I - Gioia universale per la immacolata nascita del Signore
Oggi, dilettissimi, è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci! Non è bene che
vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita, che, avendo distrutto il
timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell'eternità. Nessuno è
escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico
e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è
venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal
peccato.
Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché
è invitato al perdono. Si rianimi il pagano, perché è chiamato alla vita. Il
Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e
imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per
riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse
sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto. In questo duello,
combattuto per noi, principio supremo fu la giustizia nella più alta
espressione. Il Signore onnipotente, infatti, non nella maestà che gli
appartiene, ma nella umiltà nostra ha lottato contro il crudele nemico. Egli ha
opposto al nemico la nostra stessa condizione, la nostra stessa natura, che in
lui era bensì partecipe della nostra mortalità, ma esente da qualsiasi
peccato.
E' estraneo da questa nascita quel che vale per tutti gli altri: «Nessuno è
mondo da colpa, neppure il fanciullo che ha un sol giorno di vita». Nulla della
concupiscenza della carne è stato trasmesso in questa singolare nascita; niente
è derivato ad essa dalla legge del peccato. E' scelta una vergine regale,
appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa
prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio, prima con la mente che col corpo. E perché,
ignara del consiglio superno, non si spaventi per una inaspettata gravidanza,
apprende dal colloquio con l'angelo quel che lo Spirito Santo deve operare in
lei. Ella non crede che sia offesa al pudore il diventare quanto prima genitrice
di Dio. Colei a cui è promessa la fecondità per opera dell'Altissimo, come
potrebbe dubitare del nuovo modo di concepire? La sua fede, già perfetta, è
rafforzata con l'attestazione di un precedente miracolo: una insperata fecondità
è data a Elisabetta, perché non si dubiti che darà figliolanza alla Vergine
chi già ha concesso alla sterile di poter concepire.
II - La mirabile economia del mistero del Natale
Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che «era in principio
presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure
una delle cose create è stata fatta», per liberare l'uomo dalla morte eterna
si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione
senza diminuire la sua maestà. E' rimasto quel che era e ha preso ciò che non
era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al
Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tate che la glorificazione non ha
assorbito la natura inferiore, né l'assunzione ha sminuito la natura superiore.
Perciò le proprietà dell'una e dell'altra natura sono rimaste integre, benché
convergano in una unica persona. In questa maniera l'umiltà viene accolta dalla
maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità. Per pagare
il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita
alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo
armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché
avvenisse che l'unico e identico Mediatore di Dio e degli uomini da una parte
potesse morire e dall'altra potesse risorgere. Pertanto si deve affermare che a
ragione il parto del Salvatore non corruppe in alcun modo la verginale integrità;
anzi il dare alla luce la Verità fu la salvaguardia del suo pudore. Tale
natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, «virtù di Dio e sapienza di Dio»;
con essa egli è uguale a noi quanto all'umanità, è superiore a noi quanto
alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse
vero uomo non ci sarebbe di esempio. Perciò dagli angeli esultanti si canta
nella nascita del Signore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli» e viene
annunciata «la pace in terra agli uomini di buona volontà» . Essi, infatti,
comprendono che la celeste Gerusalemme sta per essere formata da tutte le genti
del mondo. Or quanto gli umili uomini devono rallegrarsi per quest'opera
ineffabile della divina misericordia, se gli angeli eccelsi tanto ne godono?
III - La vita della nuova creatura
Pertanto, dilettissimi, rendiamo grazie a Dio Padre mediante il suo Figlio nello
Spirito Santo, poiché la sua grande misericordia, con cui ci ha amato, ha avuto
di noi pietà. «Quando ancora noi eravamo morti a causa dei nostri peccati, ci
ha vivificati con Cristo» per essere in lui una nuova creatura e una nuova
opera. Dunque spogliamoci del vecchio uomo e dei suoi atti . Ora che abbiamo
ottenuto la partecipazione alla generazione di Cristo, rinunciamo alle opere
della carne. Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della
natura divina, non voler tornare con una vita indegna all'antica bassezza.
Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dalla
potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nel regno di Dio. Per
il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito santo: non
scacciare da te con azioni cattive un sì nobile ospite e non ti sottomettere di
nuovo alla schiavitù del diavolo, perché ti giudicherà secondo verità chi ti
ha redento nella misericordia, egli che vive e regna col Padre e lo Spirito
santo nei secoli dei secoli. Amen.
SECONDO DISCORSO
TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE
I - L'occulto disegno di Dio nell'incarnazione
Dilettissimi, esultiamo nel Signore e con spirituale gaudio rallegriamoci, perché
è spuntato per noi il giorno che significa la nuova redenzione, l'antica
preparazione, la felicità eterna. Il mistero della nostra salvezza, promesso
all'inizio del mondo, attuato nel tempo stabilito per durare senza fine, si
rinnova per noi nel ricorrente ciclo annuale.
In questo giorno è giusto che noi, elevati in alto i cuori, adoriamo il
divino mistero, affinché sia celebrato dalla Chiesa con grande letizia quel che
si compie per munifica generosità di Dio.
Infatti, Dio onnipotente e clementissimo, la cui natura è bontà, la cui
volontà è potenza, la cui azione è misericordia, allorché la malizia del
diavolo con il veleno del suo odio ci sottomise alla morte, tosto indicò
all'inizio del mondo la medicina che la sua misericordia metteva a disposizione
per risollevare il genere umano. Preannunciò al serpente la futura discendenza
della donna che con la propria virtù gli avrebbe schiacciato il capo, sempre
altero o pronto a mordere. In tal modo preannunciò Cristo, l'Uomo-Dio, che
doveva venire nella carne e che, nascendo dalla Vergine con una nascita
immacolata, doveva condannare colui che violò l'integrità del genere umano.
Infatti il diavolo, trovando un sollievo alle proprie pene nel compagno di
peccato, si gloriava che l'uomo, da lui ingannato, fosse stato privato dei doni
divini e, spogliato della immortalità, fosse stato assoggettato a dura sentenza
di morte; in più si gloriava perché Dio, secondo le esigenze della giustizia,
era stato costretto a cambiare proposito riguardo all'uomo che egli aveva creato
insignito di grande dignità. Per questo è stato necessario che Dio,
immutabile, la cui volontà è inseparabile dalla benignità, adempisse con
segreta economia e con occulto mistero il suo primo disegno di grazia ai nostri
riguardi, affinché l'uomo, caduto in colpa per l'insidia del maligno diavolo,
contrariamente al piano di Dio non perisse.
II - La novità nella nascita di Cristo
Dilettissimi, appena giunti i tempi prestabiliti per la redenzione degli uomini,
Gesù Cristo, Figlio di Dio, fa il suo ingresso nella bassa condizione di questo
mondo: discende dalla sede celeste senza, però, allontanarsi dalla gloria del
Padre: è generato in un nuovo stato e con novità nella nascita. E' nuovo il
suo stato, perché, pur rimanendo invisibile nella sua natura è diventato
visibile nella natura nostra. Egli che è l'immenso, ha voluto essere racchiuso
nello spazio: pur restando nella sua eternità ha voluto incominciare a esistere
nel tempo. Il Signore dell'universo, nascosta sotto il velo la gloria della sua
maestà, ha assunto la natura di servo. Dio, inviolabile, non ha sdegnato di
assoggettarsi al dolore; l'immortale non ha rifiutato di sottomettersi alla
legge della morte.
Inoltre è stato generato con novità nella nascita, perché è stato
concepito dalla Vergine ed è nato dalla Vergine senza l'intervento di padre
terreno e senza la violazione della integrità della madre. A chi doveva essere
il Salvatore degli uomini era conveniente una tale nascita, perché avesse in sé
la natura umana e non conoscesse la contaminazione della umana carne. Dio
stesso, infatti, è l'autore della nascita corporea di Dio, e l'arcangelo l'ha
attestato alla santa vergine Maria: «Lo Spirito santo verrà sopra di te, e la
potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra: per questo il bambino santo
che nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio».
Dunque la sua origine è diversa dalla nostra, ma la sua natura è uguale
alla nostra. Il fatto che la Vergine abbia concepito, che la Vergine abbia
partorito e poi sia rimasta ancora vergine, certamente è estraneo alla comune
esperienza umana, poiché è fondato sulla divina potenza. In questo caso,
difatti, non bisogna considerare la condizione di colei che partorisce, ma il
volere di colui che nasce, il quale è nato dall'uomo nel modo che ha voluto e
potuto. Se tu osservi la realtà della natura, costati la sostanza umana; ma se
scruti la causa dell'origine, vi riconosci la potenza divina. Invero, Gesù
Cristo, nostro Signore, è venuto per abolire il contagio del peccato, non per
tollerarlo; è venuto per curare ogni malattia di corruzione e tutte le ferite
delle anime macchiate. Era dunque opportuno che nascesse in maniera nuova colui
che apportava agli uomini una nuova grazia di immacolata integrità. Era
necessario che l'integrità di chi nasceva conservasse la nativa verginità
della madre, e che l'adombramento della virtù dello Spirito santo custodisse il
sacro recinto del pudore e la sede della santità. Gesù, difatti, aveva
stabilito di rialzare la creatura che era precipitata in basso, di rafforzare la
creatura conculcata e di donare e accrescere la virtù della castità per cui
potesse essere vinta la concupiscenza della carne. Dio ha voluto in tal maniera
che la verginità, necessariamente violata nella generazione degli altri uomini,
fosse imitabile negli altri con la rinascita spirituale.
