CODICE 
DI 
DIRITTO CANONICO

2^ parte 
(canoni 503~1123)


Capitolo IV
I CAPITOLI DEI CANONICI

Can. 503 - Il capitolo dei canonici, sia cattedrale sia collegiale, è il collegio dei sacerdoti al quale spetta assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella chiesa cattedrale o collegiale; spetta inoltre al capitolo cattedrale adempiere i compiti che gli vengono affidati dal diritto o dal Vescovo diocesano.
Can. 504 - L'erezione, la modifica o la soppressione del capitolo cattedrale è riservata alla Sede Apostolica.
Can. 505 - Ogni capitolo, sia cattedrale sia collegiale, abbia propri statuti, costituiti mediante un legittimo atto capitolare e approvati dal Vescovo diocesano; tali statuti non vengano modificati o abrogati se non con l'approvazione dello stesso Vescovo diocesano.
Can. 506 - § 1. Gli statuti del capitolo, salve sempre le leggi di fondazione, determinino la stessa costituzione del capitolo e il numero dei canonici; definiscano i compiti del capitolo e dei singoli canonici in ordine alla celebrazione del culto divino e all'esercizio del ministero; regolino le riunioni in cui vengono trattate le questioni riguardanti il capitolo e, salve le disposizioni del diritto universale, determinino le condizioni richieste per la validità e la liceità degli atti.
§ 2. Negli statuti vengano anche definite le insegne e le retribuzioni dei canonici, sia quelle stabili, sia quelle da versare in occasione dell'adempimento di un incarico.
Can. 507 - § 1. Vi sia fra i canonici chi presiede il capitolo e vengano pure costituiti gli altri uffici, a norma degli statuti, tenendo anche conto degli usi vigenti nella regione.
§ 2. Ai chierici che non appartengono al capitolo possono essere affidati altri uffici mediante i quali, a norma degli statuti, prestano aiuto ai canonici.
Can. 508 - § 1. Il canonico penitenziere, sia della chiesa cattedrale sia della chiesa collegiale, ha in forza dell'ufficio la facoltà ordinaria che però non è delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure latae sentetiae non dichiarate, non riservate alla Sede Apostolica; tale facoltà riguarda, in diocesi, anche gli estranei e i diocesani anche fuori del territorio della diocesi.
§ 2. Dove manca il capitolo il Vescovo diocesano costituisca un sacerdote a compiere il medesimo incarico.
Can. 509 - § 1. Spetta al Vescovo diocesano udito il capitolo, ma non all'Amministratore diocesano, conferire tutti e singoli i cononicati, sia nella chiesa cattedrale sia nella chiesa collegiale, revocato ogni previlegio contrario; spetta ancora al Vescovo confermare colui che è eletto dal capitolo stesso per presiederlo.
§ 2. Il Vescovo diocesano conferisca i canonicati solo a sacerdoti che si distinguano per dottrina e integrità di vita e che abbiano esercitato lodevolmente il ministero.
Can. 510 - § 1. Le parrocchie non siano più unite al capitolo dei canonici; quelle che sono tuttora unite ad un capitolo, ne siano separate da parte del Vescovo diocesano.
§ 2. Nella chiesa che sia insieme parrocchiale e capitolare, venga costituito un parroco, scelto fra i capitolari o meno; questi è tenuto a tutti i doveri e possiede i diritti e le facoltà che, a norma del diritto, sono proprie del parroco.
§ 3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme precise mediante le quali possano essere debitamente armonizzati i doveri pastorali del parroco e le funzioni proprie del capitolo, facendo in modo che il parroco non sia di impedimento alle funzioni capitolari e il capitolo non sia di impedimento a quelle parrocchiali; se sorge un conflitto, lo dirima il Vescovo diocesano il quale deve curare innazitutto che si provveda in modo adeguato alle necessità pastorali dei fedeli.
§ 4. Le offerte che vengono elargite ad una chiesa contemporaneamente parrocchiale e capitolare, si presumono elargite alla parrocchia, se non consti altro.
Capitolo V
IL CONSIGLIO PASTORALE
Can. 511 - In ogni diocesi, se lo suggerisce la situazione pastorale, si costituisca il consiglio pastorale, al quale spetta, sotto l'autorità del Vescovo, studiare, valutare e proporre conclusioni operative su tutto ciò che riguarda le attività pastorali della diocesi.
Can. 512 - § 1. Il consiglio pastorale è composto da fedeli che siano in piena comunione con la Chiesa cattolica, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia soprattutto laici; essi vengono designati nel modo determinato dal Vescovo diocesano.
§ 2. I fedeli designati al consiglio pastorale siano scelti in modo che attraverso di loro sia veramente rappresentata tutta la porzione di popolo di Dio che costituisce la diocesi, tenendo presenti le diverse zone della diocesi stessa, le condizioni sociali, le professioni e inoltre il ruolo che essi hanno nell'apostolato, sia come singoli, sia in quanto associati.
§ 3. Al consiglio pastorale non vengano designati se non fedeli che si distinguono per fede sicura, buoni costumi e prudenza.
Can. 513 - § 1. Il consiglio pastorale viene costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni degli statuti dati dal Vescovo.
§ 2. Quando la sede diviene vacante, il consiglio pastorale cessa.
Can. 514 - § 1. Spetta unicamente al Vescovo diocesano, secondo le necessità dell'apostolato, convocare e presiedere il consiglio pastorale, che gode solamente di voto consultivo.
§ 2. Il consiglio pastorale sia convocato almeno una volta l'anno.
Capitolo VI
LE PARROCCHIE, I PARROCI E I VICARI PARROCCHIALI
Can. 515 - § 1. La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore.
§ 2. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale.
§ 3. La parrocchia eretta legittimamente gode di personalità giuridica per il diritto stesso.
Can. 516 - § 1. A meno che il diritto non disponga diversamente, alla parrocchia è equiparata la quasi-parrocchia, che è una comunità determinata di fedeli nell'ambito della Chiesa particolare, affidata ad un sacerdote come suo pastore, ma che, per speciali circostanze, non è ancora stata eretta come parrocchia.
§ 2. Quando una comunità non può essere eretta parrocchia o quasi-parrocchia, il Vescovo diocesano provveda in altro modo alla sua cura pastorale.
Can. 517 - § 1. Quando le circostanze lo richiedono, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata in solido a più sacerdoti, a condizione tuttavia che uno di essi ne sia il moderatore nell'esercizio della cura pastorale, tale cioè che diriga l'attività comune e di essa risponda davanti al Vescovo.
§ 2. Nel caso che il Vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale.
Can. 518 - Come regola generale, la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio; dove però risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del diritto, della lingua, della nazionalità dei fedeli appartenenti ad un territorio, oppure anche sulla base di altre precise motivazioni.
Can. 519 - Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l'autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l'apporto dei fedeli laici, a norma del diritto.
Can. 520 - §1. Il parroco non sia una persona giuridica; tuttavia il Vescovo diocesano, ma non l'Amministratore diocesano, col consenso del Superiore competente, può affidare una parrocchia ad un istituto religioso clericale o ad una società clericale di vita apostolica, anche erigendola presso la chiesa dell'istituto o della società, a condizione però che un solo sacerdote sia parroco della parrocchia, oppure, se la cura pastorale è affidata in solido a più sacerdoti, il moderatore di cui al can. 517, § 1.
§ 2. L'assegnazione della parrocchia di cui al § 1 può essere fatta sia in perpetuo, sia a tempo determinato; in ambedue i casi avvenga mediante una convenzione scritta stipulata fra il Vescovo diocesano e il Superiore competente dell'istituto o della società; in essa, fra l'altro, venga definito espressamente e con precisione tutto quello che riguarda l'attività da svolgere, le persone da impiegarvi e le questioni economiche.
Can. 521 - § 1. Perché uno sia nominato parroco validamente, deve essere costituito nel sacro ordine del presbiterato.
§ 2. Si distingua inoltre per sana dottrina e onestà di costumi, sia dotato di zelo per le anime e di ogni altra virtù e abbia quelle qualità che sono richieste sia dal diritto universale, sia dal diritto particolare per la cura pastorale della parrocchia in questione.
§ 3. Per conferire a qualcuno l'ufficio di parroco, è opportuno che venga accertata con sicurezza la sua idoneità nel modo determinato dal Vescovo, anche mediante un esame.
Can. 522 - E' opportuno che il parroco goda di stabilità, perciò venga nominato a tempo indeterminato; il Vescovo diocesano può nominarlo a tempo determinato solamente se ciò fu ammesso per decreto dalla Conferenza Episcopale.
Can. 523 - Fermo restando il disposto del can. 682, la provvisione dell'ufficio di parroco spetta al Vescovo diocesano; essa avviene mediante libero conferimento, a meno che qualcuno non abbia il diritto di presentazione o di elezione.
Can. 524 - Il Vescovo diocesano, dopo aver valutato tutte le circostanze, affidi la parrocchia vacante a chi ritiene idoneo ad esercitarvi la cura pastorale, esclusa ogni preferenza di persone; per giudicarne l'idoneità, senta il vicario foraneo ed esegua le indagini opportune, uditi, se del caso, determinati presbiteri come pure fedeli laici.
Can. 525 - Mentre la sede è vacante o impedita, all'Amministratore diocesano o a colui che regge interinalmente la diocesi spetta:
      1° concedere l'istituzione o la conferma al sacerdote legittimamente presentato o eletto per una parrocchia;
      2° nominare i parroci se la sede è vacante o impedita da un anno.
Can. 526 - § 1. Il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia; tuttavia, per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine.
§ 2. Nella medesima parrocchia vi sia soltanto un parroco o un moderatore a norma del can. 517, § 1, riprovata ogni consuetudine contraria e revocato ogni privilegio contrario.
Can. 527 - § 1. Colui che è stato promosso alla cura pastorale di una parrocchia, la ottiene ed è tenuto ad esercitarla dal momento della presa di possesso.
§ 2. L'immissione in possesso del parroco spetta all'Ordinario del luogo o ad un sacerdote da lui delegato e devono essere osservate le modalità determinate dalla legge particolare o dalla legittima consuetudine; tuttavia, per giusta causa, il medesimo Ordinario può dispensare da tali modalità; in tal caso la dispensa comunicata alla parrocchia sostituisce la presa di possesso.
§ 3. L'Ordinario del luogo determini il tempo entro il quale deve avvenire la presa di possesso della parrocchia; trascorso inutilmente tale tempo, se non si sia opposto un giusto impedimento, può dichiarare la parrocchia vacante.
Can. 528 - § 1. Il parroco è tenuto a fare in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia; perciò curi che i fedeli laici siano istruiti nelle verità della fede, soprattutto con l'omelia delle domeniche e delle feste di precetto e con l'istruzione catechetica; favorisca inoltre le attività che promuovono lo spirito evangelico, anche in ordine alla giustizia sociale; abbia cura speciale della formazione cattolica dei fanciulli e dei giovani; si impegni in ogni modo, anche con la collaborazione dei fedeli, perché l'annuncio evangelico giunga anche a coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede.
§ 2. Il parroco faccia in modo che la santissima Eucarestia sia il centro dell'assemblea parrocchiale dei fedeli; si adoperi perché i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in special modo perché si accostino frequentemente al sacramento della santissima Eucarestia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia, e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra liturgia, di cui il parroco deve essere i moderatore nella sua parrocchia, sotto l'autorità del Vescovo diocesano e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi.
Can. 529 - § 1. Per poter adempiere diligentemente l'ufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perciò visiti le famiglie, partecipando alle sollecitudini dei fedeli, soprattutto alle loro angosce e ai loro lutti, confortandoli con prudenza; assista con traboccante carità gli ammalati, soprattutto quelli vicini alla morte, nutrendoli con sollecitudine dei sacramenti e raccomandandone l'anima a Dio; con speciale diligenza sia vicino ai poveri e agli ammalati, agli afflitti, a coloro che sono soli, agli esuli e a tutti coloro che attraversano particolari difficoltà; si impegni anche perché gli sposi e i genitori siano sostenuti nell'adempimento dei loro doveri e favorisca l'incremento della vita cristiana nella famiglia.
§ 2. Il parroco riconosca e promuova il ruolo che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalità religiose. Collabori col proprio Vescovo e col presbiterio della diocesi, impegnandosi anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale, perché si sentano membri e della diocesi e della Chiesa universale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere le comunione.
Can. 530 - Le funzioni affidate al parroco in modo speciale sono le seguenti:
      1° amministrare il battesimo;
      2° amministrare il sacramento della confermazione a coloro che sono in pericolo di morte, a norma del can. 883, n. 3;
      3° Amministrare il Viatico e l'unzione degli infermi, fermo restando il disposto del can. 1003, §§ 2 e 3, e impartire la benedizione apostolica;
      4° assistere al matrimonio e benedire le nozze;
      5° celebrare i funerali;
      6° benedire il fonte battesimale nel tempo pasquale, guidare le processioni fuori della chiesa e impartire le benedizioni solenni fuori della chiesa;
      7° celebrare l'Eucarestia più solenne nelle domeniche e nelle feste di precetto.
Can. 531 - Anche se è un altro a svolgere qualche incarico parrocchiale, le offerte ricevute dai fedeli in tale occasione siano versate nella cassa parrocchiale, a meno che, quando si tratta di offerte volontarie, non costi l'intenzione contraria dell'offerente; spetta al Vescovo diocesano, sentito il consiglio presbiterale, stabilire le norme con le quali si provvede alla destinazione di tali offerte e alla rimunerazione dei sacerdoti che svolgono il medesimo incarico.
Can. 532 - Il parroco rappresenta la parrocchia, a norma del diritto, in tutti i negozi giuridici; curi che i beni della parrocchia siano amministrati a norma dei cann. 1281-1288.
Can. 533 - § 1. Il parroco è tenuto all'obbligo di risiedere nella casa parrocchiale in vicinanza della chiesa; tuttavia in casi particolari, per giusta causa, l'Ordinario del luogo può permettere che dimori altrove, soprattutto se si tratta di un'abitazione comune a più sacerdoti, purché si possa provvedere in modo opportuno e adeguato all'adempimento degli incarichi parrocchiali.
§ 2. A meno che non sussista un motivo grave, il parroco può assentarsi ogni anno dalla parrocchia per ferie al massimo per un mese, continuo o interrotto; in questo tempo delle ferie non vengono computati i giorni che il parroco dedica una volta all'anno al ritiro spirituale; tuttavia, per assentarsi dalla parrocchia per un tempo superiore ad una settimana, il parroco è tenuto ad avvertirne l'Ordinario del luogo.
§ 3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme che assicurino, durante l'assenza del parroco, l'esercizio della cura pastorale della parrocchia tramite un sacerdote fornito delle debite facoltà.
Can. 534 - § 1. Dopo aver preso possesso della parrocchia, il parroco è tenuto all'obbligo di applicare la Messa per il popolo affidatogli ogni domenica e nelle feste che nella sua diocesi sono di precetto; chi ne è legittimamente impedito la applichi negli stessi giorni mediante un altro oppure, in giorni diversi, la applichi personalmente.
§ 2. Il parroco che ha la cura di più parrocchie, nei giorni di cui al § 1, è tenuto ad applicare una Mesa per tutto il popolo affidatogli.
§ 3. Il parroco che non abbia soddisfatto all'obbligo di cui ai §§ 1 e 2, applichi quanto prima tante Messe per il popolo quante ne ha tralasciate.
Can. 535 - In ogni parrocchia vi siano i libri parrocchiali, cioè il libro dei battezzati, dei matrimoni, dei defunti ed eventualmente altri libri secondo le disposizioni date dalla Conferenza Episcopale o dal Vescovo diocesano; il parroco provveda che tali libri siano redatti accuratamente e diligentemente conservati.
§ 2. Nel libro dei battezzati si annoti anche la confermazione e tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio, salvo il disposto del can. 1133, all'adozione, come pure in rapporto all'ordine sacro, alla professione perpetua emessa in un istituto religioso e al cambiamento del rito; tali annotazioni vengano sempre riportate nei certificati di battesimo.
§ 3. Ogni parrocchia abbia il proprio sigillo; gli attestati emessi sullo stato canonico dei fedeli, come pure tutti gli atti che possono avere rilevanza giuridica, siano sottoscritti dal parroco o da un suo delegato e muniti del sigillo parrocchiale.
§ 4. In ogni parrocchia vi sia il tabularium o archivio, in cui vengano custoditi i libri parrocchiali, insieme con le lettere dei Vescovi e gli altri documenti che si devono conservare per la loro necessità o utilità; tali libri e documenti devono essere controllati dal Vescovo diocesano o dal suo delegato durante la visita o in altro tempo opportuno e il parroco faccia attenzione che essi non vadano in mano ad estranei.
§ 5. Anche i libri parrocchiali più antichi vengano custoditi diligentemente, secondo le disposizioni del diritto particolare.
Can. 536 - § 1. Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il collegio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l'attività pastorale.
§ 2. Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano.
Can. 537 - In ogni parrocchia vi sia il consiglio per gli affari economici che è retto, oltre che dal diritto universale, dalle norme date dal Vescovo diocesano; in esso i fedeli, scelti secondo le medesime norme, aiutino il parroco nell'amministrazione dei beni della parrocchia, fermo restando il disposto del can. 532.
Can. 538 - § 1. Il parroco cessa dall'ufficio con la rimozione o il trasferimento deciso da parte del Vescovo diocesano a norma del diritto, con la rinuncia fatta dal parroco stesso per giusta causa, la quale, per essere valida, deve essere accettata dal Vescovo, e inoltre cessa allo scadere del tempo se fu costituito a tempo determinato, secondo le disposizioni del diritto particolare di cui al can. 522.
§ 2. Il parroco membro di un istituto religioso o incardinato in una società di vita apostolica, viene rimosso a norma del can. 682, § 2.
§ 3. Compiuti i settantacinque anni, il parroco è invitato a presentare la rinuncia all'ufficio al Vescovo diocesano, il quale, considerata ogni circostanza di persona e di luogo, decida se accettarla o differirla; il Vescovo diocesano deve provvedere in modo adeguato al sostentamento e all'abitazione del rinunciante, attese le norme emanate dalla Conferenza Episcopale.
