CODICE 
DI 
DIRITTO CANONICO 


Auctoritatae Ioannis Pauli PP. II Promulgatus
Datum Romae, die xxv Ianuarii, anno MCMLXXXIII


LIBRO I
NORME GENERALI


Can. 1 - I canoni di questo Codice riguardano la sola Chiesa latina.
Can. 2 - Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservare nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore, a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice.
Can. 3 - I canoni del Codice non abrogano le convenzioni stipulate dalla Sede Apostolica con nazioni o con le altre società politiche né ad esse derogano; le medesime perciò continuano ad essere in vigore come al presente, non opponendosi in alcun modo le disposizioni contrarie di questo Codice.
Can. 4 - I diritti acquisiti, e parimenti i privilegi che, concessi dalla Sede Apostolica fino al presente alle persone sia fisiche sia giuridiche, sono in uso e non revocati, permangono integri, a meno che siano espressamente revocati dai canoni di questo Codice.
Can. 5 - § 1. Le consuetudini sia universali sia particolari vigenti al presente contro le disposizioni di questi canoni, che sono riprovate dagli stessi canoni di questo Codice, sono soppresse del tutto, né siano lasciate rivivere in futuro; anche le rimanenti si ritengano soppresse, a meno che non sia disposto espressamente altro dal Codice oppure siano centenarie o immemorabili; queste appunto, se a giudizio dell'Ordinario non possono essere rimosse a causa di circostanze di luoghi e di persone, possono essere tollerate.
§ 2. Le consuetudini fuori del diritto finora vigenti, sia universali sia particolari, sono conservate.
Can. 6 - § 1. Entrando in vigore questo Codice, sono abrogati:
      1° il Codice di Diritto Canonico promulgato nell'anno 1917;
      2° anche le altre leggi, sia universali sia particolari, contrarie alle disposizioni di questo Codice, a meno che non sia disposto espressamente altro circa quelle particolari;
      3° qualsiasi legge penale, sia universale sia particolare emanata dalla Sede Apostolica, a meno che non sia ripresa in questo stesso Codice;
      4° così pure tutte le altre leggi disciplinari universali riguardanti materia, che viene ordinata integralmente da questo Codice;
§ 2. I canoni di questo Codice, nella misura in cui riportano il diritto antico, sono da valutarsi tenuto conto della tradizione canonica.
Titolo I
Le leggi ecclesiastiche
Can. 7 - La legge è istituita quando è promulgata.
Can. 8 - § 1. Le leggi ecclesiastiche universali sono promulgate con l'edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis, a meno che in casi particolari non sia stato stabilito un modo diverso di promulgare; ed entrano in vigore soltanto compiuti tre mesi dal giorno apposto al numero degli Acta, a meno che non obblighino immediatamente per la natura delle cose oppure nella stessa legge sia stata stabilita in modo speciale ed espressamente una più breve o una più lunga vacanza.
§ 2. Le leggi particolari sono promulgate nel modo determinato dal legislatore e cominciano a obbligare dopo un mese dal giorno della promulgazione, a meno che nella stessa legge non sia stabilito un termine diverso.
Can. 9 - Le leggi riguardano le cose future, non le cose passate, a meno che non si disponga nominativamente in esse delle cose passate.
Can. 10 - Sono da ritenersi irritanti o inabilitanti solo quelle leggi, con le quali si stabilisce espressamente che l'atto è nullo o la persona è inabile.
Can. 11 - Alle leggi puramente ecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimo anno di età.
Can. 12 - § 1. Alle leggi universali sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date.
§ 2. Dalle leggi universali invece, che non sono in vigore in un determinato territorio, sono esenti tutti quelli che si trovano attualmente in tale territorio.
§ 3. Alle leggi fatte per un territorio peculiare sono sottoposti coloro per i quali sono state date e che in esso hanno il domicilio o il quasi-domicilio e insieme attualmente vi dimorano, fermo restando il disposto del can. 13.
Can. 13 - § 1. Le leggi particolari non si presumono personali, ma territoriali, se non consta altrimenti.
§ 2. I forestieri non sono obbligati:
      1° alle leggi particolari del loro territorio fino a quando ne sono assenti, a meno che o la loro trasgressione rechi danno nel proprio territorio, o le leggi siano personali;
      2° e neppure alle leggi del territorio in cui si trovano, eccetto quelle che provvedono all'ordine pubblico, o determinano le formalità degli atti, o riguardano gli immobili situati nel territorio.
§ 3. I girovaghi sono obbligati alle leggi, sia universali sia particolari, che sono in vigore nel luogo in cui si trovano.
Can. 14 - Le leggi, anche irritanti o inabilitanti, nel dubbio di diritto non urgono; nel dubbio di fatto invece gli Ordinari possono dispensare da esse, purché, se si tratta di dispensa riservata, venga solitamente concessa dall'autorità cui è riservata.
Can. 15 - § 1. L'ignoranza o l'errore circa le leggi irritanti e inabilitanti non impediscono l'effetto delle medesime, a meno che non sia stabilito espressamente altro.
§ 2. L'ignoranza o l'errore circa la legge o la pena oppure su un fatto personale o intorno a un fatto notorio di altri non si presumono; circa un fatto non notorio di altri si presumono, finché non si provi il contrario.
Can. 16 - § 1. Interpreta autenticamente le leggi il legislatore e colui al quale egli abbia concesso la potestà d'interpretarle autenticamente.
§ 2. l'interpretazione autentica presentata a modo di legge ha la medesima forza della legge e deve essere promulgata; e se soltanto dichiara le parole di per sé certe della legge, ha valore retroattivo; se restringe o estende la legge oppure chiarisce quella dubbia, non è retroattiva.
§ 3. L'interpretazione invece a modo di sentenza giudiziale o di atto amministrativo in cosa peculiare, non ha forza di legge e obbliga soltanto le persone e dispone delle cose per cui è stata data.
Can. 17 - Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all'intendimento del legislatore.
Can. 18 - Le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un'eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta.
Can. 19 - Se una determinata materia manca una espressa disposizione di legge sia universale sia particolare o una consuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi tenute presenti le leggi date per casi simili, i principi generali del diritto applicati con equità canonica, la giurisprudenza e la prassi della Curia Romana, il modo di sentire comune e costante dei giuristi.
Can. 20 - La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella , oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente; la legge universale però non deroga affatto al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto.
Can. 21 - Nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile.
Can. 22 - Le leggi civili alle quali il diritto della Chiesa rimanda, vengono osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti.
Titolo II
La consuetudine
Can. 23 - Ha forza di legge soltanto quella consuetudine, introdotta dalla comunità dei fedeli, che sia stata approvata dal legislatore, a norma dei canoni che seguono.
Can. 24 - § 1. nessuna consuetudine, che sia contraria al diritto divino, può ottenere forza di legge.
§ 2. Né può ottenere forza di legge la consuetudine contro o fuori del diritto canonico, che non sia razionale; ora la consuetudine che è espressamente riprovata nel diritto, non è razionale.
Can. 25 - Nessuna consuetudine ottiene forza di legge, se non sarà stata osservata da una comunità capace almeno di ricevere una legge, con l'intenzione di introdurre un diritto.
Can. 26 - A meno che non sia stata approvata in modo speciale dal legislatore competente, una consuetudine contraria al diritto canonico vigente o che è al di fuori della legge canonica, ottiene forza di legge soltanto, se sarà stata osservata legittimamente per trenta anni continui e completi; ma contro una legge canonica che contenga la clausola che proibisce le consuetudini future, può prevalere la sola consuetudine centenaria o immemorabile.
Can. 27 - La consuetudine è ottima interprete delle leggi.
Can. 28 - Fermo restando il disposto del can. 5, la consuetudine, sia contro sia al di fuori della legge, è revocata per mezzo di una consuetudine o di una legge contraria; ma, se non se ne fa espressa menzione, la legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca le consuetudini particolari.
Titolo III
Decreti generali e istruzioni
Can. 29 - I decreti generali, con i quali dal legislatore competente vengono date disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge, sono propriamente leggi e sono retti dalle disposizioni dei canoni sulle leggi.
Can. 30 - Chi gode soltanto della potestà esecutiva non può validamente emanare il decreto generale, di cui al can. 29, a meno che in casi particolari a norma del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal legislatore competente, e adempiute le condizioni stabilite nell'atto della concessione
Can. 31 - § 1. Possono dare i decreti generali esecutivi, con cui sono appunto determinati più precisamente i modi da osservarsi nell'applicare la legge o con cui si urge l'osservanza delle leggi, coloro che godono della potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza.
§ 2. Per ciò che attiene alla promulgazione e alla vacanza dei decreti di cui al § 1, si osservino le disposizioni del can. 8.
Can. 32 - I decreti generali esecutivi obbligano coloro che sono tenuti alle leggi delle quali i decreti stessi determinano i modi di applicazione o urgono l'osservanza.
Can. 33 - § 1. I decreti generali esecutivi, anche se sono pubblicati nei direttori o in documenti di altro nome, non derogano alle leggi, e le loro disposizioni che siano contrarie alle leggi, sono prive di ogni vigore.
§ 2. I medesimi decreti cessano d'avere vigore per revoca esplicita fatta dall'autorità competente, e altresì cessando la legge per la cui esecuzione furono dati; non cessano però venuto meno il diritto di colui che li stabilisce, eccetto che non sia disposto espressamente il contrario.
Can. 34 - § 1. Le istruzioni, che propriamente rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell'eseguirle, sono date a uso di quelli il cui compito è curare che le leggi siano mandate ad esecuzione e li obbligano nell'esecuzione stessa delle leggi; le pubblicano legittimamente, entro i limiti della loro competenza, coloro che godono della potestà esecutiva.
§ 2. I dispositivi delle istruzioni non derogano alle leggi, e se qualcuno non può accordarsi con le disposizioni delle leggi, è privo di ogni vigore.
§ 3. Le istruzioni cessano di avere vigore non soltanto con la revoca esplicita o implicita dell'autorità competente, che le pubblicò, o del suo superiore, ma anche cessando la legge per chiarire o per mandare ad esecuzione la quale furono date.
Titolo IV
Gli atti amministrativi singolari
Capitolo I
NORME COMUNI
Can. 35 - L'atto amministrativo singolare, si tratti di un decreto o di un precetto oppure si tratti di un rescritto, può essere prodotto, entro i limiti della sua competenza, da colui che gode di potestà esecutiva, fermo restando il disposto del can. 76, § 1.
Can. 36 - § 1. L'atto amministrativo è da intendersi secondo il significato proprio delle parole e l'uso comune del parlare; nel dubbio, gli atti che si riferiscono alle liti o che riguardano le pene da comminare o da infliggere, oppure restringono i diritti della persona, o che ledono i diritti acquisiti, o che sono contrari a una legge a vantaggio dei privati, sono sottoposti a interpretazione stretta; tutti gli altri a interpretazione larga.
§ 2. Un atto amministrativo non deve essere esteso ad altri casi al di fuori di quelli espressi.
Can. 37 - L'atto amministrativo, che riguarda il foro esterno, si deve consegnare per iscritto; così pure il relativo atto di esecuzione, se viene fatto in forma commissoria.
Can. 38 - L'atto amministrativo, anche se si tratta di un rescritto dato Motu proprio, è privo di effetto nella misura in cui lede un diritto acquisito oppure è contrario a una legge o a una consuetudine approvata, a meno che l'autorità competente non abbia aggiunto espressamente una clausola derogatoria.
Can. 39 - Le condizioni nell'atto amministrativo allora soltanto si reputano aggiunte per la validità, quando sono espresse per mezzo delle particelle si, nisi, dummodo.
Can. 40 - L'esecutore di un atto amministrativo espleta invalidamente il suo incarico, prima di aver ricevuto la lettera e di averne controllato e l'integrità, a meno che non ne sia stata a lui trasmessa previamente la notizia per autorità di colui che ha emesso l'atto.
Can. 41 - L'esecutore dell'atto amministrativo cui viene affidato il semplice compito dell'esecuzione, non può negare l'esecuzione di tale atto, a meno che non appaia manifestamente che l'atto medesimo è nullo o per altra grave causa non può essere sostenuto, oppure che le condizioni apposte nello stesso atto amministrativo non furono adempiute; se tuttavia l'esecuzione dell'atto amministrativo sembri inopportuna a motivo delle circostanze di persona o di luogo, l'esecutore interrompa l'esecuzione; ma in questi casi ne informi immediatamente l'autorità che ha emesso l'atto.
Can. 42 - L'esecutore dell'atto amministrativo deve procedere a norma del mandato; se però non avrà adempiuto le condizioni essenziali apposte nella lettera e non avrà osservato la procedura sostanziale, l'esecuzione è invalida.
Can. 43 - L'esecutore dell'atto amministrativo può farsi sostituire da un altro a suo prudente arbitrio, a meno che la sostituzione non sia stata proibita, o non sia stata scelta l'abilità specifica della persona, o non sia stata prestabilita la persona del sostituto; in questi casi però è lecito all'esecutore affidare ad un altro gli atti preparatori.
Can. 44 - L'atto amministrativo può essere mandato ad esecuzione anche dal successore nell'ufficio dell'esecutore, a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona.
Can. 45 - E' lecito all'esecutore, se ha errato in qualche modo nell'esecuzione dell'atto amministrativo, mandarlo di nuovo ad esecuzione.
Can. 46 - L'atto amministrativo non cessa venuto meno il diritto di colui che lo stabilisce, eccetto che non sia disposto espressamente altro dal diritto.
Can. 47 - La revoca dell'atto amministrativo per mezzo di un altro atto amministrativo dell'autorità competente ottiene effetto unicamente dal momento in cui viene legittimamente notificato alla persona per la quale è stato dato.
Capitolo II
I DECRETI E I PRECETTI SINGOLARI
Can. 48 - Per decreto singolare s'intende un atto amministrativo emesso dalla competente autorità esecutiva, mediante il quale secondo le norme del diritto è data per un caso particolare una decisione o viene fatta una provvisione, le quali per loro natura non suppongono una petizione fatta da qualcuno.
Can. 49 - Il precetto singolare è un decreto mediante il quale s'impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere, specialmente per urgere l'osservanza di una legge.
Can. 50 - Prima di fare un decreto singolare, l'autorità ricerchi le notizie e le prove necessarie, e, per quanto è possibile, ascolti coloro i cui diritti possono essere legge.
Can. 51 - Il decreto si dia per iscritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni, se si tratta di una decisione.
Can. 52 - Il decreto singolare ha forza obbligante soltanto circa le cose sulle quali dispone e per le persone cui è dato; queste però le obbliga dovunque, se non consta altro
Can. 53 - Se i decreti sono tra di loro contrari, quello peculiare, nelle cose che vengono espresse in modo peculiare, prevale su quello generale; se sono ugualmente peculiari o generali, quello successivo nel tempo abroga il precedente, nella misura in cui gli è contrario.
Can. 54 - § 1. Il decreto singolare, la cui applicazione viene affidata all'esecutore, ha effetto dal momento dell'esecuzione; in caso contrario dal momento in cui viene intimato alla persona per autorità di colui che emette il decreto.
§2. Il decreto singolare, per poterne urgere l'osservanza, deve essere intimato con un legittimo documento a norma del diritto.
Can. 55 - Fermo restando il disposto dei cann. 37 e 51, quando una gravissima ragione si frapponga alla consegna del testo scritto del decreto, il decreto si ritiene intimato se viene letto alla persona cui è destinato di fronte a un notaio o a due testimoni, con la redazione degli atti, da sottoscriversi da tutti i presenti.
Can. 56 - Il decreto si ritiene intimato, se colui al quale è destinato, chiamato nel dovuto modo a ricevere o ad udire il decreto, senza giusta causa non compare o ricusò di sottoscrivere.
Can. 57 - § 1. Tutte le volte che la legge impone di dare un decreto oppure da parte dell'interessato viene legittimamente proposta una petizione o un ricorso per ottenere il decreto, l'autorità competente provveda entro tre mesi dalla ricezione della petizione o del ricorso, a meno che la legge non disponga un termine diverso.
§ 2. Trascorso questo termine, se il decreto non fu ancora dato, la risposta si presume negativa, per ciò che si riferisce alla proposta di un ulteriore ricorso.
§ 3. La presunta risposta negativa non esime la competente autorità dall'obbligo di dare il decreto, e anzi di riparare il danno eventualmente causato, a norma del can. 128.
Can. 58 - § 1. Il decreto singolare cessa di avere vigore con la revoca legittima da parte dell'autorità competente e altresì cessando la legge per la cui esecuzione fu dato.
§ 2. Il precetto singolare, non imposto con legittimo documento, cessa venuto meno il diritto di colui che lo ha dato.
Capitolo III
I RESCRITTI
Can. 59 - § 1. Per rescritto s'intende l'atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorità esecutiva, per mezzo del quale di sua stessa natura, su petizione di qualcuno, viene concesso un privilegio, una dispensa o un'altra grazia.
§ 2. Le disposizioni che sono stabilite sui rescritti, valgono anche per la concezione della licenza, come pure per le concezioni di grazie fatte a viva voce, se non consta altrimenti.
Can. 60 - Qualsiasi rescritto può essere richiesto da tutti coloro ai quali non è proibito espressamente di farlo.
Can. 61 - Se non costa altrimenti, un rescritto può essere richiesto a favore di altra persona, anche prescindendo dal suo assenso, e ha valore prima dell'accettazione da parte del medesimo , salvo clausole contrarie.
Can. 62 - Il rescritto in cui non viene assegnato alcun esecutore, ha effetto dal momento in cui è firmata la lettera; gli altri, dal momento dell'esecuzione.
Can. 63 - § 1. Alla validità del rescritto si oppone la surrezione o reticenza del vero, se nelle richieste non furono espresse quelle cose che secondo la legge, lo stile e la prassi canonica sono da esprimersi per la validità, a meno che non si tratti di un rescritto di grazia che sia stato dato Motu proprio.
§ 2. Parimenti si oppone alla validità del rescritto l'orrezione o esposizione del falso, se neppure una delle cause motivanti proposte è vera.
§ 3. La causa motivante, nei rescritti nei quali non c'è alcun esecutore, è necessario che sia vera al tempo in cui il rescritto fu dato; negli altri al tempo dell'esecuzione.
Can. 64 - Salvo il diritto della Penitenzieria per il foro interno, una grazia negata da qualsiasi dicastero della Curia Romana, non può essere validamente concessa da un altro dicastero della medesima Curia o da un'altra competente autorità al di sotto del Romano Pontefice, senza l'assenso del dicastero con cui si iniziò a trattare.
Can. 65 - § 1. Salve le disposizioni dei §§ 2 e 3, nessuno richieda a un altro Ordinario una grazia negata dal proprio Ordinario, se non fatta menzione del diniego; fatta però menzione, l'Ordinario non conceda la grazia, senza aver avuto i motivi del diniego dell'Ordinario precedente.
§2. Una grazia negata dal Vicario generale o dal Vicario episcopale, non può essere concessa validamente da un altro Vicario dello stesso Vescovo, anche avuti i motivi del diniego da parte del Vicario che ha negato la grazia.
§ 3. Una grazia negata dal Vicario generale o dal Vicario episcopale e in seguito, senza aver fatto alcuna menzione di tale diniego, richiesta al Vescovo diocesano, è invalida; una grazia negata però dal Vescovo diocesano non può essere validamente richiesta, anche fatta menzione del diniego, al suo Vicario generale o al Vicario episcopale, senza il consenso del vescovo.
Can. 66 - Un rescritto non diventa invalido a causa di errore nel nome della persona cui viene dato o da cui è emesso, oppure del luogo in cui essa stessa risiede, o della cosa di cui si tratta, purché, a giudizio dell'Ordinario, non ci sia alcun dubbio circa la persona stessa o la cosa.
Can. 67 - § 1. Se accadesse che su una medesima cosa vengano richiesti due rescritti fra di loro contrari, quello peculiare, nelle cose che sono espresse in modo peculiare, prevale su quello generale.
§ 2. Se fossero ugualmente peculiari o generali, il precedente nel tempo prevale su quello posteriore, a meno che nel secondo non si faccia espressa menzione del precedente, oppure se il primo richiedente non abbia fatto uso del suo rescritto per dolo o per notevole negligenza.
§. 3. Nel dubbio se il rescritto sia invalido o no, si ricorra a colui che ha dato il rescritto.
Can. 68 - Un rescritto della Sede Apostolica in cui non viene assegnato alcun esecutore, allora soltanto deve essere presentato all'Ordinario del richiedente, quando ciò sia ingiunto nella lettera medesima, oppure si tratti di cose pubbliche, o si renda necessario comprovare le condizioni.
Can. 69 - Il rescritto, per la cui presentazione non è definito alcun tempo, può essere esibito all'esecutore in qualsiasi momento, purché non ci siano frode e dolo.
Can. 70 - Se nel rescritto la stessa concessione fosse commessa all'esecutore, spetta a lui secondo il suo prudente arbitrio e la sua coscienza concedere o negare la grazia.
Can. 71 - Nessuno è tenuto a usare un rescritto concesso solamente in suo favore, a meno che per altro titolo a ciò non sia tenuto da obbligo canonico.
Can. 72 - I rescritti concessi dalla Sede Apostolica, che sono scaduti, possono essere prorogati una sola volta per giusta causa da parte del Vescovo diocesano, tuttavia non oltre tre mesi.
Can. 73 - Nessun rescritto è revocato a causa di una legge contraria, a meno che la legge stessa non disponga altrimenti.
Can. 74 - Benché una persona possa usare in foro interno di una grazia concessale oralmente, è tenuta a provarla per foro esterno, ogniqualvolta ciò le sia legittimamente richiesto.
Can. 75 - Se il rescritto contiene un privilegio o una dispensa, si osservino inoltre le disposizioni dei canoni che seguono.
Capitolo IV
I PRIVILEGI
Can. 76 - § 1. Il privilegio, ossia una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per mezzo di un atto peculiare, può essere concesso dal legislatore come pure dall'autorità esecutiva cui il legislatore abbia conferito tale potestà.
§. 2. Il possesso centenerio o immemorabile induce la presunzione che il privilegio sia stato concesso.
Can. 77 - Il privilegio è da interpretarsi a norma del can. 36, § 1; ma ci si deve sempre servire di una interpretazione tale per cui i dotati di privilegio abbiano a conseguire davvero una qualche grazia.
Can. 78 - § 1. Il privilegio si presume perpetuo, se non si prova il contrario.
§ 2. Il privilegio personale, cioè quello che segue la persona, si estingue con essa.
§ 3. Il privilegio reale cessa con la distruzione totale della cosa o del luogo; il privilegio locale però rivive, se il luogo viene ricostituito entro cinquanta anni.
Can. 79 - Il privilegio cessa per revoca da parte dell'autorità competente a norma del can. 47, fermo restando il disposto del can. 46.
Can. 80 - § 1. Nessun privilegio cessa per rinuncia, a meno che questa non sia stata accettata dall'autorità competente.
§ 2. Qualsiasi persona fisica può rinunciare al privilegio concesso solamente in proprio favore.
§ 3. Le persone singole non possono rinunciare al privilegio concesso a una persona giuridica, o in ragione della dignità del luogo o della cosa; né alla stessa persona giuridica è lecito rinunciare a un privilegio a lei concesso, se la rinuncia torni a pregiudizio della Chiesa o di altri.
Can. 81 - Venuto meno il diritto del concedente, il privilegio non si estingue, a meno che non sia stato dato con la clausola ad beneplacitum nostrum o con altra equipollente.
Can. 82 - Per non uso o per uso contrario un privilegio non oneroso ad altri non cessa; quello invece che ritorna a gravame di altri, si perde, se si aggiunge la legittima prescrizione.
Can. 83 - § 1. Il privilegio cessa passato il tempo o esaurito il numero dei casi per i quali fu concesso, fermo restando il disposto del can. 142, § 2.
§ 2. Cessa pure, se con il progredire del tempo le circostanze, a giudizio dell'autorità competente, sono talmente cambiate, che sia risultato nocivo o il suo uso divenga illecito.
Can. 84 - Chi abusa della potestà datagli per privilegio, merita essere privato del privilegio stesso; di conseguenza, l'Ordinario, ammonito invano il privilegiato, privi chi gravemente ne abusa, del privilegio che egli stesso ha concesso; che se il privilegio fu concesso dalla Sede Apostolica, l'Ordinario è tenuto a informarla.
Capitolo V
LE DISPENSE
Can. 85 - La dispensa, ossia l'esonero dell'osservanza di una legge puramente ecclesiastica in un caso particolare, può essere concessa da quelli che godono di potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza, e altresì da quelli cui compete la potestà di dispensare esplicitamente o implicitamente sia per lo stesso diritto sia in forza di una legittima delega.
Can. 86 - Non sono suscettibili di dispensa le leggi in quanto definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive degli istituti o degli atti giuridici.