III - Il segreto messianico
Il fatto stesso, dilettissimi, che Cristo abbia scelto di nascere da una
vergine, non mostra forse che era mosso da un motivo altissimo? Egli voleva che
il diavolo ignorasse la nascita del Salvatore del genere umano; così ignaro
dello spirituale concepimento, il maligno non avrebbe pensato a una nascita
diversa da quella degli altri uomini, perché lo vedeva non differente dagli
altri. Egli ha osservato la natura di lui, simile alla nostra, e ha creduto che
egli fosse compreso nella condanna di tutti gli altri. Non comprese che era
estraneo ai ceppi, procuratici dalla disobbedienza, colui che non vedeva libero
dall'umana debolezza. Infatti Dio, verace e misericordioso, disponeva di molti
modi per restaurare il genere umano, ma ha scelto questa via della redenzione
per seguire un criterio di giustizia, anziché fare uso della sua potenza nel
distruggere il male compiuto dal diavolo. Il superbo e antico nemico rivendicava
per sé, non senza qualche ragione, un diritto di tirannia su tutti gli uomini;
e opprimeva con dominazione non illegittima quelli che dal comando di Dio aveva
trascinato a rendere ossequio spontaneo alle sue voglie. Perciò non avrebbe
giustamente perduto la servitù del genere umano, instaurata agli inizi del
mondo, se non fosse stato vinto da chi prima aveva assoggettato. Perché questo
disegno si attuasse, Cristo, senza intervento di uomo, è stato concepito dalla
Vergine, fecondata non dalla unione carnale, ma dallo Spirito santo. Le madri
tutte non concepiscono senza la macchia del peccato; al contrario essa fu
purificata dal fatto che concepì. Non si ebbe in questo caso nessun intervento
dell'uomo, perciò non vi si mescolò il peccato originale. La verginità
inviolata non conobbe la concupiscenza; solo somministrò la sostanza. Dalla
madre fu assunta la natura dell'uomo, non la colpa. La natura di servo è stata
fatta senza portare con sé condizione servile, perché l'uomo nuovo è stato
misurato sul vecchio in modo da assumere la realtà della natura e da escludere
l'antico peccato. Il misericordioso e onnipotente Salvatore ha regolato fin
dall'inizio l'assunzione della natura umana in tal maniera da tenere nascosta la
potenza divina, inseparabile dall'umanità assunta, col velo della nostra
infermità. Fu, così, giocata l'astuzia del nemico che credette la nascita del
fanciullo, nato per la salvezza del genere umano, sottomessa al suo dominio, non
altrimenti che quella di tutti gli uomini che nascessero. Lo scorse che vagiva e
lacrimava; l'osservò avvolto in pochi panni , soggetto alla circoncisione e
riscattato con l'offerta del sacrificio legale. In seguito conobbe il normale
sviluppo della sua puerizia e non poté mettere in dubbio la sua naturale
crescita finché giunse a età virile. Mentre tutto ciò si compiva, egli scagliò
oltraggi, moltiplicò le ingiurie, usò maledizioni, obbrobri, bestemmie e
calunnie, e in ultimo rovesciò contro Cristo tutta la potenza del suo furore
passando in rassegna tutte le possibili tentazioni. Ben conscio di avere col suo
veleno prostrata la natura umana, non credette neppure lontanamente che fosse
libero dal peccato chi da tante prove era riconoscibile per mortale. Perciò il
diavolo, scellerato saccheggiatore e avaro esattore, persisté nella lotta
contro chi nulla aveva in sé di malizia. Ma mentre lo perseguitava rivendicando
l'esecuzione della sentenza di condanna per tutti gli uomini, riposta
nell'origine intaccata dal peccato, oltrepassò la misura fissata nel decreto
che gli serviva di sostegno, perché reclamò la pena del peccato da colui nel
quale non scoprì nessuna colpa. Così per un consiglio poco accorto fu
annullata la cedola del contratto di morte; per l'ingiustizia commessa
nell'esigere di più, venne abolito tutto il debito. Quel forte viene incatenato
con i suoi stessi ceppi e ogni astuzia del maligno viene ripiegata nel suo capo.
Appena il principe del mondo è così imprigionato, le vettovaglie,
procacciatesi con la schiavitù, gli vengono rapite. La natura purificata dal
vecchio contagio, ritorna nel suo onore; la morte è distrutta con la morte, la
nascita è restaurata con la nuova natività. Simultanei sono questi effetti: la
redenzione abolisce la schiavitù, la rigenerazione trasforma l'origine e la
fede rende giusto il peccatore.
IV - Frutti della redenzione e propositi del cristiano
Dunque, chiunque tu sia che vuoi gloriarti del nome di cristiano, pondera con
giusto giudizio la grazia di questa riconciliazione. A te, una volta prostrato
ed escluso dal Paradiso, a te, destinato a morire ininterrottamente durante un
lungo esilio e disperso alla stregua della polvere e della cenere, a te, senza
speranza di vivere, è stata data con l'incarnazione del Verbo la facoltà di
tornare, dal lontano luogo ove eri, al tuo Creatore, di riconoscere il tuo
padre, di passare dalla servitù alla libertà, di essere innalzato dalla
condizione di forestiero alla dignità di figlio. Così a te, nato dalla carne
corruttibile, è stata data la facoltà di rinascere dallo Spirito di Dio e di
ottenere per grazia ciò che non avevi per natura, in modo che riconoscendoti,
mediante lo Spirito di adozione, come figlio di Dio, possa ardire di chiamare
Dio tuo Padre. Ora che sei sciolto dal reato della cattiva coscienza, aspira al
regno celeste; adempi la volontà di Dio, sostenuto dal divino aiuto; imita gli
angeli sopra la terra; nùtriti della virtù di una sostanza immortale; combatti
con sicurezza contro le tentazioni ostili in ossequio alla religione di Dio, e
se avrai rispettato il giuramento della milizia celeste, sii certo che sarai
incoronato per la vittoria nei campi trionfali dell'eterno Re, quando la
risurrezione, preparata ai cultori di Dio, ti investirà per innalzarti alla
società del regno celeste.
Dilettissimi, fiduciosi in così grande aspettativa, rimanete stabili nella
fede in cui siete stati fondati. Non sia mai che il tentatore, privato da Cristo
della dominazione sopra di voi, vi abbia a sedurre di nuovo con insidie e riesca
a profanare con la sua raffinata arte di inganni le gioie stesse del giorno
presente. Non sia mai che riesca a illudere gli uomini più semplici con la
nefanda persuasione di certuni, ai quali questo giorno della nostra solennità
pare degno di festa non tanto a motivo della nascita di Cristo, quanto per il
natale del nuovo sole. Le menti di costoro sono avvolte in dense tenebre e sono
ben lontane dal far progressi nella vera luce. Si trascinano dietro i pazzeschi
errori dei gentili, e perché sono incapaci di sollevare l'attenzione della
mente sopra ciò che si vede con sguardo carnale, rendono culto divino agli
astri, i quali non sono altro che i servi del mondo.
Sia lontana dagli uomini cristiani tale sacrilega superstizione e mostruosa
menzogna. Le cose temporali distano oltre ogni dire da colui che è eterno, le
cose corporee da colui che è incorporeo, le creature suddite da colui che le
governa: tutte queste cose hanno bensì bellezza, che suscita ammirazione, ma
non hanno in se stesse la divinità che si possa adorare. Bisogna, dunque,
rendere onore a quella potenza, sapienza, maestà che ha creato dal nulla
l'universo e che ha generato con onnipotente parola le cose terrene e le cose
celesti in quelle forme e misura che a lui è piaciuto. Il sole, la luna, le
stelle sono utili a noi, che ce ne serviamo e appaiono leggiadre quando le
rimiriamo. Di esse si deve rendere grazie al Creatore: si deve adorare Dio che
le ha create, non le creature che lo servono.
Dunque, dilettissimi, lodate Dio in tutte le sue opere e disposizioni.
Abbiate una fede perfetta nella verginale integrità e nel parto della Vergine.
Onorate il sacro e divino mistero della redenzione umana, prestando a Dio un
servizio santo e sincero.
Accogliete Cristo che nasce nella nostra carne, affinché meritiate di
contemplarlo qual Dio della gloria nel regno della sua maestà: egli che col
Padre e lo Spirito santo persevera nella unità della divinità nei secoli dei
secoli. Amen.