Can. 539 - Quando la parrocchia è vacante, oppure quando il parroco è impedito nell'esercizio dell'ufficio pastorale nella parrocchia per prigionia, esilio o confino, per inabilità o malferma salute oppure per altre cause, il Vescovo diocesano designi quanto prima l'amministratore parrocchiale, il sacerdote cioè che supplisca il parroco a norma del can. 540.
Can. 540 - § 1. L'amministratore parrocchiale è tenuto agli stessi doveri e ha gli stessi diritti del parroco, a meno che il Vescovo diocesano non stabilisca diversamente.
§ 2. All'amministratore parrocchiale non è lecito compiere nulla che rechi pregiudizio ai diritti del parroco o che possa essere di danno ai beni parrocchiali.
§ 3. Al termine del suo incarico, l'amministratore parrocchiale presenti al parroco il rendiconto.
Can. 541 - § 1. Quando la parrocchia diviene vacante e quando il parroco è impedito nell'esercizio della funzione pastorale, prima della costituzione dell'amministratore parrocchiale, assuma interinalmente il governo della parrocchia il vicario parrocchiale; se essi sono più d'uno, il più anziano per nomina; se poi mancano i vicari, lo assuma il parroco che è indicato dal diritto particolare.
§ 2. Chi assume il governo della parrocchia a norma del can. 516, § 1, avverta immediatamente l'Ordinario del luogo che la parrocchia è vacante.
Can. 542 - I sacerdoti ai quali, a norma del can. 516, § 1, viene affidata in solido la cura pastorale di una parrocchia o di più parrocchie contemporaneamente:
      1° devono possedere le qualità di cui al can. 521;
      2° siano nominati o istituiti a norma di quanto dispongono i cann. 522 e 524;
      3° ottengano la cura pastorale solo dal momento della presa di possesso; il loro moderatore viene immesso in possesso a norma di quanto prescrive il can. 527, § 2; per gli altri sacerdoti poi la professione di fede emessa legittimamente tiene il posto della presa di possesso.
Can. 543 - § 1. Se a determinati sacerdoti viene affidata in solido la cura pastorale di una parrocchia o di più parrocchie contemporaneamente essi sono tenuti singolarmente, secondo i criteri da loro stessi stabiliti, all'obbligo di adempiere i compiti e le funzioni proprie del parroco di cui ai cann. 528, 529 e 530; la facoltà di assistere ai matrimoni come pure le facoltà di dispensa concesse al parroco per il diritto stesso, spettano a tutti, ma devono essere esercitate sotto le direzione del moderatore.
§ 2. Tutti i sacerdoti del gruppo:
      1° sono tenuti all'obbligo della residenza;
      2° di comune accordo stabiliscono i criteri secondo cui uno di loro celebra la Messa per il popolo, a norma del can. 533;
      3° solo il moderatore rappresenta nei negozi giuridici la parrocchia o le parrocchie affidate al gruppo.
Can. 544 - Quando cessa dall'ufficio un sacerdote della comunità di cui al can. 517, § 1, o il moderatore del gruppo, e parimenti quando uno di loro diviene inabile ad esercitare la funzione pastorale, non diviene vacante la parrocchia o le parrocchie la cui cura è affidata al gruppo; spetta al Vescovo diocesano nominare un altro moderatore; però prima che il Vescovo costituisca un altro moderatore, adempia tale ufficio il sacerdote del gruppo più anziano per nomina.
Can. 545 - § 1. Ogni volta che risulta necessario o opportuno ai fini della adeguata cura pastorale della parrocchia, al parroco possono essere affiancati uno o più vicari parrocchiali, i quali si dedicano al ministero pastorale come cooperatori del parroco e partecipi della sua sollecitudine, mediante attività e iniziative programmate con il parroco e sotto la sua autorità.
§ 2. Il vicario parrocchiale può essere costituito perché presti il suo aiuto nell'adempiere tutto il ministero pastorale e, in questo caso, o per tutta la parrocchia o per una parte determinata di essa o per un certo gruppo di fedeli; oppure può anche essere costituito per assolvere uno specifico ministero contemporaneamente in più parrocchie determinate.
Can. 546 - Perché uno sia validamente nominato vicario parrocchiale, è necessario che sia costituito nel sacro ordine del presbiterato.
Can. 547 - Il vicario parrocchiale è nominato liberamente dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, se lo ritiene opportuno, il parroco o i parroci delle parrocchie per le quali è costituito, e inoltre il vicario foraneo, fermo restando il disposto del can. 682, § 1.
Can. 548 - § 1. Gli obblighi e i diritti del vicario parrocchiale sono definiti, oltre che dai canoni del presente capitolo, anche dagli statuti diocesani come pure dalla lettera del Vescovo diocesano, ma sono determinati in modo più specifico dalle disposizioni del parroco.
§ 2. A meno che nella lettera del Vescovo diocesano non si disponga espressamente altro, il vicario parrocchiale è tenuto all'obbligo, per l'ufficio che esercita, di aiutare il parroco in tutto il ministero parrocchiale, fatta eccezione per quanto riguarda l'applicazione della Messa per il popolo; è anche tenuto all'obbligo di supplirlo, quando è il caso, a norma del diritto.
§ 3. Il vicario parrocchiale riferisca regolarmente al parroco le iniziative pastorali programmate e in atto, in modo che il parroco e il vicario o i vicari siano in grado di provvedere, con impegno comune, alla cura pastorale della parrocchia, di cui insieme sono garanti.
Can. 549 - Se il parroco è assente, a meno che il Vescovo diocesano non abbia provveduto in modo diverso a norma del can. 533, § 3 e a meno che non sia stato costituito l'amministratore parrocchiale, si osservino le disposizioni del can. 541, § 1; in tal caso il vicario è tenuto anche a tutti gli obblighi del parroco, fatta eccezione per l'obbligo di applicare la Messa per il popolo.
Can. 550 - § 1. Il vicario parrocchiale è tenuto all'obbligo di risiedere nella parrocchia oppure, se è stato costituito per più parrocchie contemporaneamente, di risiedere in una di esse; tuttavia, per una giusta causa, l'Ordinario del luogo può permettere che risieda altrove, soprattutto se si tratta di una casa comune per più sacerdoti, purché ciò non rechi pregiudizio all'adempimento delle funzioni pastorali.
§ 2. L'Ordinario del luogo curi che si promuova, fra parroco e vicari, dove è possibile, una certa pratica di vita comune nella casa parrocchiale.
§ 3. Per quanto riguarda il periodo delle vacanze, il vicario parrocchiale ha gli stessi diritti del parroco.
Can. 551 - Per quanto riguarda le offerte che i fedeli fanno al vicario in occasione del ministero pastorale, si osservino le disposizioni del can. 531.
Can. 552 - Il vicario parrocchiale può essere rimosso, per giusta causa, dal Vescovo diocesano o dall'Amministratore diocesano, fermo restando il disposto del can. 682, § 2.
Capitolo VII
I VICARI FORANEI
Can. 553 - § 1. Il vicario foraneo, chiamato anche decano o arciprete o con altro nome, è il sacerdote che è preposto al vicariato foraneo.
§ 2. A meno che il diritto particolare non stabilisca altro, il vicario foraneo è nominato dal Vescovo diocesano, dopo aver sentito, a suo prudente giudizio, i sacerdoti che svolgono il ministero nel vicariato in questione.
Can. 554 - § 1. Per l'ufficio di vicario foraneo, che non è legato all'ufficio di parroco di una parrocchia determinata, il Vescovo scelga il sacerdote che avrà giudicato idoneo, valutate le circostanze di luogo e di tempo.
§ 2. Il vicario foraneo venga nominato a tempo determinato, definito dal diritto particolare.
§ 3. Il Vescovo diocesano può rimuovere liberamente, per giusta causa, secondo la sua prudente decisione, il vicario foraneo.
Can. 555 - § 1. Il vicario foraneo, oltre alle facoltà che gli attribuisce legittimamente il diritto particolare, ha il dovere e il diritto:
      1° di promuovere e coordinare l'attività pastorale comune nell'ambito del vicariato;
      2° di aver cura che i chierici del proprio distretto conducano una vita consona al loro stato e adempiano diligentemente i loro doveri;
      3° di provvedere che le funzioni sacre siano celebrate secondo le disposizioni della sacra liturgia, che si curi il decoro e la pulizia delle chiese e della suppellettile sacra, soprattutto nella celebrazione eucaristica e nella custodia del santissimo Sacramento, che i libri parrocchiali vengano redatti accuratamente e custoditi nel debito modo, che i beni ecclesiastici siano amministrati diligentemente; infine che la casa parrocchiale sia conservata con la debita cura.
§ 2. Il vicario foraneo nell'ambito del vicariato affidatogli:
      1° si adoperi perché i chierici, secondo le disposizioni del diritto particolare, partecipino nei tempi stabiliti alle lezioni, ai convegni teologici o alle conferenze a norma del can. 279, § 2;
      2° abbia cura che siano disponibili sussidi spirituali per i presbiteri del suo distretto ed abbia parimenti la massima sollecitudine per i sacerdoti che si trovano in situazioni difficili o sono angustiati da problemi.
      3° Il vicario foraneo abbia cura che i parroci del suo distretto, che egli sappia gravemente ammalati , non manchino di aiuti spirituali e materiali e che vengano celebrate degne esequie per coloro che muoiono; faccia anche in modo che durante la loro malattia o dopo la loro morte, non vadano perduti o asportati i libri, i documenti, la suppellettile sacra e ogni altra cosa che appartiene alla chiesa.
      4° Il vicario foraneo è tenuto all'obbligo di visitare le parrocchie del suo distretto secondo quanto avrà determinato il Vescovo diocesano.
Capitolo VIII
I RETTORI DELLE CHIESE E I CAPPELLANI
Art. 1
I rettori delle chiese
Can. 556 - In questo contesto col nome di rettore di una chiesa si intende il sacerdote al quale è demandata la cura di una chiesa che non è né parrocchiale, né capitolare, né annessa alla casa di una comunità religiosa o di una società di vita apostolica che vi celebrino le proprie funzioni.
Can. 557 - § 1 Il rettore di una chiesa viene nominato liberamente dal Vescovo diocesano, a meno che a qualcuno non competa legittimamente il diritto di elezione o di presentazione; in tal caso spetta al Vescovo diocesano confermare o istituire il rettore.
§ 2. Anche se la chiesa appartiene ad un istituto clericale religioso di diritto pontificio, spetta al Vescovo diocesano istituire il rettore presentato dal Superiore.
§ 3. Il rettore di una chiesa che sia unita al seminario o ad un collegio retto da chierici, è il rettore del seminario o del collegio, a meno che il Vescovo diocesano non abbia stabilito altrimenti.
Can. 558 - Salvo il can.262, non è lecito al rettore compiere nella chiesa affidatagli le funzioni parrocchiali di cui al can. 530, nn. 1-6, a meno che non ci sia il consenso del parroco oppure, se è il caso, la sua delega.
Can. 559 - Nella chiesa affidatagli il rettore può compiere celebrazioni liturgiche anche solenni, salve le legittime leggi di fondazione e purché, a giudizio dell'Ordinario del luogo, non rechino danno in alcun modo al ministero parrocchiale.
Can. 560 - Quando lo ritenga opportuno, l'Ordinario del luogo può ingiungere al rettore di celebrare nella sua chiesa determinate funzioni anche parrocchiali per il popolo e inoltre di aprire la chiesa a determinati gruppi di fedeli perché vi celebrino funzioni liturgiche.
Can. 561 - Senza licenza del rettore o di un altro Superiore legittimo, a nessuno è lecito celebrare nella chiesa l'Eucarestia, amministrare i sacramenti o compiere altre funzioni sacre; licenza che deve essere data o negata a norma del diritto.
Can. 562 - Il rettore di una chiesa, sotto l'autorità dell'Ordinario del luogo e osservando i legittimi statuti e i diritti acquisiti, è tenuto all'obbligo di vigilare che le funzioni sacre vengano celebrate nella chiesa con decoro, secondo le norme liturgiche e le disposizioni dei canoni, che gli oneri siano fedelmente adempiuti, che i beni siano amministrati diligentemente, che si provveda alla conservazione e al decoro della suppellettile sacra e degli edifici sacri, e che non vi avvenga nulla che sia in qualunque modo sconveniente alla santità del luogo e al rispetto dovuto alla casa di Dio.
Can. 563 - L'Ordinario del luogo, per giusta causa, può rimuovere dall'ufficio, secondo la sua prudente decisione, il rettore di una chiesa, anche se è stato eletto o presentato da altri, fermo restando il disposto del can. 682, § 2.
Art. 2
I cappellani
Can. 564 - Il cappellano è il sacerdote cui viene affidata in modo stabile la cura pastorale, almeno in parte, di una comunità o di un gruppo particolare di fedeli, e che deve essere esercitata a norma del diritto universale e particolare.
Can. 565 - A meno che il diritto non preveda altro o a meno che a qualcuno non spettino legittimamente diritti speciali, il cappellano viene nominato dall'Ordinario del luogo, al quale pure compete istituire chi è stato presentato o confermare chi è stato eletto.
Can. 566 - § 1. E' opportuno che il cappellano sia fornito di tutte le facoltà che richiede una ordinaria cura pastorale. Oltre a quelle che vengono concesse dal diritto particolare o da una delega speciale, il cappellano, in forza dell'ufficio, ha la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle sue cure, di predicare loro la parola di Dio, di amministrare loro il Viatico e l'unzione degli infermi, nonché di conferire il sacramento della confermazione a chi tra loro versa in pericolo di morte.
§ 2. Negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare il cappellano ha inoltre la facoltà, esercitabile solo in tali luoghi, di assolvere dalle censure latae sententiae non riservate né dichiarate, fermo restando tuttavia il disposto del can. 976.
Can. 567 - § 1. L'Ordinario del luogo non proceda alla nomina del cappellano di una casa di un istituto religioso laicale senza aver consultato il Superiore, il quale ha il diritto, sentita la comunità, di proporre qualche sacerdote.
§ 2. Spetta al cappellano celebrare o dirigere le funzioni liturgiche; non gli è lecito però ingerirsi nel governo interno dell'istituto.
Can. 568 - Per quanto è possibile, siano costituiti dei cappellani per coloro che non possono usufruire, per la loro situazione di vita, della cura ordinaria dei parroci, come gli emigranti, gli esuli, i profughi, i nomadi i naviganti.
Can. 569 - I cappellani militari sono retti da leggi speciali.
Can. 570 - Se alla sede di una comunità o di un gruppo è annessa una chiesa non parrocchiale, il cappellano sia rettore della chiesa stessa, a meno che la cura della comunità o della chiesa non esiga altro.
Can. 571 - Nell'esercizio del suo incarico pastorale, il cappellano mantenga il debito rapporto con il parroco.
Can. 572 - Per quanto riguarda la rimozione del cappellano, si osservi il disposto del can. 563.
PARTE III
GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETA' DI VITA APOSTOLICA
SEZIONE I
GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
Titolo I
Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata
Can. 573 - § 1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste.
§ 2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere osservare i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale i consigli stessi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.
Can. 574 - § 1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto e promosso da tutti.
§ 2. A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per usufruire di un dono peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del proprio istituto, giovare alla sua missione di salvezza.
Can. 575 - I consigli evangelici, fondati sull'insegnamento e sugli esempi di Cristo Maestro, sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore e con la sua grazia sempre conserva.
Can. 576 - Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante l'approvazione canonica e parimenti, per quanto le compete, curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni.
Can. 577 - Nella Chiesa sono moltissimi gli istituti di vita consacrata, che hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro concessa: essi infatti seguono più da vicino Cristo che prega, che annuncia il Regno di Dio, che fa del bene agli uomini o ne condivide la vita nel mondo, ma sempre compie la volontà del Padre.
Can. 578 - L'intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, così come le sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell'istituto, devono essere da tutti fedelmente custoditi.
Can. 579 - I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con formale decreto istituti di vita consacrata, purché sia stata consultata la Sede Apostolica.
Can. 580 - L'aggregazione di un istituto di vita consacrata ad un altro è riservata all'autorità competente dell'istituto aggregante, salva sempre l'autonomia canonica dell'istituto aggregato.
Can. 581 - Spetta all'autorità competente dell'istituto a norma delle costituzioni dividere l'istituto stesso in parti, con qualunque nome designate, erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o circoscriverle in modo diverso.
Can. 582 - Sono riservate unicamente alla Sede Apostolica le fusioni e le unioni di istituti di vita consacrata, come anche il costituire confederazioni e federazioni.
Can. 583 - Le modifiche negli istituti di vita consacrata, che riguardino elementi già approvati dalla Sede Apostolica, non si possono effettuare senza il suo benestare.
Can. 584 - Sopprimere un istituto spetta unicamente alla Sede Apostolica, alla quale compete pure disporre dei beni temporali relativi.
Can. 585 - Spetta invece all'autorità competente dell'istituto la soppressione di parti dell'Istituto stesso.
Can. 586 - § 1. E' riconosciuta ai singoli istituti una giusta autonomia di vita, specialmente di governo, mediante la quale possano valersi nella Chiesa di una propria disciplina e conservare integro il proprio patrimonio, di cui al can. 578.
§ 2. E' compito degli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia.
Can. 587 - § 1. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti il codice fondamentale, o costituzioni, di ciascuno deve contenere, oltre a ciò che è stabilito da osservarsi nel can. 578, le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto proprio dei sacri vincoli.
§ 2. Tale codice è approvato dalla competente autorità della Chiesa e soltanto con il suo consenso può essere modificato.
§ 3. In tale codice siano adeguatamente armonizzati gli elementi spirituali e quelli giuridici; tuttavia non si moltiplichino le norme senza necessità.
§ 4. Tutte le altre norme, stabilite dall'autorità competente dell'istituto, siano opportunamente raccolte in altri codici e potranno essere rivedute e adattate convenientemente secondo le esigenze dei luoghi e dei tempi.
Can. 588 - § 1. Lo stato di vita consacrata, per natura sua, non è né clericale né laicale.
§ 2. Si dice istituto clericale quello che, secondo il progetto inteso dal fondatore, oppure in forza di una legittima tradizione, è governato da chierici, assume l'esercizio dell'ordine sacro e come tale viene riconosciuto dall'autorità della Chiesa.