Can. 87 - § 1. Il Vescovo diocesano può dispensare validamente i fedeli, ogniqualvolta egli giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, dalle leggi disciplinari sia universali sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi sudditi, tuttavia non dalle leggi processuali o penali, né da quelle la cui dispensa è riservata in modo speciale alla Sede Apostolica o ad un'altra autorità.
§ 2. Quando sia difficile il ricorso alla santa Sede e insieme nell'attesa vi sia pericolo di grave danno, qualunque Ordinario può dispensare validamente dalle medesime leggi, anche se la dispensa è riservata alla Santa Sede, purché si tratti di una dispensa che la stessa Santa Sede nelle medesime circostanze solitamente concede, fermo restando il disposto del can. 291.
Can. 88 - L'Ordinario del luogo può dispensare validamente dalle leggi diocesane, e, tutte le volte egli giudichi che ciò giovi al bene dei fedeli, dalle leggi date dal Concilio plenario o provinciale oppure dalla Conferenza Episcopale.
Can. 89 - Il parroco e gli altri presbiteri o diaconi non possono dispensare validamente da una legge universale e da una particolare, a meno che tale potestà non sia stata loro espressamente concessa.
Can. 90 - § 1. Non si dispensi dalla legge ecclesiastica senza giusta ragionevole causa, tenuto conto delle circostanze del caso e della gravità della legge dalla quale si dispensa; altrimenti la dispensa è illecita e, se non fu data dal legislatore stesso o dal suo superiore, è anche invalida.
§ 2. Nel dubbio sulla sufficienza della causa la dispensa è concessa validamente e lecitamente.
Can. 91 - Chi gode della potestà di dispensare la può esercitare validamente anche stando fuori del territorio, verso i sudditi, benché assenti dal territorio, e, se non è stabilito espressamente il contrario, anche verso i forestieri che si trovano attualmente nel territorio, e altresì verso se stesso.
Can. 92 - E' sottoposta a interpretazione stretta non solo la dispensa a norma del can. 36, § 1, ma la stessa potestà di dispensare concessa per un caso determinato.
Can. 93 - La dispensa che ha tratti successivi cessa nei medesimi modi del privilegio, e inoltre per la sicura e totale cessazione della causa motivante.
Titolo V
Gli statuti e gli ordinamenti
Can. 94 - § 1. Gli statuti , in senso proprio, sono regolamenti che vengono composti a norma del diritto negli insiemi sia di persone sia di cose, e per mezzo dei quali sono definiti il fine dei medesimi, la loro costituzione, il governo e i modi di agire.
§ 2. Agli statuti di un insieme di persone sono obbligate le sole persone che ne sono legittimamente membri; agli statuti di un insieme di cose, quelli che ne curano la conduzione.
§ 3. Le disposizioni degli statuti, fatte e promulgate in forza della potestà legislativa, sono rette dalle disposizioni dei canoni sulle leggi.
Can. 95 - § 1. Gli ordinamenti sono regole o norme che devono essere osservate nei convegni di persone, sia indetti dall'autorità ecclesiastica sia liberamente convocati dai fedeli, come pure in altre celebrazioni, e per mezzo dei quali viene definito ciò che si riferisce alla costituzione, alla conduzione e ai modi di agire.
§ 2. Nei convegni o nelle celebrazioni, sono tenuti alle regole dell'ordinamento quelli che vi partecipano.
Titolo VI
Le persone fisiche e giuridiche
Capitolo I
LA CONDIZIONE CANONICA DELLE PERSONE FISICHE
Can. 96 - Mediante il battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiale e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta.
Can. 97 - § 1. La persona che ha compiuto diciotto anni, è maggiorenne; sotto tale età, è minorenne.
§ 2. Il minorenne, prima dei sette anni compiuti, viene detto bambino e lo si considera non responsabile dei suoi atti, compiuti però i sette anni, si presume che abbia l'uso di ragione.
Can. 98 - § 1. La persona maggiorenne ha il pieno esercizio dei suoi diritti.
§ 2. La persona minorenne nell'esercizio dei suoi diritti rimane sottoposta alla potestà dei genitori o dei tutori, eccetto per quelle cose nelle quali i minorenni sono esenti dalla loro potestà per legge divina o per diritto canonico; per ciò che attiene alla costituzione dei tutori e alla loro potestà, si osservino le disposizioni del diritto civile, a meno che non si disponga altro dal diritto canonico, o il Vescovo diocesano in casi determinati abbia per giusta causa stimato doversi provvedere con la nomina di un altro tutore.
Can. 99 - Chiunque manca abitualmente dell'uso di ragione, lo si considera non responsabile dei suoi atti ed è assimilato ai bambini.
Can. 100 - La persona viene detta: abitante , nel luogo in cui è il suo domicilio; dimorante, nel luogo in cui ha il quasi-domicilio; forestiero, se si trova fuori del domicilio e del quasi-domicilio che ancora ritiene; girovago, se non ha in alcun luogo il domicilio o il quasi-domicilio.
Can. 101 - § 1. Il luogo di origine del figlio, anche neofita, è quello in cui, quando il figlio è nato, i genitori avevano il domicilio o, mancando questo, il quasi-domicilio, oppure, se i genitori non avevano il medesimo domicilio o quasi-domicilio, l'aveva la madre.
§ 2. Se si tratta di un figlio di girovaghi, il luogo di origine è il luogo stesso della nascita; se di un esposto, è il luogo in cui fu trovato.
Can. 102 - § 1. Il domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l'intenzione di rimanervi in perpetuo se nulla lo allontani da quel luogo, o sia protratta per cinque anni completi.
§ 2. Il quasi-domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l'intenzione di rimanervi almeno per tre mesi se nulla lo allontani da quel luogo, o sia protratta effettivamente per tre mesi.
§ 3. Il domicilio o il quasi-domicilio nel territorio di una parrocchia è detto parrocchiale; nel territorio di una diocesi, anche se non in una parrocchia, diocesano.
Can. 103 - I membri degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica acquistano il domicilio nel luogo dove è situata la casa cui sono ascritti; il quasi-domicilio, nella casa in cui, a norma del can. 102, § 2. dimorano.
Can. 104 - I coniugi abbiano in comune il domicilio o il quasi-domicilio; a motivo di legittima separazione o per altra giusta causa, entrambi possono avere un proprio domicilio o quasi-domicilio.
Can. 105 - § 1. Il minorenne ritiene necessariamente il domicilio e il quasi-domicilio di colui, alla cui potestà è soggetto. Uscito dall'infanzia può acquistare anche un proprio quasi-domicilio; e legittimamente emancipato a norma del diritto civile, anche un domicilio proprio.
§ 2. Chiunque per una ragione diversa dalla minore età è stato affidato legittimamente in tutela o in curatela di un altro, ha il domicilio e il quasi-domicilio del tutore o del curatore.
Can. 106 - Il domicilio e il quasi-domicilio si perdono con la partenza dal luogo con intenzione di non tornare, salvo il disposto del can. 105.
Can. 107 - § 1. A ciascuno sia per il domicilio sia per il quasi-domicilio tocca il parroco e l'Ordinario proprio.
§ 2. Il parroco o l'Ordinario proprio del girovago è il parroco o l'Ordinario del luogo in cui il girovago dimora attualmente.
§ 3. Il parroco proprio di colui che non ha se non il domicilio o il quasi-domicilio diocesano, è il parroco del luogo in cui attualmente dimora.
Can. 108 - § 1. La consanguineità si computa per linee e per gradi.
§ 2. Nella linea retta tanti sono i gradi quante le generazioni, ossia quante le persone, tolto il capostipite.
§ 3. Nella linea obliqua tanti sono i gradi quante le persone in tutte e due le linee insieme, tolto il capostipite.
Can. 109 - § 1. L'affinità sorge dal matrimonio valido, anche se non consumato, e sussiste tra il marito e i consanguinei della moglie, e parimenti tra la moglie e i consanguinei del marito.
§ 2. Si computa in maniera tale che coloro che sono consanguinei del marito, siano affini della moglie nella medesima linea e grado, e viceversa.
Can. 110 - I figli, che sono stati adottati a norma della legge civile, sono ritenuti figli di colui o di coloro che li hanno adottati.
Can. 111 - § 1. Con la ricezione del battesimo è ascritto alla Chiesa latina il figlio dei genitori, che ad essa appartengono o, se uno dei due non appartiene ad essa, ambedue i genitori di comune accordo abbiano optato che la prole fosse battezzata nella Chiesa latina; che se manca il comune accordo, è ascritto alla Chiesa rituale, cui appartiene il padre.
§ 2. Qualsiasi battezzato che abbia compiuto quattordici anni di età, può liberamente scegliere di essere battezzato nella Chiesa latina o in un'altra Chiesa rituale di diritto proprio; nel qual caso, egli appartiene a quella Chiesa che avrà scelto.
Can. 112 - § 1. Dopo aver ricevuto il battesimo, sono ascritti a un'altra Chiesa rituale di diritto proprio:
      1° chi ne abbia ottenuto la licenza da parte della Sede Apostolica;
      2° il coniuge che, nel celebrare il matrimonio o durante il medesimo, abbia dichiarato di voler passare alla Chiesa rituale di diritto proprio dell'altro coniuge; sciolto però il matrimonio, può ritornare liberamente alla Chiesa latina;
      3° i figli di quelli, di cui ai nn. 1 e 2, prima del compimento dei quattordici anni di età e parimenti, nel matrimonio misto, i figli di parte cattolica, che sia passata legittimamente a un'altra Chiesa rituale; raggiunta però questa età, i medesimi possano ritornare alla Chiesa latina.
§ 2. L'usanza, anche se a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di una Chiesa rituale di diritto proprio, non comporta l'ascrizione alla medesima Chiesa.
Capitolo II
LE PERSONE GIURIDICHE
Can. 113 - § 1. La Chiesa cattolica e la Sede Apostolica sono persone morali in forza della stessa disposizione divina.
§ 2. Nella Chiesa, oltre alle persone fisiche, ci sono anche le persone giuridiche, soggetti cioè nel diritto canonico di obblighi e di diritti che corrispondono alla loro natura.
Can. 114 - § 1. Le persone giuridiche sono costituite o dalla stessa disposizione del diritto oppure dalla concessione speciale da parte della competente autorità data per mezzo di un decreto, come insiemi sia di persone sia di cose ordinati ad un fine corrispondente alla missione della Chiesa, che trascende il fine dei singoli.
§ 2. Come fini, di cui al § 1, s'intendono quelli attinenti ad opere di pietà, di apostolato o di carità sia spirituale sia temporale.
§ 3. L'autorità competente della Chiesa non conferisca la personalità giuridica se non a quegli insiemi di persone o di cose, che perseguono un fine effettivamente utile e che, tutto considerato, sono forniti dei mezzi che si possono prevedere sufficenti a conseguire il fine prestabilito.
Can. 115 - § 1. Le persone giuridiche nella Chiesa sono o insiemi di persone o insiemi di cose.
§ 2. L'insieme di persone, che non può essere composto se non almeno di tre persone, è collegiale, se i membri determinano la sua azione, concorrendo nel prendere le decisioni, con uguale diritto o meno, a norma del diritto e degli statuti; altrimenti è non collegiale.
§ 3. L'insieme di cose, ossia la fondazione autonoma, consta di beni o di cose, sia spirituali sia materiali, e lo dirigono, a norma del diritto e degli statuti, sia una o più persone fisiche sia un collegio.
Can. 116 - § 1. Le persone giuridiche pubbliche sono insiemi di persone o di cose, che vengono costituite dalla competente autorità ecclesiastica perché, entro i fini ad esse prestabiliti, a nome della Chiesa compiano, a norma delle disposizioni del diritto, il proprio compito, loro affidato in vista del bene pubblico; tutte le altre persone giuridiche sono private.
§ 2. Le persone giuridiche pubbliche vengono dotate di tale personalità sia per il diritto stesso sia per speciale decreto dell'autorità competente che la concede espressamente; le persone giuridiche private vengono dotate di questa personalità soltanto per mezzo dello speciale decreto dell'autorità competente che concede espressamente la medesima personalità.
Can. 117 - Nessun insieme di persone o di cose che intenda ottenere la personalità giuridica, può validamente conseguirla se i suoi statuti non siano stati approvati dalla competente autorità.
Can. 118 - Rappresentano la persona giuridica pubblica, agendo a suo nome, coloro ai quali tale competenza è riconosciuta dal diritto universale o particolare oppure dai propri statuti; rappresentano la persona giuridica privata, coloro cui la medesima competenza è attribuita attraverso gli statuti.
Can. 119 - Per quanto concerne gli atti collegiali, a meno che non sia disposto altro dal diritto o dagli statuti:
      1° se si tratta di elezioni, ha forza di diritto ciò che, presente la maggior parte di quelli che devono essere convocati, è piaciuto alla maggioranza assoluta di coloro che sono presenti; dopo due scrutini inefficaci, la votazione verta sopra i due candidati che hanno ottenuto la maggior parte dei voti, o, se sono parecchi, sopra i due più anziani di età; dopo il terzo scrutinio, se rimane la parità, si ritenga eletto colui che è più anziano di età;
      2° se si tratta di altri affari, ha forza di diritto ciò che, presente la maggior parte di quelli che devono essere convocati, è piaciuto alla maggioranza assoluta di coloro che sono presenti; che se dopo due scrutini i suffragi furono uguali, il presidente può dirimere la parità con il suo voto;
      3° ciò che poi tocca tutti come singoli, da tutti deve essere approvato.
Can. 120 - § 1. La persona giuridica per sua natura è perpetua; si estingue tuttavia se viene legittimamente soppressa dalla competente autorità o se ha cessato di agire per lo spazio di cento anni; la persona giuridica privata si estingue inoltre, se l'associazione stessa si discioglie a norma degli statuti, oppure se, a giudizio dell'autorità competente, la stessa fondazione ha cessato di esistere a norma degli statuti.
§ 2. Se rimane anche uno solo dei membri della persona giuridica collegiale, e l'insieme delle persone secondo gli statuti non ha cessato di esistere, l'esercizio di tutti i diritti dell'insieme compete a quel membro.
Can. 121 - Se gli insiemi sia di persone sia di cose, che sono persone giuridiche pubbliche, si congiungano in tale maniera che dai medesimi sia costituito un unico insieme dotato anch'esso di personalità giuridica, questa nuova persona giuridica ottiene i beni e i diritti patrimoniali propri dei precedenti e assume gli oneri, di cui i medesimi erano gravati; per quanto concerne poi la destinazione dei beni e l'adempimento degli oneri, devono essere salvaguardati la volontà dei fondatori e degli offerenti e i diritti acquisiti.
Can. 122 - Se l'insieme, che gode di personalità giuridica pubblica, si divide in maniera tale che o una parte di esso sia unita a un'altra persona giuridica o dalla parte divisa si eriga una distinta persona giuridica pubblica, l'autorità ecclesiastica cui compete la divisione deve curare personalmente o per mezzo di un esecutore, osservati invero in primo luogo sia la volontà dei fondatori e degli offerenti sia i diritti acquisiti sia infine gli statuti approvati:
      1° che i beni comuni divisibili e i diritti patrimoniali come pure i debiti e gli altri oneri siano divisi tra le persone giuridiche di cui si tratta con debita proporzione secondo il giusto e onesto, tenuto conto di tutte le circostanze e delle necessità di entrambe;
      2° che l'uso e l'usufrutto dei beni comuni, che non sono sottoposti a divisione, tornino a vantaggio di tutte e due le persone giuridiche, e che gli oneri propri alle medesime siano imposti a entrambe, osservata parimenti la dovuta proporzione da definirsi secondo il giusto e l'onesto.
Can. 123 - Estinta la persona giuridica pubblica, la destinazione dei beni e dei diritti patrimoniali e parimenti degli oneri della medesima viene retta dal diritto e dagli statuti; se questi tacciono, essi toccano in sorte alla persona giuridica immediatamente superiore, salvi sempre la volontà dei fondatori e degli offerenti come pure i diritti acquisiti; estinta la persona giuridica privata, la destinazione dei beni e degli oneri della medesima è retta dagli statuti propri.
Titolo VII
Gli atti giuridici
Can. 124 - § 1. Per la validità dell'atto giuridico, si richiede che sia posto da una persona abile, e che in esso ci sia ciò che costituisce essenzialmente l'atto stesso, come pure le formalità e i requisiti imposti dal diritto per la validità dell'atto.
§ 2. L'atto giuridico posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni si presume valido.
Can. 125 - § 1. L'atto posto per violenza inferta dall'esterno alla persona, cui essa stessa in nessun modo poté resistere, è nullo.
§ 2. L'atto posto per timore grave, incusso ingiustamente, o per dolo, vale, a meno che non sia disposto altro dal diritto; ma può essere rescisso per sentenza del giudice, sia su istanza della parte lesa o dei suoi successori nel diritto, sia d'ufficio.
Can. 126 - L'atto posto per ignoranza o per errore, che verta intorno a ciò che ne costituisce la sostanza, o che ricada nella condizione sine qua non, è nullo; altrimenti vale, se dal diritto non è disposto altro, ma l'atto intrapreso per ignoranza o per errore può dar luogo all'azione rescissoria a norma del diritto.
Can. 127- § 1. Quando dal diritto è stabilito che il Superiore per porre gli atti necessiti del consenso o del consiglio di un collegio o di un gruppo di persone, il collegio o il gruppo deve essere convocato a norma del can. 166, a meno che, quando si tratti di richiedere soltanto il consiglio, non sia stato disposto altrimenti dal diritto particolare o proprio; perché poi l'atto valga si richiede che sia ottenuto il consenso della maggioranza assoluta di quelli che sono presenti o richiesto il consiglio di tutti.
§ 2. Quando dal diritto è stabilito che il Superiore per porre gli atti necessiti del consenso o del consiglio di alcune persone, come singole:
      1° se si esige il consenso, è invalido l'atto del Superiore che non richiede il consenso di quelle persone o che agisce contro il loro voto o contro il voto di una persone;
      2° se si esige il consiglio, è invalido l'atto del Superiore che non ascolta le persone medesime; il Superiore, sebbene non sia tenuto da alcun obbligo ad accedere al loro voto, benché concorde, tuttavia, senza una ragione prevalente, da valutarsi a suo giudizio, non si discosti dal voto delle stesse, specialmente se concorde.
§ 3. Tutti quelli, il cui consenso o consiglio è richiesto, sono tenuti all'obbligo di esprimere sinceramente la propria opinione, e, se la gravità degli affari lo richiede, di osservare diligentemente il segreto; obbligo che può essere sollecitato dal Superiore.
Can. 128 - Chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto con dolo o con colpa, arreca danno ad una altro, è tenuto all'obbligo di riparare il danno arrecato.
Titolo VIII
La potestà di governo
Can. 129 - § 1. Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell'ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto.
§ 2. Nell'esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto.
Can. 130 - La potestà di governo di per sé è esercitata nel foro esterno, talora tuttavia nel solo foro interno, in modo tale però che gli effetti che il suo esercizio ha originariamente nel foro esterno, in questo foro non vengono riconosciuti, se non in quanto ciò è stabilito dal diritto per casi determinati.
Can. 131 - § 1. La potestà di governo ordinaria è quella che dallo stesso diritto è annessa a un ufficio; la potestà delegata, quella che è concessa alla persona stessa, non mediante l'ufficio.
§ 2. La potestà di governo ordinaria può essere sia propria sia vicaria.
§ 3. A chi si asserisce delegato, incombe l'onere di provare la delega.
Can. 132 - § 1. Le facoltà abituali vengono rette dalle disposizioni sulla potestà delegata.
§ 2. Purtuttavia se nella sua concessione non è disposto espressamente altro o non è stata scelta l'abilità specifica della persona, la facoltà abituale concessa all'Odinario non è annullata venendo meno il diritto dell'Ordinario cui fu concessa, sebbene egli stesso abbia iniziato a eseguirla, ma passa a qualsiasi Ordinario che gli succede nel governo.
Can. 133 - § 1. Il delegato, che oltrepassa i limiti del suo mandato sia circa le cose sia circa le persone, agisce invalidamente.
§ 2. Non si reputa che il delegato oltrepassi i limiti del suo mandato se compie ciò per cui fu delegato in modo diverso da quello determinato dal mandato, a meno che il modo non sia stato imposto per la validità dallo stesso delegante.
Can. 134 - § 1. Col nome di Ordinario nel diritto s'intendono, oltre il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani e gli altri che, anche se soltanto interinalmente, sono preposti a una Chiesa particolare o a una comunità ad essa equiparata a norma del can. 368; inoltre coloro che nelle medesime godono di potestà esecutiva ordinaria generale, vale a dire i Vicari generali ed episcopali; e parimenti, per i propri membri, i Superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio clericali e delle società di vita apostolica di diritto pontificio clericale, che posseggono almeno potestà esecutiva ordinaria.
§ 2. Col nome di Ordinario del luogo s'intendono tutti quelli recensiti nel §1, eccetto i Superiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica.
§ 3. Quanto viene attribuito nominalmente al Vescovo diocesano nell'ambito della potestà esecutiva, s'intende competere solamente al Vescovo diocesano e agli altri a lui stesso equiparati nel can. 381, § 2, esclusi il Vicario generale ed episcopale, se non per mandato speciale.
Can. 135 - § 1. La potestà di governo si distingue in legislativa, ed esecutiva e giudiziale.
§ 2. La potestà legislativa è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, e quella di cui gode nella Chiesa il legislatore al di sotto dell'autorità suprema, non può essere validamente delegata , se non è disposto esplicitamente altro dal diritto; da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore.
§ 3. La potestà giudiziale, di cui godono i giudici e i collegi giudiziari, è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto, e non può essere delegata, se non per eseguire gli atti preparatori di un qualsiasi decreto o sentenza.
§ 4. Per ciò che concerne l'esercizio della potestà esecutiva, si osservino le disposizioni dei canoni che seguono.
Can. 136 - Pur stando fuori del territorio, la potestà esecutiva si può esercitare validamente verso i sudditi, benché assenti dal territorio, a meno che non consti altro dalla natura della cosa o dal disposto del diritto; la si può esercitare verso i forestieri che si trovano attualmente nel territorio, se si tratta di concedere favori o di mandare ad esecuzione sia le leggi universali sia le leggi particolari, alle quali gli stessi sono tenuti a norma del can. 13, § 2, n.2.
Can. 137 - § 1. La potestà esecutiva ordinaria può essere delegata sia per un atto sia per un insieme di casi, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto.
§ 2. La potestà esecutiva delegata dalla Sede Apostolica può essere suddelegata sia per un atto sia per un insieme di casi, a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona o non sia stata espressamente proibita la suddelega.
§ 3. La potestà esecutiva delegata da un'altra autorità che ha potestà ordinaria, se è stata delegata per un insieme di casi, può essere suddelegata soltanto in casi singoli; se invece è stata delegata per un atto o per atti determinati, non può essere suddelegata, se non per espressa concezione del delegante.
§ 4. Nessuna potestà suddelegata può essere nuovamente suddelegata, se ciò non fu concesso espressamente da parte del delegante.
Can. 138 - La potestà esecutiva ordinaria come pure la potestà delegata per un insieme di casi, è da interpretarsi in senso largo, qualsiasi altra invece in senso stretto; tuttavia a chi è stata delegata la potestà, s'intendono concesse anche quelle cose senza le quali la medesima potestà non può essere esercitata.
Can. 139 - § 1. Se non è stabilito altro dal diritto, per il fatto che uno si rivolga a qualche autorità competente, anche superiore, non si sospende la potestà esecutiva dell'altra autorità competente, sia essa ordinaria oppure delegata.
§ 2. Tuttavia l'inferiore non s'intrometta nella questione deferita all'autorità superiore, se non per causa grave e urgente; nel qual caso avverta immediatamente il superiore della cosa.
Can. 140 - § 1. Qualora siano stati delegati parecchi a trattare in solido lo stesso affare, chi per primo abbia iniziato a svolgere l'affare esclude gli altri dal trattarlo, a meno che in seguito non sia stato impedito o non abbia voluto procedere ulteriormente nel condurlo a termine.
§ 2. Qualora siano stati delegati parecchi collegialmente a trattare un affare, tutti devono procedere a norma del can. 119, a meno che non sia stato disposto altro nel mandato.
§ 3. La potestà esecutiva delegata a parecchi, si presume delegata ai medesimi in solido.
Can. 141 - Qualora siano stati delegati parecchi successivamente , sbrighi l'affare colui, il cui mandato è anteriore, né fu poi revocato.
Can. 142 - § 1. La potestà delegata si estingue compiuto il mandato; trascorso il tempo o esaurito il numero dei casi per i quali fu concessa; cessando la causa finale della delega; per revoca del delegante intimata direttamente al delegato come pure per rinuncia del delegato fatta conoscere al delegante e da lui accettata; non si estingue invece venendo meno il diritto del delegante, eccetto che ciò non appaia dalle clausole apposte.
§ 2. Tuttavia l'atto, proveniente da potestà delegata che si esercita nel solo foro interno, posto per inavvertenza dopo la scadenza del tempo di concessione, è valido.
Can. 143 - § 1. La potestà ordinaria si estingue con la perdita dell'ufficio cui è annessa.