PRIMO DISCORSO
TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA
I - Cristo rivelato dalla stella
E' poco tempo che abbiamo celebrato il giorno nel quale la Vergine intemerata ha
dato alla luce il Salvatore del genere umano. Ora, dilettissimi, la veneranda
festività dell'Epifania ci fa prolungare le gioie, affinché tra i misteri, così
vicini con solennità tra loro connesse, la nota di esultanza e il fervore della
fede, non si affievoliscano. Rientra nel disegno di salvezza, rivolto a tutti
gli uomini, il fatto che quel Pargoletto, Mediatore tra Dio e gli uomini, sia
stato rivelato a tutto il mondo, quando ancora era nella ristretta cerchia di un
minuscolo paesello. Infatti, nonostante che egli abbia eletta la gente d'Israele
e tra tutti gli israeliti una sola famiglia da cui assumere la natura comune a
tutti gli uomini, non ha voluto che la sua nascita rimanesse nascosta
nell'ambito della materna abitazione. Colui che si è degnato nascere per tutti,
ha voluto essere subito conosciuto da tutti.
Per questo ai tre Magi apparve in Oriente una stella di straordinaria
luminosità, la quale, perché più fulgida e più bella delle altre stelle,
facilmente attrasse la loro attenzione, mentre la rimiravano; così poterono
rendersi conto che non avveniva a caso ciò che a loro sembrava tanto insolito.
Infatti, colui che aveva dato il segno, diede a quelli che l'osservavano anche
la grazia di comprenderlo. E poi fece ricercare ciò che aveva fatto comprendere
e, ricercato, si fece trovare .
II - L'inganno di Erode e la fede dei Magi
I tre uomini assecondarono l'impulso della celeste illuminazione e mentre
accompagnano con attenta contemplazione la scia di luce che li precede, sono
guidati alla conoscenza della verità dallo splendore della grazia. Ed essi con
buoni motivi pensano bene di ricercare nella città regale il luogo della
nascita del Re, loro indicato. Ma chi aveva preso forma di servo ed era venuto
non a giudicare ma a essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita,
Gerusalemme per la passione.
Intanto Erode, ascoltando che era nato il Re dei Giudei, temette di averlo
come successore e macchinando la morte al portatore di salvezza, promise
falsamente che gli avrebbe portato venerazione. Quanto sarebbe stato felice se
avesse imitato la fede dei Magi e mutato in sincero culto ciò che architettava
con intenzione fraudolenta! Oh cieca empietà e folle invidia che credi di
rovesciare con il tuo furore il piano divino! Ma il Signore del mondo, che offre
un regno eterno, non cerca un trono temporale. Perché tenti di rovesciare la
serie degli avvenimenti, immutabilmente disposta, e cerchi di anticipare un
delitto che commetteranno altri? La morte di Cristo non appartiene al tuo tempo.
Bisogna che prima si dia principio al Vangelo; prima si deve predicare il regno
di Dio, ridonare miracolosamente la salute e compiere molti altri prodigi. Perché
vuoi far tuo il delitto che sarà opera di altri nel futuro? Tu non avrai altro
risultato del tuo misfatto se non quello di caricarti con la tua intenzione di
un tanto grande reato. Con tale macchinazione non fai un passo avanti; non
combini nulla, perché egli, che è nato per spontanea volontà, per sua libera
potestà morirà.
Dunque, i Magi realizzano il loro desiderio e sotto la guida della stella che
li precede, giungono nel luogo ove è Gesù Cristo, il Signore bambino. Adorano
il Verbo nella carne, la Sapienza nella infanzia, la Virtù nella debolezza e il
Signore della maestà nella realtà dell'uomo. E perché manifestino il mistero
che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il
cuore. Offrono l'incenso a Dio, la mirra all'uomo, l'oro al re, venerando
consapevolmente l'unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo,
pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza.
Ecco, i Magi tornano al loro paese; e Gesù per un avviso divino è
trasportato in Egitto. E' adesso che la follia di Erode arde inutilmente fra i
suoi disegni occulti; egli comanda che in Betlemme siano uccisi tutti i bambini.
Con una sentenza generale va contro la tenera età, divenutagli sospetta, perché
non conosce precisamente il bimbo che egli teme. Ma quei che l'empio re toglie
dal mondo, Cristo trapianta nel cielo; e concede l'onore del martirio a coloro
per i quali non ha ancora versato il suo sangue redentore.
III - Le virtù del cristiano
Pertanto, dilettissimi, elevate gli animi fedeli alla fulgida grazia della luce
eterna e venerando i misteri, compiuti per la salvezza degli uomini, volgete la
vostra assidua attenzione alle opere per voi fatte. Amate la casta purità,
perché Cristo è il figlio della verginità. «Astenetevi dalle passioni della
carne che lottano contro l'anima», come l'Apostolo stesso presente in mezzo a
noi, ci esorta nella sua lettera. «Nella malizia fatevi bambini», perché il
Signore della gloria si è abbassato alla infanzia dei mortali. Praticate
l'umiltà che il Figlio di Dio si è degnato insegnare ai suoi discepoli.
Rivestitevi della virtù della pazienza, al fine di poter essere padroni delle
vostre anime; Egli che è la redenzione di tutti, è pure di tutti la fortezza.
«Aspirate alle cose di lassù e non a quelle che sono sulla terra». Camminate
costantemente per la via della verità e della vita. Non vi lasciate ostacolare
da cose terrene, voi per cui sono preparate le cose celesti. Per Gesù Cristo,
nostro Signore, il quale vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli
dei secoli. Amen.
TERZO DISCORSO
TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA
I - L'economia della redenzione
So bene, dilettissimi, che alla vostra santità non è nascosto il motivo della
festa di oggi e che già la pericope del Vangelo, letta secondo l'uso, ve lo ha
presentato. Tuttavia oserò parlarvi della presente solennità, come il Signore
mi ispirerà, affinché nulla manchi a voi del nostro ministero. Così la pietà
di tutti sarà con comune gaudio tanto più religiosa, quanto più tutti avranno
compreso questa solennità. La divina e misericordiosa provvidenza, avendo
disposto di portare aiuto in questi ultimi tempi al mondo, che altrimenti
sarebbe andato perduto, pose in Cristo la salvezza di tutte le genti. Siccome
l'empio errore aveva allontanato tutte le nazioni dal culto del vero Dio, e
persino Israele, popolo che Dio aveva eletto come suo, si era allontanato quasi
totalmente dalle prescrizioni della legge, Dio, avendo racchiusi tutti nel
peccato, volle di tutti aver misericordia. Dovunque era venuta meno la
giustizia, tutto il mondo era caduto in balia della vanità e della malizia. E
se la divina maestà non avesse dilazionato il suo giudizio, tutti gli uomini
avrebbero ricevuto la sentenza di dannazione. Ma l'ira è stata mutata
nell'indulgenza; e perché evidente fosse il tesoro di grazia, impiegato per
noi, è piaciuto di donare il sacramento del perdono per abolire il peccato,
quando nessuno poteva accampare dei meriti.
II - La vocazione dei popoli nei Magi
Ora, la manifestazione di questa ineffabile opera di misericordia si ebbe mentre
Erode era re dei Giudei, quando venuta a cessare la legittima successione dei re
e tolta la potestà ai pontefici, ottenne il dominio uno straniero. In tal modo
la nascita del vero Re era ben provata da quella profezia che dice: «Non sarà
tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando dai suoi discendenti,
finché venga colui al quale appartiene e a cui i popoli dovranno obbedire». Un
giorno era stata promessa al beatissimo patriarca Abramo una innumerevole
discendenza che doveva essere generata non con il seme carnale, ma con la
fecondità della fede. Tale figliolanza fu paragonata alla moltitudine delle
stelle, affinché dal padre di tutte le genti si attendesse una stirpe non
terrena, ma celeste. Per suscitare la promessa posterità, sono chiamati con il
sorgere di una nuova stella gli eredi significati dalle stelle, affinché il
cielo serva alla promessa che fu fatta con un segno celeste. Una stella, più
fulgente delle altre, attira l'attenzione dei Magi, abitanti dell'estremo
oriente. Essi erano uomini non ignari nell'arte di osservare le stelle e la loro
luminosità, per questo comprendono l'importanza del segno. Certamente operava
nei loro cuori la divina ispirazione, affinché non fosse nascosto ad essi il
mistero significato da questa grande visione e non restasse oscuro per l'animo
ciò che era mostrato agli occhi. In ultimo, compiono con molta pietà il
proprio dovere prendendo on sè dei doni, sicché, venendo ad adorare il
neonato, mostrino di aver creduto tre cose: e cioè di onorare con l'oro la
persona regale, con la mirra l'umana, con l'incenso la divina.
III - Israele spirituale
Entrano, dunque, nella capitale del regno giudaico e nella città regale,
domandano che si mostri a loro colui che avevano saputo essere il bambino
destinato a regnare. Erode si turba, teme per la sua sicurezza, teme per il suo
potere: chiede ai sacerdoti e ai dottori della legge quel che la Scrittura ha
predetto sulla nascita di Cristo. Viene così a conoscere la profezia: ma mentre
la verità illumina i Magi, l'infedeltà acceca i maestri. Israele carnale non
comprende quel che legge, non vede quel che mostra, usa libri alle cui parole
egli non crede. O Giudea, «dov'è dunque il motivo di vantarti?». Dove è la
nobiltà ricevuta da Abramo? «La tua circoncisione vale un bel nulla». Ecco
che tu, primogenito, servi al fratello minore e proclamando quel testamento che
tu tieni solo alla lettera, presti servizio agli stranieri che entrano a far
parte della tua eredità. Entrino, entrino pure le genti nella famiglia dei
patriarchi, e i figli della promessa ricevano nel seme di Abramo la benedizione
a cui rinunciano i figli secondo la carne. Nella persona dei tre Magi tutti i
popoli adorino l'autore dell'universo. Dio sia noto non solo in Giudea, ma in
tutto il mondo, affinché dovunque «in Israele sia grande il suo nome».