§ 3. Si chiama istituto laicale quello che, riconosciuto come tale dalla Chiesa stessa, in forza della sua natura, dell'indole e del fine, ha un compito specifico, determinato dal fondatore o in base ad una legittima tradizione, che non comporta l'esercizio dell'ordine sacro.
Can. 589 - Un istituto di vita consacrata si dice di diritto pontificio se è stato eretto oppure approvato con decreto formale dalla Sede Apostolica; di diritto diocesano invece se, eretto dal Vescovo diocesano, non ha ottenuto dalla Sede Apostolica il decreto di approvazione.
Can. 590 - § 1. Gli istituti di vita consacrata, in quanto dediti in modo speciale al servizio di Dio e di tutta la Chiesa, sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa.
§ 2. I singoli membri sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche in forza del vincolo sacro di obbedienza.
Can. 591 - Per meglio provvedere al bene degli istituti e alle necessità dell'apostolato il Sommo Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale, può esimere gli istituti di vita consacrata dal governo degli Ordinari del luogo e sottoporli soltanto alla propria autorità, o ad altra autorità ecclesiastica, in vista di un vantaggio comune.
Can. 592 - § 1. Perché sia più efficacemente favorita la comunione degli istituti con la Sede Apostolica, ogni Moderatore supremo trasmetta alla medesima, nel modo e nel tempo da questa fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita del proprio istituto.
§ 2. I Moderatori di ogni istituto provvedano a far conoscere i documenti della Santa Sede riguardanti i membri loro affidati, e ne curino l'osservanza.
Can. 593 - Fermo restando il disposto del can. 586, gli istituti di diritto pontificio sono soggetti in modo immediato ed esclusivo alla potestà della Sede Apostolica in quanto al regime interno e alla disciplina.
Can. 594 - L'istituto di diritto diocesano, fermo restando il can. 586, rimane sotto la speciale cura del Vescovo diocesano.
Can. 595 - § 1. Spetta al Vescovo della sede principale approvare le condizioni e confermare le modifiche in esse legittimamente apportate, salvo ciò su cui fosse intervenuta la Sede Apostolica; inoltre è di sua competenza trattare gli affari di maggiore rilievo riguardanti l'intero istituto, quando superano l'ambito di potestà dell'autorità interna non senza però avere consultato gli altri Vescovi diocesani, qualora l'istituto fosse esteso in più diocesi.
§ 2. Il Vescovo diocesano può concedere dispense dalle costituzioni in casi particolari.
Can. 596 - § 1. I Superiori e i capitoli degli istituti hanno sui membri quella potestà che è definita dal diritto universale e dalle costituzioni.
§ 2. Negli istituti clericali di diritto pontificio essi godono inoltre della potestà ecclesiastica di governo, tanto per il foro esterno quanto per quello interno.
§ 3. Alla potestà di cui al § 1 si applicano le disposizioni dei cann. 131, 133 e 137-144.
Can. 597 - § 1. In un istituto di vita consacrata può essere ammesso ogni cattolico che abbia retta intenzione, che possegga le qualità richieste dal diritto universale e da proprio, e non sia vincolato da impedimento alcuno.
§ 2. Nessuno può essere ammesso senza adeguata preparazione.
Can. 598 - § 1. Ogni istituto, attese l'indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo il suo programma di vita, sono da osservarsi i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza.
§ 2. Tutti i membri devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell'istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.
Can. 599 - Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato.
Can. 600 - Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli.
Can. 601 - Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai Superiori legittimi, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni.
Can. 602 - La vita fraterna propria di ogni istituto, per la quale tutti i membri sono radunati in Cristo come una sola peculiare famiglia, sia definita in modo da riuscire per tutti un aiuto reciproco nel realizzare la vocazione propria di ciascuno. I membri poi, con la comunione fraterna radicata e fondata nella carità, siano esempio di riconciliazione universale in Cristo.
Can. 603 - § 1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nella continua preghiera, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§ 2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva la norma di vita che gli è propria.
Can. 604 - § 1. A queste diverse forme di vita consacrata è assimilato l'ordine delle vergini le quali, emettono il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa.
§ 2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è confacente al loro stato.
Can. 605 - L'approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata unicamente alla Sede Apostolica. I Vescovi diocesani però si adoperino per discernere i nuovi doni di vita consacrata che lo Spirito Santo affida alla Chiesa e aiutino coloro che li promuovono, perché ne esprimano le finalità nel modo migliore e le tutelino con statuti adatti, utilizzando soprattutto le norme generali contenute in questa parte.
Can. 606 Quanto si stabilisce per gli istituti di vita consacrata e per i loro membri è ugualmente valido per l'uno e per l'altro sesso, a meno che non risulti altrimenti dal contesto o dalla natura delle cose.
Titolo II
Gli istituti religiosi
Can. 607 - § 1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con questo l'intera sua esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.
§ 2. L'istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i voti pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita fraterna in comunità.
§ 3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto.
Capitolo I
CASE RELIGIOSE: EREZIONE E SOPPRESSIONE
Can. 608 - La comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un Superiore designato a norma del diritto. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l'Eucarestia, in modo che sia veramente il centro della comunità.
Can. 609 - § 1. Le case di un istituto religioso vengono erette dall'autorità competente secondo le costituzioni, previo consenso scritto del Vescovo diocesano.
§ 2. Per l'erezione di un monastero di monache si richiede inoltre il benestare della Sede Apostolica.
Can. 610 - § 1. L'erezione di case si compie tenuta presente l'utilità della Chiesa e dell'istituto e assicurate le condizioni necessarie per garantire ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa secondo le finalità e lo spirito proprio dell'istituto.
§ 2. Non si proceda all'erezione di una casa se prudentemente non si ritiene possibile provvedere in modo adeguato alle necessità dei membri.
Can. 611 - Il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa religiosa implica il diritto:
      1° di condurre una vita conforme all'indole propria dell'istituto e alle specifiche finalità;
      2° di esercitare le opere proprie dell'istituto, a norma del diritto, salve restando le condizioni apposte nell'atto del consenso;
      3° per gli istituti clericali, di avere una chiesa, salvo il disposto del can. 1215, § 1, e di esercitarvi il ministero sacro, osservate le disposizioni del diritto.
Can. 612 - Per destinare una casa religiosa ad opere apostoliche differenti da quelle per cui fu costruita si richiede il consenso del Vescovo diocesano; questo non è necessario se si tratta di un cambiamento che, salve sempre le leggi di fondazione, si riferisce solamente al regime interno e alla disciplina.
Can. 613 - § 1. Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del proprio Moderatore, è di per sé una casa sui iuris, a meno che le costruzioni non dicano altrimenti.
§ 2. Il Moderatore di una casa sui iuris è, per diritto, Superiore maggiore.
Can. 614 - I monasteri di monache associati a un istituto maschile mantengono il proprio ordinamento e il proprio governo, secondo le costituzioni. I reciproci diritti ed obblighi siano determinati in modo che l'associazione possa giovare al bene spirituale.
Can. 615 - Quando un monastero sui iuris non ha, oltre al proprio Moderatore, un altro Superiore maggiore e non è associato a un istituto di religiosi in modo che il Superiore di questo abbia su quel monastero una vera potestà definita dalle costituzioni, tale monastero è affidato alla peculiare vigilanza del Vescovo diocesano a norma del diritto.
Can. 616 - § 1. Una casa religiosa eretta legittimamente può essere soppressa dal Moderatore supremo a norma delle costituzioni, dopo avere consultato il Vescovo diocesano. Per i beni della casa soppressa deve provvedere il diritto proprio dell'istituto, nel rispetto della volontà dei fondatori o donatori e dei diritti legittimamente acquisiti.
§ 2. La soppressione dell'unica casa di un istituto è di competenza della Santa Sede, alla quale è pure riservato di disporre dei beni relativi.
§ 3. La soppressione di una casa sui iuris, di cui al can. 613, spetta al capitolo generale, a meno che le costituzioni non stabiliscano altrimenti.
§ 4. La soppressione di un monastero sui iuris di monache spetta alla Sede Apostolica, osservato, per quanto riguarda i beni materiali, il disposto delle costituzioni.
Capitolo II
IL GOVERNO DEGLI ISTITUTI
Art. 1
Superiori e consiglieri
Can. 617 - I Superiori adempiano il proprio incarico ed esercitino la propria potestà a norma del diritto universale e di quello proprio.
Can. 618 - I Superiori esercitino in spirito di servizio quella potestà che hanno ricevuto da Dio mediante il ministero della Chiesa. Docili perciò alla volontà di Dio nell'adempimento del proprio incarico, reggano i sudditi quali figli di Dio, e suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana, li ascoltino volentieri e promuovano altresì la loro concorde collaborazione per il bene dell'istituto e della Chiesa, ferma restando l'autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che va fatto.
Can. 619 - I Superiori attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa. Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola di Dio e li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia. Siano loro di esempio nel coltivare le virtù e nell'osservare le leggi e le tradizioni del proprio istituto; provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano gli irrequieti, confortino i timidi, con tutti siano pazienti.
Can. 620 - Sono Superiori maggiori quelli che governano l'intero istituto, o una sua provincia, o una parte dell'istituto ad essa equiparata, o una casa sui iuris , e parimenti i loro rispettivi vicari. A questi si aggiungano l'Abate Primate e il Superiore di una congregazione monastica; i quali tuttavia non hanno tutta la potestà che il diritto universale attribuisce ai Superiori maggiori.
Can. 621 - Col nome di provincia si designa l'unione di più case, che costituisce una parte immediata dell'istituto sotto il medesimo Superiore, ed è canonicamente eretta dalla legittima autorità.
Can. 622 - Il Moderatore supremo ha potestà, da esercitare secondo il diritto proprio, su tutte le province dell'istituto, su tutte le case e su tutti i membri; gli altri Superiori godono di quella potestà nell'àmbito del proprio incarico.
Can. 623 - Per essere validamente nominati o eletti all'ufficio di Superiore si richiede un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua o definitiva, da determinarsi dal diritto proprio o, trattandosi di Superiori maggiori, dalle costituzioni.
Can. 624 - § 1. I Superiori devono essere costituiti per un periodo di tempo determinato e conveniente secondo la natura e le esigenze dell'istituto, a meno che le costituzioni non dispongano diversamente per il Moderatore supremo e per i Superiori delle case sui iuris.
§ 2. Il diritto proprio provveda con norme opportune che i Superiori costituiti a tempo determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione.
§ 3. Tuttavia durante il loro incarico possono essere rimossi dal loro ufficio o trasferiti ad un altro, per ragioni stabilite dal diritto proprio.
Can. 625 - § 1. Il Moderatore supremo dell'istituto sia designato mediante elezione canonica a norma delle costituzioni.
§ 2. Alle elezioni del Superiore di un monastero sui iuris , di cui al can. 615, e del Moderatore supremo di un istituto di diritto diocesano presiede il Vescovo della sede principale.
§ 3. Gli altri Superiori siano costituiti a norma delle costituzioni, in modo però che se vengono eletti necessitino della conferma del Superiore maggiore competente; se poi vengono nominati dal Superiore, si premetta una opportuna consultazione.
Can. 626 - I Superiori nel conferire uffici e i membri nelle elezioni osservino le norme del diritto universale e del diritto proprio, si astengano da qualunque abuso o preferenza di persone e, null'altro avendo di mira che Dio e il bene dell'istituto, nominino o eleggano le persone che nel Signore riconoscono veramente degne e adatte. Inoltre nelle elezioni rifuggano dal procurare in qualunque modo voti per sé o per altri, direttamente o indirettamente.
Can. 627 - § 1. I Superiori abbiano il proprio consiglio a norma delle costituzioni e nell'esercizio del proprio ufficio sono tenuti a valersi della sua opera.
§ 2. Oltre ai casi stabiliti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è richiesto il consenso oppure il consiglio, norma del can. 127.
Can. 628 - § 1. I Superiori designati a tale incarico dal diritto proprio dell'istituto visitino con la frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi alle norme dello stesso diritto proprio.
§ 2. E' diritto e dovere del Vescovo diocesano visitare, anche per quanto riguarda la disciplina religiosa:
      1° i monasteri sui iuris , di cui al can. 615;
      2° le singole case di un istituto di diritto diocesano che sono nel suo territorio.
§ 3. I religiosi si comportino con fiducia nei confronti del visitatore e rispondano secondo verità nella carità alle domande da lui legittimamente poste; a nessuno poi è lecito distogliere in alcun modo i religiosi da un tale obbligo, né impedire altrimenti lo scopo della visita.
Can. 629 - I Superiori risiedano ciascuno nella propria casa, e non se ne allontanino se non a norma del diritto proprio.
Can. 630 - § 1. I Superiori riconoscano ai religiosi la dovuta libertà per quanto riguarda il sacramento della penitenza e la direzione della coscienza, salva naturalmente la disciplina dell'istituto.
§ 2. I Superiori provvedano con premura, a norma del diritto proprio, che i religiosi abbiano disponibilità di confessori idonei, ai quali possano confessarsi con frequenza.
§ 3. Nei monasteri di monache, nelle case di formazione e nelle comunità più numerose degli istituti laicali vi siano confessori ordinari approvati dall'Ordinario del luogo d'intesa con la comunità interessata, senza tuttavia alcun obbligo di presentarsi a loro.
§ 4. I Superiori non ascoltino le confessioni dei propri sudditi, a meno che questi non lo richiedano spontaneamente.
§ 5. I religiosi si rivolgano con fiducia ai Superiori, ai quali possano palesare l'animo proprio con spontanea libertà. E' però vietato ai Superiori indurli in qualunque modo a manifestare loro la propria coscienza.
Art. 2
I capitoli
Can. 631 - § 1. Il capitolo generale, che ha nell'istituto la suprema autorità a norma delle costituzioni, deve essere cmposto in modo da rapprensentare l'intero istituto, per risultare vero segno della sua unità nella carità. Al capitolo compete soprattutto: tutelare il patrimonio dell'istituto di cui al can. 578 e promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi; eleggere il Moderatore supremo, trattare gli affari di maggiore importanza e inoltre emanare norme, che tutti sono tenuti ad osservare.
§ 2. La composizione e l'àmbito di potestà del capitolo siano definiti dalle costituzioni; il diritto proprio deve inoltre determinare l'ordinamento da osservarsi nella celebrezione del capitolo, specialmente per quanto riguarda le elezioni e la procedura dei lavori.
§ 3. Secondo le norme stabilite dal diritto proprio, non solo le province e le comunità locali, ma anche qualunque religioso può liberamente far pervenire al capitolo generale i propri desideri e proposte.
Can. 632 - Il diritto proprio determini con esattezza quanto riguarda gli altri capitoli dell'istituto e altre assemblee simili, cioè la loro natura e autorità, la composizione, il modo di procedere e il tempo della celebrazione.
Can. 633 - § 1. Gli organismi di partecipazione o di consultazione adempiano fedelmente la funzione loro affidata a norma del diritto universale e proprio, ed esprimano nel modo loro proprio la sollecitudine e la partecipazione di tutti i membri in vita del bene dell'itero istituto o della comunità.
§ 2. Nell'istituire e nel servirsi di questi mezzi di partecipazione e di consultazione si proceda con saggia discrezione e il loro modo di agire sia conforme all'indole e alle finalità dell'istituto.
Art.3
I beni temporali e la loro amministrazione
Can. 634 - § 1. Gli istituti, le province e le case, in quanto persone giuridiche per il diritto stesso, hanno la capacità di acquisire, di possedere, di amministrare e alienare beni temporali, a meno che tale capacità non venga esclusa o ridotta dalle costituzioni.
§ 2. Evitino tuttavia ogni apparenza di lusso, di eccessivo guadagno e di accumulazione di beni.
Can. 635 - § 1. I beni temporali degli istituti religiosi, in quanto beni ecclesiastici, sono retti dalle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa, a meno che non sia espressamente disposto altro.
§ 2. Tuttavia ogni istituto stabilisca opportune norme circa l'uso e l'amministrazione dei beni, perché sia in tal modo favorita, tutelata e manifestata la povertà che gli è propria.
Can. 636 - § 1. In ogni istituto, e parimenti in ogni provincia retta da un Superiore maggiore, ci sia l'economo, costituito a norma del diritto proprio e distinto dal Superiore maggiore, per amministrare i beni sotto la direzione del rispettivo Superiore. Anche nelle comunità locali si istituisca, per quanto è possibile, un economo distinto dal Superiore locale.
§ 2. Nel tempo e nel modo stabilito dal diritto proprio gli economi e gli amministratori presentino all'autorità competente il rendiconto dell'amministrazione da loro condotta.
Can. 637 - I monasteri sui iuris , di cui al can. 615, devono presentare una volta all'anno il rendiconto della loro amministrazione all'Ordinario del luogo; questi ha inoltre il diritto di prendere visione della conduzione degli affari economici della casa religiosa di diritto diocesano.
Can. 638 - § 1. Spetta al diritto proprio determinare, entro l'ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell'amministrazione ordinaria, e stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria.
§ 2. Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti validamente, altre che dai Superiori, anche dagli officiali a ciò designati dal diritto proprio, nei limiti del loro ufficio.
§ 3. Per la validità dell'alienazione, e di qualunque negozio da cui la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento, si richiede la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente con il consenso del suo consiglio. Se però si tratta di negozio che supera la somma fissata dalla Santa Sede per le singole regioni, come pure di donazioni votive fatte alla Chiesa, o di cose preziose per valore artistico o storico, si richiede inoltre la licenza della Santa Sede stessa.
§ 4. Per i monasteri sui iuris , di cui al can. 615, e per gli istituti di diritto diocesano, è necessario anche il consenso scritto dell'Ordinario del luogo.
Can. 639 - § 1. Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza dei Superiori, è tenuta a risponderne in proprio.
§ 2. Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui beni propri, ne deve rispondere personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso affari dell'istituto, è l'istituto che ne deve rispondere.
§ 3. Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza del Superiore, è lui stesso, e non la persona giuridica, a doverne rispondere.
§ 4. Rimanga fermo tuttavia che si può sempre intentare un'azione contro colui il cui patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto.
§ 5. I Superiori religiosi si astengano dall'autorizzare a contrarre debiti, a meno che non consti con certezza che l'interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie, e che l'intero capitale si potrà restituire entro un tempo non troppo lungo con una legittima ammortizzazione.