§ 2. Se non si sia disposto altro dal diritto, la potestà ordinaria è sospesa, qualora si appelli legittimamente o s'imponga un ricorso contro la privazione o la rimozione dall'ufficio.
Can. 144 - § 1. Nell'errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva.
§ 2. La stessa norma sia applica alle facoltà di cui ai cann. 883, 966, e 1111, § 1.
Titolo IX
Gli uffici ecclesiastici
Can. 145 - § 1. L'ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale.
§ 2. Gli obblighi e i diritti propri dei singoli uffici ecclesiastici sono definiti sia dallo stesso diritto con cui l'ufficio viene costituito, sia dal decreto dell'autorità competente con cui viene insieme costituito e conferito.
Capitolo I
PROVVISIONE DELL'UFFICIO ECCLESIASTICO
Can. 146 - L'ufficio ecclesiastico non può essere validamente ottenuto senza provvisione canonica.
Can. 147 - La provvisione dell'ufficio ecclesiastico si effettua: per libero conferimento da parte dell'autorità ecclesiastica competente; per istituzione data dalla medesima, se precedente la presentazione; per conferma o per ammissione fatta dalla stessa, se precedette l'elezione o la postulazione; infine per semplice elezione e accettazione dell'eletto, se non esige conferma.
Can. 148 - All'autorità, cui spetta erigere, innovare e sopprimere gli uffici, compete pure la loro provvisione, a meno che non sia stabilito altro dal diritto.
Can. 149 - § 1. Perché uno sia promosso ad ufficio ecclesiastico, deve essere nella comunione della Chiesa e possedere l'idoneità, cioè essere dotato delle qualità, richieste per l'ufficio stesso dal diritto universale o particolare oppure dalla legge di fondazione.
§ 2. La provvisione dell'ufficio ecclesiastico fatta a colui che manca delle qualità richieste, è nulla soltanto se le qualità siano esatte espressamente per la validità della provvisione dal diritto universale o particolare oppure dalla legge di fondazione; altrimenti è valida, ma può essere rescissa per mezzo di un decreto dell'autorità competente o con sentenza del tribunale amministrativo.
§ 3. La provvisione dell'ufficio ecclesiastico fatta con simonia è nulla per lo stesso diritto.
Can. 150 - L'ufficio che comporta la piena cura della anime, ad adempiere la quale si richiede l'esercizio dell'ordine sacerdotale, non può essere conferito validamente a colui che non è ancora stato ordinato sacerdote.
Can. 151 - La provvisione dell'ufficio che comporta la cura delle anime non sia differita senza grave causa.
Can. 152 - A nessuno siano conferiti due o più uffici incompatibili, che cioè non possono essere espletati contemporaneamente dalla stessa persona.
Can. 153 - § 1. La provvisione di un ufficio non vacante di diritto è nulla per lo stesso fatto, né diventa valida per la susseguente vacanza.
§ 2. Se tuttavia si tratta di un ufficio che viene conferito di diritto a tempo determinato, la provvisione può essere fatta nei sei mesi prima del compimento di questo tempo, e ha effetto dal giorno della vacanza dell'ufficio.
§ 3. La promessa di un ufficio, da chiunque sia stata fatta, non produce alcun effetto giuridico.
Can. 154 - L'ufficio vacante di diritto, che sia eventualmente ancora posseduto da qualcuno illegittimamente, può essere conferito, purché sia stata dichiarata nel debito modo l'illegittimità del possesso, e di tale dichiarazione venga fatta menzione nella lettera di conferimento.
Can. 155 - Chi, facendo le veci di un altro che sia negligente o impedito, conferisce l'ufficio, non acquista da ciò nessuna potestà sulla persona cui fu conferito, ma la condizione giuridica di questi è costituita come se la provvisione fosse stata condotta a termine a norma ordinaria del diritto.
Can. 156 - La provvisione di qualsiasi ufficio sia consegnata per iscritto.
Art. 1
Il libero conferimento
Can. 157 - Se non è stato stabilito esplicitamente altro dal diritto, spetta al Vescovo diocesano provvedere con libero conferimento agli ecclesiastici nella propria Chiesa particolare.
Art. 2
La presentazione
Can. 158 - § 1. La presentazione a un ufficio ecclesiastico da parte di colui, cui compete il diritto di presentare, deve essere fatta all'autorità alla quale spetta dare l'istituzione all'ufficio di cui si tratta, e precisamente, se altro non è stato legittimamente disposto, entro tre mesi dalla ricezione della notizia della vacanza dell'ufficio.
§ 2. Se il diritto di presentazione compete a un collegio o a un gruppo di persone, colui che deve essere presentato sia designato osservando le disposizioni dei cann. 165-179.
Can. 159 - Nessuno sia presentato contro la sua volontà; di conseguenza colui che è proposto per essere presentato, richiesto del suo parere, se non rifiuta entro otto giorni utili, può essere presentato.
Can. 160 - § 1. Chi gode del diritto di presentazione, può presentare una o anche più persone, e questo sia contemporaneamente sia successivamente.
§ 2. Nessuno può presentare se stesso; un collegio o un gruppo di persone però può presentare uno dei suoi membri.
Can. 161 - § 1. Se non è stabilito altro dal diritto, chi ha presentato una persona riconosciuta non idonea può soltanto per una seconda volta presentare, entro un mese, un altro candidato.
§ 2. Se il presentato avesse rinunciato prima che sia stata fatta l'istituzione o fosse deceduto, chi gode del diritto di presentare, entro un mese dalla ricezione della notizia della rinuncia o della morte, può esercitare nuovamente il suo diritto.
Can. 162 - Chi, entro il tempo utile, a norma del can. 158, §1 e del can. 161, non ha fatto la presentazione, e parimenti colui che ha presentato due volte una persona riconosciuta non idonea, perde per quel caso il diritto di presentazione, e all'autorità cui spetta dare l'istituzione, compete liberamente all'ufficio vacante, con l'assenso tuttavia dell'Ordinario proprio del candidato alla provvisione.
Can. 163 - L'autorità, cui compete a norma del diritto istituire il presentato, istituisca legittimamente colui che avrà riconosciuto idoneo e che avrà accettato; che se parecchi, legittimamente presentati, fossero stati riconosciuti idonei, deve istituire uno dei medesimi.
Art. 3
L'elezione
Can. 164 - Nelle elezioni canoniche si osservino le disposizioni dei canoni che seguono, eccetto che il diritto non abbia previsto altro.
Can. 165 - Qualora non sia stato disposto altro dal diritto oppure dai legittimi statuti del collegio o del gruppo, se un collegio o un gruppo di persone avesse il diritto di eleggere a un ufficio, l'elezione non sia differita oltre il trimestre utile da computarsi dalla ricezione della notizia della vacanza dell'ufficio; trascorso inutilmente questo termine, l'autorità ecclesiastica, cui compete il diritto di confermare l'elezione o il diritto di provvedere sucessivamente, provveda liberamente all'ufficio vacante.
Can. 166 - § 1. Il presidente del collegio o del gruppo convochi tutti gli appartenenti al collegio o al gruppo; la convocazione poi, quando deve essere personale, ha valore, se viene fatta nel luogo del domicilio o del quasi-domicilio oppure nel luogo di dimora.
§ 2. Se qualcuno di quelli che devono essere chiamati fu trascurato e perciò è stato assente, l'elezione vale; purtuttavia su istanza del medesimo, una volta provata l'omissione e l'assenza, l'elezione, anche se fu confermata, deve essere rescissa dall'autorità competente, purché consti giuridicamente che il ricorso è stato trasmesso almeno entro tre giorni dalla ricezione della notizia dell'elezione.
§ 3. Che se fosse stata trascurata più della terza parte degli elettori, l'elezione è nulla per il diritto stesso, a meno che tutti i non convocati non siano effettivamente intervenuti.
Can. 167 - § 1. Fatta legittimamente la convocazione, hanno il diritto di dare il voto i presenti nel giorno e nel luogo determinati nella stessa convocazione, esclusa la facoltà di dare il voto sia per lettera sia per procuratore, a meno che non sia disposto legittimamente altro dagli statuti.
§ 2. Se qualcuno degli elettori è presente nella casa, in cui si tiene l'elezione, ma non può partecipare all'elezione per malferma salute, sia richiesto il suo voto scritto da parte degli scrutatori.
Can. 168 - Sebbene qualcuno abbia per più titoli il diritto di dare il voto a nome proprio, non può darne che uno solo.
Can. 169 - Perché l'elezione sia valida, non può essere ammesso al voto nessuno, che non appartenga al collegio o al gruppo.
Can. 170 - L'elezione, la cui libertà sia stata in qualche modo effettivamente impedita, è invalida per lo stesso diritto.
Can. 171 - § 1. Sono inabili a dare il voto:
      1° chi è incapace di atto umano;
      2° colui che manca di voce attiva;
      3° chi è legato dalla pena della scomunica sia per sentenza giudiziale sia per decreto con il quale la pena viene inflitta o dichiarata;
      4° colui che si è staccato notoriamente dalla comunione della Chiesa.
§ 2. Se uno dei predetti viene ammesso, il suo voto è nullo, ma l'elezione vale, a meno che non consti che , tolto quel voto, l'eletto non ha riportato il numero dei voti richiesto.
Can. 172 - § 1. Perché il voto sia valido, deve essere:
      1° libero; e perciò è invalido il voto di colui, che per timore grave o con dolo, direttamente o indirettamente, fu indotto ad eleggere una determinata persona o diverse persone disgiuntamente;
      2° segreto, certo, assoluto, determinato.
§ 2. Le condizioni poste al voto prima dell'elezione si ritengono come non aggiunte.
Can. 173 - § 1. Prima che cominci l'elezione, siano designati tra i membri del collegio o del gruppo almeno due scrutatori.
§ 2. Gli scrutatori raccolgano i voti e di fronte al presidente dell'elezione esaminino se il numero delle schede corrisponda al numero degli elettori, procedano allo scrutinio dei voti stessi e facciano a tutti sapere quanti voti abbia riportato ciascuno.
§ 3. Se il numero dei voti supera il numero di coloro che eleggono, nulla si è realizzato.
§ 4. Tutti gli atti dell'elezione siano accuratamente descritti da colui che funge da attuario, e, firmati almeno dallo stesso attuario, dal presidente e dagli scrutatori, siano diligentemente custoditi nell'archivio del collegio.
Can. 174 - § 1. L'elezione, se non è disposto altrimenti dal diritto o dagli statuti, può essere fatta anche per compromesso, a condizione cioè che gli elettori, con consenso unanime e scritto, trasferiscano per quella volta il diritto di eleggere ad una o a più persone idonee, sia membri sia estranee, le quali eleggano a nome di tutti in forza della facoltà ricevuta.
§ 2. Se si tratta di un collegio o di un gruppo formato da soli chierici, i compromissari devono essere costituiti nell'ordine sacro; altrimenti l'elezione è invalida.
§ 3. I compromissari devono osservare le disposizioni del diritto sulle elezioni e, per la validità dell'elezione, devono attenersi alle condizioni apposte al compromesso, non contrarie al diritto; le condizioni invece contrarie al diritto si ritengano come non apposte.
Can. 175 - Il compromesso cessa e il diritto di dare il voto ritorna ai compromettenti:
      1° con la revoca fatta dal collegio o dal gruppo, quando ancor nulla si è fatto;
      2° se rimane inadempiuta qualche condizione apposta al compromesso;
      3° se l'elezione effettuata risulta nulla.
Can. 176 - Se non è disposto altro dal diritto o dagli statuti, si ritenga eletto e vanga proclamato dal presidente del collegio o del gruppo colui che ha riportato il numero richiesto dei voti, a norma del can. 119, n. 1.
Can. 177 - § 1. L'elezione deve essere intimata immediatamente all'eletto, il quale deve notificare entro otto giorni utili dalla ricezione dell'intimazione al presidente del collegio o del gruppo se accetta l'elezione o no; altrimenti l'elezione non ha effetto.
§ 2. se l'eletto non ha accettato, perde ogni diritto proveniente dall'elezione e né questo rivive per una accettazione susseguente, ma può essere di nuovo eletto; il collegio o il gruppo, precisamente entro un mese dall'aver conosciuto la non accettazione, deve procedere a una nuova elezione.
Can. 178 - L'eletto, accettata l'elezione, che non necessiti di conferma, ottiene immediatamente l'ufficio con pieno diritto; altrimenti, non acquista se non il diritto alla cosa.
Can. 179 - § 1. Se l'elezione necessita di conferma, l'eletto, entro otto giorni dal giorno dell'accettazione dell'elezione, deve richiedere personalmente o per mezzo di un altro la conferma all'autorità competente; altrimenti è privo di ogni diritto, se non avrà provato di essere stato trattenuto da un giusto impedimento nel chiedere la conferma.
§ 2. L'autorità competente, se avrà trovato idoneo l'eletto a norma del can. 149, § 1, e l'elezione sia stata compiuta a norma del diritto, non può negare la conferma.
§ 3. La conferma deve essere data per riscritto.
§ 4. Prima dell'intimazione della conferma, non è lecito all'eletto intromettersi nell'amministrazione dell'ufficio sia nelle cose spirituali sia in quelle temporali, e gli atti eventualmente da lui posti sono nulli.
§ 5. Intimata la conferma, l'eletto ottiene l'ufficio con pieno diritto, a meno che non si disponga altrimenti dal diritto.
Art. 4
La postulazione
Can. 180 - § 1. Se all'elezione di colui, che gli elettori stimano più adatto e preferiscono, si frappone un impedimento canonico del quale si possa e si sia soliti concedere la dispensa, essi stessi con i propri voti lo possono postulare alla competente autorità, a meno che non sia disposto altro dal diritto.
Can. 181 - § 1. Perché la postulazione abbia valore, si richiedono almeno i due terzi dei voti.
§ 2. Il voto per la postulazione deve essere espresso per mezzo della parola: postulo , o termine equivalente; la formula: eleggo o postulo, o altra equipollente, vale per l'elezione, se l'impedimento non esista, altrimenti per la postulazione.
Can. 182 - § 1. La postulazione deve essere trasmessa dal presidente entro otto giorni utili all'autorità competente alla quale appartiene confermare l'elezione, cui spetta concedere la dispensa dall'impedimento, oppure, se non ha tale potestà, richiederla all'autorità superiore, se non si esige la conferma, la postulazione deve essere trasmessa all'autorità competente perché venga concessa la dispensa.
§ 2. Se la postulazione non fosse stata trasmessa entro il termine stabilito, per lo stesso fatto è nulla, e il collegio o il gruppo per quella volta è privato del diritto di eleggere o di postulare, a meno che non si provi che il presidente non sia stato trattenuto da un giusto impedimento nel trasmettere la postulazione o si sia astenuto dal trasmetterla a tempo opportuno per dolo o per negligenza.
§ 3. Il postulato non acquista alcun diritto dalla postulazione; l'autorità competente non è tenuta all'obbligo di ammetterla.
§ 4. Gli elettori non possono revocare la postulazione una volta fatta all'autorità competente, se non con il consenso dell'autorità stessa.
Can. 183 - § 1. Se non fu ammessa la postulazione da parte dell'autorità competente, il diritto di eleggere ritorna al collegio o al gruppo.
§ 2. Se invece la postulazione è stata ammessa, ciò sia reso noto al postulato, che deve rispondere a norma del can. 177, § 1.
§ 3. Chi accetta la postulazione ammessa, ottiene immediatamente l'ufficio con pieno diritto.
Capitolo II
PERDITA DELL'UFFICIO ECCLESIASTICO
Can. 184 - § 1. L'ufficio ecclesiastico si perde con lo scadere del tempo prestabilito, raggiunti i limiti d'età definiti dal diritto, per rinuncia, trasferimento, rimozione e anche privazione.
§ 2. Venuto meno in qualsiasi modo il diritto dell'autorità dalla quale fu conferito, l'ufficio ecclesiastico non si perde, a meno che non sia disposto altro dal diritto.
§ 3. La perdita dell'ufficio, che ha sortito effetto, sia resa nota quanto prima a tutti quelli cui compete un qualche diritto nella provvisione dell'ufficio.
Can. 185 - A colui, che perde l'ufficio per raggiunti limiti d'età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito.
Can. 186 - Allo scadere del tempo prestabilito o raggiunti i limiti d'età, la perdita dell'ufficio ha effetto soltanto dal momento, in cui è intimata per iscritto dalla competente autorità.
Art. 1
La rinuncia
Can. 187 - Chiunque è responsabile dei suoi atti può per giusta causa rinunciare all'ufficio ecclesiastico.
Can. 188 - La rinuncia fatta per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o per errore sostanziale oppure con simonia, è nulla per il diritto stesso.
Can. 189 - § 1. La rinuncia, perché abbia valore, sia che necessiti di accettazione o no, deve essere fatta all'autorità alla quale appartiene la provvisione dell'ufficio di cui si tratta, e precisamente per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni.
§ 2. L'autorità non accetti una rinuncia non fondata su una causa giusta e proporzionata.
§ 3. La rinuncia che necessita di accettazione, se non sia accettata entro tre mesi, manca di ogni valore; quella che non ha bisogno di accettazione sortisce l'effetto con la comunicazione del rinunciante fatta a norma del diritto.
§ 4. La rinuncia, fino a quando non abbia sortito l'effetto, può essere revocata da parte del rinunciante; conseguito l'effetto non può essere revocata, ma colui che ha rinunciato può conseguire l'ufficio per altro titolo.
Art. 2
Il trasferimento
Can. 190 - § 1. Il trasferimento può essere effettuato soltanto da parte di colui, che ha il diritto di provvedere all'ufficio che si perde e insieme all'ufficio che viene affidato.
§ 2. Se il trasferimento fosse fatto contro la volontà del titolare dell'ufficio, è richiesta una causa grave e, fermo sempre restando il diritto di esporre le ragioni contrarie, si osservi il modo di procedere disposto dal diritto.
§3. Il trasferimento, per sortire effetto, deve essere intimato per iscritto.
Can. 191 § 1. Nel trasferimento, il primo ufficio è vacante con il possesso del secondo ufficio canonicamente ottenuto, a meno che non si disponga altrimenti dal diritto o non sia stato imposto altro da parte dell'autorità competente.
§ 2. Il trasferito percepisce la remunerazione connessa con il primo ufficio, finché abbia ottenuto canonicamente il possesso del secondo.
Art. 3
La rimozione
Can. 192 - Una persona viene rimossa dall'ufficio sia per decreto legittimamente emesso dall'autorità competente, osservati i diritti acquisiti eventualmente dal contratto, sia per il diritto stesso a norma del can. 194.
Can. 193 - § 1. Non si può essere rimossi dall'ufficio che viene conferito a tempo indeterminato, se non per cause gravi e osservato il modo di procedere definito dal diritto.
§ 2. Lo stesso vale perché dall'ufficio, che a qualcuno è conferito a tempo determinato, uno possa essere rimosso prima dello scadere di questo tempo, fermo restando il disposto del can. 624, § 3.
§ 3. Dall'ufficio che, secondo le disposizioni del diritto, viene conferito a qualcuno a prudente discrezione dell'autorità competente, uno può per giusta causa essere rimosso, a giudizio della medesima autorità.
§ 4. Il decreto di rimozione, per sortire effetto, deve essere intimato per iscritto.
Can. 194 - § 1. E' rimosso dall'ufficio ecclesiastico per il diritto stesso:
      1° chi ha perso lo stato clericale;
      2° chi ha abbandonato pubblicamente la fede cattolica o la comunione della Chiesa;
      3° il chierico che ha attentato il matrimonio anche soltanto civile.
§ 2. La rimozione, di cui ai nn. 2 e 3, può essere sollecitata soltanto se della medesima consti da una dichiarazione dell'autorità competente.
Can. 195 - Se qualcuno, non però per il diritto stesso, ma per decreto dell'autorità competente sia rimosso dall'ufficio mediante il quale si provvede al suo sostentamento, la medesima autorità curi che gli sia assicurato il sostentamento per un congruo periodo di tempo, a meno che non si sia provvisto altrimenti.
Art. 4
La privazione
Can. 196 - § 1. La privazione dell'ufficio, vale a dire in pena di un delitto, può essere effettuata solamente a norma del diritto.
§ 2. La privazione sortisce effetto secondo le disposizioni dei canoni sul diritto penale.
Titolo X
La prescrizione
Can. 197 - La prescrizione, come modo di acquistare o di perdere un diritto soggettivo e anche di liberarsi da obblighi, è recepita dalla Chiesa quale si trova nella legislazione civile della rispettiva nazione, salve le eccezioni stabilite nei canoni di questo Codice.
Can. 198 - Nessuna prescrizione ha valore, se non è fondata sulla buona fede, non solo all'inizio, ma per tutto il decorso del tempo richiesto per la prescrizione, salvo il disposto del can. 1362.
Can. 199 - Non sono sottoposti alla prescrizione:
      1° i diritti e gli obblighi che sono di legge divina naturale o positiva;
      2° i diritti che si possono ottenere per il solo privilegio apostolico;
      3° i diritti e gli obblighi che riguardano direttamente la vita spirituale dei fedeli;
      4° i confini certi e indubitabili delle circoscrizioni ecclesiastiche;
      5° le elemosine e gli oneri delle Messe;
      6° la provvisione dell'ufficio ecclesiastico che a norma del diritto richiede l'esercizio dell'ordine sacro
      7° il diritto di visita e l'obbligo di obbedienza, quasi che i fedeli non possono essere visitati da nessuna autorità ecclesiastica e non siano più soggetti ad alcuna autorità.
Titolo XI
Il computo del tempo
Can. 200 - Se non è disposto espressamente altro dal diritto, il tempo si computa a norma dei canoni che seguono.
Can. 201 - § 1. Per tempo continuo s'intende quello che non può subire alcuna interruzione.
§ 2. Per tempo utile s'intende quello che compete in modo tale a chi esercita o persegue il suo diritto, che non decorra per chi ignora o non può effettivamente agire.
Can. 202 - § 1. Nel diritto, s'intende per giorno lo spazio che costa di 24 ore da computarsi in modo continuo, e comincia dalla mezzanotte, se non è disposto espressamente altro; per settimana lo spazio di 7 giorni; per mese lo spazio di 30 e per anno lo spazio di 365 giorni, a meno che il mese e l'anno non si dica di doverli prendere come sono nel calendario
§ 2. Se il tempo è continuo, il mese e l'anno sono sempre da prendere come sono nel calendario.
Can. 203 - § 1. Il giorno a quo non si computa nel termine, a meno che l'inizio di questo non coincida con l'inizio del giorno o non sia disposto espressamente altro dal diritto
§ 2. Se non è stabilito il contrario, il giorno ad quem si computa nel termine, il quale, se il tempo consta di uno o più mesi o anni, di una o più settimane, finisce trascorso l'ultimo giorno del medesimo numero oppure, se il mese manca del giorno medesimo numero, trascorso l'ultimo giorno del mese.
LIBRO II
IL POPOLO DI DIO
PARTE I
I FEDELI
Can. 204 - § 1. I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.
§ 2. Questa Chiesa, costituita e ordinata nel mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui.
Can. 205 - Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico.
Can. 206 - § 1. Per titolo particolare sono legati alla Chiesa i catecumeni, coloro cioè che, mossi dallo Spirito Santo, chiedono con intenzione esplicita di essere incorporati ad essa e di conseguenza, per questo desiderio, come pure per la vita di fede, di speranza e di carità che essi conducono, sono congiunti alla chiesa, che già ne cura come suoi.
§ 2. La Chiesa dedica una cura particolare ai catecumeni, e mentre li invita a condurre una vita evangelica e li introduce alla celebrazione dei riti sacri, già ad essi elargisce diverse prerogative che sono proprie dei cristiani.
Can. 207 - § 1. Per istituzione divina vi sono nella Chiesa i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici.
§ 2. Dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, con la professione dei consigli evangelici mediante voti o altri vincoli sacri, riconosciuti e sanciti dalla Chiesa, sono consacrati in modo speciale a Dio e dànno incremento alla missione salvifica della Chiesa; il loro stato, quantunque non riguardi la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia alla sua vita e alla sua santità.
Titolo I
Obblighi e diritti di tutti i fedeli
Can. 208 - Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell'agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all'edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno.
Can. 209 - § 1. I fedeli sono tenuti all'obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa.
§ 2. Adempiano con grande diligenza i doveri cui sono tenuti sia nei confronti della Chiesa universale, sia nei confronti della Chiesa particolare alla quale appartengono, secondo le disposizioni del diritto.
Can. 210 - Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.
Can. 211 - Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l'annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.
Can. 212 - § 1. I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa.
§ 2. I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri.
§ 3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l'utilità comune e la dignità della persona.
Can. 213 - I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti.
Can. 214 - I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa.
Can. 215 - I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongono un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongono l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità.
Can. 216 - Tutti i fedeli, in quanto partecipano alla missione della Chiesa, hanno il diritto, secondo lo stato e la condizione di ciascuno, di promuovere o di sostenere l'attività apostolica anche con proprie iniziative; tuttavia nessuna iniziativa rivendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso dell'autorità ecclesiastica competente.