Infatti, come l'infedeltà mostra che nella posterità è venuta meno la dignità
della stirpe eletta, così la fede rende a tutti comune tale dignità.
IV - La fuga in Egitto
I Magi, dopo aver adorato e soddisfatto a ogni devozione, in conformità
all'avviso avuto in sogno, non fecero ritorno per quella via che avevano fatto
venendo. Era necessario che, avendo creduto in Cristo, non camminassero più per
i sentieri delle vecchie abitudini, ma, entrati nella via nuova, si tenessero
lontano dagli errori abbandonati. Questo avvenne anche perché si rendessero
inefficaci le insidie di Erode, che sotto lo specioso motivo della venerazione
celava macchinazioni dolose contro il fanciullo Gesù. E poiché Cristo uscì
sano e salvo da quel tranello, l'ira del re arse di maggior furore. Infatti,
ricordando il tempo che i Magi avevano indicato, sfoga la sua rabbia e la sua
crudeltà contro tutti i bambini di Betlemme e con generale eccidio trucida i
pargoletti di quella città che così passano alla gloria eterna. Egli credeva
che non lasciando vivo nessun fanciullo sarebbe stato ucciso anche Cristo. Ma
colui che rimandava ad altra età l'effusione del suo sangue per la redenzione
degli uomini, già aveva raggiunto, sulle braccia dei genitori, l'Egitto. In tal
modo ricopiò gli antichi primordi della gente ebrea, realizzando con maggior
provvidenza il principato del vero Giuseppe, affinché, venendo dal cielo il
pane di vita e il cibo spirituale, togliesse quella fame, più intensa di
qualunque inedia, che le menti degli Egiziani soffrivano per mancanza della
verità. Infatti, non doveva compiersi il mistero della vittima singolare senza
l'intervento di quella nazione, in cui, per la prima volta fu anticipato il
segno salvifico della croce e la Pasqua del Signore con l'uccisione
dell'agnello.
V - Ringraziamento a Dio misericordioso
Dilettissimi, ammaestrati da questi misteri della divina grazia, celebriamo con
gioia spirituale il giorno delle nostre primizie e l'inizio della vocazione
delle genti. Rendiamo grazie al misericordioso Dio, che, come dice l'Apostolo,
«ci ha fatto capaci di partecipare all'eredità dei santi nella luce dei cieli.
Perché egli ci ha strappato al potere delle tenebre e ci ha trasportato nel
regno del Figlio suo diletto». E già Isaia aveva profetato: «Il popolo che
camminava nelle tenebre vide un gran chiarore: sopra coloro che abitavano in
terra tenebrosa spuntò la luce». E lo stesso dice al Signore: «Ecco,
chiamerai popoli che non conoscevi e nazioni che t'ignoravano accorreranno». «Abramo
ha visto questo giorno e ne ha goduto»; e quando ha conosciuto che i figli
della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, che è Cristo, e
quando ha visto che nella fede sarebbe stato padre di tutte le genti, «diede
gloria a Dio, sapendo benissimo che qualunque cosa Dio prometta, ha pure il
potere di portarla a compimento». Davide inneggiava nei salmi a questo giorno,
dicendo: «Verranno tutte le genti che creasti a prostrarsi innanzi a te, o
Signore, e daranno gloria al tuo nome»; e ancora: «Fece nota il Signore la sua
salvezza, alle genti svelò la sua giustizia». Or noi sappiamo che questo è
avvenuto da quando la stella condusse i Magi, sospingendoli da lontane regioni,
a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra.
E certamente anche noi con questo caratteristico servizio della stella, siamo
esortati a prestare adorazione, affinché pure noi obbediamo a questa grazia che
tutti invita a Cristo. Chiunque nella Chiesa vive con pietà e castità,
chiunque gusta le cose celesti e non le terrene, è come una luce celeste:
mentre egli conserva il candore di santa vita, quasi stella, mostra a molti la
via che porta al Signore. In questo studio della virtù, dilettissimi, dovete
tutti darvi reciproco aiuto, affinché possiate risplendere, come figli della
luce, nel regno di Dio, a cui si giunge con la Fede retta e con le opere buone:
per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale con il Padre e lo Spirito santo vive
e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
QUINTO DISCORSO
TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA
I - Il significato della stella
Dilettissimi, voi ben sapete che la manifestazione del Signore e Salvatore
nostro rende particolarmente importante l'odierna festività. Questo è il
giorno che portò i Magi, preceduti dalla stella, a conoscere e adorare il
Figlio di Dio. Giustamente è gradito di celebrare con culto annuale la memoria
di questo fatto, affinché, mentre il racconto evangelico è ripresentato
incessantemente, il mistero della salvezza, mediato da un insigne miracolo, sia
sempre meditato da quelli che lo comprendono.
Si erano già avute molte testimonianze a provare con chiari argomenti la
nascita del Signore: come quando la beata vergine Maria ascoltò e credette che
sarebbe stata fecondata per opera dello Spirito santo e che avrebbe partorito il
Figlio di Dio; come quando al saluto di lei, Giovanni, non ancor nato, esultò
nell'utero di Elisabetta con profetico balzo quasi che, anche racchiuso nelle
viscere della madre, già esclamasse: «Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che
toglie i peccati del mondo»; oppure, come quando all'annuncio dell'angelo, che
proclamava la nascita del Signore, i pastori furono avvolti dal bagliore
dell'esercito celeste, affinché non dubitassero della maestà del fanciullo che
avrebbero visto nel presepio e non credessero che fosse nato nella sola natura
di uomo colui al quale lo stuolo della celeste milizia prestava il suo servizio.
Ma sembra che questi fatti e altri simili siano stati conosciuti da poche
persone, appartenenti alla parentela di Maria vergine e alla famiglia di
Giuseppe. Invece questo segno che muove efficacemente i Magi da lontani paesi e
li attira irresistibilmente a Gesù, Signore, senza dubbio è il segno sacro di
quella grazia e l'inizio di quella vocazione per cui non solo nella Giudea, ma
in tutto il mondo si sarebbe predicato il Vangelo. In tal modo per quella stella
che risplendette agli occhi dei Magi e invece non rifulse alla vista degli
israeliti, fu significata l'illuminazione delle genti e la cecità dei giudei.
II - L'attuale Epifania di Cristo nella Chiesa
E' chiaro, dilettissimi, che il significato di questi mistici fatti persiste
ancora: ciò che era iniziato nella immagine, si compie ora nella realtà.
Infatti, irraggia dal cielo, come grazia, la stella, e i tre Magi, chiamati dal
fulgore della luce evangelica, ogni giorno in tutte le nazioni accorrono ad
adorare la potenza del sommo Re.
Erode freme nel diavolo e si lamenta, perché gli vien tolto il regno della
iniquità su quelli che passano a Cristo. Per questo, uccidendo i pargoli, gli
sembra di uccidere Gesù. Anzi vi si prova a farlo senza interruzione, giacché
tenta di privare dello Spirito santo quelli che sono di recente rigenerati e di
estinguere quella che può chiamarsi l'infanzia della tenera fede. Invece i
giudei, che hanno voluto essere fuori del regno di Cristo, sono tuttora in certo
modo sotto il principato di frode. Infatti, sono dominati dal nemico del
Salvatore e servono a un potere straniero, quasi non sappiano che per bocca di
Giacobbe fu profetato: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del
comando tra i suoi piedi, finché venga colui al quale appartiene e a cui i
popoli dovranno obbedire». Ma essi non ancora comprendono quel che possono
negare e non ancora entra nella loro mente quello che hanno conosciuto dalla
narrazione delle sacre Scritture, poiché per i maestri insensati la verità è
uno scandalo e per i ciechi dottori diventa caligine ciò che è luce. Ecco che
interrogati, rispondono: «Cristo deve nascere a Betlemme». Però non seguono
la scienza con la quale ammaestrano gli altri. In questo modo hanno perduto la
dinastia dei re, la propiziazione dei sacrifici, il luogo delle suppliche,
l'ordine dei sacerdoti. Mentre avvertono che tutto per essi è chiuso, che ogni
cosa per essi è finita, non si accorgono che quelle cose sono state trasferite
in Cristo. Onde attraverso la fede che giustifica gli empi, tutto il mondo
ottiene nelle sue nozioni ciò che quei tre uomini, facendo le veci di tutte le
genti, nell'adorazione del Signore acquistarono. Così gli adottivi ricevono
l'eredità del Signore, preparata prima dei secoli, mentre la perdono quelli che
sembrano essere figli legittimi.