Can. 640 - Gli istituti, tenuto conto dei singoli luoghi, si adoperino per dare una testimonianza in certo modo collettiva di carità e di povertà e, nella misura delle proprie disponibilità, destinino qualcosa dei propri beni per le necessità della Chiesa e per contribuire a sostenere i bisognosi.
Capitolo III
AMMISSIONE DEI CANDIDATI E FORMAZIONE DEI MEMBRI
Art. 1
Ammissione al noviziato
Can. 641 - Il diritto di ammettere i candidati al noviziato spetta ai Superiori maggiori a norma del diritto proprio.
Can. 642 - I Superiori ammettano con la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all'età richiesta, abbiano salute, indole adatta e la maturità sufficiente per assumere il genere di vita proprio dell'istituto; la salute, l'indole e la maturità siano anche verificati, all'occorrenza, da esperti, fermo restando il disposto del can. 220.
Can. 643 - § 1. E' ammesso invalidamente al noviziato:
      1° chi non ha ancora compiuto 17 anni di età;
      2° chi è sposato, durante il matrimonio;
      3° Chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica, salvo il disposto del can. 684;
      4° chi entra nell'istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno, e chi è accettato da un Superiore costretto allo stesso modo;
      5° chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica.
§ 2. Il diritto proprio può stabilire altri impedimenti o apporre condizioni, anche per la validità dell'ammissione.
Can. 644 - I Superiori non ammettano al noviziato chierici secolari senza consultare l'Ordinario del luogo, né persone gravate di debiti e incapaci di estinguerli.
Can. 645 - § 1. I candidati, prima di essere ammessi al noviziato, devono produrre un attestato di battesimo, di confermazione e di stato libero.
§ 2. Se si tratta di ammettere chierici, o persone che furono ammesse in un altro istituto di vita consacrata, o in una società di vita apostolica o in seminario, si richiede inoltre l'attestato rilasciato rispettivamente dall'Ordinario del luogo, o dal Superiore maggiore dell'istituto o della società, oppure dal rettore del seminario.
§ 3. Il diritto proprio può esigere altri documenti circa l'idoneità richiesta per i candidati e l'immunità da impedimenti.
§ 4. I Superiori, se loro pare necessario, possono chiedere altre informazioni, anche sotto segreto.
Art. 2
Il noviziato e la formazione dei novizi
Can. 646 - Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far sì che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell'istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità.
Can. 647 - § 1. L'erezione della casa di noviziato, la sua soppressione o il suo trasferimento della sede siano fatti mediante un decreto scritto del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio.
§ 2. Il noviziato per essere valido deve essere compiuto in una casa regolarmente designata allo scopo. In casi particolari, e a modo di eccezione, su concezione del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, un candidato può fare il noviziato in un'altra casa dell'istituto sotto la guida di un religioso approvato, che faccia le veci del maestro dei novizi.
§ 3. Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, dimori in un'altra casa dell'istituto, da lui stesso designata.
Can. 648 - § 1. Per essere valido il noviziato deve comprendere dodici mesi, da trascorrere nella stessa comunità del noviziato, fermo restando il disposto del can. 647, § 3.
§ 2. Per integrare la formazione dei novizi le costituzioni possono stabilire, oltre al tempo di cui al § 1, uno o più periodi di esercitazioni apostoliche, da compiersi fuori dalla comunità del noviziato.
§ 3. Il noviziato non sia prolungato oltre i due anni.
Can. 649 - § 1. Salvo il disposto dei cann. 647, § 3 e 648, § 2, una assenza dalla casa del noviziato che superi i tre mesi, continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Una assenza che superi i quindici giorni deve essere ricuperata.
§ 2. Con il permesso del Superiore maggiore competente la prima professione può essere anticipata, non oltre quindici giorni.
Can. 650 - § 1. Lo scopo del noviziato esige che i novizi siano formati sotto la direzione del maestro, secondo un regolamento di formazione, da determinarsi dal diritto proprio.
§ 2. La direzione dei novizi, sotto l'autorità dei Superiori maggiori, è riservata unicamente al maestro.
Can. 651 - § 1. Il maestro dei novizi deve essere un membro dell'istituto che abbia emesso i voti perpetui e sia stato legittimamente designato.
§ 2. Al maestro si possono assegnare, quando occorre, degli aiutanti i quali devono a lui sottostare per quanto riguarda la direzione del noviziato e il regolamento della formazione.
§ 3. Alla formazione dei novizi devono essere preposti religiosi accuratamente preparati i quali, senza essere distolti da altri impegni, possano assolvere il loro compito in modo efficace e stabile.
Can. 652 - § 1. Spetta al maestro e ai suoi aiutanti discernere e verificare la vocazione dei novizi e gradatamente formarli a vivere la vita di perfezione secondo le norme proprie dell'istituto.
§ 2. I novizi devono essere aiutati a coltivare le virtù umane e cristiane; introdotti in un più impegnativo cammino di perfezione mediante l'orazione e il rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia; formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo attraverso la pratica dei consigli evangelici; informati infine sull'indole e lo spirito, le finalità e la disciplina, la storia e la vita dell'istituto, ed educarli all'amore verso la Chiesa e i suoi sacri Pastori.
§ 3. I novizi, consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad una attiva collaborazione con il proprio maestro per poter rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina.
§ 4. I membri dell'istituto si adoperino nel cooperare alla formazione dei novizi, per la parte che loro spetta, con l'esempio della vita e con la preghiera.
§ 5. Il tempo di noviziato, di cui al can. 648, § 1, sia dedicato all'opera di formazione vera e propria; perciò i novizi non siano occupati in studi o incarichi non direttamente finalizzati a tale formazione.
Can. 653 - § 1. Il novizio può liberamente lasciare l'istituto, e d'altra parte l'autorità competente dell'istituto può dimetterlo.
§ 2. Compiuto il noviziato, se il novizio viene giudicato idoneo, sia ammesso alla professione temporanea, altrimenti sia dimesso; se rimane qualche dubbio sulla sua idoneità il Superiore maggiore può prolungare il periodo di prova a norma del diritto proprio, ma non oltre sei mesi.
Art. 3
La professione religiosa
Can. 654 - Con la professione religiosa i membri assumono i tre consigli evangelici da osservarsi con voto pubblico, sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e vengono incorporati all'istituto con i diritti e i doveri definiti dal diritto.
Can. 655 - La professione temporanea venga emessa per un periodo di tempo, determinato dal diritto proprio, che non deve essere inferiore a tre anni, né superiore a sei.
Can. 656 - Per la validità della professione temporanea si richiede che:
      1° chi la vuole emettere abbia compiuto almeno 18 anni di età;
      2° il noviziato sia stato portato a termine validamente;
      3° ci sia l'ammissione, fatta liberamente da parte del Superiore competente, con il voto del suo consiglio a norma del diritto;
      4° la professione sia espressa, e venga emessa senza che ci sia violenza, timore o inganno;
      5° sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un altro.
Can. 657 - § 1. Allo scadere del tempo per il quale fu emessa la professione il religioso che lo richiede spontaneamente ed è ritenuto idoneo sia ammesso alla rinnovazione della professione o alla professione perpetua; altrimenti deve lasciare l'istituto.

§ 2. Se però pare opportuno, il tempo della professione temporanea può essere prolungato dal Superiore competente secondo il diritto proprio, facendo tuttavia in modo che il periodo in cui il religioso è vincolato dai voti temporanei non superi complessivamente la durata di nove anni.
§ 3. La professione perpetua può essere anticipata per giusta causa, ma non oltre un trimestre.
Can. 658 - Oltre alle condizioni di cui al can. 656, nn. 3, 4, e 5 e alle altre apposte dal diritto proprio, per la validità della professione perpetua si richiedono:
      1° almeno 21 anni compiuti;
      2° la previa professione temporanea di almeno tre anni, salvo il disposto del can. 657, § 3.
Art. 4
La formazione dei religiosi
Can. 659 - § 1. In ogni istituto, dopo la prima professione, si continui la formazione di tutti i membri perché possano condurre più integralmente la vita propria dell'istituto e rendersi meglio idonei a realizzarne la missione.
§ 2. Pertanto il diritto proprio deve stabilire il regolamento e la durata di questa formazione, tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto.
§ 3. La formazione dei membri che si preparano a ricevere gli ordini sacri è regolata dal diritto universale e dal <<piano degli studi>> proprio dell'istituto.
Can. 660 - § 1. La formazione deve essere sistematica, adeguata alla recettività dei membri, spirituale e apostolica, dottrinale e insieme pratica, e portare anche al conseguimento dei titoli convenienti, sia ecclesiastici sia civili, secondo l'opportunità.
§ 2. Durante il periodo di questa formazione non si affidino ai religiosi compiti e opere che ne ostacolino l'attuazione.
Can. 661 - Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica; i Superiori ne procurino loro i mezzi e il tempo.
Capitolo IV
OBBLIGHI E DIRITTI DEGLI ISTITUTI E DEI LORO MEMBRI
Can. 662 - I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta dal Vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto.
Can. 663 - § 1. Primo e particolare dovere di tutti i religiosi deve essere la contemplazione delle verità divine e la costante unione con Dio nell'orazione.
§ 2. I religiosi facciano tutto il possibile per partecipare ogni giorno al Sacrificio eucaristico, ricevano il Corpo santissimo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel Sacramento.
§ 3. Attendano alla lettura della sacra Scrittura e all'orazione mentale, alla dignitosa celebrazione della liturgia delle ore secondo le disposizioni del diritto proprio, e compiano gli altri esercizi di pietà, fermo restando per i chierici l'obbligo di cui al can. 276, § 2, n. 3.
§ 4. Onorino con culto speciale, anche con la pratica del rosario mariano, la Vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata.
§ 5. Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro.
Can. 664 - I religiosi siano perseveranti nella conversione dell'animo a Dio, attendano anche all'esame quotidiano di coscienza e si accostino con frequenza al sacramento della penitenza.
Can. 665 - § 1. I religiosi devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono assentarsene senza licenza del Superiore. Se poi si tratta di una assenza prolungata, il Superiore maggiore, col consenso del suo consiglio e per giusta causa, può concedere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, ma per non più di un anno, a meno che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome dell'istituto.
§ 2. Il religioso che si allontana illegittimamente dalla casa religiosa, con l'intenzione di sottrarsi alla potestà dei Superiori, deve essere da questi sollecitamente ricercato e aiutato, perché ritorni a perseveri nella propria vocazione.
Can. 666 - Nel fare uso degli strumenti di comunicazione si osservi la necessaria discrezione e si eviti tutto quanto può nuocere alla propria vocazione e mettere in pericolo la castità di una persona consacrata.
Can. 667 - § 1. In ogni casa si osservi la clausura adeguata all'indole e alla missione dell'istituto, secondo le determinazioni del diritto proprio, facendo in modo che ci sia sempre una parte della casa riservata esclusivamente ai religiosi.
§ 2. Nei monasteri di vita contemplativa si dovrà osservare una più rigorosa disciplina di clausura.
§ 3. I monasteri di monache interamente dedite alla vita contemplativa devono osservare la clausura papale, cioè conforme alle norme date dalla Sede Apostolica. Tutti gli altri monasteri di monache osservino la clausura adatta all'indole propria e definita dalle costituzioni.
§ 4. Il Vescovo diocesano ha la facoltà di entrare, per giusta causa, nella clausura dei monasteri di monache situati nella sua diocesi e può anche permettere, per causa grave e col consenso della Superiora, che altri siano ammessi nella clausura e che le monache stese ne escano per un tempo strettamente necessario.
Can. 668 - § 1. Avanti la prima professione i membri cedano l'amministrazione dei propri beni a chi preferiscono e, se le costituzioni non stabiliscano altrimenti, liberamente dispongano del loro uso e usufrutto. Essi devono inoltre, almeno prima della loro professione perpetua, redigere il testamento, che risulti valido anche secondo il diritto civile.
§ 2. Per modificare queste disposizioni per giusta causa, come anche per porre qualunque atto relativo ai beni temporali, devono avere la licenza del Superiore competente a norma del diritto proprio.
§ 3. Tutto ciò che un religioso acquista con la propria industria o a motivo dell'istituto, rimane acquisito per l'istituto stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque titolo, rimane acquisito dall'istituto, a meno che il diritto proprio non disponga diversamente.
§ 4. Chi per la natura dell'istituto deve compiere la rinuncia radicale ai suoi beni la rediga, possibilmente in forma valida anche secondo il diritto civile, prima della professione perpetua, con valore decorrente dal giorno della professione stessa. Ugualmente proceda il professo di voti perpetui che a norma del diritto proprio volesse rinunciare a tutti i suoi beni o parte di essi, con licenza del Moderatore supremo.
§ 5. Il professo che per la natura ha compiuto la rinuncia radicale ai suoi beni perde la capacità di acquistare e di possedere, di conseguenza pone invalidamente ogni atto contrario al voto di povertà, I beni che ricevesse dopo tale rinuncia toccheranno all'istituto, a norma del diritto proprio.
Can. 669 - § 1. I religiosi portino l'abito dell'istituto, fatto a norma del diritto proprio, quale segno della loro consacrazione e testimonianza di povertà.
§ 2. I religiosi chierici di un istituto che non ha abito proprio adotteranno l'abito clericale a norma del can. 284.
Can. 670 - L'istituto ha il dovere di procurare ai suoi membri quanto, a norma delle costituzioni, è necessario per realizzare il fine della propria vocazione.
Can. 671- Il religioso non si assuma incarichi o uffici fuori del proprio istituto senza la licenza del legittimo Superiore.
Can. 672 - I religiosi sono obbligati dalle disposizioni dei cann. 277, 285, 286, 287 e 289, e i religiosi chierici inoltre dalle disposizioni del can. 279, § 2; negli istituti laicali di diritto pontificio, la licenza di cui al can. 285, § 4, può essere concessa dal proprio Superiore maggiore.
Capitolo V
L'APOSTOLATO DEGLI ISTITUTI
Can. 673 - L'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo nella testimonianza della loro vita consacrata, che essi sono tenuti ad alimentare con l'orazione e con la penitenza.
Can. 674 - Gli istituti interamente dediti alla contemplazione occupano sempre un posto eminente nel Corpo mistico di Cristo: essi infatti offrono a Dio un eccelso sacrificio di lode, arrichiscono il popolo di Dio con frutti preziosi della santità, mentre con il proprio esempio lo stimolano e con una misteriosa fecondità apostolica lo estendono. Perciò, per quanto urgente sia la necessità dell'apostolato attivo, i membri di tali istituti non possono essere chiamati a prestare l'aiuto della loro opera nei diversi ministeri pastorali.
Can. 675 - § 1. Negli istituti dediti all'apostolato l'azione apostolica appartiene alla loro stessa natura. Perciò l'intera vita dei membri sia permeata di spirito apostolico, e d'altra parte tutta l'azione apostolica sia animata dallo spirito religioso.
§ 2. L'azione apostolica deve sempre sgorgare dall'intima unione con Dio, e al tempo stesso consolidarla e favorirla.
§ 3. L'azione apostolica, da esercitarsi a nome della Chiesa e per suo mandato, sia condotta nella comunione con la Chiesa.
Can. 676 - Gli istituti laicali maschili e femminili attraverso le opere di misericordia spirituale e corporale partecipano della funzione pastorale della Chiesa e prestano agli uomini i più svariati servizi; essi perciò perseverino fedelmente nella grazia della propria vocazione.
Can. 677 - § 1. I Superiori e i membri mantengano con fedeltà ma missione e le opere proprie dell'istituto; tuttavia procedano con prudenza agli adattamenti richiesti dalle necessità dei tempi e dei luoghi, adottando anche mezzi nuovi e convenienti.
§ 2. Gli istituti poi ai quali sono unite associazioni di fedeli si adoperino con particolare sollecitudine perché queste siano permeate del genuino spirito della famiglia religiosa.
Can. 678 - § 1. I religiosi sono soggetti alla potestà del Vescovo, ai quali devono rispetto devoto e riverenza in ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato.
§ 2. Nell'esercizio dell'apostolato esterno i religiosi sono soggetti anche ai proprio Superiori e devono mentenersi fedeli alla disciplina dell'istituto; i Vescovi stessi non tralascino di urgere, quando occorre, un tale obbligo.
§ 3. Nell'organizzare le attività apostoliche dei religiosi è necessario che i Vescovi diocesani e i Superiori religiosi procedano su un piano di reciproca intesa.
Can. 679 - Il Vescovo diocesano, per una causa molto grave e urgente, può proibire ad un membro di un istituto religioso di dimorare nella sua diocesi qualora il Superiore maggiore, avvisato, trascurasse di provvedere in merito; in tal caso la questione deve essere subito deferita alla Santa Sede.
Can. 680 - Tra i diversi istituti, e anche tra questi e il clero secolare, si favorisca una ordinata collaborazione, nonché il coordinamento di tutte le opere e attività apostoliche sotto la guida del Vescovo diocesano, avuto riguardo all'indole e alle finalità dei singoli istituti, come pure alle leggi di fondazione.
Can. 681 - § 1. Le opere che dal Vescovo diocesano vengono affidate ai religiosi sono soggette all'autorità e alla direzione del Vescovo stesso, fermo restando il diritto dei Superiori religiosi a norma del can. 678, § 2 e 3.
§ 2. In tali casi si stipuli una convenzione scritta tra il Vescovo diocesano e il Superiore competente dell'istituto, nella quale fra l'altro sia definito espressamente e con esattezza ogni particolare relativo all'opera da svolgere, ai religiosi che vi si devono impegnare e all'aspetto economico.
Can. 682 - § 1. Se si tratta di conferire un ufficio ecclesiastico in diocesi a un religioso, la nomina viene fatta dal Vescovo diocesano su presentazione, o almeno con il consenso, del Superiore competente.
§ 2. Il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, sia a discrezione dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità.
Can. 683 - § 1. In occasione della visita pastorale, ed anche in caso di necessità, il Vescovo diocesano può visitare , personalmente o per mezzo di altri, le chiese e gli oratori cui accedono abitualmente i fedeli, le scuole e le altre opere di religione o di carità spirituale o temporale affidate ai religiosi; non però le scuole aperte esclusivamente agli alunni propri dell'istituto.