Can. 217 - I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica, hanno diritto all'educazione cristiana, con cui possano essere formati a conseguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a conoscere e a vivere il mistero della salvezza.
Can. 218 - Coloro che si dedicano alle scienze sacre godono della giusta libertà di investigare e di manifestare con prudenza il loro pensiero su ciò di cui sono esperti, conservando il dovuto ossequio nei confronti del magistero della Chiesa.
Can. 219 - Tutti i fedeli hanno il diritto di essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita.
Can. 220 - Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità.
Can. 221 - § 1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma di diritto.
§ 2. I fedeli hanno anche il diritto, se sono chiamati in giudizio dall'autorità competente, di essere giudicati secondo le disposizioni di legge, da applicare con equità.
§ 3. I fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge.
Can. 222- § 1. I fedeli sono tenuti all'obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l'onesto sostentamento dei ministri.
§ 2. Sono anche tenuti all'obbligo di promuovere le giustizia sociale, come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri coi propri redditi.
Can. 223 - § 1. Nell'esercizio dei propri diritti i fedeli, sia come singoli sia riuniti in associazioni, devono tener conto del bene comune della Chiesa, dei diritti altrui e dei propri doveri nei confronti degli altri.
§ 2. Spetta all'autorità ecclesiastica, in vista del bene comune, regolare l'esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli.
Titolo II
Obblighi e diritti dei fedeli laici
Can. 224 - I fedeli laici, oltre agli obblighi e ai diritti che sono comuni a tutti i fedeli e oltre a quelli che sono stabiliti negli altri canoni, sono tenuti agli obblighi e godono dei diritti elencati nei canoni del presente titolo.
Can. 225 - § 1. I laici, dal momento che, come tutti i fedeli, sono deputati da Dio all'apostolato mediante il battesimo e la confermazione, sono tenuti all'obbligo generale e hanno il diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l'annuncio della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo; tale obbligo li vincola ancora maggiormente in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro.
§ 2. Sono tenuti anche al dovere specifico, ciascuno secondo la propria condizione, di animare e perfezionare l'ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico e in tal modo di rendere testimonianza a Cristo, particolarmente nel trattare tali realtà e nell'esercizio dei compiti secolari.
Can. 226 - § 1. I laici che vivono nello stato coniugale, secondo la propria vocazione, sono tenuti al dovere specifico di impegnarsi, mediante il matrimonio e la famiglia, nell'edificazione del popolo di Dio.
§ 2. I genitori, poiché hanno dato ai figli la vita, hanno l'obbligo gravissimo e il diritto di educarli; perciò spetta primariamente ai genitori cristiani curare l'educazione cristiana dei figli secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa.
Can. 227 - E' diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria opinione come dottrina della Chiesa.
Can. 228 - § 1. I laici che risultano idonei, sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto.
§ 2. I laici che si distinguono per scienza adeguata, per prudenza e per onestà, sono idonei a prestare aiuto ai Pastori della Chiesa come esperti o consiglieri, anche nei consigli a norma del diritto.
Can. 229 - § 1. I laici, per essere in grado di vivere la dottrina cristiana, per poterla annunciare essi stessi e, se necessario, difenderla, e per potere inoltre partecipare all'esercizio dell'apostolato, sono tenuti all'obbligo e hanno il diritto di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alla capacità e alla condizione di ciascuno.
§ 2. Hanno anche il diritto di acquistare quella conoscenza più piena delle scienze sacre che viene data nelle università e facoltà ecclesiastiche o negli istituti di scienze religiose, frequentandovi le lezioni e conseguendovi i gradi accademici.
§ 3. Così pure, osservate le disposizioni stabilite in ordine alla idoneità richiesta, hanno la capacità di ricevere dalla legittima autorità ecclesiastica il mandato di insegnare le scienze sacre.
Can. 230 - § 1. I laici di sesso maschile, che abbiano l'età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa.
§ 2. I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici godono della facoltà di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto.
§ 3. Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.
Can. 231 - § 1. I laici, designati in modo permanente o temporaneo ad un particolare servizio della Chiesa, sono tenuti all'obbligo di acquisire la adeguata formazione, richiesta per adempiere nel modo dovuto il proprio incarico e per esercitarlo consapevolmente, assiduamente e diligentemente.
§ 2. Fermo restando il disposto del can. 230, § 1, essi hanno diritto ad una onesta remunerazione adeguata alla loro condizione, per poter provvedere decorosamente, anche nel rispetto delle disposizioni del diritto civile, alle proprie necessità e a quelle della famiglia; hanno inoltre diritto che si garantiscano la previdenza sociale, le assicurazioni sociali e l'assistenza sanitaria.
Titolo III
I ministri sacri o chierici
Capitolo I
LA FORMAZIONE DEI CHIERICI
Can. 232 - La Chiesa ha il dovere e il diritto proprio ed esclusivo di formare coloro che sono destinati ai ministeri sacri.
Can. 233 - § 1. E' dovere di tutta la comunità cristiana promuovere le vocazioni affinché si possa convenientemente provvedere alla necessità del sacro ministero in tutta la Chiesa; hanno questo dovere specialmente le famiglie cristiane, gli educatori, e in modo particolare i sacerdoti, soprattutto i parroci. I Vescovi diocesani, ai quali spetta in sommo grado curare la promozione delle vocazioni, rendano consapevole il popolo loro affidato sull'importanza del ministero sacro e sulla necessità di ministri nella Chiesa, suscitino e sostengano le iniziative atte a favorire le vocazioni, soprattutto mediante le opere istituite a tale scopo.
§ 2. I sacerdoti e soprattutto i Vescovi diocesani si impegnino perché coloro che in età più matura si ritengono chiamati ai ministeri sacri siano prudentemente aiutati con la parola e con l'opera e preparati nel debito modo.
Can. 234 - § 1. Si mantengano, dove esistono, e si favoriscano i seminari minori o altri istituti simili; in essi, allo scopo di incrementare le vocazioni, si provveda a dare una particolare formazione religiosa insieme con una preparazione umanistica e scientifica; anzi, se lo ritiene opportuno, il Vescovo diocesano provveda all'erezione del seminario minore o di un istituto analogo.
§ 2. A meno che in casi determinati le circostanze non suggeriscano diversamente, i giovani che intendono essere ammessi al sacerdozio siano forniti della stessa formazione umanistica e scientifica con la quale i giovani di quella regione vengono preparati a compiere gli studi superiori.
Can. 235 - § 1. I giovani che intendono accedere al sacerdozio siano formati ad una vita spirituale ad esso confacente e ai relativi doveri presso il seminario maggiore durante tutto il tempo della formazione, oppure, se a giudizio del Vescovo diocesano le circostanze lo richiedono, almeno per quattro anni.
§ 2. Coloro che legittimamente dimorano fuori del seminario, siano affidati dal Vescovo diocesano ad un sacerdote pio e idoneo, affinché abbia cura che siano diligentemente formati alla vita spirituale e alla disciplina.
Can. 236 - I candidati al diaconato permanente, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, siano formati a condurre una vita evangelica e siano preparati a compiere nel debito modo i doveri propri dell'ordine:
      1° se sono giovani, dimorando almeno per tre anni in una casa specifica, a meno che per gravi ragioni il Vescovo diocesano non abbia disposto diversamente;
      2° se sono uomini di età più matura, sia celibi sia coniugati, mediante un progetto formativo della durata di tre anni, determinato dalla Conferenza Episcopale.
Can. 237 - § 1. Dove risulta possibile e opportuno, vi sia nelle singole diocesi il seminario maggiore; altrimenti gli alunni che si preparano ai ministeri sacri vengano affidati ad un altro seminario oppure venga eretto un seminario interdiocesano.
§ 2. Non si eriga un seminario interdiocesano se prima non è stata ottenuta l'approvazione della Sede Apostolica, sia in ordine alla erezione del seminario, sia in ordine ai suoi statuti: da parte della Conferenza Episcopale, se si tratta di un seminario per tutto il territorio corrispondente, altrimenti da parte dei Vescovi interessati.
Can. 238 - § 1. I seminari eretti legittimamente godono per il diritto stesso di personalità giuridica nella Chiesa.
§ 2. Nel trattare tutti gli affari il rettore rappresenta il seminario, a meno che, per determinate questioni, l'autorità competente non abbia stabilito in modo diverso.
Can. 239 - § 1. In ogni seminario vi sia il rettore che lo dirige e, se del caso, un vice-rettore, l'economo e inoltre, se gli alunni compiono gli studi nel seminario stesso, anche i docenti i quali insegnino le varie discipline curandone la reciproca coordinazione.
§ 2. In ogni seminario vi sia almeno un direttore spirituale, lasciando gli alunni la libertà di rivolgersi ad altri sacerdoti ai quali il Vescovo abbia affidato tale incarico.
§ 3. Negli statuti del seminario siano stabilite le modalità secondo cui gli altri moderatori, gli insegnati e anche gli stessi alunni possano condividere la responsabilità del rettore, soprattutto per quanto riguarda la disciplina.
Can. 240 - § 1. Oltre ai confessori ordinari, si facciano venire regolarmente nel seminario altri confessori e, salva la disciplina del seminario, gli alunni abbiano sempre ampia possibilità di rivolgersi a qualsiasi confessore sia all'interno sia all'esterno del seminario.
§ 2. Nel prendere decisioni riguardanti l'ammissione degli alunni agli ordini o la loro dimissione dal seminario, non può mai essere richiesto il parere del direttore spirituale e dei confessori.
Can. 241 - § 1. Il Vescovo diocesano ammetta al seminario maggiore soltanto coloro che, sulla base delle loro doti umane e morali, spirituali e intellettuali, della loro salute fisica e psichica e della loro retta intenzione, sono ritenuti idonei a consacrarsi per sempre ai ministeri sacri.
§ 2. Prima di essere accolti, devono presentare i certificati di battesimo e di confermazione e gli altri documenti richiesti secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale.
§ 3. Quando si tratta di ammettere alunni dimessi da un altro seminario o da un istituto religioso, si richiede inoltre la dichiarazione del rispettivo superiore, soprattutto circa la causa della dimissione o dell'uscita.
Can. 242 - § 1. In ogni nazione vi sia una Ratio di formazione sacerdotale, emanata dalla Conferenza Episcopale sulla base delle norme fissate dalla suprema autorità della Chiesa e approvata dalla Santa Sede, adattabile alle nuove situazioni con una nuova approvazione della Santa Sede; in essa vengono definiti i principi essenziali e le norme generali della formazione seminaristica, adattate alle necessità pastorali di ogni regione o provincia.
§ 2. Le norme della Ratio di cui al § 1 siano osservate in tutti i seminari, sia diocesani sia interdiocesani.
Can. 243 - Ogni seminario abbia inoltre il proprio regolamento approvato dal Vescovo diocesano o, se si tratta di un seminario interdiocesano, dai Vescovi interessati; in esso si adattino le norme della Ratio di formazione sacerdotale alle situazioni particolari e si determinino in modo più preciso soprattutto le questioni disciplinari che riguardano la vita quotidiana degli alunni e il buon ordine di tutto il seminario.
Can. 244 - La formazione spirituale e l'insegnamento dottrinale degli alunni del seminario vengano coordinati armonicamente e siano finalizzati a far loro acquisire lo spirito del Vangelo e un rapporto profondo con Cristo, unito ad una adeguata maturità umana, secondo l'indole di ciascuno.
Can. 245 § 1. Mediante la formazione spirituale gli alunni siano resi idonei all'esercizio fecondo del ministero pastorale e siano permeati di spirito missionario, consapevoli che l'adempimento fedele del ministero in atteggiamento costante di fede viva e di carità contribuisce alla propria santificazione; imparino insieme a coltivare quelle virtù che sono ritenute di grande importanza nella convivenza umana, cosicché siano in grado di giungere ad una adeguata armonia tra i valori umani e i valori soprannaturali.
§ 2. Gli alunni siano formati in modo tale che, pieni di amore per la Chiesa di Cristo, abbiano un profondo legame di carità, umile e filiale, con il Romano Pontefice successore di Pietro, siano uniti al proprio Vescovo come fedeli cooperatori e collaborino con i fratelli; mediante la vita comune nel seminario e mediante la pratica di un rapporto di amicizia e di familiarità con gli altri, si dispongano alla fraterna comunione col presbiterio diocesano di cui faranno parte al servizio della Chiesa.
Can. 246 - § 1. La celebrazione eucaristica sia il centro di tutta la vita del seminario, in modo che ogni giorno gli alunni, partecipando alla stessa carità di Cristo, attingano soprattutto a questa fonte ricchissima forza d'animo per il lavoro apostolico e per la propria vita spirituale.
§ 2. Siano formati alla celebrazione della liturgia delle ore, mediante la quale i ministri di Dio lo invocano a nome della Chiesa per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo.
§ 3. Siano incrementati il culto della Beata Vergine Maria, anche con il rosario mariano, l'orazione mentale e gli altri esercizi di pietà con cui gli alunni acquisiscono lo spirito di preghiera e consolidano la vocazione.
§ 4. Gli alunni si abituino ad accostarsi con frequenza al sacramento della penitenza; si raccomanda inoltre che ognuno abbia il proprio direttore spirituale, scelto liberamente, a cui possa aprire con fiducia la propria coscienza.
§ 5. Gli alunni facciano ogni anno gli esercizi spirituali.
Can. 247 - § 1. Siano preparati mediante un'adeguata educazione a vivere lo stato del celibato e imparino ad apprezzarlo come dono peculiare di Dio.
§ 2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale
Can. 248 - L'insegnamento dottrinale impartito agli alunni è finalizzato ad acquisire una dottrina ampia e solida nelle scienze sacre, parallelamente ad una cultura generale rispondente alle necessità di luogo e di tempo, in modo che, mediante la propria fede in essa fondata e da essa nutrita, siano in grado di annunciare convenientemente il messaggio del Vangelo agli uomini del proprio tempo, in modo adeguato alla loro capacità.
Can. 249 - Nella Ratio di formazione sacerdotale si stabilisca che gli alunni conoscano accuratamente non solo la lingua del proprio paese, ma abbiano anche una buona conoscenza della lingua latina e inoltre un'adeguata conoscenza delle lingue straniere, nella misura in cui essa risulti necessaria o utile alla loro formazione o all'esercizio del ministero pastorale.
Can. 250 - Gli studi filosofici e teologici che sono programmati nel seminario possono essere compiuti o in modo successivo o in modo congiunto, secondo la Ratio di formazione sacerdotale; essi devono comprendere almeno un sessennio completo, in modo tale che il periodo riservato alle discipline filosofiche corrisponda ad un intero biennio, il periodo riservato agli studi teologici ad un intero quadriennio.
Can. 251 - La formazione filosofica, radicata nel patrimonio filosofico perennemente valido, ma attenta anche al continuo progresso della ricerca, venga impartita in modo da arricchire la formazione umana degli alunni, da esaltare l'acutezza del pensiero e da renderli più idonei gli studi teologici.
Can. 252 - § 1. La formazione teologica, illuminata dalla fede e guidata dal Magistero, venga impartita in modo che gli alunni conoscano integralmente la dottrina cattolica, fondata sulla Rivelazione divina, ne alimentino la loro vita spirituale e siano in grado di annunciarla e difenderla in modo appropriato nell'esercizio del ministero.
§ 2. Gli alunni vengano istruiti con particolare diligenza nella sacra Scrittura, in modo da acquisirne una visione globale.
§ 3. Vi siano lezioni di teologia dogmatica, radicata sempre nella parola di Dio scritta e nella sacra Tradizione, mediante le quali gli alunni imparino a penetrare più intimamente i misteri della salvezza, seguendo soprattutto la dottrina di s. Tommaso; inoltre lezioni di teologia morale e pastorale, di diritto canonico, di liturgia, di storia ecclesiastica e di altre discipline, ausiliarie e speciali, secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale.
Can. 253 - § 1. All'incarico di insegnante nelle discipline filosofiche, teologiche e giuridiche siano nominati dal Vescovo o dai Vescovi interessati soltanto coloro che, distinti per virtù, abbiano conseguito il dottorato o la licenza in una università o facoltà riconosciuta dalla Santa Sede.
§ 2. Si abbia cura che vengano nominati insegnanti singoli e distinti per l'insegnamento di sacra Scrittura, teologia dogmatica, teologia morale, liturgia, filosofia, diritto canonico, storia ecclesiastica e delle altre discipline, che devono essere insegnate secondo un proprio metodo.
§ 3. L'insegnante che in modo grave venga meno al suo incarico sia rimosso dall'autorità di cui al § 1.
Can. 254 - § 1. Nell'insegnamento delle diverse discipline gli insegnanti pongano costantemente in evidenza l'intima unità e armonia di tutta la dottrina della fede, affinché gli alunni possano sperimentare l'apprendimento di un'unica scienza; per conseguire più agevolmente questo scopo, vi sia nel seminario chi coordina tutto il piano degli studi.
§ 2. Gli alunni vengano educati alla capacità di esaminare con metodo scientifico le varie questioni mediante adeguate ricerche personali; ci siano perciò esercitazioni con le quali, sotto la guida degli insegnanti, gli alunni imparino a compiere qualche ricerca col proprio lavoro.
Can. 255 - Quantunque tutta la formazione degli alunni nel seminario si proponga una finalità pastorale, vi si programmi una preparazione pastorale in senso stretto che insegni agli alunni i principi e i metodi che riguardano l'esercizio del ministero di insegnare, santificare e governare il popolo di Dio, tenendo anche presenti le necessità di luogo e di tempo.
Can. 256 - § 1. Gli alunni vengano diligentemente istruiti in tutto ciò che riguarda in modo specifico il sacro ministero, soprattutto nell'attività catechetica e omiletica, nel culto divino e in modo particolare nella celebrazione dei sacramenti, nel dialogo con le persone, anche non cattoliche o non credenti, nell'amministrazione parrocchiale e nell'adempimento di tutti gli altri impegni.
§ 2. Gli alunni siano resi consapevoli delle necessità della Chiesa universale in modo che siano solleciti nel promuovere le vocazioni, dei problemi missionari ed ecumenici e inoltre dei vari problemi particolarmente urgenti, anche di carattere sociale
Can. 257 - § 1. La formazione degli alunni sia impostata in modo che sentano la sollecitudine non solo della Chiesa particolare al servizio della quale sono incardinati, ma anche della Chiesa universale e in modo che si dimostrino pronti a dedicarsi alle Chiese particolari in cui urgano gravi necessità.
§ 2. Il Vescovo diocesano abbia cura che i chierici che hanno intenzione di trasferirsi dalla propria ad una Chiesa particolare di un'altra regione, siano preparati convenientemente ad esercitarvi il ministero sacro, che imparino cioè la lingua della regione, abbiano conoscenza delle sue istituzioni, delle condizioni sociali, degli usi e delle consuetudini.
Can. 258 - Perché gli alunni imparino anche nella pratica il metodo dell'azione apostolica, durante il periodo degli studi e soprattutto nel tempo delle vacanze siano iniziati, sempre sotto la guida di un sacerdote esperto, alla prassi pastorale mediante opportune esperienze da determinare secondo il giudizio dell'Ordinario, adatte all'età degli alunni e alle situazioni locali.
Can. 259 - § 1. Spetta al Vescovo diocesano oppure, se si tratta di un seminario interdiocesano, ai Vescovi interessati, decidere ciò che riguarda l'alta direzione ed amministrazione del seminario.
§ 2. Il Vescovo diocesano o i Vescovi interessati, se si tratta di un seminario interdiocesano, visitino di persona frequentemente il seminario, vigilino sulla formazione dei propri alunni e sull'insegnamento filosofico e teologico che viene impartito, si informino inoltre sulla vocazione, l'indole, la pietà e il progresso degli alunni, in vista soprattutto del conferimento degli ordini sacri.
Can. 260 - Nell'adempimento dei propri incarichi, tutti devono obbedire al rettore al quale spetta la direzione quotidiana del seminario, a norma della Ratio di formazione sacerdotale e dal regolamento del seminario.
Can. 261 - § 1. Il rettore del seminario, come pure, sotto la sua autorità, i superiori e gli insegnanti, ciascuno per la parte che gli compete, curino che gli alunni osservino fedelmente le norme fissate dalla Ratio di formazione sacerdotale e del regolamento del seminario.
§ 2. Il rettore del seminario e il moderatore degli studi provvedano con diligenza che gli insegnanti adempiano nel debito modo il loro incarico, secondo le disposizioni della Ratio di formazione sacerdotale e del regolamento del seminario.
Can. 262 - Il seminario sia esente dalla giurisdizione parrocchiale; per tutti coloro che si trovano nel seminario svolge l'ufficio di parroco, ad eccezione della materia matrimoniale e fermo restando il disposto del can. 985, il rettore del seminario o un suo delegato.
Can. 263 - IL Vescovo diocesano oppure, se si tratta di un seminario interdiocesano, i Vescovi interessati, nella misura che essi stessi hanno determinato di comune accordo, devono fare in modo che si provveda alla costituzione e alla conservazione del seminario, al sostentamento degli alunni, alla rimunerazione degli insegnanti e alle altre necessità del seminario.
Can. 264 - § 1. Per provvedere alle necessità del seminario, oltre all'offerta di cui al can. 1266, il Vescovo può imporre nella diocesi un tributo.
§ 2. Sono soggette al tributo per il seminario tutte le persone giuridiche ecclesiastiche, anche private che hanno sede in diocesi, a meno che non si sostengano solo di elemosine oppure non abbiano attualmente un collegio di studenti o di docenti finalizzato a promuovere il bene comune della Chiesa; tale tributo deve essere generale, proporzionato ai redditi di coloro che vi sono soggetti e determinato secondo le necessità del seminario.
Capitolo II
L'ASCRIZIONE DEI CHIERICI O INCARDINAZIONE
Can. 265 - Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbia la facoltà, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi.
Can. 266 - § 1. Uno diviene chierico con l'ordinazione diaconale e viene incardinato nella Chiesa particolare o nella Prelatura personale al cui servizio è stato ammesso.
§ 2. Il professo con voti perpetui in un istituto religioso oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l'ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell'istituto o nella società, a meno che, per quanto riguarda le società, le costituzioni non prevedano diversamente.
§ 3. Il membro di un istituto secolare con l'ordinazione diaconale viene incardinato nella Chiesa particolare al cui servizio è stato ammesso, a meno che, in forza di una concezione della Sede Apostolica, non venga incardinato nell'istituto stesso.
Can. 268 - § 1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un'altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest'ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera.
§ 2. Con l'ammissione perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica, il chierico che a norma del can. 266, è incardinato in tale istituto o società, viene escardinato dalla propria Chiesa particolare.
269 - Il Vescovo diocesano non proceda all'incardinazione di un chierico se non quando:
      1° ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l'onesto sostentamento dei chierici;
      2° gli consti da un documento legittimo la concessione dell'escardinazione e inoltre abbia avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano di escardinazione, se necessario sotto segreto, sulla vita, sui costumi e sugli studi del chierico;
      3° il chierico abbia dichiarato per iscritto al Vescovo diocesano stesso di volersi dedicare al servizio della nuova Chiesa particolare a norma del diritto.
Can. 270 - L'escardinazione può essere lecitamente concessa solo per giusti motivi, quali l'utilità della Chiesa o il bene del chierico stesso; tuttavia non può essere negata se non in presenza di gravi cause; però il chierico che ritenga gravosa la decisione nei suoi confronti e abbia trovato un Vescovo che lo accoglie, può fare ricorso contro la decisione stessa.
Can. 271 - § 1. Al di fuori di una situazione di vera necessità per la propria Chiesa particolare, il Vescovo diocesano non neghi la licenza di trasferirsi ai chierici che sappia preparati e ritenga idonei ad andare in regioni afflitte da grave scarsità di clero, per esercitarvi il ministero sacro; provveda però che, mediante una convenzione scritta con il Vescovo diocesano del luogo a cui sono diretti, vengano definiti i diritti e i doveri dei chierici in questione.
§ 2. Il Vescovo diocesano può concedere ai suoi chierici la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare per un tempo determinato, rinnovabile anche più volte, in modo però che i chierici rimangano incardinati nella propria Chiesa particolare e, se vi ritornano, godano di tutti i diritti che avrebbero se avessero esercitato in essa il ministero sacro.
§ 3. Il chierico che è passato legittimamente ad un'altra Chiesa particolare, rimanendo incardinato nella propria Chiesa, per giusta causa può essere richiamato dal proprio Vescovo diocesano, purché siano rispettate le convenzioni stipulate con l'altro Vescovo e l'equità naturale; ugualmente, alle stesse condizioni, il Vescovo diocesano dell'altra Chiesa particolare potrà, per giusta causa, negare al chierico la licenza di un 'ulteriore permanenza nel suo territorio.
Can. 272 - L'Amministratore diocesano non può concedere l'escardinazione e l'incardinazione, come pure la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare, se non dopo un anno di sede episcopale vacante e col consenso del collegio dei consultori.
