e non lasciare che
mi perda, vagando su questa terra. Sii tu solo, da questo momento e per sempre, la mia
dolce attrazione, ché tu solo sei mio cibo e mia bevanda, mio amore e mia gioia, mia
dolcezza e sommo mio bene. Potessi io infiammarmi tutto, dinanzi a te, consumarmi e
trasmutare in te, così da diventare un solo spirito con te, per grazia di intima unione,
in struggimento di ardente amore. Non permettere che io mi allontani da te digiuno e
languente, ma usa misericordia verso di me, come tante volte l'hai usata mirabilmente con
i tuoi santi. Qual meraviglia se da te io prendessi fuoco interamente, venendo meno in me
stesso, poiché tu sei fiamma sempre viva, che mai si spegne, amore che purifica i cuori e
illumina le menti?
Capitolo XVII
L'ARDENTE AMORE E L'INTENSO DESIDERIO DI RICEVERE CRISTO
Parola del discepolo
Con devozione grandissima e con ardente amore, con tutto lo slancio di un cuore
appassionato, io desidero riceverti, o Signore, come ti desiderarono, nella Comunione,
molti santi e molti devoti, a te massimamente graditi per la santità della loro vita e
per la loro infiammata pietà. O mio Dio, amore eterno che sei tutto il mio bene, la mia
felicità senza fine, io bramo riceverti con intenso desiderio e con venerazione
grandissima, quale mai poté avere o sentire santo alcuno. Anche se non sono degno di
sentire tutta quella devozione, tuttavia ti offro tutto lo slancio del mio cuore, come se
io solo avessi tutti quegli accesi desideri, che tanto ti sono graditi. Ché anzi, tutto
quel che un animo devoto può concepire e desiderare, tutto questo io lo porgo e lo offro
a te, con estrema venerazione in pio raccoglimento. Nulla voglio tenere per me, ma voglio
immolarti me stesso e tutto quello che ho, con scelta libera e altamente gioiosa.
Signore, mio Dio, mio creatore e redentore, io desidero riceverti oggi con
quella amorosa venerazione, con quei sentimenti di lode e di onore, di giusta gratitudine
e d'amore, con quella fede e speranza e purità di cuore, con i quali ti desiderò e ti
ricevette la santissima Madre tua, la gloriosa Vergine Maria, quando, all'Angelo che le
annunciava il mistero dell'Incarnazione, rispose, in devota umiltà: "Ecco la schiava
del Signore; sia fatto a me secondo la tua parola" (Lc 1,38). E come il tuo
precursore Giovanni Battista, il più grande tra tutti i santi, alla tua presenza,
sobbalzò di gioia, nel gaudio dello Spirito Santo, mentre era ancora nel grembo della
madre; e come di poi, scorgendo Gesù camminare tra la gente, disse con slancio devoto,
abbassando grandemente se stesso: "l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo
ascolta, gioisce profondamente alla sua voce" (Gv 3,29), così anch'io bramo di
essere acceso di santo e grande desiderio e di darmi a te con tutto il mio cuore. Per
questo ti presento e ti offro i sentimenti di giubilo, gli ardenti moti del cuore, gli
alti pensieri, le luci superne e le visioni celesti di tutte le anime devote; e mi unisco
- per me stesso e per coloro che a me si raccomandano nella preghiera - alle lodi perfette
che tutte le creature ti rendono e ti renderanno, in cielo e in terra, affinché da tutti
tu sia giustamente celebrato e glorificato per sempre. Accetta, o Signore Dio mio, i miei
voti e il mio desiderio di darti infinite lodi e copiose benedizioni, quali giustamente a
te si debbono, per la grandezza della tua ineffabile potenza. Tutto questo io ti dono ora,
e voglio donarti ogni giorno e in ogni tempo, invocando con caloroso preghiera tutti gli
spiriti celesti e tutti i tuoi fedeli a unirsi a me nel renderti grazie e nel darti lode.
Tutti i "popoli, le stirpi e le nazioni" diano lode a te (Dn 7,14), esaltino il
nome tuo, santo e soave, con sommo giubilo ed ardente devozione. E quanti celebrano il tuo
altissimo Sacramento con venerazione e pietà, e lo ricevono con pienezza di fede, possano
trovare grazia e misericordia presso di te. Che essi si degnino di ricordarsi di questo
poveretto, quando, raggiunta la desiderata devozione e nutriti della salutare unione con
te, lasciano la sacra mensa celeste, piene di consolazione e mirabilmente ristorati.
Capitolo XVIII
L'UOMO NON SI PONGA AD INDAGARE, CON ANIMO CURIOSO, INTRONO AL
SACRAMENTO, MA SI FACCIA UMILE IMITATORE DI CRISTO E SOTTOMETTA I SUOI SENSI ALLA SANTA
FEDE
Parola del Diletto
Se non vuoi essere sommerso nell'abisso del dubbio, devi guardarti dall'indagare, con
inutile curiosità intorno a questo altissimo Sacramento. "Colui che pretende di
conoscere la maestà di Dio, sarà schiacciato dalla grandezza di lui" (Pro 25,27).
Dio può fare cose più grandi di quanto l'uomo possa capire All'uomo è consentita
soltanto una pia ed umile ricerca della verità, sempre pronta ad essere illuminata, e
desiderosa di muoversi entro i salutari insegnamenti dei Padri. Beata la semplicità, che
tralascia le ardue strade delle disquisizioni e prosegue nel sentiero piano e sicuro dei
comandamenti di Dio. Sono molti quelli che, volendo indagare cose troppo sublimi,
perdettero la fede. Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non altezza d'intelletto
e capacità di penetrare nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e a
comprendere ciò che sta più in basso di te, come potresti capire ciò che sta sopra di
te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi alla fede, e ti sarà dato lume di
conoscenza, quale e quanto potrà esserti utile e necessario. Taluni subiscono forti
tentazioni circa la fede e il Sacramento; sennonché, non a loro se ne deve fare carico,
bensì al nemico. Non soffermarti su queste cose; non voler discutere con i tuoi stessi
pensieri, né rispondere ai dubbi insinuati dal diavolo. Credi, invece alle parole di Dio;
affidati ai santi e ai profeti (2Cor 20,20), e fuggirà da te l'infame nemico. Che il
servo di Dio sopporti tali cose, talora è utile assai. Il diavolo non sottopone alle
tentazioni quelli che non hanno fede, né i peccatori, che ha già sicuramente in sua
mano; egli tenta, invece, tormenta, in vario modo, le persone credenti e devote.
Procedi, dunque, con schietta e ferma fede; accostati al Sacramento con umile
venerazione. Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può, quanto non riesci a
comprendere: Iddio non ti inganna; mentre si inganna colui che confida troppo in se
stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si rivela agli umili, "dà lume d'intelletto
ai piccoli" (Sal 118,130), apre la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai
curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può sbagliare, mentre la fede vera non
può ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca deve andare dietro alla fede; non
precederla, né indebolirla. Ecco, predominano allora la fede e l'amore, misteriosamente
operanti in questo santissimo ed eccellentissimo Sacramento. Il Dio eterno, immenso ed
onnipotente, fa cose grandi e imperscrutabili, in cielo e in terra; e a noi non è dato
investigare le meravigliose sue opere. Ché, se le opere di Dio fossero tali da poter
essere facilmente comprese dalla ragione umana, non si potrebbero dire meravigliose e
ineffabili.
FINISCE IL LIBRO DEI CONSIGLI DEVOTI PER LA SANTA COMUNIONE.