§ 2. Che se eventualmente il Vescovo scoprisse abusi, dopo avere richiamato inutilmente il Superiore religioso, può di sua autorità prendere egli stesso i provvedimenti del caso.
Capitolo VI
SEPARAZIONE DEI MEMBRI DALL'ISTITUTO
Art. 1
Passaggio ad un altro istituto
Can. 684 - § 1. Un professo di voti perpetui non può passare dal proprio istituto religioso ad un altro se non per concessione del Moderatore supremo dell'uno e dell'altro istituto, previo consenso dei rispettivi consigli.
§ 2. Il religioso dopo avere trascorso un periodo di prova, che deve durare almeno tre anni, può essere ammesso alla professione perpetua nel nuovo istituto. Se però non vuole emettere tale professione o non vi è ammesso dai Superiori competenti, ritorni all'istituto di provenienza, a meno che non abbia ottenuto l'indulto di secolarizzazione.
§ 3. Perché un religioso possa passare da un monastero sui iuris ad un altro dello stesso istituto o della federazione oppure della confederazione, si richiede ed è sufficiente il consenso del Superiore maggiore dell'uno e dell'altro monastero, oltre che del capitolo del monastero che lo accoglie, salvi altri requisiti determinati dal diritto proprio; non si richiede una nuova professione.
§ 4. Il diritto proprio determini la durata e le modalità del periodo di prova che il religioso deve compiere nel nuovo istituto prima della professione.
§ 5. Per passare ad un istituto secolare o ad una società di vita apostolica, oppure da questi ad un istituto religioso, è necessaria la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si deve attenere.
Can. 685 - § 1. Fino al momento della professione nel nuovo istituto, mentre rimangono vincolanti i voti, sono sospesi i diritti e gli obblighi che il religioso aveva nel precedente istituto; tuttavia fin dall'inizio del periodo di prova il religioso è tenuto all'osservanza del diritto proprio del nuovo istituto.
§ 2. Con la professione nel nuovo istituto il religioso viene ad esso incorporato, mentre cessano i voti, i diritti e gli obblighi precedenti.
Art. 2
Uscita dall'istituto
Can. 686 - § 1. Il Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, per grave causa può concedere ad un professo perpetuo l'indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più di tre anni, previo consenso dell'Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare se si tratta di un chierico. Una proroga dell'indulto, o una concessione superiore a tre anni, è riservata unicamente alla Santa Sede, oppure al Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano.
§ 2. Spetta unicamente alla Sede Apostolica concedere l'indulto di esclaustrazione per le monache.
§ 3. Su richiesta del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, l'esclaustrazione può essere imposta, dalla Santa Sede per un membro di un istituto di diritto pontificio, oppure dal Vescovo diocesano per un membro di un istituto di diritto diocesano: ciò per cause gravi e salva sempre l'equità e la carità.
Can. 687 - Il religioso esclaustrato è ritenuto esonerato dagli obblighi non compatibili con la sua nuova situazione di vita, tuttavia rimane sotto la dipendenza e la cura dei suoi Superiori ed anche dell'Ordinario del luogo, soprattutto se si tratta di un chierico. Può portare l'abito dell'istituto, a meno che non sia stabilito altrimenti nell'indulto. Egli però manca di voce attiva e passiva.
Can. 688 - § 1. Colui che, scaduto il tempo della professione, vuole uscire dall'istituto, lo può abbandonare.
§ 2. Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l'istituto può ottenere il relativo indulto dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio se si tratta di istituto di diritto pontificio; negli istituti di diritto diocesano e nei monasteri di cui al can. 615 l'indulto, per essere valido, deve essere confermato dal Vescovo della casa di assegnazione.
Can. 689 - § 1. Allo scadere della professione temporanea, se sussistono giuste cause, un religioso può essere escluso dalla successiva professione, da parte del competente Superiore maggiore, udito il suo consiglio.
§ 2. Una infermità fisica o psichica, anche contratta dopo la professione, quando a giudizio degli esperti rende non idoneo alla vita nell'istituto il religioso di cui al § 1, costituisce motivo per non ammetterlo alla rinnovazione della professione o alla professione perpetua, salvo il caso che l'infermità sia dovuta a negligenza da parte dell'istituto, oppure a lavori sostenuti nell'istituto stesso.
§ 3. Se però il religioso, durante i voti temporanei, diventa demente, anche se non è in grado di emettere la nuova professione, non può tuttavia essere dimesso dall'istituto.
Can. 690 - § 1. Chi al termine del noviziato, oppure dopo la professione, è uscito legittimamente dall'istituto può esservi riammesso dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio, senza l'onere di ripetere il noviziato; spetterà tuttavia al Moderatore stesso stabilire un conveniente periodo di prova prima della professione temporanea e la durata dei voti temporanei prima della professione perpetua, a norma dei cann. 655 e 657.
§ 2. Della stessa facoltà gode il Superiore di un monastero sui iuris , con il consenso del suo consiglio.
Can. 691 - § 1. Un professo di voti perpetui non chieda l'indulto di lasciare l'istituto se non per cause molto gravi ponderate davanti a Dio; presenti la sua domanda al Moderatore supremo dell'istituto, il quale la inoltrerà all'autorità competente insieme con il voto suo e del suo consiglio.
§ 2. Tale indulto per gli istituti di diritto pontificio è riservato alla Sede Apostolica; per gli istituti di diritto diocesano lo può concedere anche il Vescovo della diocesi in cui è situata la casa di assegnazione.
Can. 692 - L'indulto di lasciare l'istituto, una volta legittimamente concesso e notificato al religioso, se da lui non fu rifiutato all'atto della notificazione, comporta per il diritto stesso la dispensa dai voti, come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione.
Can. 693 - Se il religioso è chierico l'indulto non viene concesso finché egli non abbia trovato un Vescovo che lo incardini nella diocesi o almeno lo riceva in prova. In quest'ultimo caso, trascorsi cinque anni, il religioso viene incardinato nella diocesi, per il diritto stesso, a meno che il Vescovo non lo abbia respinto.
Art. 3
Dimissione dei religiosi
Can. 694 - § 1. Si deve ritenere dimesso dall'istituto, per il fatto stesso, il religioso che:
      1° abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica;
      2° abbia contratto matrimonio o lo abbia attentato, anche solo civilmente.
§ 2. In tali casi il Superiore maggiore col suo consiglio deve senza indugio, raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti giuridicamente.
Can. 695 - § 1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto per i delitti di cui ai cann. 1397, 1398 e 1395 a meno che, per i delitti di cui al can. 1395, § 2, i Superiore non ritenga che la dimissione non sia affatto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in altro modo alla correzione del religioso come pure alla reintegrazione della giustizia e alla riparazione dello scandalo.
§ 2. In tali casi il Superiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla imputabilità, renda note al religioso e l'accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi. Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso controfirmate, siano trasmessi al Moderatore supremo.
Can. 696 - § 1. Un religioso può essere dimesso anche per altre cause purché siano gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come ad esempio: la negligenza abituale degli obblighi della vita consacrata; le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la disobbedienza grave; un grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l'ostinato appoggio o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa; l'adesione pubblica a ideologie inficiate di materialismo o di ateismo; l'assenza illegittima, di cui al can. 665, § 2, protratta per sei mesi; altre cause di simile gravità eventualmente determinate dal diritto proprio.
§ 2. Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti anche cause di minore gravità, stabilite dal diritto proprio.
Can. 697 - Nei casi di cui al can. 696, se il Superiore maggiore, udito il suo consiglio, giudica che si debba avviare il processo di dimissione:
      1° raccolga o integri le prove;
      2° ammonisca il religioso, per iscritto o davanti a due testimoni con la esplicita comminazione della conseguente dimissione in caso di mancato ravvedimento, notificandogli chiaramente la causa della dimissione e accordandogli piena facoltà di rispondere in propria difesa; qualora poi l'ammonizione risulti inutile, il Superiore proceda a una seconda, dopo un intervallo di almeno quindici giorni;
      3° se anche questa seconda ammonizione risultasse inutile, e se il Superiore maggiore col suo consiglio giudicasse sufficientemente provata l'incorreggibilità, e insufficienti le difese del religioso, trascorsi senza risultato altri quindici giorni dall'ultima ammonizione, trasmetta al Moderatore supremo tutti gli atti, sottoscritti da lui stesso e dal notaio, unitamente alle risposte date dal religioso e da lui firmate.
Can. 698 - In tutti i casi di cui ai cann. 695 e 696 rimane sempre fermo il diritto del religioso di comunicare con il Moderatore supremo e di esporre a lui direttamente gli argomenti a propria difesa.
Can. 699 - § 1. Il Moderatore supremo col suo consiglio, che per la validità deve constare di almeno quattro membri, proceda collegialmente ad una accurata valutazione delle prove, degli argomenti e delle difese e, se ciò risulta per votazione segreta, emetterà il decreto di dimissione; questo, per essere valido, esprima almeno sommariamente i motivi, in diritto e in fatto.
§ 2. Nei monasteri sui iuris , di cui al can. 615, la decisione circa la dimissione compete al Vescovo diocesano, al quale il Superiore deve sottoporre gli atti revisionati dal suo consiglio.
Can. 700 - Il decreto di dimissione non ha vigore se non fu confermato dalla Santa Sede, alla quale vanno trasmessi il decreto stesso e tutti gli atti; per gli istituti di diritto diocesano la conferma spetta al Vescovo della diocesi in cui sorge la casa alla quale il religioso è ascritto. Il decreto tuttavia, per avere valore, deve indicare il diritto, i cui gode il religioso dimesso, di ricorrere all'autorità competente entro dieci giorni dalla ricezione della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo.
Can. 701 - Con la legittima dimissione cessano, per il fatto stesso, i voti e insieme gli obblighi derivanti dalla professione. Se però il religioso è chierico, non potrà esercitare gli ordini sacri fino a quando non abbia trovato un Vescovo il quale, dopo un conveniente periodo di prova nella diocesi a norma del can. 693, lo accolga o almeno gli consenta l'esercizio degli ordini sacri.
Can. 702 - § 1. Coloro che legittimamente escono dall'istituto religioso o ne sono legittimamente dimessi non possono esigere nulla dall'istituto stesso qualunque attività in esso compiuta.
§ 2. L'istituto deve però osservare l'equità e la carità evangelica verso il religioso che se ne separa.
Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno o nel pericolo imminente di un gravissimo danno per l'istituto il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente, da parte del Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale col consenso del suo consiglio. Se è necessario, il Superiore maggiore curi che i istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica.
Can. 704 - Dei religiosi che a qualunque titolo sono separati dall'istituto si faccia menzione nella relazione, di cui al can. 592, § 1, da inviare alla Sede Apostolica.
Capitolo VII
I RELIGIOSI ELEVATI ALL'EPISCOPATO
Can. 705 - Il religioso elevato all'episcopato continua ad essere membro del suo istituto, ma in forza del voto di obbedienza è soggetto solamente al Romano Pontefice e non è vincolato da quegli obblighi che, nella sua prudenza, egli stesso giudichi incompatibili con la propria condizione.
Can. 706 - Il religioso di cui sopra:
      1° se per la professione ha perduto il dominio dei suoi beni, ricevendone altri ne ha l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione; quanto alla proprietà, il Vescovo diocesano e gli altri di cui al can. 381, § 2, l'acquistano per la Chiesa particolare; tutti gli altri per l'istituto, oppure per la Santa Sede, a seconda che l'istituto abbia o no la capacità di possedere;
      2° se per la professione non ha perduto il dominio dei suoi beni ne ricupera l'uso, l'usufrutto e l'amministrazione; e acquista per sé a peno titolo quelli che gli provengono in seguito;
      3° in entrambi i casi, deve disporre secondo la volontà degli offerenti per quei beni che non gli provengono a titolo personale.
Can. 707 - § 1. Il religioso Vescovo emerito può scegliersi la sede in cui abitare, anche fuori delle case del proprio istituto, a meno che la Sede Apostolica non abbia disposto altrimenti.
§ 2. Quanto al suo sostentamento conveniente e degno, se il Vescovo è stato a servizio di una diocesi si osserverà il can. 402, § 2, a meno che il suo istituto non voglia provvedere a tale sostentamento; altrimenti la Sede Apostolica disporrà in altro modo.
Capitolo VIII
LE CONFERENZE DEI SUPERIORI MAGGIORI
Can. 708 - I Superiori maggiori possono utilmente associarsi in conferenze o consigli per conseguire più agevolmente, nell'unione delle forze, il fine proprio dei singoli istituti, salvi sempre l'autonomia, l'indole e lo spirito proprio di ognuno, sia per trattare affari di comune interesse, sia per instaurare un opportuno coordinamento e cooperazione con le Conferenze Episcopali ed anche con i singoli Vescovi.
Can. 709 - Le conferenze dei Superiori maggiori abbiano i propri statuti approvati dalla Santa Sede, dalla quale unicamente possono essere erette, anche in persone giuridiche, e sotto la cui suprema direzione esse rimangono.
Titolo III
Gli istituti secolari
Can. 710 - L'istituto secolare è un istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, soprattutto operando all'interno di esso.
Can. 711 - Un membro di istituto secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione canonica, laicale o clericale, in mezzo al popolo di Dio, salve le disposizioni del diritto a proposito degli istituti di vita consacrata.
Can. 712 - Ferme restando le disposizioni dei cann. 598-601, le costituzioni stabiliscano i vincoli sacri con cui vengono assunti nell'istituto i consigli evangelici e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell'istituto.
Can. 713 -§ 1. I membri di tali istituti esprimono e realizzano la propria consacrazione nell'attività apostolica e come un fermento si sforzano di permeare ogni realtà di spirito evangelico per consolidare e far crescere il Corpo di Cristo.
§ 2. I membri laici, nel mondo e dal mondo, partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa sia mediante la testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l'aiuto che danno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e nel mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo. Essi offrono inoltre la propria collaborazione per il servizio della comunità ecclesiale, secondo lo stile di vita secolare loro proprio.
§ 3. I membri chierici sono di aiuto ai confratelli con una peculiare carità apostolica, attraverso la testimonianza della vita consacrata, soprattutto nel presbiterio, e in mezzo al popolo di Dio lavorano alla santificazione del mondo con il proprio ministero sacro.
Can. 714 - I membri degli istituti secolari conducano la propria vita nelle situazioni ordinarie del mondo, soli o ciascuno nella propria famiglia, o in gruppi di vita fraterna a norma delle costituzioni.
Can. 715 - § 1. I membri chierici incardinati in una diocesi dipendono dal Vescovo diocesano, salvo quanto riguarda la vita consacrata nel proprio istituto.
§ 2. Quelli invece che a norma del can. 266, § 3 vengono incardinati nell'istituto, se sono destinati alle opere proprie dell'istituto o a funzioni di governo all'interno di esso, dipendono dal Vescovo allo stesso modo dei religiosi.
Can. 716 - § 1. Tutti i membri partecipino attivamente alla vita dell'istituto secondo il diritto proprio.
§ 2. I membri di uno stesso istituto conservino la comunione tra loro curando con sollecitudine l'unità dello spirito e la vera fraternità.
Can. 717 - § 1. Le costituzioni definiscano la forma di governo propria dell'istituto, la durata in carica dei Moderatori e il modo della loro designazione.
§ 2. Nessuno sia designato come Moderatore supremo se non è stato incorporato nell'istituto in modo definitivo.
§ 3. Coloro che nell'istituto hanno incarichi di governo abbiano cura che sia conservata l'unità dello spirito e che sia promossa l'attiva partecipazione dei membri.
Can. 718 - L'amministrazione dei beni dell'istituto, che deve esprimere e favorire la povertà evangelica, è regolata dalle norme del Libro V, I beni temporali della Chiesa , e dal diritto proprio dell'istituto. Il diritto proprio deve parimenti definire gli obblighi, specialmente di carattere economico, dell'istituto verso i membri che ad esso dedicano la propria attività.
Can. 719 - § 1. Per rispondere fedelmente alla propria vocazione e perché la loro azione apostolica scaturisca dall'unione con Cristo, i membri siano assidui all'orazione, attendano convenientemente alla lettura delle sacre Scritture, osservino i tempi di ritiro annuale e compiano le alttre pratiche spirituali secondo il diritto proprio.
§ 2. La celebrazione dell'Eucarestia, in quanto possibile quotidiana, sia la sorgente e la forza di tutta la loro vita consacrata.
§ 3. Si accostino liberamente e con frequenza al sacramento della penitenza.
§ 4. Siano liberi di ricevere la necessaria direzione della coscienza e di richiedere consigli in materia, se lo desiderano, anche ai propri Moderatori.
Can. 720 - Il diritto di ammettere nell'istituto per il periodo di prova oppure per assumere i vincoli sacri, sia temporanei sia perpetui o definitivi, compete ai Moderatori maggiori con il loro consiglio, a norma delle costituzioni.
Can. 721 - § 1. E' ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale:
      1° chi non ha ancora raggiunto la maggiore età;
      2° chi è legato attualmente con un vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica;
      3° chi è sposato, durante il matrimonio.
§ 2. Le costituzioni possono stabilire altri impedimenti, anche per la validità dell'ammissione, o apporre altre condizioni.
§ 3. Per essere accettati si richiede inoltre la maturità necessaria per condurre in modo conveniente la vita propria dell'istituto.
Can. 722 - § 1. La prova iniziale sia ordinata allo scopo che i candidati prendano più chiara coscienza della loro vocazione divina e di quella specifica dell'istituto, ne vivano lo spirito e sperimentino il genere di vita ad esso proprio.
§ 2. I candidati siano opportunamente formati a condurre una vita secondo i consigli evangelici e istruiti a trasformare integralmente la propria esistenza in apostolato, adottando quelle forme di evangelizzazione che meglio rispondano al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto.
§ 3. Le costituzioni devono definire il metodo e la durata di tale prova, non inferiore a due anni, che precede il primo impegno con vincoli sacri nell'istituto.
Can. 723 - § 1. Compiuto il tempo della prova iniziale il candidato che viene giudicato idoneo assuma i tre consigli evangelici, confermati dal vincolo sacro, oppure lasci l'istituto.
§ 2. Questa prima incorporazione, non inferiore a cinque anni, sia temporanea a norma delle costituzioni.