Capitolo III
OBBLIGHI E DIRITTI DEI CHIERICI
Can. 273 - I chierici sono tenuti all'obbligo speciale di prestare rispetto e obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario.
Can. 274 - § 1. Solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo ecclesiastico.
§ 2. I chierici, se non sono scusati da un impedimento legittimo, sono tenuti ad accettare e adempiere fedelmente l'incarico loro affidato dal proprio Ordinario.
Can. 275- § 1. I chierici, dal momento che tutti operano per un unico fine, cioè l'edificazione del Corpo di Cristo, siano uniti tra loro col vincolo della fraternità e della preghiera e si impegnino a collaborare tra loro, secondo le disposizioni del diritto particolare.
§ 2. I chierici riconoscano e promuovano la missione che i laici, secondo la loro specifica condizione, esercitano nella Chiesa e nel mondo.
Can. 276 - § 1. Nella loro condotta di vita i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità, in quanto, consacrati a Dio per un nuovo titolo mediante l'ordinazione, sono dispensatori dei misteri di Dio al servizio del Suo popolo.
§ 2. Per essere in grado di perseguire tale perfezione:
      1° innanzitutto adempiano fedelmente e indefessamente i doveri del ministero pastorale;
      2° alimentino la propria vita spirituale alla duplice mensa della sacra Scrittura e dell'Eucarestia; i sacerdoti perciò sono caldamente invitati ad offrire ogni giorno il Sacrificio eucaristico, i diaconi poi a parteciparvi quotidianamente;
      3° i sacerdoti e i diaconi aspiranti al presbiterato sono obbligati a recitare ogni giorno la liturgia delle ore secondo i libri liturgici approvati; i diaconi permanenti nella misura definita dalla Conferenza Episcopale.
      4° sono ugualmente tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare;
      5° sono sollecitati ad attendere regolarmente all'orazione mentale, ad accostarsi frequentemente al sacramento della penitenza, a coltivare una particolare devozione alla Vergine Madre di Dio, e ad usufruire degli altri mezzi di santificazione comuni e particolari.
Can. 277 - § 1. I chierici sono tenuti all'obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.
§ 2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l'obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.
§ 3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull'osservanza di questo obbligo nei casi particolari.
Can. 278 - § 1. E' diritto dei chierici secolari associarsi con altri in vista di finalità confacenti allo stato clericale.
§ 2. I chierici secolari diano importanza soprattutto alle associazioni le quali, avendo gli statuti approvati dall'autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l'aiuto fraterno, stimolano alla santità nell'esercizio del ministero e favoriscono l'unità dei chierici fra di loro e col proprio Vescovo.
§ 3. I chierici si astengano dal fondare o partecipare ad associazioni il cui fine o la cui attività non sono compatibili con gli obblighi propri dello stato clericale, oppure possono ostacolare il diligente compimento dell'incarico loro affidato dalla competente autorità ecclesiastica.
Can. 279 - § 1. I chierici proseguano gli studi sacri anche dopo l'ordinazione sacerdotale e seguano la solida dottrina fondata sulla sacra Scrittura, tramandata dal passato e comunemente accolta dalla Chiesa, secondo quanto viene determinato particolarmente dai documenti dei Concili e dei Romani Pontefici, evitando le vane novità e la falsa scienza.
§ 2. Secondo le disposizioni del diritto particolare, i sacerdoti frequentino le lezioni di carattere pastorale che devono essere programmate dopo l'ordinazione sacerdotale e inoltre, nei tempi stabiliti dal diritto stesso, partecipino anche ad altre lezioni, convegni teologici o conferenze con le quali si offra loro l'occasione di acquisire una conoscenza più approfondita delle scienze sacre e delle metodologie pastorali.
§ 3. Proseguano anche nell'apprendimento di altre scienze, quelle soprattutto che hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell'esercizio del ministero pastorale.
Can. 280 - Si raccomanda vivamente ai chierici di praticare una consuetudine di vita comune; dove essa è attuata, per quanto è possibile, si mantenga.
Can. 281 - § 1. Ai chierici, in quanto si dedicano al ministero ecclesiastico, spetta una rimunerazione adeguata alla loro condizione, tenendo presente sia la natura dell'ufficio, sia le circostanze di luogo e di tempo, perché con essa possano provvedere alle necessità della propria vita e alla giusta retribuzione di chi è al loro servizio.
§ 2. Così pure occorre fare in modo che usufruiscano della previdenza sociale con cui sia possibile provvedere convenientemente alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o di vecchiaia.
§ 3. I diaconi coniugati, che si dedicano a tempo pieno al ministero ecclesiastico, siano rimunerati in modo che siano in grado di provvedere al proprio sostentamento e a quello della loro famiglia; coloro poi che ricevono una rimunerazione per la professione civile che esercitano o hanno esercitato, provvedano ai loro bisogni e a quelli della propria famiglia con i redditi provenienti da tale rimunerazione.
Can. 282 - § 1. I chierici conducano una vita semplice e si astengano da tutto quello che può avere sapore di vanità.
§ 2. I beni di cui vengono in possesso in occasione dell'esercizio di un ufficio ecclesiastico e che avanzano, dopo aver provveduto con essi al proprio onesto sostentamento e all'adempimento di tutti i doveri del proprio stato, siano da loro impiegati per il bene della Chiesa e per opere di carità.
Can. 283 - § 1. I chierici, anche se non hanno un ufficio residenziale, non si allontanino dalla propria diocesi per un tempo notevole, che va determinato dal diritto particolare, senza la licenza almeno presunta dell'Ordinario proprio.
§ 2. Spetta ai chierici usufruire ogni anno di un tempo conveniente e sufficiente di ferie, determinato dal diritto universale o particolare.
Can. 284 - I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.
Can. 285 - § 1. I chierici si astengano del tutto da ciò che è sconveniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare.
§ 2. Evitino ciò che, pur non essendo indecoroso, è alieno dallo stato clericale.
§ 3. E' fatto divieto ai chierici di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione all'esercizio del potere civile.
§ 4. Senza la licenza del proprio Ordinario non intraprendano amministrazioni dei beni riguardanti i laici né esercitino uffici secolari che comportino l'onere del rendiconto; è loro proibita la fideiussione, anche su propri beni, senza consultare il proprio Ordinario; così pure si astengano dal firmare cambiali, quelle cioè con cui viene assunto l'impegno di pagare un debito senza una causa definita.
Can. 286 - E' proibito ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l'attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica.
Can. 287 § 1. I chierici favoriscano sempre in sommo grado il mantenimento, fra gli uomini, della pace e della concordia fondate sulla giustizia.
§ 2. Non abbiano parte attiva nei partiti politici e nella guida di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, non lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa o la promozione del bene comune.
Can. 288 - I diaconi permanenti non sono tenuti alle disposizioni dei cann. 284, 285, §§ 3 e 4, 286, 287, § 2, a meno che il diritto particolare non stabilisca diversamente.
Can. 289 - § 1. Poiché il servizio militare propriamente non si addice allo stato clericale, i chierici e i chierici candidati agli Ordini sacri non prestino il servizio militare volontario, se non su licenza del proprio Ordinario.
§ 2. I chierici usufruiscano delle esenzioni dell'esercitare incarichi e pubblici uffici civili estranei allo stato clericale, concesse in loro favore dalle leggi stesse o dalle convenzioni o dalle consuetudini, a meno che in casi particolari il proprio Ordinario non abbia disposto diversamente.
Capitolo IV
LA PERDITA DELLO STATO CLERICALE
Can. 290 - La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla. Tuttavia il chierico perde lo stato clericale:
      1° Per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l'invalidità della sacra ordinazione;
      2° mediante la pena di dimissione irrogata legittimamente;
      3° per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime.
Can. 291 - Oltre ai casi di cui al can. 290, n.1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall'obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.
Can. 292 - Il chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale, ne perde insieme i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo di tale stato, fermo restando il disposto del can. 291; gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo il disposto del can. 976; con ciò egli è privato di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata.
Can. 293 - Il chierico che ha perduto lo stato clericale non può essere nuovamente ascritto tra i chierici, se non per rescritto della Sede Apostolica.
Titolo IV
Le prelature personali
Can. 294 - Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le Conferenze Episcopali interessate.
Can. 295 - § 1. La prelatura personale è retta dagli statuti fatti dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo del servizio della prelatura.
§ 2. Il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il predetto titolo, sia al loro decoroso sostentamento.
Can. 296 - I laici possono dedicarsi alle opere apostoliche di una prelatura personale mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa; il modo di tale organica cooperazione e i principali doveri e diritti con essa connessi siano determinati con precisione negli statuti.
Can. 297 - Parimenti gli statuti definiscono i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.
Titolo V
Le associazioni dei fedeli
Capitolo I
NORME COMUNI
Can. 298 - § 1. Nella Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici insieme, tendono, mediante l'azione comune, all'incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano.
§ 2. I fedeli diano la propria adesione soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica competente.
Can. 299 - § 1. I fedeli hanno il diritto di costituire associazioni, mediante un accordo privato tra di loro per conseguire i fini di cui al can. 298, § 1, fermo restando il disposto del can. 301, §1.
§ 2. Tali associazioni, anche se lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica, si chiamano associazioni private.
§ 3. Nessuna associazione privata dei fedeli è riconosciuta nella Chiesa, se i suoi statuti non sono esaminati dall'autorità competente.
Can. 300 - Nessuna associazione assuma il nome di <<cattolica>>, se non con il consenso dell'autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312.
Can. 301 - § 1. Spetta unicamente all'autorità ecclesiastica competente erigere associazioni di fedeli che si propongano l'insegnamento della dottrina cristiana in nome della Chiesa o l'incremento del culto pubblico, oppure che intendano altri fini il cui conseguimento è riservato, per natura sua, all'autorità ecclesiastica.
§ 2. L'autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private.
§ 3. Le associazioni dei fedeli erette dall'autorità ecclesiastica si chiamano associazioni pubbliche.
Can. 302 - Le associazioni dei fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l'esercizio dell'ordine sacro e sono riconosciute come tali dall'autorità competente.
Can. 303 - Le associazioni i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana partecipando nel mondo al carisma di un istituto religioso, sotto l'alta direzione dell'istituto stesso, assumono il nome di terzi ordini oppure un altro nome adatto.
Can. 304 - § 1. Tutte le associazioni di fedeli, sia pubbliche sia private, con qualunque titolo o nome siano chiamate, abbiano propri statuti con cui vengano definiti il fine dell'associazione o ragione sociale, la sede, il governo e le condizioni richieste per parteciparvi, e mediante i quali vengano determinate le modalità d'azione tenendo presente la necessità o l'utilità relativa al tempo e al luogo.
§ 2. Assumano un titolo o un nome, adatto agli usi del tempo e del luogo, scelto soprattutto in ragione della finalità perseguita.
Can. 305 - § 1. Tutte le associazioni di fedeli sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica competente, alla quale pertanto spetta aver cura che in esse sia conservata l'integrità della fede e dei costumi e vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica; ad essa perciò spetta il diritto e il dovere di visitare tali associazioni, a norma del diritto e degli statuti; sono anche soggette al governo della medesima autorità secondo le disposizioni dei canoni seguenti.
§ 2. Sono soggette alla vigilanza della Santa Sede le associazioni di qualsiasi genere; sono soggette alla vigilanza dell'Ordinario del luogo le associazioni diocesane e le altre, in quanto esercitano la loro azione nella diocesi.
Can. 306 - Perché uno possa fruire dei diritti e dei privilegi dell'associazione, delle indulgenze e delle altre grazie spirituali ad esse concesse, è necessario e sufficiente che vi sia validamente accolto e non dimesso legittimamente dalla medesima, secondo le disposizioni del diritto e degli statuti dell'associazione.
Can. 307 - § 1. L'accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e degli statuti di ciascuna associazione.
§ 2. La stessa persona può essere iscritta a più associazioni.
§ 3. I membri degli istituti religiosi possono aderire alle associazioni, a norma del diritto proprio, col consenso del proprio Superiore.
Can. 308 - Nessuno, legittimamente iscritto, sia dimesso da una associazione, se non per giusta causa, a norma del diritto e degli statuti.
Can. 309 - Le associazioni legittimamente costituite hanno facoltà, a norma del diritto e degli statuti, di emanare norme peculiari riguardanti l'associazione stessa, di tenere assemblee, di designare i moderatori, gli officiali, gli aiutanti e gli amministratori dei beni.
Can. 310 - Un'associazione privata non costituita in persona giuridica, come tale non può essere soggetto di obblighi e di diritti; tuttavia i fedeli associati possono congiuntamente contrarre obblighi, acquisire e possedere diritti e beni come comproprietari e compossessori; sono in grado di esercitare tali diritti e obblighi mediante un mandatario o procuratore.
Can. 311 - I membri di istituti di vita consacrata che presiedono o assistono associazioni in qualche modo unite al proprio istituto, abbiano cura che tali associazioni prestino aiuto alle attività di apostolato esistenti in diocesi, soprattutto operando, sotto la direzione dell'Ordinario del luogo, insieme con le associazioni finalizzate all'esercizio dell'apostolato nella diocesi.
Capitolo II
ASSOCIAZIONI PUBBLICHE DI FEDELI
Can. 312 - § 1. L'autorità competente ad erigere associazioni pubbliche è:
      1° la Santa Sede per le associazioni universali e internazionali;
      2° la Conferenza Episcopale nell'ambito del proprio territorio per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate, mediante l'erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione;
      3° il Vescovo diocesano nell'ambito del suo territorio per le associazioni diocesane, non però l'Amministratore diocesano; tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per il privilegio apostolico.
§ 2. Per erigere validamente nella diocesi un'associazione o una sua sezione, anche se ciò avviene in forza di un privilegio apostolico, si richiede il consenso scritto del Vescovo diocesano; tuttavia il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa di un istituto religioso vale anche per l'erezione, presso la stessa casa o presso la chiesa annessa, di una associazione propria di quell'istituto.
Can. 313 - Un'associazione pubblica, come pure una confederazione di associazioni pubbliche, per lo stesso decreto con cui viene eretta dall'autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312, è costituita persona giuridica e riceve, per quanto è richiesto, la missione per i fini che essa si propone di conseguire in nome della Chiesa.
Can. 314 - Gli statuti di ogni associazione pubblica, la loro revisione e il loro cambiamento necessitano dell'approvazione dell'autorità ecclesiastica cui compete erigere l'associazione a norma del can. 312, § 1.
Can. 315 - Le associazioni pubbliche possono intraprendere spontaneamente quelle che sono confacenti alla loro indole; tali associazioni sono dirette a norma degli statuti, però sotto la superiore direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1.
Can. 316 - § 1. Non può essere validamente accolto nelle associazioni pubbliche chi ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica, chi si è allontanato dalla comunione ecclesiastica e chi è irretito da una scomunica inflitta o dichiarata.
§ 2. Coloro che, dopo essere stati legittimamente associati, vengono a trovarsi nel caso di cui al § 1, premessa un'ammonizione, siano dimessi dall'associazione, osservando gli statuti e salvo il diritto di ricorso all'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1.
Can. 317 - § 1. Se non si prevede altro negli statuti, spetta all'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1, confermare il moderatore dell'associazione pubblica eletto dalla stessa, istituire colui che è stato presentato, oppure nominarlo secondo il diritto proprio; la stessa autorità ecclesiastica poi nomina il cappellano o l'assistente ecclesiastico, dopo aver sentito, se risulta opportuno, gli officiali maggiori dell'associazione.
§ 2. La norma stabilita al § 1 vale anche per le associazioni erette da membri di istituti religiosi in forza di un privilegio apostolico, al di fuori delle proprie chiese o delle proprie case; nelle associazioni poi erette da membri di istituti religiosi presso la propria chiesa o presso la propria casa, la nomina o la conferma del moderatore e del cappellano spetta al superiore dell'istituto , a norma degli statuti.
§ 3. Nelle associazioni non clericali, i laici possono ricoprire l'incarico di moderatore; il cappellano o l'assistente ecclesiastico non siano assunti a tale compito, a meno che negli statuti non sia disposto diversamente.
§ 4. Nelle associazioni pubbliche di fedeli finalizzate direttamente all'esercizio dell'apostolato, non siano moderatori coloro che occupano compiti direttivi nei partiti politici.
Can. 318 - § 1. In circostanze speciali, se lo richiedono gravi motivi, l'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1 può designare un commissario che in suo nome diriga temporaneamente l'associazione.
§ 2. Il moderatore di un'associazione pubblica può essere rimosso, per giusta causa, da chi lo ha nominato o confermato, tuttavia dopo aver sentito sia il moderatore stesso, sia gli officiali dell'associazione, a norma degli statuti; il cappellano può essere rimosso, a norma dei cann. 192-195, da chi lo ha nominato.
Can. 319 - § 1. Un'associazione pubblica eretta legittimamente, a meno che non sia disposto in modo diverso, a norma degli statuti amministra i beni che possiede, sotto l'alta direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1, alla quale ogni anno deve rendere conto dell'amministrazione.
§ 2. Deve inoltre presentare alla medesima autorità un fedele rendiconto della distribuzione delle offerte e delle elemosine raccolte.
Can. 320 - § 1. Le associazioni erette dalla Santa Sede possono essere soppresse solo dalla Santa Sede stessa.
§ 2. Per gravi cause la Conferenza Episcopale può sopprimere le associazioni erette dalla conferenza stessa; il Vescovo diocesano può sopprimere le associazioni che egli stesso ha eretto e anche le associazioni erette, per indulto apostolico, da membri di istituti religiosi col consenso del Vescovo diocesano.
§ 3. Un'associazione pubblica non venga soppressa dall'autorità competente, senza aver prima sentito il suo moderatore e gli altri officiali maggiori.
Capitolo III
ASSOCIAZIONI PRIVATE DI FEDELI
Can. 321 - Le associazioni private sono dirette e presiedute dai fedeli, secondo le disposizioni degli statuti.
Can. 322 - § 1. Un'associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica per decreto formale dell'autorità ecclesiastica competente di cui al can. 312.
§ 2. Nessuna associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica se i suoi statuti non sono stati approvati dall'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1; tuttavia l'approvazione degli statuti non cambia la natura privata dell'associazione.
Can. 323 - § 1. Quantunque le associazioni private di fedeli godano di autonomia a norma del can. 312, sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica a norma del can. 305, come pure al governo della medesima autorità.
§ 2. Spetta ancora all'autorità ecclesiastica, nel rispetto della autonomia propria delle associazioni private, vigilare e fare in modo che si eviti la dispersione delle forze e ordinare al bene comune l'esercizio del loro apostolato.
Can. 324 - § 1. L'associazione privata di fedeli designa liberamente il moderatore e gli officiali a norma degli statuti.
§ 2. L'associazione privata di fedeli può scegliere liberamente, se lo desidera, un consigliere spirituale fra i sacerdoti che esercitano legittimamente il ministero nella diocesi; tuttavia colui che è scelto deve avere la conferma dell'Ordinario del luogo.
Can. 325 - § 1. L'associazione privata di fedeli amministra liberamente i beni che possiede, secondo le disposizioni degli statuti, salvo il diritto dell'autorità ecclesiastica competente di vigilare perché i beni siano usati per i fini dell'associazione.
§ 2. E' pure soggetta all'autorità dell'Ordinario del luogo, a norma del can. 1301, per quanto riguarda l'amministrazione e la distribuzione dei beni che le sono stati donati o lasciati per cause pie.
Can. 326 - § 1. L'associazione privata di fedeli si estingue a norma degli statuti; può anche essere soppressa dall'autorità competente se la sua attività è causa di danno grave per la dottrina o la disciplina ecclesiastica, oppure di scandalo per i fedeli.
§ 2. La destinazione dei beni di un'associazione estinta deve essere determinata a norma degli statuti, salvi i diritti acquisiti e la volontà degli offerenti.
Capitolo IV
NORME SPECIALI PER LE ASSOCIAZIONI DI LAICI
Can. 327 - I fedeli laici tengano in grande considerazione le associazioni costituite per fini spirituali di cui al can. 298, specialmente quelle che si propongono di animare mediante lo spirito cristiano le realtà temporali e in tal modo favoriscono intensamente un rapporto più intimo fra fede e vita.
Can. 328 - Coloro che dirigono le associazioni di laici, anche quelle erette in forza di un privilegio apostolico, facciano in modo che le proprie associazioni collaborino, dove ciò risulta opportuno, con altre associazioni di fedeli e che sostengano volentieri le diverse opere cristiane, soprattutto quelle esistenti nello stesso territorio.
Can. 329 - I moderatori delle associazioni di laici facciano in modo che i membri dell'associazione siano debitamente formati all'esercizio dell'apostolato specificamente laicale.
PARTE II
LA COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA
SEZIONE I
LA SUPREMA AUTORITA' DELLA CHIESA
Capitolo I
IL ROMANO PONTEFICE E IL COLLEGIO DEI VESCOVI
Can. 330 - Come, per volontà del Signore, san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un unico Collegio, per la medesima ragione il Romano Pontefice, successore di Pietro, ed i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra di loro congiunti.
Art. 1
Il Romano Pontefice
Can. 331 - Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi sucessori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.
Can. 332 - § 1. Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.
§ 2. Nel caso che il Romano Pontefice, rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.
Can. 333 - § 1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.
§ 2. Il Romano Pontefice, nell'adempimento dell'ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.
§ 3. Non si dà appello né ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice.
Can. 334 - Nell'esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l'incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto.
Can. 335 - Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.
Art. 2
Il Collegio dei Vescovi
Can. 336 - Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla chiesa universale.
Can. 337 - § 1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico.
§ 2. Esercita la medesima potestà mediante l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale.
§ 3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi può esercitare collegialmente il suo ufficio per la Chiesa universale.
Can. 338 - § 1. Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiedendolo personalmente o mediante altri, come pure trasferire il Concilio stesso, sospenderlo o scioglierlo e approvarne i decreti.
§ 2. Spetta al Romano Pontefice determinare le questioni da trattare nel Concilio e stabilire l'ordinamento da osservare in esso; i Padri del Concilio, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, possono agiungerne altre, che devono essere approvate dallo stesso Romano Pontefice.
Can. 339 - § 1. Tutti e i soli Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo.
§ 2. Alcuni altri inoltre, che non sono insigniti della dignità episcopale, possono essere chiamati al Concilio Ecumenico dall'autorità suprema della Chiesa, alla quale spetta determinare il loro ruolo nel Concilio.
Can. 340 - Nel caso che la Sede Apostolica divenga vacante durante la celebrazione del Concilio, questo viene interrotto per il diritto stesso, finché il nuovo Sommo Pontefice non abbia ordinato di proseguirlo o non l'abbia sciolto.
Can. 341 - § 1. Non hanno forza obbligante se non quei decreti del Concilio Ecumenico che , insieme con i Padri del Concilio, siano stati approvati dal Romano Pontefice, da lui confermati e per suo comando promulgati.
§ 2. Perché abbiano forza obbligante devono avere la stessa conferma e promulgazione i decreti che emana il Collegio dei Vescovi quando pone un'azione propriamente collegiale secondo una modalità diversa, indetta dal Romano Pontefice o da lui deliberatamente recepita.
Capitolo II
IL SINODO DEI VESCOVI
Can. 342 - Il sinodo dei Vescovi è un'assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo.
Can. 343 - Spetta al sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni proposte ed esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa.
Can. 344 - Il sinodo dei Vescovi è direttamente sottoposto all'autorità del Romano Pontefice, al quale spetta propriamente:
      1° convocare il sinodo ogni qualvolta lo ritenga opportuno e designare il luogo in cui tenere le assemblee;
      2° ratificare l'elezione dei membri che, a norma del diritto peculiare, devono essere eletti, e altresì designare e nominare gli altri membri;
      3° stabilire gli argomenti delle questioni da trattare in tempo opportuno, a norma del diritto peculiare, prima della celebrazione del Sinodo;
      4° definire l'ordine dei lavori;
      5° presiedere il sinodo personalmente o attraverso altri;
      6° concludere, trasferire, sospendere e sciogliere il sinodo.
Can. 345 - Il sinodo dei Vescovi può riunirsi in assemblea generale, ordinaria o straordinaria, in cui vengano trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale; oppure può riunirsi in assemblea speciale, in cui vengono trattati affari che riguardano direttamente una o più regioni determinate.
Can. 346 - § 1. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea generale ordinaria è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi, che vengono eletti per le singole assemblee delle conferenze dei Vescovi, secondo le modalità determinate dal diritto peculiare del sinodo; altri vengono deputati in forza del medesimo diritto, altri sono nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali, eletti a norma del medesimo diritto peculiare.
§ 2. Il sinodo dei Vescovi, riunito in assemblea generale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita, è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi, deputati dal diritto peculiare del sinodo in ragione dell'ufficio svolto; altri poi nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali eletti a norma del medesimo diritto.
§ 3. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea speciale è composto soprattutto di membri scelti da quelle regioni per le quali il sinodo viene convocato, a norma del diritto peculiare da cui è retto il sinodo.