Una buona volta volgiti al pentimento, o Giudeo, ravvediti; e, deponendo
l'infedeltà, convertiti a colui che è anche tuo Redentore. Non ti abbattere
per l'enormità del tuo delitto: Cristo non chiama i giusti, ma i peccatori;
certamente non ti respinge per la tua empietà colui che, crocifisso, pregò per
te. Annulla la dura sentenza dei tuoi crudeli padri e non lasciarti stringere
dalla maledizione di quelli che gridano «il sangue suo cada su noi e sui nostri
figli», essi riversano su di te la malizia del loro delitto. Tornate al
misericordioso; approfittate della clemenza di chi è pronto a perdonare.
Infatti la vostra iniqua crudeltà si è cambiata in motivo di salvezza. Vive
chi voleste che perisse. Confessate, dunque, il rinnegato; adorate il venduto,
perché vi giovi la bontà di colui al quale non poté nuocere la vostra
malvagità.
III - Spirito missionario e cooperazione alla grazia
Dilettissimi, è nostro dovere desiderare e propiziare quanto rientra nella vera
carità, della quale siamo debitori anche ai nostri nemici, come insegna la
preghiera del Signore, affinché anche questo popolo che è decaduto dalla
spirituale nobiltà dei padri, sia reinnestato ai rami della vera sua pianta.
Questa carità molto ci rende accetti a Dio: egli trasformò il loro delitto in
motivo di misericordia per noi, appunto perché la nostra fede li provocasse a
emulazione nel ricevere la salvezza. Per altro, è un dovere che la vita delle
persone pie sia utile non solo a se stesse, ma anche agli altri. In tal modo
quel che non si può avere da loro con le parole, si ottenga con gli esempi.
Dunque, dilettissimi, consideriamo l'ineffabile abbondanza dei doni divini a
noi elargiti e siamo cooperatori della grazia di Dio che in noi agisce. Il regno
dei cieli non è dato ai dormienti, né la beata eternità è messa a
disposizione di chi intorpidisce nell'ozio e nella pigrizia. Ma poiché, come
dice l'Apostolo, «se patiamo con lui, insieme a lui saremo glorificati»,
dobbiamo percorrere quella via che egli stesso, il Signore, ha detto di essere.
Egli, infatti, ha provveduto a noi con il sacramento e con l'esempio, mentre noi
non avevamo alcun merito di opere per nostro sostegno, affinché con il
sacramento innalzasse a salvezza i chiamati alla figliolanza adottiva e con
l'esempio li spronasse alla laboriosità. In realtà, dilettissimi, questo
lavoro non è aspro, né gravoso per i figli e per i buoni servi ma è soave e
leggero, come dice il Signore: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e
oppressi, e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me,
perché sono mite e umile di cuore; e troverete pace per le anime vostre: perché
il mio giogo è soave e il mio carico leggero».
Dunque, dilettissimi, nulla è arduo per gli umili, nulla è duro per i miti;
facilmente tutti i precetti passano alla pratica quando la grazia porge aiuto e
l'obbedienza rende dolce il comando. Ogni giorno le parole di Dio risuonano alle
nostre orecchie e ogni uomo è reso consapevole e convinto di ciò che piace
alla divina giustizia.
Ma perché il giudizio, in cui ognuno riceverà la ricompensa di quel che avrà
fatto, sia in bene che in male, per la bontà e la pazienza del giudice, è
rimandato, le anime infedeli si ripromettono l'impunità e credono che la qualità
degli atti umani non abbia alcuna relazione con il giudizio sui meriti dati
dalla divina provvidenza. Ma forse le azioni cattive non sono per lo più punite
con evidentissime pene anche ora e il terrore delle celesti minacce non rende
spesso prudente la fede e non rimprovera l'infedeltà?
IV - Compunzione e desiderio delle cose celesti
Però, tra queste pene e sopra di esse eccelle la benignità di Dio che a
nessuno nega la sua misericordia, perché senza distinzione a tutti distribuisce
molti beni; anzi preferisce richiamare con i benefici quelli che giustamente
potrebbe punire e, così, con la dilazione della vendetta concedere il tempo di
far penitenza.
Tuttavia, non si può dire che non vi sia nessun castigo per quelli che non
si convertono, perché il cuore indurito e ingrato è un supplizio per se stesso
e già si soffre nella coscienza quello che per bontà di Dio viene differito.
Pertanto i peccatori non si dilettino dei peccati tanto che la fine della vita
abbia a coglierli con colpe sulla coscienza, poiché nell'inferno non vi è
correzione; né è concesso il rimedio dell'espiazione quando non è più
possibile il ravvedimento della volontà , come dice David: «Tra i morti non v'è
chi ti ricordi, chi dirà nell'inferno le tue lodi?». Si fuggano, perciò, i
piaceri nocivi, i gaudi insidiosi e i desideri che sono già per perire. Quale
è il frutto, quale l'utilità dell'incessante desiderio di quelle cose che, se
non ci abbandonano, certamente dobbiamo abbandonare? L'amore delle cose caduche
si trasferisca a ciò che è incorruttibile e l'animo chiamato alle realtà
sublimi, si diletti delle cose celesti. Stringete amicizia con i santi angeli;
entrate nella città di Dio in cui ci è promessa l'abitazione e unitevi ai
patriarchi, ai profeti, agli apostoli e ai martiri. Godete di quello onde essi
godono. Bramate le loro ricchezze, e con buona emulazione ambite la loro
intercessione. Infatti, se siamo uniti a loro per devozione sincera, saremo
uniti anche alla loro gloria: certamente prenderemo parte alla dignità di
quelli alla cui devozione avremo partecipato.
Ora che vi è concesso di praticare i comandamenti di Dio «glorificate Dio
nel vostro corpo»; e, dilettissimi, «risplendete come fari di luce nel mondo».
Le lucerne delle vostre menti siano sempre ardenti: niente di tenebroso risieda
nei vostri cuori, poiché, come dice l'Apostolo: «Eravate un tempo tenebre, ma
ora siete luce nel Signore: vivete dunque da figli della luce». Si compia in
voi quel che precedette in immagine nei tre Magi, e «così risplenda la vostra
luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e rendano
gloria al Padre vostro che è nei cieli». Infatti, come sarebbe grande peccato
qualora il nome del Signore fosse bestemmiato tra le genti per colpa dei cattivi
cristiani, così è grande merito di devozione quando si benedice Dio per la
vita santa dei suoi servi: a lui onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
DISCORSO DI SAN LEONE
NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO NEL GIORNO DELLA SUA
CONSACRAZIONE
«Le mie labbra proclamino la lode del Signore»: l'anima mia e il mio
spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome. Infatti non è
indice di modestia, ma di ingratitudine tacere i benefici divini, ed è cosa
conveniente che si incominci a prestare la venerazione al consacrato pontefice
innalzando un sacrificio di lode al Signore. Egli «nella nostra bassezza si
ricordò di noi», e ci ha benedetti; «Lui solo ha operato cose meravigliose»
per me, quando l'affetto della vostra santità mi ha tenuto a voi presente,
mentre un viaggio, lungo e necessario, mi aveva portato lontano. Per questo
rendo grazie al nostro Dio e sempre lo ringrazierò per quanto mi ha donato.
Nello stesso tempo esalto con i dovuti ringraziamenti la libera decisione del
vostro favore, comprendendo chiaramente quanta riverenza, quanto amore e quanta
fiducia mi offrono le vostre devote attenzioni, mentre io bramo con pastorale
sollecitudine la salvezza delle anime vostre, che hanno dato di me un giudizio
così sacrosanto, quando io non avevo nessun precedente merito.
Dunque, vi scongiuro per la misericordia del Signore, aiutate con le
preghiere colui che avete richiesto con desiderio, affinché lo Spirito di
grazia resti in me e le vostre decisioni non abbiano a barcollare. Conceda a noi
tutti il bene della pace colui che dona a voi l'amore per la concordia. In ogni
giorno della mia vita, servendo l'onnipotente Dio e accogliendo la vostra
obbedienza, io possa supplicare con fiducia il Signore: «Padre santo, conserva
nel tuo nome coloro che tu mi hai dato».
Mentre voi progredite di continuo nella via della salvezza, l'anima mia
magnifichi il Signore e nel premio del futuro giudizio l'esercizio del mio
sacerdozio appaia agli occhi del giusto giudice in modo che voi con le vostre
opere buone siate il mio gaudio, voi siate la mia corona, che con la buona
volontà avete reso una sincera testimonianza nella vita presente. Per Gesù
Cristo, nostro Signore.
SECONDO DISCORSO DI S. LEONE
NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO
NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE
I - La generosità della divina bontà
Dilettissimi, la divina degnazione ha reso venerando per me il presente giorno.
Il Signore, innalzando alla somma dignità la mia umile persona, ha mostrato di
non disprezzare nessuno dei suoi. Onde, nonostante sia necessario, conoscendo i
miei demeriti, stare sempre in timore, è sensibilità religiosa rallegrarsi per
il dono: poiché egli che mi ha affidato un tal peso, mi offre il suo aiuto.
Colui che mi ha conferito questa dignità, mi donerà anche la forza perché io
non soccomba sotto l'immensità della grazia.