§ 3. Trascorso tale periodo di tempo, il membro giudicato idoneo sia ammesso all'incorporazione perpetua oppure a quella definitiva, cioè con vincoli temporanei da rinnovarsi sempre ad ogni scadenza.
§ 4. L'incorporazione definitiva è equiparata a quella perpetua, in ordine a determinati effetti giuridici, che devono essere stabiliti nelle costituzioni.
Can. 724 - § 1. Dopo il primo impegno con vincoli sacri, la formazione deve essere continuata costantemente a norma delle costituzioni.
§ 2. I membri devono essere preparati di pari passo tanto nelle scienze umane quanto in quelle divine; i Moderatori dell'istituto sentano seriamente la responsabilità della loro continua formazione spirituale.
Can. 725 - L'istituto può associare a sé, con qualche vincolo determinato dalle costituzioni, altri fedeli che si impegnino a tendere alla perfezione evangelica secondo lo spirito dell'istituto e a partecipare della sua stessa missione.
Can. 726 - § 1. Trascorso il periodo dell'incorporazione temporanea il membro può liberamente lasciare l'istituto, o per giusta causa può essere escluso dalla rinnovazione dei vincoli sacri da parte del Moderatore maggiore, udito il suo consiglio.
§ 2. Il membro di incorporazione temporanea che lo richieda spontaneamente, per grave causa può ottenere dal Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, l'indulto di lasciare l'istituto.
Can. 727 - § 1. Se un membro incorporato con vincolo perpetuo vuole lasciare l'istituto, dopo avere seriamente ponderato la cosa davanti al Signore deve chiedere l'indulto, per mezzo del Moderatore supremo, alla Sede Apostolica se l'istituto è di diritto pontificio; altrimenti anche al Vescovo diocesano, secondo quanto è definito dalle costituzioni.
§ 2. Trattandosi di sacerdote incardinato nell'istituto si osservi il disposto del can. 693.
Can. 728 - Con la legittima concessione dell'indulto di lasciare l'istituto cessano tutti i vincoli, e insieme i diritti e gli obblighi derivanti dall'incorporazione.
Can. 729 - La dimissione di un membro dall'istituto avviene a norma dei cann. 694 e 695. Le costituzioni definiscano altre cause di dimissione, purché siano proporzionatamente gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, e inoltre si osservi la procedura stabilita ai cann. 697-700. Al membro dimesso si applica il disposto del can. 701.
Can. 730 - Per il passaggio di un membro di istituto secolare ad un altro istituto secolare si osservino le disposizioni dei cann. 684, §§ 1, 2, 4 e 685; per il passaggio ad un altro istituto di vita consacrata, o da questo ad un istituto secolare, si richiede la licenza della Sede Apostolica, alle cui disposizioni ci si deve attenere.
SEZIONE II
LE SOCIETA' DI VITA APOSTOLICA
Can. 731 - § 1. Agli istituti di vita consacrata sono assimilate le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l'osservanza delle costituzioni.
§ 2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche vincolo definito dalle costituzioni.
Can. 732 - Quanto è stabilito nei cann. 578-597 e 606 si applica anche alle società di vita apostolica, tuttavia nel rispetto della natura di ciascuna società; alle società di cui al can. 731, § 2, si applicano anche i cann. 598-602.
Can. 733 - § 1. Una casa viene eretta e una comunità locale viene costituita dall'autorità competente della società previo consenso scritto del Vescovo diocesano, il quale deve essere anche consultato quando si tratta della soppressione di queste.
§ 2. Il consenso per l'erezione di una casa comporta il diritto di avere almeno un oratorio, nel quale sia celebrata e custodita la santissima Eucarestia.
Can. 734 - Il governo della società è definito dalle costituzioni, osservati, secondo la natura delle singole società, i cann. 617-633.
Can. 735 - § 1. L'ammissione dei membri, il periodo di prova, l'incorporazione e la formazione vengono determinati dal diritto proprio di ogni società.
§ 2. Per l'ammissione nella società si osservino le condizioni stabilite dai cann. 642-645.
§ 3. Il diritto proprio deve determinare il regolamento per la prova e per la formazione, in consonanza con gli scopi e l'indole della società, particolarmente in campo dottrinale, spirituale, apostolico, cosicché i membri, riconoscendo la vocazione divina, siano convenientemente preparati alla missione e alla vita della società.
Can. 736 - § 1. Nelle società clericali di diritto pontificio i chierici sono incardinati alla società stesa, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti.
§ 2. Per quanto riguarda il piano degli studi e la recezione degli ordini, si seguano le norme previste per i chierici secolari, fermo restando tuttavia il § 1.
Can. 737 - L'incorporazione comporta da parte dei membri gli obblighi e i diritti definiti dalle costituzioni; da parte della società l'impegno di guidare i membri alla realizzazione della propria vocazione secondo le costituzioni.
Can. 738 - § 1. Tutti i membri sono soggetti ai propri Moderatori a norma delle costituzioni in ciò che riguarda la vita interna e la disciplina della società.
§ 2. Sono soggetti inoltre al Vescovo diocesano in ciò che riguarda il culto pubblico, la cura delle anime e le altre attività apostoliche, attesi i cann. 679-683.
§ 3. Le relazioni tra il membro incardinato nella diocesi e il proprio Vescovo sono definite dalle costituzioni o da particolari convenzioni.
Can. 739 - I membri, inoltre agli obblighi che secondo le costituzioni li toccano in quanto tali, sono tenuti agli obblighi comuni ai chierici, a meno che non risulti altrimenti dalla natura delle cose o dal contesto.
Can. 740 - I membri devono abitare nella casa o nella comunità legittimamente costituita e osservare la vita in comune a norma del diritto proprio; da questo sono pure regolate le assenze dalla casa o dalla comunità.
Can. 741 - § 1. Le società e, se non è detto altrimenti nelle costituzioni, le loro parti e le case, sono persone giuridiche e in quanto tali hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali a norma delle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa , dei cann. 636, 638 e 639, nonché del diritto proprio.
§ 2. Anche i membri, a norma del diritto proprio, hanno la capacità di acquistare, possedere e amministrare beni temporali e di disporne, ma tutto ciò che loro proviene in considerazione della società rimane acquisito per la società stessa.
Can. 742 - L'uscita e la dimissione dei membri non ancora incorporati in modo definitivo sono regolate dalle costituzioni di ciascuna società.
Can. 743 - Un membro incorporato definitivamente può ottenere dal Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, l'indulto di lasciare la società, con la conseguente cessazione dei diritti e degli obblighi derivanti dall'incorporazione, fermo restando il disposto del can. 693, a meno che tale concessione non sia a norma delle costituzioni riservata alla Santa Sede.
Can. 744 - § 1. E' parimenti riservato al Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, di concedere a un membro incorporato definitivamente la licenza di passare ad un'altra società di vita apostolica, venendo frattanto sospesi i diritti e gli obblighi della propria società, fermo restando tuttavia il diritto di potervi ritornare prima dell'incorporazione definitiva nella nuova società.
§ 2. Per il passaggio ad un istituto di vita consacrata, o da questo ad una società di vita apostolica, si richiede la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si dovrà attenere.
Can. 745 - Il Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio può concedere a un membro incorporato in modo definitivo l'indulto di vivere fuori della società, tuttavia non oltre tre anni, rimanendo sospesi i diritti e gli obblighi incompatibili con la sua nuova condizione; questi però rimane sotto la cura dei Moderatori. Se si tratta di un sacerdote, si richiede inoltre il consenso dell'Ordinario del luogo in cui deve dimorare, rimanendo anche sotto la sua cura e dipendenza.
Can. 746 - Per la dimissione di un membro definitivamente incorporato si osservino, con gli adattamenti del caso, i cann. 694-704.
LIBRO III
LA FUNZIONE D'INSEGNARE DELLA CHIESA
Can. 747 - § 1. La Chiesa, alla quale Cristo Signore affidò il deposito della fede affinché essa stessa, con l'assistenza dello Spirito Santo, custodisse santamente, scrutasse più intimamente, annunziasse ed esponesse fedelmente la verità rivelata, ha il dovere e il diritto nativo, anche con l'uso di propri strumenti di comunicazione sociale, indipendente da qualsiasi umana potestà, di predicare il Vangelo a tutte le genti.
§ 2. E' compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime.
Can. 748 - § 1. Tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità nelle cose, che riguardano Dio e la sua Chiesa, e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e godono del diritto di abbracciarla e di osservarla.
§ 2. Non è mai lecito ad alcuno indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza.
Can. 749 - § 1. Il Sommo Pontefice, in forza del suo ufficio, gode dell'infallibilità nel magistero quando, come Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli, che ha il compito di confermare i suoi fratelli nella fede, con atto definitivo proclama da tenersi una dottrina sulla fede o sui costumi.
§ 2. Anche il Collegio dei Vescovi gode dell'infallibilità nel magistero quando i Vescovi radunati nel Concilio Ecumenico esercitano il magistero, come dottori e giudici della fede e dei costumi, nel dichiarare per tutta la Chiesa da tenersi definitivamente una dottrina sulla fede o sui costumi; oppure quando dispersi per il mondo, conservando il legame di comunione fra di loro e con il successore di Pietro, convergono in un'unica sentenza da tenersi come definitiva nell'insegnare autenticamente insieme con il medesimo Romano Pontefice una verità che riguarda la fede o i costumi.
§ 3. Nessuna dottrina si intende infallibilmente definita se ciò non consta manifestamente.
Can. 750 - Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.
Can. 751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti.
Can. 752 - Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell'intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda.
Can. 753 - I Vescovi, che sono in comunione con il capo del Collegio e con i membri, sia singolarmente sia riuniti nelle Conferenze Episcopali o nei concili particolari, anche se non godono dell'infallibilità nell'insegnamento, sono autentici dottori e maestri della fede per i fedeli affidati alla loro cura; a tale magistero autentico dei propri Vescovi i fedeli sono tenuti ad aderire con religioso ossequio dell'animo.
Can. 754 - Tutti i fedeli sono tenuti all'obbligo di osservare le costituzioni e i decreti, che la legittima autorità della Chiesa propone per esporre una dottrina e per proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi le emanano il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi.
Can. 755 - § 1. Spetta in primo luogo a tutto il Collegio dei Vescovi e alla Sede Apostolica sostenere e dirigere presso i cattolici il movimento ecumenico, il cui fine è il ristabilimento dell'unità tra tutti i cristiani, che la Chiesa è tenuta a promuovere per volontà di Cristo.
§ 2. Spetta parimenti ai Vescovi, e, a norma del diritto, alle Conferenze Episcopali, promuovere la medesima unità e secondo che le diverse circostanze lo esigano o lo consiglino, impartire norme pratiche tenute presenti le disposizioni emanate dalla suprema autorità della Chiesa.
Titolo I
Il ministero della parola divina
Can. 756 - § 1. Nei riguardi della Chiesa universale la funzione si annunciare il Vangelo è affidata principalmente al Romano Pontefice e al Collegio dei Vescovi.
§ 2. Nei riguardi della Chiesa particolare loro affidata esercitano tale funzione i singoli Vescovi, i quali in essa sono i moderatori di tutto il ministero della parola; a volte però alcuni Vescovi la esplicano congiuntamente nei riguardi di più Chiese insieme, a norma del diritto.
Can. 757 - E' proprio dei presbiteri, che sono i cooperatori dei Vescovi, annunciare il Vangelo di Dio; sono tenuti soprattutto a questo dovere, nei riguardi del popolo loro affidato, i parroci e gli altri cui viene commessa la cura delle anime; spetta anche ai diaconi servire il popolo di Dio nel ministero della parola, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio.
Can. 758 - I membri degli istituti di vita consacrata, in forza della propria consacrazione a Dio, rendono testimonianza del Vangelo in modo peculiare, e convenientemente essi vengono assunti dal vescovo in aiuto per annunciare il Vangelo.
Can. 759 - I fedeli laici, in forza del battesimo e della confermazione, con la parola e con l'esempio della vita cristiana sono testimoni dell'annuncio evangelico; possono essere anche chiamati a cooperare con il Vescovo e con i presbiteri nell'esercizio del ministero della parola.
Can. 760 - Nel ministero della parola, che deve fondarsi sulla sacra Scrittura, la Tradizione, la liturgia, il magistero e la vita della Chiesa, sia integralmente e fedelmente proposto il ministero di Cristo.
Can. 761 - Per annunziare la dottrina cristiana si adoperino i diversi mezzi, che sono a disposizione, in primo luogo la predicazione e l'istruzione catechetica, che tengono sempre il posto principale, ma anche la presentazione della dottrina nelle scuole, nelle accademie, conferenze e adunanze di ogni genere, e altresì la diffusione della medesima attraverso le dichiarazioni pubbliche fatte dalla legittima autorità in occasione di taluni eventi, con la stampa e con altri strumenti di comunicazione sociale.
Capitolo I
LA PREDICAZIONE DELLA PAROLA DI DIO
Can. 762 - Dal momento che il popolo di Dio viene radunato in primo luogo dalla parola di Dio vivente, che è del tutto legittimo ricercare dalle labbra dei sacerdoti, i sacri ministri abbiano grande stima della funzione della predicazione, essendo tra i loro principali doveri annunciare a tutti il Vangelo di Dio.
Can. 763 - E' diritto dei Vescovi predicare dovunque la parola di Dio, non escluse le chiese e gli oratori degli istituti religiosi di diritto pontificio, a meno che il Vescovo del luogo in casi particolari non lo abbia negato espressamente.
Can. 764 - Salvo il disposto del can. 765, i presbiteri e i diaconi godono della facoltà di predicare dovunque, da esercitare con il consenso almeno presunto del rettore della chiesa, a meno che la medesima facoltà non sia stata ristretta o tolta del tutto da parte dell'Ordinario competente, o per legge particolare si richieda la licenza espressa.
Can. 765 - Per predicare si religiosi nelle loro chiese o oratori si richiede la licenza del superiore competente a norma delle costituzioni.
Can. 766 - I laici possono essere ammessi a predicare in una chiesa o in un oratorio, se in determinate circostanze lo richieda la necessità o in casi particolari l'utilità lo consigli, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, e salvo il can. 767, § 1.
Can. 767 - § 1. Tra le forme di predicazione è eminente l'omelia, che è parte della stessa liturgia ed è riservata al sacerdote o al diacono; in essa lungo il corso dell'anno liturgico siano esposti dal testo sacro i misteri della fede e le norme della vita cristiana.
§ 2. Nei giorni di domenica e nelle feste di precetto, in tutte le Messe che si celebrano con concorso di popolo, si deve tenere l'omelia né si può omettere se non per grave causa.
§ 3. Si raccomanda caldamente che, se si dà un sufficiente concorso di popolo, si tenga l'omelia anche nelle Messe che vengono celebrate durante la settimana, soprattutto quelle celebrate nel tempo di avvento e di quaresima o in occasione di qualche festa o di un evento luttuoso.
§ 4. Spetta al parroco o al rettore della chiesa curare che queste disposizioni siano osservate religiosamente.
Can. 768 - § 1. I predicatori della parola divina propongano in primo luogo ai fedeli ciò che è necessario credere e fare per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini.
§ 2. Impartiscano ai fedeli anche la dottrina che il magistero della Chiesa propone sulla dignità e libertà della persona umana, sull'unità e stabilità della famiglia e sui suoi compiti, sugli obblighi che riguardano gli uomini uniti nella società, come pure sul modo di disporre le cose temporali secondo l'ordine stabilito da Dio.
Can. 769 - La dottrina cristiana sia proposta in modo conforme alla condizione degli uditori e adattato alle necessità dei tempi.
Can. 770 - I parroci in tempi determinati, secondo le disposizioni del Vescovo diocesano, organizzino quelle predicazioni, che denominano esercizi spirituali e sacre missioni, o altre forme adatte alle necessità.
Can. 771 - § 1. I pastori delle anime, soprattutto i Vescovi e i parroci, siano solleciti che la parola di Dio venga annunciata anche a quei fedeli, i quali per la loro condizione di vita non usufruiscono a sufficienza della comune e ordinaria cura pastorale o ne sono totalmente privi.
§ 2. Provvedano pure che l'annuncio del Vangelo giunga ai non credenti che vivono nel territorio, dal momento che la cura delle anime deve comprendere anche loro, non altrimenti che i fedeli.
Can. 672 - § 1. Per ciò che concerne l'esercizio della predicazione, si osservino inoltre da tutti le norme date dal Vescovo diocesano.
§ 2. Per parlare sulla dottrina cristiana mediante la radio o la televisione, siano osservate le disposizioni date dalla Conferenza Episcopale regionale.
Capitolo II
L'ISTRUZIONE CATECHETICA
Can. 773 - E' dovere proprio e grave soprattutto dei pastori delle anime curare la catechesi del popolo cristiano, affinché la fede dei fedeli, per mezzo dell'insegnamento della dottrina e dell'esperienza della vita cristiana, diventi viva, esplicita e operosa.
Can. 774 - § 1. La sollecitudine della catechesi, sotto la guida della legittima autorità ecclesiastica, riguarda tutti i membri della Chiesa, ciascuno per la sua parte.
§ 2. I genitori sono tenuti prima di tutti gli altri all'obbligo di formare con la parola e l'esempio i figli nella fede e nella pratica della vita cristiana; sono vincolati da una pari obbligazione, coloro che ne fanno le veci e i padrini.
Can. 775 - § 1. Osservate le disposizioni date dalla Sede Apostolica, spetta al Vescovo diocesano emanare norme circa la materia catechetica e parimenti provvedere che siano disponibili gli strumenti adatti per la catechesi, preparando anche un catechismo, se ciò sembrasse opportuno, e altresì favorire e coordinare le iniziative catechetiche.
§ 2. Spetta alla Conferenza Episcopale, se pare utile, curare che vengano pubblicati catechismi per il proprio territorio, previa approvazione della Sede Apostolica.
§ 3. Presso la Conferenza Episcopale può essere istituito l'ufficio catechistico, con la precipua funzione di offrire aiuto alle singole diocesi in materia catechetica.
Can. 776 - Il parroco, in forza del suo ufficio, è tenuto a curare la formazione catechetica degli adulti, dei giovani e dei fanciulli; a tale fine adoperi la collaborazione dei chierici addetti alla parrocchia, dei membri degli istituti di vita consacrata come pure delle società di vita apostolica, tenuto conto dell'indole di ciascun istituto, e altresì dei fedeli laici, soprattutto dei catechisti; tutti questi, se non sono legittimamente impediti, non ricusino di prestare volentieri la loro opera. Nella catechesi familiare, promuova e sostenga il compito dei genitori, di cui al can. 774, § 2.