Can. 347 - § 1. Quando l'assemblea del sinodo dei Vescovi viene conclusa dal Romano Pontefice, cessa l'incarico affidato nel sinodo stesso ai Vescovi e agli altri membri.
§ 2. Se la Sede Apostolica diviene vacante dopo la convocazione del sinodo o durante la sua celebrazione, per il diritto stesso è sospesa l'assemblea del sinodo, come pure l'incarico assegnato in esso ai membri, finché il nuovo Pontefice non abbia deciso o il suo scioglimento o la sua continuazione.
Can. 348 - § 1. Il sinodo dei Vescovi ha una segreteria generale permanente presieduta dal Segretario generale, nominato dal Romano Pontefice, al quale è d'aiuto il consiglio di segreteria composto di Vescovi, alcuni dei quali vengono eletti, a norma del diritto peculiare, dallo stesso sinodo dei Vescovi, altri nominati dal Romano Pontefice; l'incarico di tutti costoro però cessa quando inizia la nuova assemblea generale.
§ 2. Vengono inoltre costituiti per ogni assemblea del sinodo dei Vescovi uno o più segretari speciali, nominati dal Romano Pontefice, i quali rimangono nell'ufficio affidato solo fino al termine dell'assemblea del sinodo.
Capitolo III
I CARDINALI DI SANTA ROMANA CHIESA
Can. 349- I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare cui spetta provvedere all'elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare; inoltre i Cardinali assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale.
Can. 350 - § 1. Il Collegio dei cardinali è distinto in tre ordini: l'ordine episcopale, cui appartengono i Cardinali ai quali il Romano Pontefice assegna il titolo di una Chiesa suburbicaria e inoltre i Patriarchi Orientali che sono stati annoverati nel Collegio dei cardinali; l'ordine presbiterale e l'ordine diaconale.
§ 2. A ciascun Cardinale dell'ordine presbiterale e diaconale viene assegnato dal Romano Pontefice un titolo o una diaconia nell'Urbe.
§ 3. I Patriarchi Orientali assunti nel Collegio dei cardinali, hanno come titolo la propria sede patriarcale.
§ 4. Il Cardinale Decano ha come titolo la diocesi di Ostia, insieme all'altra Chiesa che aveva come titolo precedente.
§ 5. Mediante opzione fatta nel Concistoro e approvata dal Sommo Pontefice, i Cardinali dell'ordine presbiterale, nel rispetto della priorità di ordine e di promozione, possono passare ad un altro titolo e i Cardinali dell'ordine diaconale ad un'altra diaconia e, se sono rimasti per un intero decennio nell'ordine diaconale, possono passare anche all'ordine presbiterale.
§ 6. Il Cardinale che passa per opzione dall'ordine diaconale all'ordine presbiterale, ottiene la precedenza su tutti i Cardinali presbiteri che sono stati assunti al cardinalato dopo di lui.
Can. 351 - § 1. Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell'ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale.
§ 2. I Cardinali vengono creati con un decreto del Romano Pontefice, che viene reso pubblico davanti al Collegio dei cardinali; dal momento della pubblicazione essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti definiti dalla legge.
§ 3. Colui che è promosso alla dignità cardinalizia, se il Romano Pontefice ne ha annunciato la creazione, riservandosi però il nome in pectore, durante questo tempo non è tenuto ad alcun dovere e non gode di alcun diritto proprio dei Cardinali; tuttavia dopo che il suo nome è stato reso pubblico dal Romano Pontefice, è tenuto a tali doveri e fruire di tali diritti; ma gode del diritto di precedenza dal giorno della riserva in pectore.
Can. 352 - § 1. Presiede il Collegio dei Cardinali il Decano e ne fa le veci il Sottodecano; il Decano, o il Sottodecano, non hanno nessuna potestà di governo sugli altri Cardinali, ma sono considerati primus inter pares.
§ 2. Quando l'ufficio di Decano diviene vacante, i Cardinali insigniti del titolo di una Chiesa suburbicaria, e solo essi, con la presidenza del Sottodecano, se è presente, oppure del più anziano tra di loro, eleggono al proprio interno chi debba diventare il Decano del Collegio; comunichino il suo nome al Romano Pontefice, al quale spetta approvare l'eletto.
§ 3. Nello stesso modo previsto al § 2, sotto la presidenza del Decano, viene eletto il Sottodecano; spetta al Romano Pontefice approvare anche l'elezione del Sottodecano.
§ 4. Il Decano e il Sottodecano, se ancora non lo hanno, acquistino il domicilio nell'Urbe.
Can. 353 - § 1. I Cardinali prestano principalmente aiuto con attività collegiale al Supremo Pastore della Chiesa nei Concistori, nei quali si riuniscono per ordine del Romano Pontefice e sotto la sua presidenza; i Concistori possono essere ordinari o straordinari.
§ 2. Nel Concistoro ordinario vengono convocati tutti i Cardinali, almeno quelli che si trovano nell'Urbe, per essere consultati su qualche questione grave, che tuttavia si verifica più comunemente, o per compiere determinati atti della massima solennità.
§ 3. Nel Concistoro straordinario, che si celebra quando lo suggeriscono peculiari necessità della Chiesa o la trattazione di questioni particolarmente gravi, vengono convocati tutti i Cardinali.
§ 4. Solo il Concistoro ordinario in cui si celebrino particolari solennità può essere pubblico, in cui cioè, oltre ai Cardinali, vengono ammessi i Prelati, i legati delle società civili ed altri che vi sono invitati.
Can. 354 - I Padri Cardinali preposti ai dicasteri e agli altri organismi permanenti della Curia Romana e della Città del Vaticano, che abbiano compiuto il settantacinquesimo anno di età, sono invitati a presentare al Romano Pontefice la rinuncia all'ufficio, ed egli provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze.
Can. 355 - § 1. Spetta al Cardinale Decano ordinare Vescovo il Romano Pontefice eletto, qualora non fosse ordinato; se il Decano è impedito, tale diritto spetta al Sottodecano, e se anche quest'ultimo è impedito, al Cardinale più anziano dell'ordine episcopale.
§ 2. Il Cardinale Proto-diacono annuncia al popolo il nome del Sommo Pontefice neo-eletto; inoltre impone il pallio ai Metropoliti o lo consegna ai loro procuratori, in nome del Romano Pontefice.
Can. 356 - I Cardinali sono tenuti all'obbligo di collaborare assiduamente col Romano Pontefice; perciò i Cardinali che ricoprono qualsiasi ufficio nella Curia, se non sono Vescovi diocesani, sono tenuti all'obbligo di risiedere nell'Urbe; i Cardinali che hanno la cura di una diocesi come Vescovi diocesani, si rechino a Roma ogni volta che sono convocati dal Romano Pontefice.
Can. 357 - § 1 I Cardinali ai quali è stata assegnata in titolo una Chiesa suburbicaria o una Chiesa nell'Urbe, dopo che ne hanno preso possesso, promuovano il bene di tali diocesi e chiese mediante il consiglio e il patrocinio, pur senza avere su di esse alcuna potestà di governo, e per nessuna ragione interferiscano in ciò che riguarda l'amministrazione dei beni, la disciplina o il servizio delle Chiese.
§ 2. I Cardinali che si trovano fuori dell'Urbe e fuori della propria diocesi, sono esenti dalla potestà di governo del Vescovo della diocesi in cui dimorano in tutto ciò che riguarda la propria persona.
Can. 358 - Al Cardinale al quale il Romano Pontefice dia l'incarico di rappresentarlo in qualche solenne celebrazione o in qualche assemblea di persone, come Legato a latere , cioè come suo alter ego, come pure al Cardinale al quale venga affidato di compiere un determinato incarico pastorale come suo inviato speciale, compete solo quanto gli è demandato dal Romano Pontefice.
Can. 359 - Mentre la Sede Apostolica è vacante, il sacro Collegio dei Cardinali ha nella Chiesa solamente quella potestà che gli è conferita nella legge peculiare.
Capitolo IV
LA CURIA ROMANA
Can. 360 - La Curia Romana, mediante la quale il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese, è composta dalla Segreteria di Stato o Papale, dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, dalle Congregazioni, dai Tribunali, e da altri organismi; la loro costituzione e competenza vengono definite da una legge peculiare.
Can. 361 - Col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono nel codice non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana.
Capitolo V
I LEGATI DEL ROMANO PONTEFICE
Can. 362 - Il Romano Pontefice ha il diritto nativo e indipendente di nominare e inviare suoi Legati sia presso le Chiese particolari nelle diverse nazioni o regioni, sia presso gli Stati e le Autorità pubbliche, come pure di trasferirli e richiamarli, nel rispetto però delle norme del diritto internazionale per quanto riguarda l'invio e la revoca dei Legati accreditati presso i Governi.
Can. 363 - § 1. Ai Legati del Romano Pontefice è affidato l'ufficio di rappresentare stabilmente lo stesso Romano Pontefice presso le Chiese particolari o anche presso gli Stati e le Autorità pubbliche cui sono stati invitati.
§ 2. Rappresentano la Sede Apostolica anche coloro che sono incaricati di una Missione pontificia come Delegati od Osservatori presso i Consigli internazionali o presso le Conferenze e i Congressi.
Can. 364 - Il compito principale del Legato pontificio è quello di rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità che intercorrono tra la Sede Apostolica e le Chiese particolari. Spetta perciò al legato pontificio nell'ambito della sua circoscrizione:
      1° assistere la Sede Apostolica sulle condizioni in cui versano le Chiese particolari, nonché su tutto ciò che tocca la vita stessa della chiesa e il bene della anime;
      2° assistere i Vescovi con l'azione e il consiglio, senza pregiudizio per l'esercizio della loro potestà legittima;
      3° favorire relazioni frequenti con la Conferenza Episcopale, fornendo ad essa tutto l'aiuto possibile;
      4° per quanto riguarda la nomina dei Vescovi, comunicare o proporre i nomi dei candidati alla Sede Apostolica, nonché istruire il processo informativo sui promovendi, secondo le norme date dalla Sede Apostolica;
      5° adoperarsi per promuovere tutto ciò che riguarda la pace, il progresso e la cooperazione tra i popoli;
      6° cooperare con i Vescovi per favorire opportuni scambi fra la Chiesa cattolica e le altre Chiese o comunità ecclesiali, anzi anche con le religioni non cristiane;
      7° in azione congiunta con i Vescovi, difendere di fronte ai governi degli Stati tutto ciò che riguarda la missione della Chiesa e della Sede Apostolica;
      8° esercitare inoltre le facoltà e adempiere gli altri mandati affidatigli dalla Sede Apostolica.
Can. 365 - § 1. E' inoltre compito peculiare del Legato pontificio che esercita contemporaneamente una legazione presso gli Stati secondo le norme del diritto internazionale:
      1° promuovere e sostenere le relazioni fra la Sede Apostolica e le Autorità dello Stato;
      2° affrontare le questioni che riguardano i rapporti fra Chiesa e Stato; trattare in modo particolare la stipulazione e l'attuazione dei concordati e delle altre convenzioni similari.
§ 2. Nella trattazione delle questioni di cui al § 1, a seconda che lo suggeriscano le circostanze, il Legato pontificio non ometta di richiedere il parere e il consiglio dei Vescovi della circoscrizione ecclesiastica e li informi sull'andamento dei lavori.
Can. 366 - Atteso il carattere peculiare dell'ufficio di Legato:
      1° la sede della Legazione pontificia è esente dalla potestà di governo dell'Ordinario del luogo, a meno che non si tratti della celebrazione di matrimoni;
      2° il Legato pontificio, avverti, per quanto è possibile, gli Ordinari del luogo, può compiere celebrazioni liturgiche, anche pontificali, in tutte le chiese della sua legazione.
Can. 367 - L'ufficio di Legato pontificio non cessa quando diviene vacante la Sede Apostolica, a meno che non venga stabilito diversamente nella Lettera pontificia; cessa invece quando scade il mandato, con l'intimazione della revoca, con la rinuncia accettata dal Romano Pontefice.
SEZIONE II
LE CHIESE PARTICOLARI E I LORO RAGGRUPPAMENTI
Titolo I
Le Chiese particolari e l'autorità in esse costituita
Capitolo I
LE CHIESE PARTICOLARI
Can. 368 - Le Chiese particolari, nelle quali e dalle quali sussiste la sola e unica Chiesa cattolica, sono innanzitutto le diocesi, alle quali, se non consta altro, viene assimilata la prelatura territoriale e l'abbazia territoriale, il vicario apostolico e la prefettura apostolica e altresì l'amministrazione apostolica eretta stabilmente.
Can. 369 - La Diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale di un Vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l'Eucarestia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.
Can. 370 - La prelatura territoriale o l'abbazia territoriale, è una determinata porzione del popolo di Dio, circoscritta territorialmente, la cura della quale viene affidata, per circostanze speciali, ad un Prelato o ad un Abate che la governa a modo di Vescovo diocesano, come suo pastore proprio.
Can. 371 - § 1. Il Vicario apostolico, o la prefettura apostolica, è una determinata porzione del popolo di Dio che, per circostanze peculiari, non è ancora stata costituita come diocesi ed è affidata alla cura pastorale di un Vicario apostolico o di un Prefetto apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice.
§ 2. L'amministrazione apostolica è una determinata porzione del popolo di Dio che , per ragioni speciali e particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice.
Can. 372 - § 1. Di regola la porzione del popolo di Dio, che costituisce una diocesi o un'altra Chiesa particolare, sia circoscritta entro un determinato territorio, in modo da comprendere tutti i fedeli che abitano in quel territorio.
§ 2. Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della Chiesa, sentite le Conferenze Episcopali interessate, l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette Chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi.
Can. 373 - Spetta unicamente alla suprema autorità erigere Chiese particolari; queste, una volta legittimamente erette, godono per il diritto stesso di personalità giuridica.
Can. 374 - § 1. Ogni diocesi o altra Chiesa particolare sia divisa in parti distinte o parrocchie.
§ 2. Per favorire la cura pastorale mediante un'azione comune, più parrocchie vicine possono essere riunite in peculiari raggruppamenti, quali sono i vicariati foranei.
Capitolo II
I VESCOVI
Art. 1
I Vescovi in genere
Can. 375 - § 1. I Vescovi, che per divina istituzione sono successori degli Apostoli, mediante lo Spirito Santo che è stato loro donato, sono costituiti Pastori della Chiesa, perché siano anch'essi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo.
§ 2. Con la stessa consacrazione episcopale i Vescovi ricevono, con l'ufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e governare, i quali tuttavia, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio.
Can. 376 - Si chiamano diocesani i Vescovi ai quali è stata affidata la cura di una diocesi; gli altri si chiamano titolari.
Can. 377 - § 1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.
§ 2. Almeno ogni triennio i Vescovi di una provincia ecclesiastica, oppure, dove le circostanze lo suggeriscono, le Conferenze Episcopali, mediante una consultazione comune e segreta, compilino un elenco di presbiteri, anche membri di istituti di vita consacrata, che risultino particolarmente idonei all'episcopato, e lo trasmettano alla Sede Apostolica, fermo restando il diritto di ciascun Vescovo di presentare separatamente alla Sede Apostolica i nomi dei presbiteri che giudica degni e idonei alla funzione episcopale.
§ 3. A meno che non sia stato stabilito legittimamente in modo diverso, ogni volta deve essere nominato un Vescovo diocesano o un Vescovo coadiutore, per proporre la cosiddetta terna alla Sede Apostolica, spetta al Legato pontificio ricercare singolarmente e comunicare alla stessa Sede Apostolica, insieme con il suo voto, ciò che suggeriscono il Metropolita e i Suffraganei della provincia, alla quale appartiene la diocesi in questione, o con la quale è aggregata, e altresì il presidente della Conferenza Episcopale; il Legato pontificio inoltre ascolti alcuni del collegio dei consultori e del capitolo cattedrale e, se lo ritiene opportuno, richieda anche singolarmente e in segreto il parere di altri, del clero diocesano e religioso, come pure di laici distinti per saggezza.
§ 4. Se non è stato legittimamente disposto in modo diverso, il Vescovo diocesano che ritenga si debba dare un ausiliare alla sua diocesi, proponga alla Sede Apostolica un elenco di almeno tre presbiteri idonei a tale ufficio.
§ 5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e previlegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.
Can. 378 - § 1. Per l'idoneità di un candidato all'episcopato, si chiede che:
      1° sia eminente per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo per le anime, saggezza, prudenza e virtù umane, e inoltre dotato di tutte le altre qualità che lo rendono adatto a compiere l'ufficio in questione;
      2° goda di buona reputazione;
      3° abbia almeno trentacinque anni di età;
      4° sia presbitero almeno da cinque anni;
      5° abbia conseguito la laurea dottorale o almeno la licenza in sacra Scrittura, teologia o diritto canonico in un istituto di studi superiori approvato dalla Sede Apostolica, oppure sia almeno veramente esperto in tali discipline.
§ 2. Il giudizio definitivo sull'idoneità del candidato spetta alla Sede Apostolica.
Can. 379 - Se non è legittimamente impedito, chi è promosso all'Episcopato deve ricevere la consacrazione episcopale, entro tre mesi dalla ricezione della lettera apostolica, e, comunque, prima che prenda possesso del suo ufficio.
Can. 380 - Prima di prendere possesso canonico del suo ufficio, colui che è promosso emetta la professione di fede e presti giuramento di fedeltà alla Sede Apostolica, secondo la formula approvata dalla stessa Sede Apostolica.
Art. 2
I Vescovi diocesani
Can. 381 - § 1. Compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l'esercizio del suo ufficio pastorale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto del Sommo Pontefice sono riservate alla suprema oppure ad altra autorità ecclesiastica.
§ 2. Nel diritto sono equiparati al Vescovo diocesano, a meno che non risulti diversamente per la natura della cosa o per una disposizione del diritto, coloro che presiedono le altre comunità di fedeli di cui al can. 368.
Can. 382 - § 1. Il Vescovo promosso non può intromettersi nell'esercizio dell'ufficio affidatogli, se prima non ha preso possesso canonico della diocesi; tuttavia può esercitare gli uffici che aveva nella medesima diocesi prima della promozione, fermo restando il disposto del can. 489, § 2.
§ 2. Se non è legittimamente impedito, colui che è promosso all'ufficio di Vescovo diocesano deve prendere possesso canonico della sua diocesi entro quattro mesi dalla ricezione della lettera apostolica, se non è già stato consacrato Vescovo; entro due mesi dalla ricezione, se è già consacrato.
§ 3. Il Vescovo prende possesso canonico della diocesi nel momento in cui esibisce nella diocesi stessa, personalmente o mediante un procuratore, la lettera apostolica al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere della curia, che mette agli atti il fatto, oppure, nella diocesi di nuova erezione, nel momento in cui comunica al clero e al popolo presenti nella chiesa cattedrale tale lettera, mentre il presbitero più anziano tra i presenti mette agli atti il fatto.
§ 4. Si raccomanda vivamente che la presa di possesso canonica avvenga nella chiesa cattedrale in un atto liturgico, alla presenza del clero e del popolo.
Can. 383 - § 1. Nell'esercizio del suo ufficio di pastore, il Vescovo diocesano si mostri sollecito nei confronti di tutti i fedeli che sono affidati alla sua cura, di qualsiasi età, condizione o nazione, sia di coloro che abitano nel territorio sia di coloro che vi si trovano temporaneamente, rivolgendosi con animo apostolico verso coloro che per la loro situazione di vita non possono usufruire sufficientemente della cura pastorale ordinaria, come pure verso quelli che si sono allontanati dalla pratica religiosa.
§ 2. Se ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia mediante un Vicario episcopale.
§ 3. Abbia un atteggiamento di umanità e di carità nei confronti dei fratelli che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica, favorendo anche l'ecumenismo, come viene inteso dalla Chiesa.
§ 4. Consideri affidati a sé nel Signore i non battezzati, affinché risplenda anche per loro la carità di Cristo, di cui il Vescovo deve essere testimone di fronte a tutti.
Can. 384 - Il Vescovo diocesano segua con particolare sollecitudine i presbiteri che deve ascoltare come aiutanti e consiglieri, difenda e curi i loro diritti in modo che adempiano fedelmente gli obblighi propri del loro stato e in modo che abbiano a disposizione i mezzi e le istituzioni di cui hanno bisogno per alimentare la vita spirituale e intellettuale; così pure faccia in modo che si provveda al loro onesto sostentamento e all'assistenza sociale, a norma del diritto.
Can. 385 - Il Vescovo diocesano favorisca in sommo grado le vocazioni ai diversi ministeri e alla vita consacrata, avendo cura in modo speciale delle vocazioni sacerdotali e missionarie.
Can. 386 - § 1. Il Vescovo diocesano è tenuto a proporre e spiegare ai fedeli le verità di fede che si devono credere e applicare nei costumi, predicando personalmente con frequenza; abbia anche cura che si osservino fedelmente le disposizioni e i canoni che riguardano il ministero della parola, soprattutto l'omelia e la formazione catechetica, in modo che venga offerta a tutti la dottrina cristiana.
§ 2. Difenda con fermezza, usando i metodi più adatti, l'integrità e l'unità della fede che si deve professare, riconoscendo tuttavia la giusta libertà nell'ulteriore approfondimento delle verità.
Can. 387 - Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale.
Can. 388 - § 1. Il Vescovo diocesano, dopo aver preso possesso della diocesi, deve applicare la Messa per il popolo che gli è affidato, ogni domenica e nelle altre feste che nella sua regione sono di precetto.
§ 2. Il Vescovo deve celebrare ed applicare personalmente la Messa per il popolo nei giorni di cui al § 1; se però ne è legittimamente impedito, la applichi in tali giorni tramite un altro, o personalemente in giorni diversi.
§ 3. Il Vescovo al quale sono affidate, oltre alla propria, altre diocesi, anche a titolo di amministrazione, soddisfa l'obbligo applicando una sola Messa per tutto il popolo che gli è affidato.
§ 4. Il Vescovo che non abbia soddifatto l'obbligo di cui ai §§ 1-3, applichi quanto prima per il popolo tante Messe quante ne ha tralasciate.
Can. 389 - Presieda frequentemente nella chiesa cattedrale o in un'altra chiesa della sua diocesi alla celebrazione della santissima Eucarestia, soprattutto nelle feste di precetto e nelle altre solennità.
Can. 390 - Il Vescovo diocesano può celebrare pontificali in tutta la sua diocesi; non però fuori della sua diocesi senza il consenso espresso, o almeno ragionevolmente presunto, dell'Ordinario del luogo.
Can. 391 - § 1. Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto.
§ 2. Il Vescovo esercita la potestà legislativa personalmente; esercita la potestà esecutiva sia personalmente sia mediante i Vicari generali o episcopali, a norma del diritto; esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici, a norma del diritto.
Can. 392 - § 1. Poiché deve difendere l'unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche.
§ 2. Vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei santi e nell'amministrazione dei beni.
Can. 393 - In tutti i negozi giuridici della diocesi, è il Vescovo diocesano che la rappresenta.
Can. 394 - § 1. Il Vescovo favorisca nella diocesi le diverse forme dell'apostolato e curi che in tutta la diocesi o nei suoi distretti particolari tutte le opere di apostolato, mentre conservano l'indole propria di ciascuna, siano coordinate sotto la sua direzione.
§ 2. Solleciti l'adempimento del dovere, a cui sono tenuti i fedeli, di esercitare l'apostolato secondo la condizione e l'attitudine di ciascuno e li esorti a partecipare e a sostenere le varie opere di apostolato, secondo le necessità di luogo e di tempo.
Can. 395 - § 1. Il Vescovo diocesano, anche se ha il coadiutore o l'ausiliare, è tenuto alla legge della residenza personale in diocesi.
§ 2. Tranne che a motivo della visita ad Limina, dei Concili, del sinodo dei Vescovi, della Conferenza Episcopale, a cui debba partecipare, oppure di un altro ufficio legittimamente affidatogli, può rimanere assente dalla diocesi per giusta causa non più di un mese, sia continuo sia interrotto, purché rimanga assicurato che per la sua assenza la diocesi non risenta alcun danno.
§ 3. Non sia assente dalla diocesi nei giorni di Natale, della Settimana Santa e della Risurrezione del Signore, della Pentecoste e del Corpo di Cristo, se non per giusta causa grave e urgente.
§ 4. Se il Vescovo è rimasto assente illegittimamente dalla diocesi più di sei mesi, il Metropolita informi la Sede Apostolica della sua assenza; se poi si tratta del Metropolita, faccia la stessa cosa il suffraganeo più anziano.
Can. 396 - § 1. Il Vescovo è tenuto all'obbligo di visitare ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, in modo da visitare tutta la diocesi almeno ogni cinque anni, o personalmente oppure, se è legittimamente impedito,tramite il Vescovo coadiutore, o l'ausiliare, o il Vicario generale o episcopale, o un altro presbitero.