Dunque, nella ciclica ricorrenza del giorno in cui il Signore ha voluto dare
inizio al mio ufficio episcopale, io ho un giusto motivo di rallegrarmi a gloria
di Dio. Egli, affinché io molto lo ami, mi ha perdonato molto: e per mostrare
mirabile la sua grazia ha elargito i suoi doni a colui nel quale non ha trovato
titoli speciali di merito. Con questo fatto il Signore ha voluto suggerire e
raccomandare ai nostri cuori che nessuno presuma della propria santità e
nessuno diffidi della misericordia di lui, la quale con più evidenza è
glorificata quando il peccatore viene santificato e chi giace viene rialzato.
La misura dei doni celesti non dipende dalla natura delle nostre opere. In
questo mondo dove tutta la vita è un servizio , non si attribuisce a ciascuno
ciò che merita. Se, infatti, il Signore stesse a far caso dei peccati, nessuno
potrebbe reggere al suo giudizio.
II - La venerazione dei vescovi per il successore di S.Pietro
Ora, dilettissimi, «magnificate il Signore con me, e insieme esaltiamo il suo
nome», perché il motivo della festa di oggi deve essere riferito totalmente a
lode di Dio. Per quel che riguarda propriamente il mio affetto, confesso di
godere moltissimo per la vostra devozione. E quando contemplo questa
splendidissima presenza di tanti miei venerabili vescovi, ho l'impressione che a
noi sia presente uno stuolo di angeli . Sono certo che oggi noi siamo visitati
da più abbondante grazia della divina presenza, quando simultaneamente sono
presenti e risplendono di una sola luce tanti fulgidissimi tabernacoli di Dio,
tante eccellentissime membra del corpo di Cristo. Non è assente da questa
assemblea - ne ho piena fiducia - la pia degnazione e il sincero amore del
beatissimo apostolo Pietro: egli non trascura la devozione vostra e la riverenza
che a lui portate e che ora vi ha qui riuniti. Certamente pure lui si rallegra
del vostro affetto e si compiace in quelli che gli sono soci nella dignità, per
la grande venerazione con cui circondano la Sede Apostolica, istituita dal
Signore, approvando l'ordinatissima carità di tutta la chiesa che accoglie
Pietro nella sede di Pietro e non si intiepidisce nell'amore di un tanto pastore
neppur quando ne è successore una persona così meschina. E perché,
dilettissimi, questa venerazione che voi all'unisono offrite alla mia persona,
possa raggiungere il risultato che merita, pregate supplichevolmente la
misericordiosissima clemenza del nostro Dio, affinché nei nostri giorni prostri
quelli che ci fanno guerra, difenda la nostra fede, accresca la carità, aumenti
la pace e si degni farmi idoneo a tanto lavoro e utile alla vostra edificazione,
giacché ha voluto che io, suo servo, presiedessi al governo della sua Chiesa
per mostrare l'abbondanza della sua grazia. Egli si degni far sì che il tempo
del nostro servizio sia proteso verso questo scopo, che cioè il prolungamento
della nostra età giovi alla religione. Per Cristo, nostro Signore. Amen.
TERZO DISCORSO DI S. LEONE
NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO
NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE
1 - L'origine soprannaturale del sacerdozio cristiano
Ogni qualvolta la misericordia di Dio si degna rinnovarci il giorno della sua
grazia, vi è giusto e ragionevole motivo di essere lieti, purché si riferisca
a gloria di Dio l'origine dell'ufficio ricevuto. Io so che questo atteggiamento
dell'animo, conveniente a tutti i sacerdoti, è necessario soprattutto a me,
perché, guardando la mia pochezza e la grandezza dell'ufficio ricevuto, pure io
debbo esclamare con la frase del profeta: «Signore, io ho udito il tuo annuncio
e ho temuto; son preso dal timore per l'opera tua». Che c'è di più insolito e
più terribile della fatica per chi è debole, della grandezza per chi è umile,
della dignità per chi non la merita? Tuttavia non disperiamo, né veniamo meno,
perché non presumiamo di noi stessi ma di colui che opera in noi. Per questo
abbiamo cantato all'unisono il salmo di David, non per nostra esaltazione, ma
per gloria di Cristo Signore.
Infatti è lui del quale con spirito profetico è stato scritto: «Tu sei
sacerdote in eterno al modo di Melchisedec»: cioè non al modo di Aronne, il
cui sacerdozio, propagandosi attraverso la generazione, appartiene a un
ministero temporaneo, e di fatto è cessato insieme alla legge del Vecchio
Testamento; ma al modo di Melchisedec in cui si significò prima la figura del
pontefice eterno. E siccome non viene riferito da quali genitori sia nato, si
comprende che in lui è mostrato quegli la cui generazione non può narrarsi.
Così, pervenendo all'umana natura il mistero di questo divin sacerdozio, non si
propaga per via della generazione, né viene eletto quel che la carne e il
sangue ha formato. E' cessato il privilegio dei padri; è abolita la gerarchia
delle famiglie: la Chiesa riceve come pastori quelli che lo Spirito santo ha
preparato. In tal modo, nel popolo, adottato alla figliolanza divina, totalmente
sacerdotale e regale, non ottengono l'unzione i privilegiati dall'origine
terrena, ma fa nascere il sacerdozio il favore della grazia celeste.
II - Cristo in San Pietro
Dilettissimi, nel ministero che il nostro ufficio ci impone ci ritroviamo deboli
e pigri, giacché, se abbiamo desiderio di fare qualcosa con devozione e
prontezza, siamo ritardati dalla fragilità della nostra stessa condizione.
Tuttavia, avendo a nostro favore l'ininterrotta propiziazione dell'onnipotente
ed eterno sacerdote, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la
divinità fino alle cose umane, e ha innalzato l'umanità fino alle cose divine,
degnamente e con pietà ci rallegriamo della sua glorificazione. Infatti, benché
abbia delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato
la custodia del suo amato gregge. Da questo singolare ed eterno sostegno deriva
anche la protezione della fortezza della Sede Apostolica, che certamente non
resta inattiva rispetto alla sua missione. La stabilità della base, su cui
s'innalza l'edificio della chiesa, non viene meno, comunque sia grande la mole
del tempio che la sovrasta. Infatti la fortezza di quella fede, lodata nel
principe degli apostoli, è perpetua: e come resta quel che Pietro ha creduto in
Cristo, così persiste quello che Cristo ha istituito in Pietro. In realtà,
avendo il Signore, come la pericope evangelica ha narrato, domandato ai
discepoli chi essi lo credessero, tra tante diverse opinioni degli altri, e
avendo san Pietro risposto: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», il Signore
disse: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue
ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu
sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte
dell'inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei
cieli: e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli».
III - San Pietro nei suoi successori
Resta dunque, la deliberazione della verità; e Pietro, perseverando in quella
fermezza di pietra che ha ricevuto, non abbandona il governo della Chiesa, che
una volta ha assunto. Egli è stato messo al sommo della gerarchia, sicché
quando viene detto Pietra, quando lo si afferma fondamento, quando lo si
costituisce portinaio del regno dei cieli e quando lo si istituisce arbitro che
lega e scioglie con decisione valida anche nei cieli, noi possiamo comprendere
quale unione egli abbia con Cristo attraverso i misteri contenuti nei suoi
titoli.
Egli adesso compie con più perfezione e potenza quanto gli è stato
commesso, ed esegue ogni parte del suo ufficio e della sua cura insieme a quegli
e in quegli dal quale è stato glorificato. Se, dunque, qualcosa è da noi
compiuta bene e rettamente giudicata, se si ottiene qualcosa dalla misericordia
di Dio con le quotidiane suppliche, è opera e merito di colui del quale la
potestà vive e l'autorità eccelle nella propria sede.
Dilettissimi, quella confessione che, ispirata da Dio Padre al cuore
dell'apostolo, trascese tutte le incertezze delle opinioni umane e ricevette la
stabilità della pietra, al fine di non essere scossa da nessun attacco, ha
ottenuto questo felice risultato. Infatti, in tutta la Chiesa Pietro ogni giorno
esclama: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente»; e ogni lingua, che confessa
il Signore, viene ammaestrata dal magistero di questa voce. Questa fede vince il
diavolo e spezza le catene che tengono stretti gli schiavi. Questa fede fa
entrare nel cielo quelli che sono stati liberati: contro di essa le porte
dell'inferno non possono vincere: è stata premunita divinamente con tanta
fortezza che mai potrà corromperla l'eretica iniquità, né superarla la pagana
perfidia. Soltanto così, dilettissimi, viene celebrata con intelligente
venerazione la festività di oggi, sicché si veda e si onori nella mia umile
persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la cura
delle pecore che gli sono state affidate, e la cui dignità non viene meno
neppure nell'indegno successore. Per questo la presenza desiderata e degna di
ogni onore, dei miei venerabili fratelli nell'episcopato, è più sacra e più
devota se trasferiscono la venerazione verso questa sede, nella quale si sono
degnati di venire, principalmente a colui che non solo conoscono essere il
presule di questa sede, ma anche il primate di tutti i vescovi.