Can. 777 - In modo peculiare il parroco, tenute presenti le norme stabilite dal Vescovo diocesano, curi:
      1° che si impartisca una catechesi adatta in vista della celebrazione dei sacramenti;
      2° che i fanciulli, mediante l'istruzione catechetica impartita per un congruo tempo, siano debitamente preparati alla prima recezione dei sacramenti della penitenza e della santissima Eucarestia, come pure al sacramento della confermazione;
      3° che i medesimi, ricevuta la prima comunione, abbiano una più abbondante e più profonda formazione catechetica;
      4° che l'istruzione catechetica sia trasmessa anche a quelli che sono impediti nella mente o nel corpo, per quanto lo permette la loro condizione;
      5° che la fede dei giovani e degli adulti, con svariate forme e iniziative, sia difesa, illuminata e fatta progredire.
Can. 778 - I Superiori religiosi e delle società di vita apostolica curino che le proprie chiese, scuole o altre opere in qualunque modo loro affidate, venga impartita diligentemente l'istruzione catechetica.
Can. 779 - L'istruzione sia trasmessa con l'uso di tutti gli aiuti, sussidi didattici e strumenti di comunicazione, che sembrano più efficaci perché i fedeli, in modo adatto alla loro indole, alle loro capacità ed età come pure alle condizioni di vita, siano capaci di apprendere più pienamente la dottrina cattolica e di tradurla in pratica in modo più conveniente.
Can. 780 - Gli Ordinari dei luoghi curino che i catechisti siano debitamente preparati a svolgere bene il loro incarico, che cioè venga loro offerta una formazione continua, e che conoscano in modo appropriato la dottrina della Chiesa e imparino teoricamente e praticamente i principi delle discipline pedagogiche.
Titolo II
L'azione missionaria della Chiesa
Can. 781 - Dal momento che tutta quanta la Chiesa è per sua natura missionaria e che l'opera di evangelizzazione è da ritenere dovere fondamentale del popolo di Dio, tutti i fedeli, consci della loro responsabilità, assumano la propria parte nell'opera missionaria.
Can. 782 - § 1. La suprema direzione e coordinamento delle iniziative e delle attività riguardanti l'opera missionaria e la cooperazione per le missioni, compete al Romano Pontefice e al Collegio dei Vescovi.
§ 2. I singoli Vescovi, in quanto garanti della Chiesa universale e di tutte le Chiese, abbiano una peculiare sollecitudine per l'opera missionaria, soprattutto suscitando, favorendo e sostenendo le iniziative missionarie nella propria Chiesa particolare.
Can. 783 - I membri degli istituti di vita consacrata, dal momento che si dedicano al servizio della chiesa in forza della stessa consacrazione, sono tenuti all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria, con lo stile proprio dell'istituto.
Can. 784 - I missionari, vale a dire coloro che sono mandati dalla competente autorità ecclesiastica a compiere l'opera missionaria, possono essere designati fra gli autoctoni o no, sia chierici secolari, sia membri degli istituti di vita consacrata o delle società di vita apostolica, sia altri fedeli laici.
Can. 785 - § 1. Nello svolgimento dell'opera missionaria siano assunti i catechisti, cioè fedeli laici debitamente istruiti e eminenti per vita cristiana, perché, sotto la guida del missionario, si dedichino a proporre la dottrina evangelica e a organizzare gli esercizi liturgici e le opere di carità.
§ 2. I catechisti siano formati nelle scuole a ciò destinate o, dove queste mancano, sotto la guida dei missionari.
Can. 786 - L'azione propriamente missionaria, per mezzo della quale la Chiesa è impiantata nei popoli o nei gruppi dove ancora non è stata radicata, viene assolta dalla Chiesa soprattutto mandando gli annunziatori del Vangelo fino a quando le nuove Chiese non siano pienamente costituite, vale a dire dotate di forze proprie e di mezzi sufficienti, per cui esse stesse siano capaci da sé di compiere l'opera di evangelizzazione.
Can. 787 - § 1. I missionari, con la testimonianza della vita e della parola, istituiscano un dialogo sincero con i non credenti in Cristo, perché, con procedimento adatto al loro ingegno e cultura, si aprano loro le vie per le quali possano essere efficacemente condotti a conoscere l'annuncio evangelico.
§ 2. Curino d'istruire nelle verità della fede coloro che giudicano preparati a ricevere l'annuncio evangelico, in modo tale che essi stessi, chiedendolo liberamente, possano essere ammessi a ricevere il battesimo.
Can. 788 - § 1. Quelli che avranno manifestato la volontà di abbracciare la fede in Cristo, compiuto il tempo del precatecumenato, siano ammessi con le cerimonie liturgiche al catecumenato, e i loro nomi siano scritti nell'apposito libro.
§ 2. I catecumeni, per mezzo dell'istruzione e del tirocinio della vita cristiana, siano adeguatamente iniziati al mistero della salvezza e vengano introdotti a vivere la fede, la liturgia, la carità del popolo di Dio e l'apostolato.
§ 3. Spetta alla Conferenza Episcopale emanare statuti con cui ordinare il catecumenato, determinando quali siano gli obblighi dei catecumeni, e quali prerogative si debbano loro riconoscere.
Can. 789 - I neofiti siano formati con un'istruzione appropriata a conoscere più profondamente la verità evangelica e ad adempiere i doveri assunti per mezzo del battesimo; siano compenetrati da un sincero amore verso Cristo e la sua Chiesa.
Can. 790 - § 1. Nei territori di missione spetta al Vescovo diocesano:
      1° promuovere, guidare e coordinare le iniziative e le opere che tendono all'azione missionaria;
      2° curare che siano stipulate le debite convenzioni con i Moderatori degli istituti che si dedicano all'opera missionaria, e che le relazioni con i medesimi tornino a bene della missione.
§ 2. Alle disposizioni emanate dal vescovo diocesano di cui al § 1, n.1, sono sottoposti tutti i missionari, anche religiosi e i loro aiutanti che vivono nella circoscrizione a lui soggetta.
Can. 791 - Nelle singole diocesi per favorire la cooperazione missionaria:
      1° si promuovano le vocazioni missionarie;
      2° sia deputato un sacerdote per promuovere efficacemente le iniziative a favore delle missioni, soprattutto le Pontificie Opere Missionarie;
      3° si celebri la giornata annuale per le missioni;
      4° sia versato ogni anno un congruo contributo per le missioni, da trasmettere alla Santa Sede.
Can. 792 - Le Conferenze Episcopali istituiscano e promuovano opere, per mezzo delle quali coloro che dalle terre di missione si recano nel territorio delle medesime Conferenze per ragioni di lavoro o di studio, siano accolti fraternamente e vengano aiutati con una adeguata cura pastorale.
Titolo III
L'educazione cattolica
Can. 793 - § 1. I genitori, come pure coloro che ne fanno le veci, sono vincolati dall'obbligo e hanno il diritto di educare la prole; i genitori cattolici hanno anche il dovere e il diritto di scegliere quei mezzi e quelle istituzioni attraverso e quali, secondo le circostanze di luogo, possano provvedere nel modo più appropriato all'educazione cattolica dei figli.
§ 2. E' diritto dei genitori di usufruire anche degli aiuti che la società civile deve fornire e di cui hanno bisogno nel procurare l'educazione cattolica dei figli.
Can. 794 - § 1. A titolo speciale il dovere e il diritto di educazione spetta alla Chiesa, alla quale è stata affidata da Dio la missione di aiutare gli uomini, perché siano in grado di pervenire alla pienezza della vita cristiana.
§ 2. E' dovere dei pastori delle anime disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell'educazione cattolica.
Can. 795 - Dal momento che la vera educazione deve perseguire la formazione integrale della persona umana, in vista del suo fine ultimo e insieme del bene comune della società, i fanciulli e i giovani siano coltivati in modo da poter sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali e intellettuali, acquistino un più perfetto senso di responsabilità e il retto uso della libertà e siano preparati a partecipare attivamente alla vita sociale.
Capitolo I
LE SCUOLE
Can. 796 - § 1. Tra i mezzi per coltivare l'educazione i fedeli stimino grandemente le scuole, le quali appunto sono di precipuo aiuto ai genitori nell'adempiere la loro funzione educativa.
§ 2. E' necessario che i genitori cooperino strettamente con i maestri delle scuole, cui affidano i figli da educare; i maestri poi nell'assolvere il proprio dovere collaborino premurosamente con i genitori: questi poi vanno ascoltati volentieri e inoltre siano istituite e grandemente apprezzate le loro associazioni o riunioni.
Can. 797 - E' necessario che i genitori nello scegliere le scuole godano di vera libertà; di conseguenza i fedeli devono impegnarsi perché la società civile riconosca ai genitori questa libertà e, osservata la giustizia distributiva, la tuteli anche con sussidi.
Can. 798 - I genitori affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all'educazione cattolica; se non sono in grado di farlo, sono tenuti all'obbligo di curare, che la debita educazione cattolica sia loro impartita al di fuori della scuola.
Can. 799 - I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori.
Can. 800 - § 1. E' diritto della Chiesa fondare e dirigere scuole di qualsiasi disciplina, genere e grado.
§ 2. I fedeli favoriscano le scuole cattoliche, cooperando secondo le proprie forze per fondarle e sostenerle.
Can. 801 - Gli istituti religiosi che hanno la missione specifica dell'educazione, mantenendo fedelmente questa loro missione, si adoperino efficacemente per dedicarsi all'educazione cattolica anche attraverso proprie scuole, fondate con il consenso del Vescovo diocesano.
Can. 802 - § 1. Se non ci sono ancora scuole nelle quali venga trasmessa una educazione impregnata di spirito cristiano, spetta al Vescovo diocesano curare che siano fondate.
§ 2. Quando ciò sia conveniente, il Vescovo diocesano provveda che vengano fondate pure scuole professionali e tecniche e anche altre, che siano richieste da speciali necessità.
Can. 803 - § 1. Per scuola cattolica s'intende quella che l'autorità ecclesiastica competente o una persona giuridica ecclesiastica pubblica dirige, oppure quella che l'autorità ecclesiastica riconosce come tale con un documento scritto.
§ 2. L'istruzione e l'educazione nella scuola cattolica deve fondarsi sui principi della dottrina cattolica; i maestri si distinguano per retta dottrina e per probità di vita.
§ 3. Nessuna scuola, benché effettivamente cattolica, porti il nome di scuola cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica.
Can. 804 - § 1. All'autorità della Chiesa è sottoposta l'istruzione e l'educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo dei vari strumenti di comunicazione sociale; spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d'azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso.
§ 2. L'Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica.
Can. 805 - E' diritto dell'Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedano motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi.
Can. 806 - § 1. Al Vescovo diocesano compete il diritto di vigilare e di visitare le scuole cattoliche situate nel suo territorio, anche quelle fondate o dirette da membri di istituti religiosi; a lui parimenti compete dare disposizioni che concernono l'ordinamento generale delle scuole cattoliche: e queste disposizioni hanno valore anche circa le scuole che sono dirette dai medesimi religiosi, salva però la loro autonomia sulla conduzione interna di tali scuole.
§ 2. Curino i Moderatori delle scuole cattoliche, sotto la vigilanza dell'Ordinario del luogo, che l'istruzione in esse impartita si distingua dal punto di vista scientifico almeno a pari grado che nelle altre scuole della regione.
Capitolo II
LE UNIVERSITA' CATTOLICHE E GLI ALTRI ISTITUTI DI STUDI SUPERIORI
Can. 807 - E' diritto della Chiesa istituire e dirigere università di studi, che contribuiscano ad una più profenda cultura degli uomini e a una più piena promozione della persona umana e altresì ad adempiere la funzione d'insegnare della Chiesa stessa.
Can. 808 - Nessuna università di studi, benché effettivamente cattolica, porti il titolo ossia il nome di università cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica.
Can. 809 - Le Conferenze Episcopali curino che ci siano, se possibile e conveniente, università di studi o almeno facoltà, distribuite in modo appropriato nel territorio, nelle quali le diverse discipline, salvaguardata senza dubbio la loro autonomia scientifica, siano studiate e insegnate, tenuto conto della dottrina cattolica.
Can. 810 - § 1. E' dovere dell'autorità competente secondo gli statuti provvedere che nelle università cattoliche siano nominati docenti i quali, oltre che per l'idoneità scientifica e pedagogica, eccellano per integrità di dottrina e per probità di vita, e che, mancando tali requisiti, osservato il modo di procedere definito dagli statuti , siano rimossi dall'incarico.
§ 2. Le Conferenze Episcopali e i Vescovi diocesani interessati hanno il dovere e il diritto di vigilare, che nelle medesime università siano osservati fedelmente i principi della dottrina cattolica.
Can. 811 - § 1. L'autorità ecclesiastica competente curi che nelle università cattoliche sia eretta la facoltà o l'istituto o almeno la cattedra di teologia, in cui vengano impartite lezioni anche agli studenti laici.
§ 2. Nelle singole università cattoliche si tengano lezioni, nella quali si trattino precipuamente le questioni teologiche connesse con le discipline delle medesime facoltà.
Can. 812 - Coloro che in qualunque istituto di studi superiori insegnano discipline teologiche, devono avere il mandato della competente autorità ecclesiastica.
Can. 813 - Il Vescovo diocesano abbia una intensa cura pastorale degli studenti, anche erigendo una parrocchia, o almeno per mezzo di sacerdoti a ciò stabilmente deputati, e provveda che presso le università, anche non cattoliche, ci siano centri universitari cattolici, che offrano un aiuto soprattutto spirituale alla gioventù.
Can. 814. - Le disposizioni, date per le università, si applicano a pari ragione agli altri istituti di studi superiori.
Capitolo III
LE UNIVERSITA' E LE FACOLTA' ECCLESIASTICHE
Can. 815 - La Chiesa, in forza della sua funzione di annunciare la verità rivelata, ha proprie università o facoltà ecclesiastiche per l'investigazione delle discipline sacre o connesse con le sacre, e per istruire scientificamente gli studenti nelle medesime discipline.
Can. 816 - § 1. Le università e le facoltà ecclesiastiche possono essere costituite soltanto se erette dalla Sede Apostolica o da questa approvate; ad essa compete pure la loro superiore direzione.
§ 2. Le singole università e facoltà ecclesiastiche devono avere i propri statuti e l'ordinamento degli studi approvati dalla Sede Apostolica.
Can. 817 - Nessuna università o facoltà, che non sia stata eretta o approvata dalla Sede Apostolica, può validamente conferire gradi accademici con effetti canonici nella Chiesa.
Can. 818 - Le disposizioni date per le università cattoliche nei cann. 810, 812 e 813, hanno valore anche per le università e facoltà ecclesiastiche
Can. 819 - Nella misura in cui lo richieda il bene della diocesi o dell'istituto religioso o anzi della stessa Chiesa universale, i Vescovi diocesani o i Superiori competenti degli studi devono inviare alle università o facoltà ecclesiastiche giovani, chierici e religiosi, che si segnalino per indole, virtù e ingegno.
Can. 820 - I Moderatori e i professori delle università e facoltà ecclesiastiche procurino che le diverse facoltà dell'università collaborino vicendevolmente, per quanto l'oggetto lo consente, e che tra la propria università o facoltà e le altre università o facoltà, anche non ecclesiastiche, ci sia mutua cooperazione, con la quale cioè le medesime con azione congiunta operino concordemente ad un maggior incremento della scienza, per mezzo di convegni, investigazioni scientifiche coordinate e altri sussidi
Can. 821 - La Conferenza Episcopale e il Vescovo diocesano provvedano che, dove è possibile, siano fondati istituti superiori di scienze religiose, nei quali cioè vengano insegnate le discipline teologiche e le altre che concernono la cultura cristiana.
Titolo IV
Gli strumenti di comunicazione sociale e in specie i libri
Can. 822 - § 1. I pastori della Chiesa, valendosi del diritto proprio della Chiesa nell'adempimento del loro incarico, cerchino di utilizzare gli strumenti di comunicazione sociale.
§ 2. Sia cura dei medesimi pastori istruire i fedeli del dovere che hanno di cooperare perché l'uso degli strumenti di comunicazione sociale sia vivificato da spirito umano e cristiano.
§ 3. Tutti i fedeli, quelli soprattutto che in qualche modo hanno parte nell'uso e nell'organizzazione dei medesimi strumenti, siano solleciti nel prestare la loro cooperazione alle attività pastorali, in modo tale che la Chiesa anche con tali strumenti possa esercitare efficacemente la sua funzione.
Can. 823 - § 1. Perché sia conservata l'integrità della verità della fede e dei costumi, i pastori della Chiesa hanno il dovere e il diritto di vigilare che non si arrechi danno alla fede e ai costumi dei fedeli con gli scritti o con l'uso degli strumenti di comunicazione sociale; parimenti di esigere che vengano sottoposti al proprio giudizio prima della pubblicazione gli scritti dei fedeli che toccano la fede o i costumi; e altresì di riprovare gli scritti che portino danno alla retta fede o ai buoni costumi.
§ 2. Il dovere e il diritto, di cui al § 1, competono ai Vescovi, sia singolarmente sia riuniti nei concili particolari o nelle Conferenze Episcopali nei riguardi dei fedeli alla loro cura affidati, d'altro lato competono alla suprema autorità della Chiesa nei riguardi di tutto il popolo di Dio.
Can. 824 - § 1. Se non è stabilito altrimenti, l'Ordinario del luogo, la cui licenza o approvazione per la pubblicazione dei libri va richiesta secondo i canoni del presente titolo, è l'Ordinario del luogo proprio dell'autore oppure l'Ordinario del luogo nel quale il libro viene effettivamente edito.
§ 2. Ciò che viene stabilito nei canoni di questo titolo sui libri, si deve applicare a qualunque scritto destinato alla pubblica divulgazione, se non consti altro.
Can. 825 - § 1. I libri delle sacre Scritture non possono essere pubblicati senza essere stati approvati dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale; e parimenti perché le versioni delle medesime possano essere edite nelle lingue correnti, si richiede che siano state approvate dalla stessa autorità e contemporaneamente siano corredate da sufficienti spiegazioni.