§ 2. E' in facoltà del Vescovo scegliere i chierici che preferisce come accompagnatori e aiutanti nella visita, riprovato ogni privilegio o consuetudine contraria.
Can. 397 - § 1. Sono soggetti alla visita ordinaria del Vescovo le persone, le istituzioni cattoliche, le cose e i luoghi sacri che sono nell'ambito della diocesi.
§ 2. Il Vescovo può visitare i membri degli istituti religiosi di diritto pontificio e le loro case solo nei casi espressamente previsti dal diritto.
Can. 398 - Il Vescovo si impegni a compiere la visita pastorale con la dovuta diligenza; faccia attenzione a non gravare su alcuno con spese superflue.
Can. 399 - § 1. Il Vescovo diocesano è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli, secondo la forma e il tempo stabiliti dalla Sede Apostolica.
§ 2. Se l'anno determinato per la presentazione della relazione coincide in tutto o in parte con il primo biennio dall'inizio del governo della diocesi, il Vescovo, per quella volta, può astenersi dal compilare e presentare la relazione.
Can. 400 - § 1. Il Vescovo diocesano nell'anno in cui è tenuto a presentare la relazione al Sommo Pontefice, se è stato stabilito divesamente dalla Sede Apostolica, si rechi nell'Urbe per venerare le tombe dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e si presenti al Romano Pontefice.
§ 2. Il Vescovo adempia personalmente tale obbligo, se non ne è legittimamente impedito; in tal caso vi soddisfi tramite il coadiutore, se lo ha, o l'ausiliare, oppure tramite un sacerdote idoneo del suo presbiterio, che risieda nella sua diocesi.
§ 3. Il Vicario apostolico può soddisfare tale obbligo tramite un procuratore, anche residente nell'Urbe; il Prefetto apostolico non è tenuto a tale obbligo.
Can. 401 - § 1. Il Vescovo diocesano che abbia compiuto i settantacinque anni di età è invitato a presentare la rinuncia all'ufficio al Sommo Pontefice, il quale provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze.
§ 2. Il Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all'adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all'ufficio.
Can. 402 - § 1. Il Vescovo, la cui rinuncia all'ufficio sia stata accettata, mantiene il titolo di vescovo emerito della sua diocesi e, se lo desidera, può conservare l'abitazione nella stessa diocesi, a meno che in casi determinati, per speciali circostanze, la Sede Apostolica non provveda diversamente.
§ 2. La Conferenza Episcopale deve curare che si provveda ad un adeguato e degno sostentamento del Vescovo che rinuncia, avuto presente tuttavia l'obbligo primario a cui è tenuta la diocesi per la quale ha prestato servizio.
Art. 3
I Vescovi coadiutori e ausiliari
Can. 403 - § 1. Quando le necessità pastorali della diocesi lo suggeriscono, vengano costituiti, su richiesta del Vescovo diocesano, uno o più Vescovi ausiliari; il Vescovo ausiliare non ha il diritto di successione.
§ 2. In circostanze particolarmente gravi, anche di carattere personale, al Vescovo diocesano può essere assegnato un Vescovo ausiliare fornito da speciali facoltà.
§ 3. La Santa Sede, se ciò le risulta più opportuno, può costituire d'ufficio un Vescovo coadiutore, che pure viene fornito di speciali facoltà; il Vescovo coadiutore gode del diritto di successione.
Can. 404 - § 1. Il Vescovo coadiutore prende possesso del suo ufficio quando esibisce, personalmente o mediante procuratore, la lettera apostolica di nomina al Vescovo diocesano e al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere di curia, che mette agli atti il fatto.
§ 2. Il Vescovo ausiliare prende possesso del suo ufficio quando esibisce la lettera apostolica di nomina al Vescovo diocesano, alla presenza del cancelliere di curia, che mette agli atti il fatto.
§ 3. Se il Vescovo diocesano è totalmente impedito, è sufficiente che, sia il Vescovo coadiutore sia il Vescovo ausiliare, esibiscano, la lettera apostolica di nomina al collegio dei consultori, alla presenza del cancelliere della curia.
Can. 405 - § 1. Il Vescovo coadiutore, come pure il Vescovo ausiliare, hanno gli obblighi e i diritti determinati dalle disposizioni dei canoni che seguono e definiti nella lettera di nomina.
§ 2. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, § 2 assistono il Vescovo diocesano in tutto il governo della diocesi e lo suppliscono se è assente o impedito.
Can. 406 - § 1. Il Vescovo coadiutore, come il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, § 2, sia costituito dal Vescovo diocesano Vicario generale; inoltre il Vescovo diocesano affidi a lui a preferenza di altri tutto ciò che richiede, a norma del diritto, un mandato speciale.
§ 2. A meno che nella lettera apostolica non si provveda diversamente e fermo restando il disposto del § 1, il Vescovo diocesano costituisca l'ausiliare o gli ausiliari Vicari generali o almeno Vicari episcopali, dipendenti solo dalla sua autorità oppure da quella del Vescovo coadiutore o del Vescovo ausiliare di cui al can. 403, § 2.
Can. 407 - § 1. Perché sia favorito nel migliore dei modi il bene presente e futuro della diocesi, il Vescovo diocesano, il coadiutore e il Vescovo ausiliare di cui al can. 403, § 2, si consultino tra loro nelle questioni di maggiore importanza.
§ 2. Il Vescovo diocesano, nel valutare le cause di maggiore importanza, soprattutto di carattere pastorale, prima degli altri voglia consultare i Vescovi ausiliari.
§ 3. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare, in quanto sono chiamati a partecipare alla sollecitudine del Vescovo diocesano, esercitino i loro compiti in modo da procedere insieme con lui di comune accordo.
Can. 408 - § 1. Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare che non siano giustamente impediti, sono obbligati, ogni volta che ne siano richiesti dal Vescovo diocesano, a celebrare i pontificali e le altre funzioni a cui il Vescovo diocesano sarebbe tenuto.
§ 2. Il Vescovo diocesano non affidi abitualmente ad un altro i diritti episcopali e le funzioni che il Vescovo coadiutore o l'ausiliare possono esercitare.
Can. 409 - § 1. Nel momento in cui la sede episcopale è vacante, il Vescovo coadiutore diviene immediatamente Vescovo della diocesi per la quale era stato costituito, purché ne abbia preso legittimo possesso.
§ 2. Quando la sede episcopale diviene vacante, se non è stato stabilito in modo diverso dall'autorità competente, il Vescovo ausiliare, finché il nuovo Vescovo non abbia preso possesso della sede, conserva tutte e sole le potestà e facoltà di cui godeva, come Vicario generale o come Vicario episcopale, mentre la sede era occupata; se poi non è stato designato all'ufficio di Amministratore apostolico o di Amministratore diocesano, eserciti tale sua potestà, conferitagli dal diritto, sotto l'autorità dell'Amministratore apostolico o dell'Amministratore diocesano che presiede al governo della diocesi.
Can. 410 - Il Vescovo coadiutore e il Vescovo ausiliare sono tenuti, come il Vescovo diocesano, all'obbligo di risiedere in diocesi; non se ne allontanino se non per breve tempo, tranne che a motivo di un ufficio da svolgere fuori della diocesi o di ferie, da non protrarsi oltre un mese.
Can. 411 - Al Vescovo coadiutore e all'ausiliare, per quanto riguarda la rinuncia all'ufficio, si applicano le disposizioni dei cann. 401 e 402, § 2.
Capitolo III
SEDE IMPEDITA E SEDE VACANTE
Art. 1
La sede impedita
Can. 412 - La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito nell'esercizio dell'ufficio pastorale nelle diocesi, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità.
Can. 413 - § 1. Mentre la sede è impedita, il governo della diocesi, se la Santa Sede non ha provveduto in altro modo, spetta al Vescovo coadiutore se c'è; se questo manca o è impedito, spetta ad un Vescovo ausiliare o ad un Vicario generale o episcopale o ad un altro sacerdote, mantenendo l'ordine della diocesi, deve compilare quanto prima; tale elenco, che deve essere comunicato al Metropolita, sia rinnovato almeno ogni tre anni e conservato sotto segreto dal cancelliere.
§ 2. Se manca o è impedito il Vescovo coadiutore e non sopperisce l'elenco di cui al § 1, spetta al collegio dei consultori eleggere il sacerdote che deve governare la diocesi.
§ 3. Colui che ha assunto il governo della diocesi a norma dei §§ 1 e 2, informi quanto prima la Santa Sede che la sede è impedita e che egli stesso ha assunto tale ufficio.
Can. 414 - Chiunque è stato chiamato, a norma del can. 413, ad assumere provvisoriamente la cura pastorale della diocesi soltanto per il tempo in cui la sede è impedita, nell'esercizio di tale cura pastorale è tenuto agli obblighi e gode della potestà che, a norma del diritto, competono all'Amministratore diocesano.
Can. 415 - Se al Vescovo diocesano viene proibito di esercitare il proprio ufficio a motivo di una pena ecclesiastica, il Metropolita oppure, se il Metropolita manca o se si tratta del Metropolita stesso, il più anziano per promozione tra i suffraganei, ricorra immediatamente alla Santa Sede perché provveda essa stessa.
Art. 2
La sede vacante
Can. 416 - La sede episcopale diviene vacante con la morte del Vescovo diocesano, con la rinuncia accettata dal Romano Pontefice, col trasferimento e con la privazione intimata al Vescovo stesso.
Can. 417 - Tutto ciò che viene compiuto dal Vicario generale o dal Vicario episcopale ha valore finché non hanno ricevuto notizia certa della morte del Vescovo diocesano; così pure ha valore tutto ciò che viene compiuto dal Vescovo diocesano o dal Vicario generale o episcopale finché non abbiano ricevuto notizia certa degli atti pontifici sopra menzionati.
Can. 418 § 1. Dal momento che ha ricevuto notizia certa del trasferimento il Vescovo, entro due mesi, deve raggiungere la diocesi alla quale è destinato e prenderne possesso canonico; dal giorno della presa di possesso canonico della nuova diocesi, la diocesi di provenienza diviene vacante.
§ 2. Dal momento che ha ricevuto notizia certa del trasferimento fino alla presa di possesso canonico della nuova diocesi, il Vescovo trasferito nella diocesi di provenienza:
      1° ha la potestà di Amministratore diocesano ed è tenuto agli obblighi relativi, mentre cessa ogni potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale, salvo tuttavia il can. 409, § 2;
      2° percepisce l'intera rimunerazione propria dell'ufficio.
Can. 419 - Quando la sede diviene vacante, il governo della diocesi, fino alla costituzione dell'Amministratore diocesano, passa al Vescovo ausiliare e, se sono più d'uno, al più anziano per promozione; se manca il Vescovo ausiliare, è affidato al collegio dei consultori, a meno che la Santa Sede non abbia provveduto diversamente. Colui che assume in tal modo il governo della diocesi convochi senza indugio il collegio competente a nominare l'Amministratore diocesano.
Can. 420 - Nel vicariato o in una prefettura apostolica quando la sede è vacante, assume il governo il Provicario o il Proprefetto, nominato soltanto a questo effetto dal Vicario o dal Prefetto subito dopo la presa di possesso, a meno che la Santa Sede non abbia stabilito diversamente.
Can. 421 - § 1. Entro otto giorni dal momento in cui si è ricevuta notizia che la sede episcopale è vacante, il collegio dei consultori, fermo restando il disposto del can. 502, § 3, deve eleggere l'Amministratore diocesano con il compito di reggere interinalmente la diocesi.
§ 2. Se l'Amministratore diocesano per qualsiasi causa non viene eletto legittimamente entro il tempo prescritto, la sua nomina passa al Metropolita e se è vacante la stessa sede metropolitana o, contemporaneamente, la sede metropolitana e quella suffraganea, passa al Vescovo suffraganeo più anziano per promozione.
Can. 422 - Il Vescovo ausiliare o, se egli manca, il collegio dei consultori informi quanto prima la Sede Apostolica della morte del Vescovo; così pure colui che è eletto Amministratore diocesano la informi quanto prima della propria elezione.
Can. 423 - § 1. Si nomini un solo Amministratore diocesano, riprovata qualsiasi consuetudine contraria; altrimenti l'elezione è nulla.
§ 2. L'Amministratore diocesano non sia contemporaneamente economo; perciò se l'economo della diocesi viene eletto Amministratore, il consiglio per gli affari economici elegga temporaneamente un altro economo.
Can. 424 - L'Amministratore diocesano venga eletto a norma dei cann. 165-178.
Can. 425 - § 1. All'ufficio di Amministratore diocesano può essere destinato validamente solo un sacerdote che abbia compiuto i trentacinque anni di età e che non sia già stato eletto, nominato o presentato per la medesima sede vacante.
§ 2. Venga eletto Amministratore diocesano un sacerdote che si distingua per dottrina e prudenza.
§ 3. Se non sono state rispettate le condizioni stabilite al § 1, il Metropolita oppure, se è vacante la stessa Chiesa metropolitana, il Vescovo suffraganeo più anziano per promozione, dopo aver preso conoscenza della vera situazione, nomini per quella volta l'Amministratore; gli atti di colui che è stato eletto contro le disposizioni del § 1 sono nulli per il diritto stesso.
Can. 426 - Colui che, mentre la sede è vacante, regge la diocesi prima della nomina dell'Amministratore diocesano, ha la stessa potestà che il diritto riconosce al Vicario generale.
Can. 427 - § 1. L'Amministratore diocesano è tenuto agli stessi obblighi e ha la potestà del Vescovo diocesano, escluso ciò che non gli compete o per la natura della cosa o per il diritto stesso.
§ 2. L'Amministratore diocesano ottiene la relativa potestà dal momento in cui accetta l'elezione, senza bisogno di conferma da parte di alcuno, fermo restando quanto prescrive il can. 833, n. 4.
Can. 428 - § 1. Mentre la sede è vacante non si proceda a innovazioni.
§ 2. A coloro che provvedono interinalmente al governo della diocesi è proibito compiere qualsiasi atto che possa arrecare pregiudizio alla diocesi o ai diritti episcopali; in modo speciale è proibito a loro e perciò a chiunque altro, sia personalmente, sia attraverso altri, di sottrarre o distruggere o modificare qualsiasi documento della curia diocesana.
Can. 429 - L'Amministratore diocesano è tenuto all'obbligo di risiedere nella diocesi e di applicare la Messa per il popolo, a norma del can. 388.
Can. 430 - § 1. L'ufficio dell'Amministratore diocesano cessa con la presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo.
§ 2. La rimozione dell'Amministratore diocesano è riservata alla Santa Sede; l'eventuale rinuncia deve essere presentata in forma autentica al collegio competente per la sua elezione, e non ha bisogno di essere accettata; in caso di rimozione, di rinuncia o di morte dell'Amministratore diocesano, ne venga eletto un altro, a norma del can. 421.
Titolo II
I raggruppamenti di Chiese particolari
Capitolo I
PROVINCE ECCLESIASTICHE E REGIONI ECCLESIASTICHE
Can. 431 - § 1. Affinché venga promossa un'azione pastorale comune da parte di diverse diocesi vicine secondo le circostanze di persone e di luoghi, e affinché vengano favoriti in modo più adeguato i mutui rapporti dei Vescovi diocesani, le Chiese particolari più vicine siano riunite in province ecclesiastiche, delimitate da un territorio determinato.
§ 2. D'ora in avanti non vi siano di regola diocesi esenti; perciò le singole diocesi e le altre Chiese particolari che esistono nell'ambito del territorio di una provincia ecclesiastica, devono far parte di una provincia ecclesiastica.
§ 3. Spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa, sentiti i Vescovi interessati, costituire, sopprimere o modificare le province ecclesiastiche.
Can. 432 - § 1. Nella provincia ecclesiastica hanno autorità, a norma del diritto, il concilio provinciale e il Metropolita.
§ 2. La provincia ecclesiastica gode di personalità giuridica per il diritto stesso.
Can. 433 - § 1. Se l'utilità lo suggerisce, specialmente nelle nazioni dove sono più numerose le Chiese particolari, le province ecclesiastiche viciniori, su proposta della Conferenza Episcopale, possono essere congiunte dalla Santa Sede in regioni ecclesiastiche.
§ 2. La regione ecclesiastica può essere eretta in persona giuridica.
Can. 434 - All'assemblea dei Vescovi della regione ecclesiastica spetta favorire la cooperazione e l'attività pastorale comune nella regione; tuttavia i poteri che nei canoni di questo Codice sono attribuiti alla Conferenza Episcopale non competono a tale assemblea, a meno che alcuni di essi le siano stati concessi in modo speciale dalla Santa Sede.
Capitolo II
I METROPOLITI
Can. 435 - Alla provincia ecclesiastica presiede il Metropolita, che è l'Arcivescovo della diocesi cui è preposto; tale ufficio è congiunto con una sede episcopale, determinata o approvata dal Romano Pontefice.
Can. 436 - § 1. Nelle diocesi suffraganee spetta al Metropolita:
      1° vigilare perché la fede e la disciplina ecclesiastica siano accuratamente osservate, e informare il Romano Pontefice su eventuali abusi;
      2° fare la visita canonica, per una causa precedentemente approvata dalla Santa Sede, se il suffraganeo l'avesse trascurata;
      3° nominare l'Amministratore diocesano, a norma dei cann. 421, § 2 e 425 § 3.
§ 2. Dove le circostanze lo richiedono, la Sede Apostolica può conferire al Metropolita funzioni e potestà peculiari da determinare nel diritto particolare.
§ 3. Nessun'altra potestà di governo compete al Metropolita nelle diocesi suffraganee; può però celebrare funzioni sacre in tutte le chiese, come il Vescovo nelle propria diocesi, dopo aver avvertito il Vescovo, se si tratta della chiesa cattedrale.
Can. 437 - § 1. Il Metropolita è tenuto all'obbligo di chiedere personalmente o tramite un procuratore il pallio al Romano Pontefice, entro tre mesi dalla consacrazione episcopale oppure, se è già stato consacrato, dalla provvisione canonica; esso esprime la potestà che , in comunione con la Chiesa di Roma, il Metropolita acquisire di diritto nella propria provincia.
§ 2. Il Metropolita può portare il pallio, nel rispetto delle leggi liturgiche, in qualsiasi chiesa della provincia ecclesiastica a cui presiede; invece non può assolutamente portarlo fuori di essa, neppure col consenso del Vescovo diocesano.
§ 3. Il Metropolita che venga trasferito ad un'altra sede metropolitana, necessita di un nuovo pallio.
Can. 438 - Il titolo di Patriarca e di Primate, al di là di una prerogativa di onore, non comporta nella Chiesa latina alcuna potestà di governo, a meno che per qualcuno di essi non consti diversamente per un privilegio apostolico o per una consuetudine approvata.
Capitolo III
I CONCILI PARTICOLARI
Can. 439 - § 1. Il concilio plenario, cioè di tutte le Chiese particolari della medesima Conferenza Episcopale, sia celebrato ogni volta che risulti necessario o utile alla stessa Conferenza Episcopale, con l'approvazione della Sede Apostolica.
§ 2. La norma stabilita dal § 1 vale anche per la celebrazione del concilio provinciale nella provincia ecclesiastica i cui confini coincidono col territorio della nazione.
Can. 440 - § 1. Il concilio provinciale per le diverse Chiese particolari della medesima provincia ecclesiastica, sia celebrato ogni volta che risulti opportuno a giudizio della maggioranza dei Vescovi diocesani della provincia, salvo il can. 439, § 2.
§ 2. Mentre è vacante la sede metropolitana, non si convochi il concilio provinciale.
Can. 441 - Spetta alla Conferenza Episcopale:
      1° convocare il concilio plenario;
      2° scegliere il luogo in cui celebrare il concilio, nell'ambito del territorio della Conferenza Episcopale;
      3° eleggere, fra i Vescovi diocesani del concilio plenario, il presidente, che deve essere approvato dalla Sede Apostolica;
      4° determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l'apertura e la durata del concilio plenario, trasferirlo, prorogarlo o scioglierlo.
Can. 442 - § 1. Spetta al Metropolita, col consenso della maggioranza dei Vescovi suffraganei:
      1° convocare il concilio provinciale;
      2° scegliere il luogo della celebrazione del concilio provinciale, nell'ambito del territorio della provincia;
      3° determinare la procedura e le questioni da trattare, indire l'apertura e la durata del concilio provinciale, trasferirlo, prorogarlo i scioglierlo.
§ 2. Spetta al Metropolita, e se questi è legittimamente impedito al Vescovo suffraganeo eletto dagli altri Vescovi suffraganei, presiedere il concilio provinciale.
Can. 443 - § 1. Devono essere convocati ai concili particolari e in essi hanno diritto al voto deliberativo:
      1° i Vescovi diocesani;
      2° i Vescovi coadiutori e ausiliari;
      3° gli altri Vescovi titolari che esercitano nel territorio uno speciale incarico, loro affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale.
§ 2. Possono essere chiamati ai concili particolari gli altri Vescovi titolari, anche emeriti, che si trovano nel territorio; essi poi hanno diritto al voto deliberativo.
§ 3. Ai concili particolari devono essere chiamati con voto solamente consultivo:
      1° i Vicari generali e Vicari episcopali di tutte le Chiese particolari del territorio;
      2° i Superiori maggiori degli istituti e delle società di vita apostolica, in numero da determinare, sia per gli uomini sia per le donne, dalla conferenza Episcopale o dai Vescovi della provincia, eletti rispettivamente da tutti i Superiori maggiori degli istituti e delle società che hanno sede nel territorio.
      3° i rettori delle università ecclesiastiche e cattoliche, nonché i decani delle facoltà di teologia e di diritto canonico, che hanno sede nel territorio;
      4° alcuni rettori dei seminari maggiori, in numero da determinarsi come al n. 2, eletti dai rettori dei seminari situati nel territorio.
§ 4. Ai concili particolari possono essere chiamati, con voto solamente consultivo, anche presbiteri e altri fedeli, in modo però che il loro numero non superi la metà di coloro di cui ai §§ 1-3.
§ 5. Ai concili provinciali siano invitati inoltre i capitoli cattedrali, come pure il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale di ciascuna Chiesa particolare, in modo che ognuno di essi invii due suoi membri designati collegialmente; essi però hanno voto solamente consultivo.
§ 6. Ai concili particolari possono essere invitati come ospiti anche altri, se ciò risulta opportuno a giudizio della Conferenza Episcopale, per quanto riguarda il concilio plenario, o a giudizio del Metropolita insieme con i Vescovi suffraganei, per quanto riguarda il concilio provinciale.
Can. 444 - § 1. Tutti coloro che sono convocati ai concili particolari devono parteciparvi, se non sono trattenuti da un giusto impedimento, di cui sono tenuti ad informare il presidente del concilio.
§ 2. Coloro che sono convocati ai concili particolari ed hanno in essi voto deliberativo, se sono trattenuti da un giusto impedimento, possono mandare un procuratore; tale procuratore ha voto solamente consultivo.
Can. 445 - Il concilio particolare cura che si provveda, nel proprio territorio, alle necessità pastorali del popolo di Dio; esso ha potestà di governo, soprattutto legislativa, così da poter decidere, salvo sempre il diritto universale della Chiesa, ciò che risulta opportuno per l'incremento della fede, per ordinare l'attività pastorale comune; per regolare i costumi e per conservare, introdurre, difendere la disciplina ecclesiastica.
Can. 446 - Concluso il concilio particolare, il presidente provveda che vengano trasmessi alla Sede Apostolica tutti gli atti del concilio; i decreti emanati dal concilio non siano promulgati se non dopo essere stati riveduti dalla Sede Apostolica; spetta al concilio stesso definire il modo di promulgazione dei decreti e il tempo in cui i decreti promulgati iniziano ad essere obbliganti.
Capitolo IV
LE CONFERENZE EPISCOPALI
Can. 447 - La Conferenza Episcopale, organismo di per sé permanente, è l'assemblea dei Vescovi di una nazione o di un territorio determinato, i quali esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli di quel territorio, per promuovere maggiormente il bene che la Chiesa offre agli uomini, soprattutto mediante forme e modalità di apostolato opportunamente adeguate alle circostanze di tempo e di luogo, a norma del diritto.
Can. 448 - § 1. La Conferenza Episcopale, come regola generale, comprende i presuli di tutte le Chiese particolari della medesima nazione, a norma del can. 450.
§ 2. Se poi, a giudizio della Sede Apostolica, sentiti i Vescovi diocesani interessati, le circostanze relative alle persone o alle cose lo suggeriscono, la Conferenza Episcopale può essere eretta per un territorio di ampiezza minore o maggiore, in modo che comprenda solamente i Vescovi di alcune Chiese particolari costituite in un determinato territorio oppure i presuli di Chiese particolari esistenti in diverse nazioni; spetta alla Sede Apostolica stabilire norme peculiari per ciascuna di esse.
Can. 449 - § 1. Spetta unicamente alla suprema autorità della Chiesa, sentiti i Vescovi interessati, erigere, sopprimere o modificare le Conferenze Episcopali.
§ 2. La Conferenza Episcopale, una volta eretta legittimamente, gode di personalità giuridica per il diritto stesso.