Quando, dunque, rivolgiamo le nostre esortazioni all'attenzione della vostra
santità, pensate che vi parla colui del quale noi facciamo le veci: noi vi
ammoniamo con l'affetto di lui e non altro vi predichiamo che la dottrina da lui
insegnata. Vi scongiuro, che cinti i fianchi della vostra mente, conduciate una
vita casta e sobria nel timore di Dio: la mente non acconsenta, dimentica del
proprio dominio, alle concupiscenze della carne. Le gioie dei piaceri terreni
sono brevi e caduche, e tentano di allontanare dal sentiero della vita quelli
che sono chiamati all'eternità. L'uomo, religioso e fedele, brami le cose
celesti, e, avido delle divine promesse, si innalzi all'amore del bene
incorruttibile e alla speranza della vera luce.
Siate certi, dilettissimi, che la vostra fatica con cui resistete ai vizi e
combattete i carnali desideri, è gradita e preziosa al cospetto di Dio e gioverà
non solo a voi, ma anche a me presso la misericordia di Dio, perché il
sollecito pastore si gloria del progresso che fa il gregge del Signore. Infatti
come dice l'apostolo, «la nostra gioia, la nostra corona siete voi», se la
vostra fede, predicata in tutto il mondo fin dai primordi del Vangelo, rimarrà
nella carità e nella santità. E' vero, tutta la Chiesa, diffusa nel mondo
intero, deve fiorire di tutte le virtù; ma tra gli altri popoli voi dovete
eccellere per merito di devozione, perché siete fondati sul baluardo della
pietra apostolica. Infatti, Gesù Cristo, nostro Signore, pur avendo redenti
tutti, ammaestrò meglio di tutti san Pietro apostolo. Per lo stesso Cristo,
nostro Signore. Amen.
QUARTO DISCORSO DI S. LEONE
NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO
NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE
I - La comune dignità dei cristiani
Dilettissimi, mi rallegro per il religioso affetto della vostra devozione, e
ringrazio Dio perché vedo in voi l'amore per l'unità cristiana. Come lo
attesta lo stesso vostro accorrere qui, voi siete convinti che questo giorno è
motivo di gioia per tutti e che l'annua festa del pastore deve essere celebrata
con la venerazione di tutto il gregge. Infatti la Chiesa di Dio, secondo
distinti gradi gerarchici, è ordinata in modo che attraverso i differenti
membri sussista l'integro suo corpo. Quindi, come dice l'Apostolo, «tutti siete
un solo uomo in Cristo Gesù»; né alcuno, benché sia un umilissimo membro, è
diviso dalla funzione di un altro così da non appartenere per connessione al
capo. Perciò nella unità della fede e del battesimo noi formiamo una
indistinta società, dilettissimi, e abbiamo una generale dignità, secondo
l'insegnamento di san Pietro apostolo, che dice: «E voi pure, come pietre vive,
costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per
offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo»; e
un poco più avanti: «Voi però siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione
sacra, popolo tratto in salvo».
Infatti, tutti i rigenerati in Cristo sono trasformati in re dal segno della
croce e consacrati sacerdoti dall'unzione dello Spirito santo. Perciò, salvo il
servizio del nostro speciale ministero, tutti i cristiani, divenuti spirituali e
sapienti, si riconoscono di stirpe regale e partecipi di un ufficio sacerdotale.
Che cosa è più regale di un animo sottomesso a Dio, dominatore del proprio
corpo? Che cosa è tanto sacerdotale, quanto sacrificare al Signore una
coscienza pura e offrire vittime immacolate sull'altare del cuore? Questo per
grazia di Dio è diventato a tutti comune. Tuttavia è per voi cosa pia e ottima
godere per il giorno della nostra esaltazione quasi come fosse a vostro onore,
perché si celebri in tutto il corpo della Chiesa l'unico sacramento
dell'episcopato che, con l'effusione dell'unguento consacrato, è scorso, bensì,
più abbondantemente nelle parti più alte, ma è anche disceso non scarsamente
nelle parti inferiori.
II - Il primato di Pietro
Pertanto, dilettissimi, avendo noi grande motivo di rallegrarci per questa
nostra comune dignità, sarà per noi più vera ed eccellente causa di letizia
se non vi fermerete a considerare la nostra umile persona. E', infatti, molto più
utile e più conveniente innalzare lo sguardo della mente a contemplare la
gloria del beatissimo Pietro e soprattutto celebrare questo giorno in ossequio a
lui che è stato inondato dal fonte stesso di tutti i carismi con grazie
abbondantissime, tanto che, avendo Pietro molto ricevuto da solo, nulla passa
agli altri che non sia partecipazione a quanto è stato dato a lui.
Il Verbo, fatto carne, già abitava tra noi. Cristo già si dedicava
totalmente alla redenzione del genere umano. Tutto era ben disposto dalla sua
sapienza; nulla era arduo per la sua potestà. Gli elementi del mondo si
piegavano soggetti, gli spiriti obbedivano, gli angeli servivano: in nessun modo
poteva riuscire senza risultato il mistero della redenzione che era operato allo
stesso tempo da Dio uno e trino.
Eppure di tutti gli uomini soltanto Pietro è scelto perché sia preposto
all'economia divina, che chiama tutte le genti alla salvezza, e sia il capo di
tutti gli Apostoli e di tutti i Padri della Chiesa.
E' vero, nel popolo di Dio molti sono i sacerdoti e molti i pastori, tuttavia
Pietro a titolo proprio governa tutti quelli che in modo principale sono guidati
da Cristo.
Dilettissimi, la divina bontà ha favorito questo uomo di una grande e
mirabile partecipazione alla potenza divina. E se volle che gli altri principi
della Chiesa avessero qualcosa in comune con lui, mai donò, senza far passare
per Pietro, quello che ha elargito agli altri.
Il Signore interroga tutti gli apostoli che cosa pensino di lui gli uomini. E
più suona simile la loro risposta e più appare evidente l'ambiguità della
ignoranza umana. Ma quando si chiede quale sia il parere degli apostoli, nel
confessare il Signore è primo colui che è il primo nella dignità apostolica.
E appena disse: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», Gesù gli rispose: «Beato
te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato
questo, ma il Padre mio che è nei cieli». E voleva dire: precisamente per
questo sei beato, cioè perché il Padre mio ti ha ammaestrato; non ti sei
lasciato ingannare da congetture terrene, ma è stata l'ispirazione celeste a
istruirti; non un uomo mi ha svelato a te, ma colui del quale io sono
l'unigenito.
«E io dico a te»: cioè, come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità,
così io faccio nota a te la tua eccellenza.
«Perché tu sei Pietro»: cioè come io sono pietra inviolabile, pietra di
angolo che unisco i due in un solo popolo, così anche tu sei pietra, perché in
forza della mia virtù acquisti stabilità e quelle prerogative che mi
appartengono per potestà sono comuni tra me e te per comune partecipazione.
«E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai
prevarranno contro di lei»: cioè, sopra questa pietra voglio costruire un
tempio eterno e la grandezza della mia Chiesa, che deve essere trapiantata nel
cielo, si eleverà con la fermezza di questa fede.
III - Poteri e grazie agli Apostoli attraverso san Pietro
Le porte dell'inferno non fermeranno questa confessione, né i lacci della morte
la legheranno. Queste parole, infatti, sono parole di vita: come esaltano fino
al regno celeste quelli che le ritengono, così fanno scendere nell'inferno
quelli che le negano. Per questo è detto a san Pietro: «E a te darò le chiavi
del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata
anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche
nei cieli». Il diritto di questa potestà è stato trasmesso anche agli altri
apostoli, però non senza ragione è attribuito a uno quel che si dice a tutti.
Lo si afferma singolarmente di Pietro, perché l'esempio di Pietro è proposto a
tutti i rettori della Chiesa. Resta, dunque, la prerogativa di Pietro, dovunque
sia emessa sentenza in conformità alla giustizia di lui: non vi è troppa
severità né troppa indulgenza dove nulla sarà sciolto e nulla legato se non
ciò che avrà sciolto o legato san Pietro. Mentre era imminente la passione,
che doveva scuotere la costanza degli apostoli, il Signore disse a Pietro: «Simone,
Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il
grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu,
quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non cadiate in
tentazione».
Il pericolo della prova e della paura era comune a tutti gli apostoli e tutti
avevano ugualmente bisogno dell'aiuto della divina protezione, perché il
diavolo voleva molestare e piegare tutti; però il Signore si prende cura
speciale di Pietro e prega propriamente per la fede di Pietro, quasi che la
condizione degli altri sarebbe più sicura, qualora la mente del capo non fosse
sconfitta. Dunque, in Pietro è difesa la fortezza di tutti e l'aiuto della
divina grazia è ordinato in modo che, donato a Pietro per mezzo di Cristo, è
distribuito agli apostoli attraverso Pietro.
IV - Il buon Pastore
Perciò, dilettissimi, vedendo l'aiuto divino che ci è stato donato,
giustamente e con ragione ci rallegriamo dei meriti e della dignità della
nostra guida. Rendiamo pure grazie a Gesù Cristo, Signore, eterno re e nostro
redentore, perché ha investito di tanti poteri colui che ha fatto capo di tutta
la Chiesa, sicché se nei nostri tempi noi operiamo bene e governiamo a dovere,
bisogna attribuirlo all'opera e al governo di colui al quale è detto: «E tu,
quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli», e al quale, dopo la sua
risurrezione, il Signore, invitandolo con mistica allusione alla triplice
professione di eterno amore, tre volte disse: «Pasci le mie pecore».
Certamente anche ora egli pascola e, qual pio pastore, esegue il comando del
Signore dandoci forza con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi,
affinché nessuna tentazione ci superi. Ma se estende, come è da credersi,
questa cura amorosa dovunque e a tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà
donare il suo aiuto a noi che siamo i suoi protetti e che abbiamo vicino a noi,
nella sacra tomba, ove beato riposa, quello stesso corpo che qui presiedette?
Perciò, a sua gloria questo giorno natalizio del nostro servizio! A lui
ascriviamo questa festa: infatti, solo per il suo patrocinio abbiamo meritato di
essere suoi successori in questa sede.
Ci aiuti in tutto la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e
regna con Dio Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.
QUINTO DISCORSO DI S.LEONE
NEL SUO GIORNO NATALIZIO,
TENUTO
NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE
I - Dio origine di ogni grazia
Dilettissimi, come è onore dei figli la dignità dei padri, così è letizia
del popolo il gaudio del vescovo. Or questo proviene dal dono divino, infatti,
«ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto, discendono dall'alto, dal Padre
della luce»; perciò dobbiamo ringraziare l'autore di tutti i beni, poiché sia
riguardo agli sviluppi naturali, sia riguardo alle istituzioni morali, «egli ci
creò e di lui siamo». Quando con pietà e fedeltà confessiamo questa verità,
non gloriandoci in noi, ma nel Signore, con il ciclo del tempo i nostri voti con
frutto si rinnovano, e le feste religiose costituiscono dei gaudi giusti, perché
celebrandoli non siamo ingrati tacendo dei doni ricevuti, né siamo superbi
presumendo dei nostri meriti.
Dilettissimi, riferiamo ogni motivo dell'odierna festività a colui che ne è
l'origine e il capo. Lodiamo con dovuto ringraziamento colui nelle mani del
quale stanno la dignità degli uffici e gli istanti del tempo. Se, infatti,
volgiamo lo sguardo a noi e alle cose nostre, difficilmente troviamo qualche
cosa da poterne meritatamente godere, giacché, circondati da carne mortale e
soggetti alla fragilità della corruzione, non siamo mai del tutto liberi e
sicuri dagli attacchi della guerra. In tale lotta non si ottiene mai una
vittoria così completa, che dopo i trionfi non sorgano nuove battaglie. Per
questo nessun pontefice è così perfetto, nessun vescovo è tanto immacolato
che possa offrire la vittima di propiziazione soltanto per i delitti del popolo
e non debba offrirla anche per i suoi peccati.
II - L'universale sollecitudine del Vescovo di Roma
Se tale condizione è propria di ogni vescovo, quanto più aggrava e lega noi,
per i quali la stessa grandezza dell'ufficio ricevuto è prossima occasione
d'inciampo? I singoli pastori presiedono con particolare sollecitudine ai loro
greggi e sanno che dovranno rendere conto delle pecorelle loro affidate. Ma noi
abbiamo una cura comune con tutti: non vi è amministrazione di alcuno che non
sia parte della nostra fatica. Infatti, se da una parte da tutto il mondo si
ricorre alla sede di Pietro, dall'altra si esige dal nostro ministero quella
carità verso la Chiesa universale che il Signore raccomandò a san Pietro. E
noi siamo tanto più consapevoli del peso che portiamo, quanto è maggiore il
nostro debito verso tutti. Tra questi motivi di timore potremmo noi nutrire
fiducia per l'esercizio del nostro ministero per altro, se non perché non
sonnecchia né dorme chi custodisce Israele? se non perché si degna essere non
solo il custode del gregge, ma anche il pastore dei pastori colui che ai
discepoli suoi disse: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine
del mondo»? Egli non si vede con sguardo corporeo, ma si sente presente con
intuito spirituale: è assente con il corpo per cui poteva essere visto, è
presente con la divinità con la quale è sempre e dovunque. Infatti «il giusto
vive di fede» e la giustizia del credente è proprio questa, che, cioè,
accolga con l'animo quello che non vede con l'occhio. «Quando il Signore è
asceso in alto, ha trascinato con sè i prigionieri: ha dato doni agli uomini»;
cioè, ha dato la fede, la speranza e la carità che sono virtù grandi, forti e
preziose per il fatto che senza vedere con gli occhi della carne, con mirabile
affetto del cuore si crede, si spera, si ama.
III - La perenne presenza di Cristo nella Chiesa
E' vero, dunque, dilettissimi, che noi non senza motivo ma seguendo la fede
confessiamo che Gesù Cristo, il Signore, è in mezzo ai credenti. Benché egli
sieda alla destra del Padre, finché avrà posto i suoi nemici a scanno dei suoi
piedi, tuttavia il Pontefice sommo non è assente dall'assemblea dei suoi
pontefici. Giustamente a lui si canta con le labbra di tutta la Chiesa e di
tutti i sacerdoti: «Il Signore ha giurato e non si pente: tu sei sacerdote in
eterno al modo di Melchisedec». Egli è il vero ed eterno vescovo, la cui cura
non può mutare né finire. Egli è colui del quale il pontefice Melchisedec fu
figura offrendo a Dio non le vittime giudaiche, ma il sacrificio di quel
sacramento che il nostro Redentore consacrò nel suo corpo e nel suo sangue.
Egli è colui del quale il Padre con attestato di inviolabile giuramento istituì
il sacerdozio non al modo di Aronne, che doveva passare insieme con il tempo
della legge, ma al modo di Melchisedec che si doveva in perpetuo celebrare.
Come tra gli uomini il giuramento si usa nelle questioni che sanciscono patti
perpetui, così anche la conferma del giuramento divino si trova in quelle
promesse che si stabiliscono con decreti immutabili. E perché il pentirsi
significa la mutazione della volontà, Dio non si pente in quelle cose che,
secondo l'eterno beneplacito, non può volere diversamente da quel che ha
voluto.
IV - La continua cura di san Pietro per il gregge di Cristo
Perciò, dilettissimi, non è una festa presuntuosa la nostra, quella con cui,
memori del dono divino, onoriamo l'anniversario della nostra esaltazione a
pontefice, poiché con pietà e verità confessiamo che in tutto quello che
operiamo di bene è presente Cristo che compie l'opera del nostro ministero. E
non ci gloriamo in noi stessi, che senza di lui nulla possiamo, ma soltanto in
lui che è la nostra sufficienza. Si aggiunge, inoltre, come motivo della nostra
solennità, non solo la dignità apostolica, ma anche quella episcopale di san
Pietro, che non cessa di presiedere nella sua sede e che possiede una
inalienabile partecipazione con l'eterno sacerdote. La fermezza che dalla
Roccia, cioè Cristo, ha ricevuto, divenendo egli stesso Pietra, si tramanda
anche nei suoi eredi e, dovunque c'è stabilità, appare evidente la fortezza
del pastore. Se, infatti, a tutti i martiri e dovunque, in premio della pazienza
con cui hanno accolto le sofferenze e perché si manifestino i loro meriti, è
stata data la possibilità di portare soccorso alle persone che si trovano in
pericolo, di allontanare le malattie, di scacciare gli spiriti immondi e di
curare innumerevoli infermità, chi sarà così ignaro della gloria di san
Pietro, chi così invidioso estimatore, da credere che le diverse parti della
Chiesa non siano governate dalla sua sollecitudine e non siano incrementate dal
suo aiuto? Fiorisce, senza dubbio, e vive nel principe degli apostoli quella
carità di Dio e degli uomini che non i recinti del carcere, né le catene, né
il furore dei popoli, né le minacce dei re poterono spaventare; e vive in lui
quella fede insuperabile che non cessò di combattere, né si intiepidì per la
vittoria.
V - A Pietro la venerazione dei popoli
Ma poiché ai nostri giorni la tristezza è cambiata in letizia, la fatica in
riposo, la guerra in pace, noi riconosciamo di essere aiutati dai meriti e dalle
preghiere del nostro presule e con prove frequenti sperimentiamo che egli
presiede ai sani consigli e ai giusti giudizi, sicché, rimanendo presso noi il
diritto di legare e di sciogliere, chi dai decreti di san Pietro è stato
condannato sia richiamato a penitenza e chi è stato riconciliato sia graziato
dal perdono. E perciò tutta quella venerazione che, e con la degnazione dei
fratelli e con la pietà dei figli, voi avete reso a me, siate convinti di
averla, con più devozione e verità, resa insieme con me a colui alla sede del
quale noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire. Abbiamo fiducia
che, per le preghiere di lui, Dio misericordioso benignamente riguardi i tempi
del nostro ministero e si degni sempre di custodire e pascere il pastore delle
sue pecore.