Can. 450 - § 1. Appartengono alla Conferenza Episcopale per il diritto stesso tutti i Vescovi diocesani del territorio e quelli che nel diritto sono loro equiparati; inoltre i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli altri Vescovi titolari che esercitano in tale territorio uno speciale incarico loro affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale; possono esservi invitati anche gli Ordinari di un altro rito, in modo tuttavia che abbiano soltanto voto consultivo, a meno che gli statuti della Conferenza Episcopale non stabiliscano diversamente.
§ 2. Gli altri Vescovi titolari e il Legato del Romano Pontefice non sono membri di diritto della Conferenza Episcopale.
Can. 451 - Ogni Conferenza Episcopale elabori i propri statuti che devono essere riveduti dalla Sede Apostolica; in essi, fra l'altro, vengano regolate le riunioni plenarie della Conferenza, si provveda alla costituzione del consiglio permanete, della segreteria generale della Conferenza e anche di altri uffici e commissioni che, a giudizio della Conferenza, contribuiscano più efficacemente al conseguimento delle sue finalità.
Can. 452 - § 1. Ogni Conferenza Episcopale si elegga il presidente, determini chi assume la funzione di pro-presidente se il presidente è legittimamente impedito e designi il segretario generale, a norma degli statuti.
§ 2. Il presidente della Conferenza e, se questi è legittimamente impedito, il pro-presidente, presiede non solo le riunioni generali della Conferenza Episcopale, ma anche il consiglio permanente.
Can. 453 - Le riunioni plenarie della Conferenza Episcopale si tengano almeno una volta all'anno e inoltre ogni volta che lo richiedono speciali circostanze, secondo le disposizioni degli statuti.
Can. 454 - § 1. Nelle riunioni plenarie della Conferenza Episcopale per il diritto stesso il voto deliberativo compete ai Vescovi diocesani e a quelli che nel diritto sono loro equiparati, nonché ai Vescovi coadiutori.
§ 2. Ai Vescovi ausiliari e ai Vescovi titolari che appartengono alla Conferenza Episcopale, compete il voto deliberativo oppure consultivo, secondo le disposizioni degli statuti della Conferenza; fermo restando tuttavia che il voto deliberativo compete solo a quelli di cui al § 1, quando si tratta di elaborare o modificare gli statuti.
Can. 455 - § 1. La Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio, sia su richiesta della conferenza stessa.
§ 2. Perché i decreti di cui al § 1. siano emanati validamente, devono essere espressi nella riunione plenaria almeno mediante i due terzi dei voti dei presuli che avendo voto deliberativo appartengono alla Conferenza, e non ottengono forza obbligante se non vengono legittimamente promulgati, dopo essere stati riveduti dalla Sede Apostolica.
§ 3. Il modo di promulgazione e il tempo in cui i decreti acquistano forza obbligante vengono determinati dalla stessa Conferenza Episcopale.
§ 4. Nei casi in cui né il diritto universale né uno speciale mandato della Sede Apostolica abbiano concesso alla Conferenza Episcopale la potestà di cui al § 1, la decisione compete ai singoli Vescovi diocesani per la propria diocesi e la Conferenza Episcopale o il suo presidente non possono agire validamente in nome di tutti i Vescovi, a meno che tutti e singoli i Vescovi non abbiano dato il loro consenso.
Can. 456 - Conclusa la riunione plenaria della Conferenza Episcopale, la relazione sugli atti della Conferenza e i suoi decreti vengano trasmessi alla Sede Apostolica, sia per farle conoscere gli atti, sia perché i decreti, se ci sono, possano essere riveduti dalla stessa.
Can. 457 - Spetta al consiglio permanete dei Vescovi curare che vengano preparate le questioni da trattare nella riunione plenaria della Conferenza e che siano fatte debitamente eseguire le decisioni prese in essa; ad esso spetta pure trattare gli altri affari che gli vengono affidati, a norma degli statuti.
Can. 458 - Spetta alla segreteria generale:
      1° stendere la relazione degli atti e dei decreti della riunione plenaria della Conferenza e degli atti del consiglio permanente e comunicarla a tutti i membri della Conferenza, stendere inoltre altri atti commissionati ad essa dal presidente della Conferenza o dal consiglio permanente;
      2° comunicare alle Conferenze Episcopali confinanti gli atti e i documenti che la Conferenza nella riunione plenaria o il consiglio permanente hanno stabilito di trasmettere loro.
Can. 459 - § 1. Si favoriscano le relazioni fra le Conferenze Episcopali, soprattutto viciniori, per la promozione e la tutela del bene maggiore.
§ 2. Ogni volta però le Conferenze intraprendono attivamente o modi di procedere che assumono un carattere internazionale, è opportuno che venga sentita la Sede Apostolica.
Titolo III
Struttura interna delle Chiese particolari
Capitolo I
IL SINODO DIOCESANO
Can. 460 - Il sinodo diocesano è l'assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana, a norma dei canoni seguenti.
Can. 461 - § 1. Il sinodo diocesano si celebri nelle singole Chiese particolari quando, a giudizio del Vescovo diocesano, sentito il consiglio presbiterale le circostanze lo suggeriscano.
§ 2. Se il Vescovo ha la cura di più diocesi oppure ha la cura di una come Vescovo proprio e di un'altra come Amministratore, può convocare un solo sinodo diocesano da tutte le diocesi affidategli.
Can. 462 - § 1. Convoca il sinodo diocesano solo il Vescovo diocesano, non chi presiede interinalmente.
§ 2. Presiede il sinodo diocesano il Vescovo diocesano, il quale tuttavia può delegare il Vicario generale o il Vicario episcopale, a svolgere tale ufficio, per le singole sessioni del sinodo.
Can. 463 - § 1. Al sinodo diocesano devono essere chiamati in qualità di membri e sono tenuti all'obbligo di parteciparvi:
      1° il Vescovo coadiutore e i Vescovi ausiliari;
      2° i Vicari generali e i Vicari episcopali, nonché il Vicario giudiziale;
      3° i canonici della chiesa cattedrale;
      4° i membri del consiglio presbiterale;
      5° i fedeli laici, anche membri di istituti di vita consacrata, eletti dal consiglio pastorale nel modo e nel numero da determinarsi dal Vescovo diocesano, oppure, dove tale consiglio non esiste, secondo i criteri determinati dal Vescovo diocesano;
      6° il rettore del seminario maggiore diocesano;
      7° i vicari foranei;
      8° almeno un presbitero eletto in ciascun vicariato foraneo da tutti coloro che ivi hanno cura d'anime; inoltre deve essere eletto un altro presbitero che lo sostituisca se il primo è impedito;
      9° alcuni Superiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica che hanno la casa nella diocesi, i quali devono essere eletti nel numero e nel modo determinati dal Vescovo diocesano.
§ 2. al sinodo diocesano possono essere chiamati in qualità di membri anche altri, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia fedeli laici.
§ 3. Il Vescovo diocesano, se lo ritiene opportuno, può invitare come osservatori alcuni ministri o membri di Chiese o comunità ecclesiali che non sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica.
Can. 464 - Un membro del sinodo, se è trattenuto da legittimo impedimento, non può inviare un procuratore che vi partecipi in suo nome; avverta però il Vescovo diocesano di tale impedimento.
Can. 465 - Tutte le questioni proposte siano sottomesse alla libera discussione dei membri nelle sessioni del sinodo.
Can. 466 - Nel sinodo diocesano l'unico legislatore è il Vescovo diocesano, mentre gli altri membri del sinodo hanno solamente voto consultivo; lui solo sottoscrive le dichiarazioni e i decreti sinodali, che possono essere resi pubblici soltanto per la sua autorità.
Can. 467 - Il Vescovo diocesano comunichi al Metropolita e alla Conferenza Episcopale i testi delle dichiarazioni e dei decreti sinodali.
Can. 468 - § 1. Spetta al Vescovo diocesano, secondo il suo prudente giudizio, sospendere e sciogliere il sinodo diocesano.
§ 2. Quando la sede episcopale è vacante o impedita, il sinodo diocesano si interrompe per il diritto stesso finché il Vescovo diocesano che gli succede non decreti che esso venga continuato oppure non lo dichiari estinto.
Capitolo II
LA CURIA DIOCESANA
Can. 469 - La curia diocesana consta degli organismi e delle persone che aiutano il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, cioè nel dirigere l'attività pastorale, nel curare l'amministrazione della diocesi come pure nell'esercitare la potestà giudiziaria.
Can. 470 - La nomina di coloro che sono ammessi agli uffici della curia diocesana spetta al Vescovo diocesano.
Can. 471 - Tutti coloro che sono ammessi agli uffici della curia devono:
      1° promettere di adempiere fedelmente l'incarico secondo le modalità determinate dal diritto o dal vescovo;
      2° osservare il segreto nei limiti e secondo le modalità determinate dal diritto o dal Vescovo.
Can. 472 - Circa le cause e le persone che, nella curia, si riferiscono all'esercizio della potestà giudiziaria, si osservino le prescrizioni del Libro VII I processi; in ordine a ciò che riguarda l'amministrazione della diocesi, si osservino le disposizioni dei canoni seguenti.
Can. 473 - § 1. Il Vescovo diocesano deve curare che tutti gli affari inerenti all'amministrazione di tutta la diocesi siano debitamente coordinati e diretti a procurare nel modo più opportuno il bene della porzione di popolo di Dio che gli è affidata.
§ 2. Spetta allo stesso Vescovo diocesano coordinare l'attività pastorale dei Vicari generali ed episcopali; dove risulta conveniente, può essere nominato il Moderatore di curia, che è opportuno sia un sacerdote e al quale spetta, sotto l'autorità del Vescovo, coordinare le attività che riguardano la trattazione degli affari amministrativi come pure curare che gli altri addetti alla curia svolgano fedelmente l'ufficio loro affidato.
§ 3. Se le situazioni locali, a giudizio del Vescovo, non suggeriscono diversamente, sia nominato Moderatore di curia il Vicario generale oppure, se sono più di uno, uno dei Vicari generali.
§ 4. Quando il Vescovo lo ritiene opportuno per favorire maggiormente l'attività pastorale, può costituire un consiglio episcopale, composto dai Vicari generali e dai Vicari episcopali.
Can. 474 - Gli atti di curia che hanno per loro natura effetto giuridico, devono essere sottoscritti dall'Ordinario da cui provengono, anche in ordine alla loro validità, e nello stesso tempo devono essere sottoscritti dal cancelliere o dal notaio di curia; il cancelliere poi è tenuto ad informare degli atti il Moderatore di curia.
Art. 1
I Vicari generali ed episcopali
Can. 475 - § 1. In ogni diocesi il Vescovo diocesano deve costituire il Vicario generale affinché, con la potestà ordinaria di cui è munito a norma dei canoni seguenti, presti il suo aiuto al Vescovo stesso nel governo di tutta la diocesi.
§ 2. Come regola generale, venga costituito un solo Vicario generale, a meno che l'ampiezza della diocesi o il numero degli abitanti oppure altre ragioni pastorali non suggeriscano diversamente.
Can. 476 - Ogniqualvolta lo richieda il buon governo della diocesi, possono essere costituiti dal Vescovo diocesano anche uno o più Vicari episcopali; essi hanno la stessa potestà ordinaria che, per diritto universale, a norma dei canoni seguenti, spetta al Vicario generale, o per una parte determinata della diocesi, o per un genere determinato di affari, o in rapporto ai fedeli di un determinato rito o di un ceto determinato di persone.
Can. 477 - § 1. Il Vicario generale e il Vicario episcopale vengono nominati liberamente dal Vescovo diocesano e da lui possono essere liberamente rimossi, fermo restando il disposto del can. 406; il Vicario episcopale che non sia il Vescovo ausiliare sia nominato per un tempo da determinarsi nell'atto di costituzione.
§ 2. Quando il Vicario generale è assente o legittimamente impedito, il Vescovo diocesano può nominare un altro che lo supplisca; la stessa norma si applica per il Vicario episcopale.
Can. 478 - § 1. Il Vicario generale ed episcopale siano sacerdoti di età non inferiore ai trent'anni, dottori o licenziati in diritto canonico o in teologia oppure almeno veramente esperti in saggezza ed esperienza nel trattare gli affari.
§ 2. L'ufficio di Vicario generale ed episcopale non è compatibile con l'ufficio di canonico penitenziere; inoltre non si può affidare tale ufficio a consanguinei del Vescovo fino al quarto grado.
Can. 479 - § 1. Al Vicario generale compete, in forza dell'ufficio, la stessa potestà esecutiva su tutta la diocesi che, in forza del diritto, spetta al Vescovo diocesano, la potestà cioè di porre tutti gli atti amministrativi, ad eccezione di quelli che il Vescovo si è riservato oppure che richiedono, a norma del diritto, un mandato speciale del Vescovo.
§ 2. Al Vicario episcopale compete, per il diritto stesso, la medesima potestà di cui al § 1, però circoscritta a quella determinata parte del territorio o a quel genere di affari o a quei fedeli di un rito determinato o di un gruppo soltanto, per i quali è stato costituito, fatta eccezione per quelle cause che il Vescovo ha riservato a sé o al Vicario generale, oppure che, a norma del diritto, richiedono un mandato speciale del Vescovo.
§ 3. Spettano al Vicario generale e al Vicario episcopale, nell'ambito della propria competenza, anche le facoltà abituali concesse al Vescovo dalla Sede Apostolica, come pure l'esecuzione dei rescritti, a meno che espressamente non sia stato disposto in modo diverso o a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona del Vescovo diocesano.
Can. 480 - Il Vicario generale e il Vicario episcopale devono riferire al Vescovo diocesano sulle principali attività programmate e attuate e inoltre non agiscano mai contro la sua volontà e il suo intendimento.
Can. 481- § 1. La potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale cessa allo scadere del mandato, con la rinuncia e, salvi restando i cann. 406 e 409, con la rimozione intimata loro dal Vescovo diocesano e inoltre quando la sede episcopale diviene vacante.
§ 2. Mentre è sospeso l'ufficio del Vescovo diocesano, è sospesa anche la potestà del Vicario generale e del Vicario episcopale, a meno che non siano insigniti della dignità episcopale.
Art. 2
Il cancelliere, gli altri notai e gli archivi
Can. 482 - § 1. In ogni curia venga costituito il cancelliere il cui incarico principale, a meno che non sia stabilito altro dal diritto particolare, consiste nel provvedere che gli atti della curia siano redatti compiutamente, e siano custoditi nell'archivio della stessa.
§ 2. Se si ritiene necessario, al cancelliere può essere dato un aiutante, col nome di vice-cancelliere.
§ 3. Il cancelliere e il vice-cancelliere sono per ciò stesso notai o segretari di curia.
Can. 483 - § 1. Oltre al cancelliere, possono essere costituiti altri notai, la cui scrittura o firma fa pubblica fede, e questo o per tutti gli atti, o per gli atti giudiziari solamente, e per gli atti di una causa determinata o di un negozio soltanto.
§ 2. Il cancelliere e i notai devono essere di integra reputazione e al di sopra di ogni sospetto; nelle cause in cui può essere in discussione la fama di un sacerdote, il notaio deve essere sacerdote.
Can. 484 - E' dovere dei notai:
      1° stendere per iscritto gli atti e gli strumenti riguardanti i decreti, le disposizioni, gli obblighi e le altre questioni per le quali si richiede il loro intervento;
      2° redigere fedelmente per iscritto le pratiche in corso e apporvi la firma insieme con l'indicazione del luogo, del giorno, del mese e dell'anno;
      3° esibire dalla registrazione con le dovute cautele, a chi ne fa legittima richiesta, gli atti e gli strumenti e dichiararne le copie conformi all'originale.
Can. 485 - Il cancelliere e gli altri notai possono essere liberamente rimossi dall'ufficio da parte del Vescovo diocesano, non però dall'Amministratore diocesano, se non con il consenso del collegio dei consultori.
Can. 486 - § 1. Tutti i documenti che riguardano la diocesi o le parrocchie devono essere custoditi con la massima cura.
§ 2. In ogni curia si costituisca in luogo sicuro l'archivio o tabularium diocesano per custodirvi, disposti secondo un ordine determinato e diligentemente chiusi, gli strumenti e le scritture che riguardano le questioni spirituali e temporali della diocesi.
§ 3. Dei documenti contenuti nell'archivio si compili un inventario o catalogo, con un breve riassunto delle singole scritture.
Can. 487 - § 1. L'archivio deve rimanere chiuso e ne abbiano la chiave solo il Vescovo e il cancelliere; a nessuno è lecito entrarvi se non con licenza del Vescovo oppure, contemporaneamente del Moderatore della curia e del cancelliere.
§ 2. E' diritto degli interessati ottenere, personalmente o mediante un procuratore, copia autentica manoscritta o fotostatica dei documenti che per loro natura sono pubblici e che riguardano lo stato della propria persona.
Can. 488 - Non è lecito asportare documenti dall'archivio, se non per breve tempo e col consenso del Vescovo oppure, contemporaneamente, del Moderatore della curia e del cancelliere.
Can. 489 - § 1. Vi sia nella curia diocesana anche un archivio segreto o almeno, nell'archivio comune, vi sia un armadio o una cassa chiusi a chiave e che non possano essere rimossi dalla loro sede; in essi si custodiscano con estrema cautela i documenti che devono essere conservati sotto segreto.
§ 2. Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva.
Can. 490 - § 1. Solo il Vescovo abbia la chiave dell'archivio segreto.
§ 2. Mentre la sede è vacante, l'archivio o l'armadio segreto non si apre se non in caso di vera necessità dallo stesso Amministratore diocesano.
§ 3. Non siano asportati documenti dall'archivio o armadio segreto.
Can. 491 - § 1. Il Vescovo diocesano abbia cura che anche gli atti e i documenti degli archivi delle chiese cattedrali, collegiate, parrocchiali e delle altre chiese che sono presenti nel suo territorio vengano diligentemente conservati e che compilino inventari o cataloghi in due esemplari, di cui uno sia conservato nell'archivio della rispettiva chiesa e l'altro nell'archivio diocesano.
§ 2. Il Vescovo diocesano abbia anche cura che nella diocesi vi sia un archivio storico e che i documenti che hanno valore storico vi si custodiscano diligentemente e siano ordinati sistematicamente.
§ 3. Per consultare o asportare gli atti e i documenti di cui ai §§ 1 e 2, si osservino le norme stabilite dal Vescovo diocesano.
Art. 3
Il consiglio per gli affari economici e l'economo
Can. 492 - § 1. In ogni diocesi venga costituito il consiglio per gli affari economici, presieduto dallo stesso Vescovo diocesano o da un suo delegato; esso è composto da almeno tre fedeli, veramente esperti in economia e nel diritto civile ed eminenti per integrità; essi sono nominati dal Vescovo.
§ 2. I membri del consiglio per gli affari economici siano nominati per un quinquennio, però, terminato tale periodo, possono essere assunti ancora per altri quinquenni.
§ 3. Sono esclusi dal consiglio per gli affari economici i congiunti del Vescovo fino al quarto grado di consanguineità o di affinità.
Can. 493 - Oltre ai compiti ad esso affidati nel Libro V I beni temporali della Chiesa, spetta al consiglio per gli affari economici predisporre ogni anno, secondo le indicazioni del Vescovo diocesano, il bilancio preventivo delle questue e delle elargizioni per l'anno seguente in riferimento alla gestione generale della diocesi e inoltre approvare, alla fine dell'anno, il bilancio delle entrate e delle uscite.
Can. 494 - § 1. In ogni diocesi, dopo aver sentito il collegio dei consultori e il consiglio per gli affari economici, il Vescovo nomini un economo; egli sia veramente esperto in economia e distinto per onestà.
§ 2. L'economo sia nominato per un quinquennio, però, scaduto tale periodo, può essere ancora nominato per altri quinquenni; mentre è in carica, il Vescovo non lo rimuova se non per grave causa, da valutarsi dopo aver sentito il collegio dei consultori e il consiglio per gli affari economici.
§ 3. E' compito dell'economo, secondo le modalità definite dal consiglio per gli affari economici, amministrare i beni della diocesi sotto l'autorità del Vescovo, fare sulla base delle entrate stabili della diocesi le spese che il Vescovo o altri da lui legittimamente incaricati abbiano ordinato.
§ 4. Nel corso dell'anno l'economo deve presentare al consiglio per gli affari economici il bilancio delle entrate e delle uscite.
Capitolo III
IL CONSIGLIO PRESBITERALE E IL COLLEGIO DEI CONSULTORI
Can. 495 - § 1. In ogni diocesi si costituisca il consiglio presbiterale, cioè un gruppo di sacerdoti che , rappresentando il presbiterio, sia come il senato del Vescovo; spetta al consiglio presbiterale coadiuvare il Vescovo nel governo della diocesi, a norma del diritto, affinché venga promosso nel modo più efficace il bene pastorale della porzione di popolo di Dio a lui affidata.
§ 2. Nei vicariati e nelle prefetture apostoliche il Vicario o il Prefetto costituiscano un consiglio composto da almeno tre presbiteri missionari e sentano il loro parere, espresso anche per lettera, negli affari più importanti.
Can. 496 - Il consiglio presbiterale abbia propri statuti approvati dal Vescovo diocesano, attese le norme emanate dalla Conferenza Episcopale.
Can. 497 - Per quanto riguarda la designazione dei membri del consiglio presbiterale:
      1° circa la metà venga liberamente eletta dagli stessi sacerdoti a norma dei canoni seguenti e degli statuti;
      2° alcuni sacerdoti, a norma degli statuti, devono essere membri di diritto, tali cioè che appartengono al consiglio per l'ufficio loro affidato;
      3° il Vescovo diocesano ha piena facoltà di nominare alcuni liberamente.
Can. 498 - § 1. Hanno diritto attivo e passivo di elezione in ordine alla costituzione del consiglio presbiterale:
      1° tutti i sacerdoti secolari incaricati nella diocesi;
      2° i sacerdoti secolari non incardinati nella diocesi e i sacerdoti membri di un istituto religioso o di una società di vita apostolica i quali, dimorando nella diocesi, esercitano in suo favore qualche ufficio.
      3° Per quanto gli statuti lo prevedano, lo stesso diritto di elezione può essere conferito ad altri sacerdoti che abbiano nella diocesi il domicilio o il quasi-domicilio
Can. 499 - Il modo di eleggere i membri del consiglio presbiterale deve essere determinato dagli statuti, però in modo tale che, per quanto è possibile, i sacerdoti del presbiterio siano rappresentati soprattutto in ragione dei diversi ministeri e delle diverse zone della diocesi.
Can. 500 - § 1. Spetta al Vescovo diocesano convocare il consiglio presbiterale, presiederlo e determinare le questioni da trattare oppure accogliere quelle proposte dai membri.
§ 2. Il consiglio presbiterale ha solamente voto consultivo; il Vescovo diocesano lo ascolti negli affari di maggiore importanza, ma ha bisogno del suo consenso solo nei casi espressamente previsti dal diritto.
§ 3. Il consiglio presbiterale non può mai agire senza il Vescovo diocesano al quale soltanto spetta la responsabilità di far conoscere ciò che è stato stabilito a norma del § 2.
Can. 501 - § 1. I membri del consiglio presbiterale siano designati per il tempo determinato dagli statuti, però in modo tale che entro un quinquennio si rinnovi tutto il consiglio o una parte di esso.
§ 2. Quando la sede diventa vacante, il consiglio presbiterale cessa e i suoi compiti sono svolti dal collegio dei consultori; entro un anno dalla presa di possesso, il Vescovo deve costituire nuovamente il consiglio presbiterale.
§ 3. Se il consiglio presbiterale non adempie il compito affidatogli per il bene della diocesi oppure ne abusa gravemente, il Vescovo diocesano, consultato il Metropolita, o, se si tratta della stessa sede metropolitana, il Vescovo suffraganeo più anziano di carica, può scioglierlo, ma entro un anno deve costituirlo nuovamente.
Can. 502 - § 1. Fra i membri del consiglio presbiterale il Vescovo diocesano nomina liberamente alcuni sacerdoti, in numero non minore di sei e non maggiore di dodici, i quali costituiscono per un quinquennio il collegio dei consultori, con i compiti determinati dal diritto; tuttavia al termine del quinquennio esso continua ad esercitare le sue funzioni finché non viene costituito il nuovo collegio.
§ 2. Il collegio dei consultori è presieduto dal Vescovo diocesano; mentre poi la sede è impedita o vacante, è presieduta da colui che sostituisce interinalmente il Vescovo oppure, se costui non è ancora stato costituito, dal sacerdote più anziano di ordinazione nel collegio dei consultori.
§ 3. La Conferenza Episcopale può stabilire che i compiti del collegio dei consultori siano affidati al capitolo cattedrale.
§ 4. Nel vicariato e nella prefettura apostolica i compiti del collegio dei consultori spettano al consiglio della missione di cui al can. 495, § 2, a meno che il diritto non stabilisca diversamente.

 


parte 2^ (canoni 503~1123)

Ikthys