§ 2. I fedeli cattolici, su licenza della Conferenza Episcopale, possono preparare e pubblicare le versioni delle sacre Scritture corredate da convenienti spiegazioni, in collaborazione anche con i fratelli separati.
Can. 826 - § 1. Per ciò che attiene ai libri liturgici, si osservino le disposizioni del can. 838.
§ 2. Perché siano pubblicati di nuovo i libri liturgici o parti di essi, come pure le loro versioni nelle lingue correnti, deve risultare la concordanza con l'edizione approvata da un attestato dell'Ordinario del luogo in cui vengono effettivamente editi.
§ 3. I libri di preghiere per l'uso pubblico o privato dei fedeli non siano pubblicati se non su licenza dell'Ordinario del luogo.
Can. 827 - § 1. I catechismi come pure gli altri scritti pertinenti all'istruzione catechetica o le loro versioni, per essere pubblicati, devono avere l'approvazione dell'Ordinario del luogo, fermo restando il disposto del can. 775, § 2.
§ 2. Qualora non siano stati pubblicati con l'approvazione della competente autorità ecclesiastica o da essa successivamente approvati, nelle scuole, sia elementari sia medie sia superiori, non possono essere adottati come testi-base dell'insegnamento i libri che toccano questioni concernenti la sacra Scrittura, la teologia, il diritto canonico, la storia ecclesiastica e le discipline religiose o morali.
§ 3. Si raccomanda che i libri che trattano le materie di cui al § 2, sebbene non siano adoperati come testi d'insegnamento, e parimenti gli scritti in cui ci sono elementi che riguardano in modo peculiare la religione o l'onestà dei costumi, vengano sottoposti al giudizio dell'Ordinario del luogo.
§ 4. Nelle chiese o negli oratori non si possono esporre, vendere o dare libri o altri scritti che trattano di questioni di religione o di costumi, se non sono stati pubblicati con licenza della competente autorità ecclesiastica o da questa successivamente approvati.
Can. 828 - Non è lecito pubblicare di nuovo le collezioni dei decreti o degli atti editi da una autorità ecclesiastica, senza aver richiesto precedentemente la licenza della medesima autorità e osservate le condizioni da essa imposte.
Can. 829 - L'approvazione o la licenza di pubblicare un'opera ha valore per il testo originale, non però per le sue nuove edizioni o traduzioni.
Can. 830 - § 1. Rimanendo intatto il diritto di ciascun Ordinario del luogo di affidare a persone per lui sicure il giudizio sui libri, può essere redatto dalla Conferenza Episcopale un elenco di censori, eminenti per scienza, retta dottrina e prudenza, che siano a disposizione delle curie diocesane, oppure può essere costituita una commissione di censori, gli Ordinari locali possano consultare.
§ 2. Il censore, nell'attendere al suo ufficio, messa da parte ogni preferenza personale, tenga presente solamente la dottrina della Chiesa sulla fede e sui costumi, quale è proposta dal magistero ecclesiastico.
§ 3. Il censore deve dare il suo parere per iscritto; se sarà risultato favorevole, l'Ordinario secondo il suo prudente giudizio conceda la licenza di procedere alla pubblicazione, espresso il proprio nome e altresì il tempo e il luogo della concessione; che se non la conceda, l'Ordinario comunichi le motivazioni del diniego allo scrittore dell'opera.
Can. 831 - § 1. Sui giornali, opuscoli o riviste periodiche che sono soliti attaccare apertamente la religione cattolica o i buoni costumi, i fedeli non scrivano nulla, se non per causa giusta e ragionevole; i chierici poi e i membri degli istituti religiosi, solamente su licenza dell'Ordinario del luogo.
§ 2. Spetta alla Conferenza Episcopale stabilire norme sui requisiti perché ai chierici e ai membri degli istituti religiosi sia lecito partecipare a trasmissioni radiofoniche o televisive che trattino questioni attinenti la dottrina cattolica o la morale.
Can. 832 - I membri degli istituti religiosi, per poter pubblicare scritti che trattano questioni di religione o di costumi, necessitano anche della licenza del proprio Superiore maggiore a norma delle costituzioni.
Titolo V
La professione di fede
Can. 833 - All'obbligo di emettere personalmente la professione di fede, secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica, sono tenuti:
      1° alla presenza del presidente o di un suo delegato, tutti quelli che partecipano al Concilio Ecumenico o particolare, al sinodo dei Vescovi e al sinodo diocesano con voto sia deliberativo sia consultivo; il presidente poi alla presenza del Concilio o del sinodo;
      2° i promossi alla dignità cardinalizia secondo gli statuti del sacro Collegio;
      3° alla presenza del delegato della Sede Apostolica, tutti i promossi all'episcopato, e parimenti quelli che sono equiparati al Vescovo diocesano;
      4° alla presenza del collegio dei consultori, l'Amministratore diocesano;
      5° alla presenza del Vescovo diocesano o di un suo delegato, i Vicari generali e i Vicari episcopali come pure i Vicari giudiziali;
      6° alla presenza dell'Ordinario del luogo o di un suo delegato, i parroci, il rettore e gli insegnanti di teologia e filosofia nei seminari, all'inizio dell'assunzione dell'incarico; quelli che devono essere promossi all'ordine del diaconato;
      7° alla presenza del Gran Cancelliere o, in sua assenza, alla presenza dell'Ordinario del luogo e dei loro delegati, il rettore dell'università ecclesiastica o cattolica, all'inizio dell'assunzione dell'incarico; alla presenza del rettore, se sacerdote, o alla presenza dell'Ordinario del luogo e dei loro delegati, i docenti che insegnano in qualsiasi università discipline pertinenti alla fede e ai costumi, all'inizio dell'assunzione dell'incarico;
      8° i Superiori negli istituti religiosi clericali e nelle società di vita apostolica clericali, a norma delle costituzioni.
LIBRO IV
LA FUNZIONE DI SANTIFICARE DELLA CHIESA
Can. 834 - § 1. La Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia, che è ritenuta come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo, nel quale per mezzo di segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale
§ 2. Tale culto allora si realizza quando viene offerto in nome della Chiesa da persone legittimamente incaricate e mediante atti approvati dall'autorità della Chiesa.
Can. 835 - § 1. Esercitano la funzione di santificare innanzitutto i Vescovi, che sono i grandi sacerdoti, i principali dispensatori dei misteri di Dio e i moderatori, i promotori e i custodi di tutta la vita liturgica nella Chiesa loro affidata.
§ 2. Esercitano la stessa funzione i presbiteri, i quali cioè, partecipi essi stessi del sacerdozio di Cristo, come suoi ministri sotto l'autorità del Vescovo, sono consacrati per celebrare il culto divino e santificare il popolo.
§ 3. I diaconi partecipano alla celebrazione del culto divino, a norma delle disposizioni del diritto.
§ 4. Nella funzione di santificare hanno una parte loro propria anche gli altri fedeli partecipando attivamente secondo modalità proprie nelle celebrazioni liturgiche, soprattutto in quella eucaristica; partecipano in modo peculiare alla stessa funzione i genitori, conducendo la vita coniugale secondo lo spirito cristiano e attendendo all'educazione cristiana dei figli.
Can. 836 - Poiché il culto cristiano, nel quale si esercita il sacerdozio comune dei fedeli, è opera che procede dalla fede e in essa si fonda, i ministri sacri provvedano assiduamente a ravvivarla e illuminarla, soprattutto con il ministero della parola, mediante il quale la fede nasce e si nutre.
Can. 837 - § 1. Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa stessa, che è <<sacramento di unità>>, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi; perciò appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi di esso vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli ordini, delle funzioni e dell'attuale partecipazione.
§ 2. Le azioni liturgiche, per il fatto che comportano per loro natura una celebrazione comunitaria, vengano celebrate, dove ciò è possibile, con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli.
Can. 838 - § 1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
§ 2. E' di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate fedelmente ovunque.
§ 3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, dopo averle adattate convenientemente entro i limiti definiti negli stessi libri liturgici, e pubblicarle, previa autorizzazione della Santa Sede.
§ 4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti.
Can. 839 - § 1. La Chiesa adempie la funzione di santificare anche con altri mezzi, cioè con la preghiera, mediante la quale si supplica Dio affinché i fedeli siano santificati nella verità, come pure con le opere di penitenza e di carità, le quali aiutano grandemente a radicare e corroborare il Regno di Cristo nelle anime e contribuiscono alla salvezza del mondo.
§ 2. Provvedano gli Ordinari dei luoghi che le preghiere e i pii e sacri esercizi del popolo cristiano siano pienamente conformi alle norme della Chiesa.
PARTE I
I SACRAMENTI
Can. 840 - I sacramenti del Nuovo Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la comunione ecclesiastica; perciò nella loro celebrazione sia i sacri ministri sia gli altri fedeli debbono avere una profonda venerazione e la dovuta diligenza.
Can. 841 - Poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa appartengono al divino deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o definire i requisiti per la loro validità e spetta alla medesima autorità o ad altra competente, a norma del can. 838, §§ 3 e 4, determinare quegli elementi che riguardano la loro lecita celebrazione, amministrazione e recezione, nonché il rito da osservarsi nella loro celebrazione.
Can. 842 - § 1. Chi non ha ricevuto il battesimo non può essere ammesso validamente agli altri sacramenti
§ 2. I pastori d'anime e gli altri fedeli, ciascuno secondo i compiti che ha nella Chiesa, hanno il dovere di curare che quanti chiedono i sacramenti, siano preparati a riceverli mediante la dovuta evangelizzazione e formazione catechetica, in conformità alle norme emanate dalla competente autorità.
Can. 843 - § 1. I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano ben disposti e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli.
§ 2. I pastori d'anime e gli altri fedeli, ciascuno secondo i compiti che ha nella Chiesa, hanno il dovere di curare che quanti chiedono i sacramenti, siano preparati a riceverli mediante la dovuta evangelizzazione e formazione catechetica, in conformità alle norme emanate dalla competente autorità.
Can. 844 - § 1. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai ministri cattolici, salve le disposizioni dei §§ 2, 3 e 4 di questo canone e del can. 861, § 2.
§ 2. Ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo, è lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell'Eucarestia e dell'unzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti
§ 3. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dell'Eucarestia e dell'unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali.
§ 4. Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti.
§ 5. Per i casi di cui ai §§ 2, 3 e 4, il Vescovo diocesano o la Conferenza Episcopale non diano norme generali, se non dopo aver consultato l'autorità competente almeno locale della Chiesa o della comunità non cattolica interessata.
Can. 845 - § 1. I sacramenti del battesimo, della confermazione e dell'ordine, in quanto imprimono il carattere, non possono essere ripetuti.
§ 2. Qualora, compiuta una diligente ricerca, persistesse ancora il dubbio prudente che i sacramenti di cui al § 1 siano stati dati veramente o validamente, vengano conferiti sotto condizione.
Can. 846 - § 1. Nella celebrazione dei sacramenti, si seguano fedelmente i libri liturgici approvati dalla competente autorità; perciò nessuno aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa.
§ 2. Il ministro celebri i sacramenti secondo il proprio rito.
Can. 847 - § 1. Nell'amministrazione dei sacramenti nei quali si deve far uso dei sacri oli, il ministro deve servirsi di oli ottenuti dagli olivi o da altre piante, e, salvo il disposto del can. 999, n. 2, consacrati o benedetti dal Vescovo e per di più di recente; non si serva di quelli vecchi, a meno che non vi sia una necessità.
§ 2. Il parroco richieda i sacri oli al Vescovo proprio e li conservi diligentemente in una custodia decorosa.
Can. 848 - Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per l'amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell'aiuto dei sacramenti a motivo della povertà.
Titolo I
Il battesimo
Can. 849 - Il battesimo, porta dei sacramenti, necessario di fatto o almeno nel desiderio per la salvezza, mediante il quale gli uomini vengono liberati dai peccati, sono rigenerati come figli di Dio e, configurati a Cristo con un carattere indelebile, vengono incorporati alla Chiesa, è validamente conferito soltanto mediante il lavacro di acqua vera e con la forma verbale stabilita.
Capitolo I
LA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO
Can. 850 - Il battesimo viene amministrato secondo il rito stabilito nei libri liturgici approvati, salvo il caso di urgente necessità, nel quale deve essere osservato soltanto ciò che è richiesto per la validità del sacramento.
Can. 851 - La celebrazione del battesimo deve essere opportunamente preparata; pertanto:
      1° l'adulto che intende ricevere il battesimo sia ammesso al catecumenato e, per quanto è possibile, attraverso i vari gradi, sia condotto all'iniziazione sacramentale, secondo il rito dell'iniziazione, adattato dalla Conferenza Episcopale e secondo le norme peculiari da essa emanate;
      2° i genitori di un bambino da battezzare, come pure coloro che stanno per assumere l'incarico di padrino, siano bene istruiti sul significato di questo sacramento e circa gli obblighi ad esso inerenti; il parroco, personalmente o tramite altri, provveda che i genitori, mediante esortazioni pastorali ed anche con la preghiera comune, siano debitamente istruiti, radunando più famiglie e dove sia possibile visitandole.
Can. 852 - § 1. Le disposizioni contenute nei canoni per il battesimo degli adulti, si applicano a tutti coloro che, usciti dall'infanzia, hanno raggiunto l'uso di ragione.
§ 2. Viene assimilato al bambino, anche per quanto concerne il battesimo, colui che non è responsabile dei suoi atti.
Can. 853 - L'acqua da usarsi nel conferimento del battesimo, eccetto il caso di necessità, deve essere benedetta secondo le disposizioni dei libri liturgici.
Can. 854 - Il battesimo venga conferito o per immersione o per infusione, osservando le disposizioni della Conferenza Episcopale.
Can. 855 - I genitori, i padrini e il parroco abbiano cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano.
Can. 856 - Anche se il battesimo può essere celebrato in qualsiasi giorno, si raccomanda tuttavia che ordinariamente venga celebrato di domenica o, se possibile, nella veglia pasquale.
Can. 857 - § 1. Fuori del caso di necessità, il luogo proprio del battesimo è la chiesa o l'oratorio.
§ 2. Si abbia come regola che l'adulto sia battezzato nella propria chiesa parrocchiale, il bambino invece nella chiesa parrocchiale propria dei genitori, a meno che una giusta causa non suggerisca diversamente.
Can. 858 - § 1. Ogni chiesa parrocchiale abbia il fonte battesimale, salvo il diritto cumulativo già acquisito da altre chiese.
§ 2. Per comodità dei fedeli, l'Ordinario del luogo, udito il parroco locale, può permettere o disporre che il fonte battesimale si trovi anche in un'altra chiesa o oratorio entro i confini della parrocchia.
Can. 859 - Qualora il battezzando, a causa della distanza dei luoghi o per altre circostanze, non possa accedere o non possa trasferirsi senza grave disagio alla chiesa parrocchiale o ad altra chiesa o oratorio di cui al can. 858, § 2, il battesimo può e deve essere conferito in un'altra chiesa o in un oratorio più vicini, o anche in altro luogo decoroso.
Can. 860 - § 1. Fuori del caso di necessità, il battesimo non si conferisca nelle case private, a meno che l'Ordinario del luogo per grave causa non lo abbia permesso.
§ 2. Negli ospedali, a meno che il Vescovo diocesano non abbia stabilito diversamente, non si celebri il battesimo, se non in caso di necessità o per altra ragione pastorale cogente.
Capitolo II
IL MINISTRO DEL BATTESIMO
Can. 861 - § 1. Ministro ordinario del battesimo è il Vescovo, il presbitero e il diacono, fermo restando il disposto del can. 530, n. 1.
§ 2. Qualora il ministro ordinario mancasse o fosse impedito, conferisce lecitamente il battesimo il catechista o altra persona incaricata dall'Ordinario del luogo a questo compito e anzi, in caso di necessità, chiunque, mosso da retta intenzione; siano solleciti i pastori d'anime, soprattutto il parroco, affinché i fedeli siano istruiti sul retto modo di battezzare.
Can. 862 - Eccetto il caso di necessità, a nessuno è consentito, senza la dovuta licenza, conferire il battesimo nel territorio altrui, neppure ai propri sudditi.
Can. 863 - Il battesimo degli adulti, per lo meno di coloro che hanno compiuto i quattordici anni, venga deferito al Vescovo diocesano, perché, se lo riterrà opportuno, lo amministri personalmente.
Capitolo III
I BATTEZZANDI
Can. 864 - E' capace di ricevere il battesimo ogni uomo e solo l'uomo non ancora battezzato.
Can. 865 - § 1. Affinché un adulto possa essere battezzato, è necessario che abbia manifestato la volontà di ricevere il battesimo, sia sufficientemente istruito nelle verità della fede e sui doveri cristiani e sia provato nella vita cristiana per mezzo del catecumenato; sia anche esortato a pentirsi dei propri peccati.
§ 2. L'adulto, che si trova in pericolo di morte, può essere battezzato qualora, avendo una qualche conoscenza delle verità principali della fede, in qualunque modo abbia manifestato l'intenzione di ricevere il battesimo e prometta che osserverà i comandamenti della religione cristiana.
Can. 866 - L'adulto che viene battezzato, se non vi si oppone una grave ragione, subito dopo il battesimo riceva la confermazione e partecipi alla celebrazione eucaristica, ricevendo anche la comunione.
Can. 867 - § 1. I genitori sono tenuti all'obbligo di provvedere che i bambini siano battezzati entro le prime settimane; al più presto dopo la nascita, anzi prima di essa, si rechino dal parroco per chiedere il sacramento per il figlio e vi si preparino debitamente.
§ 2. Se il bambino è in pericolo di morte, lo si battezzi senza alcun indugio.
Can. 868 - § 1. Per battezzare lecitamente un bambino si esige:
      1° che i genitori o almeno uno di essi o chi tiene legittimamente il loro posto, vi consentano;
      2° che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.
§ 2. Il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori.
Can. 869 - § 1. Se si dubita che uno sia stato battezzato, o che il battesimo non sia stato amministrato validamente e il dubbio persiste anche dopo una seria ricerca, il battesimo gli sia conferito sotto condizione.
§ 2. I battezzati in una comunità ecclesiale non cattolica non vanno battezzati sotto condizione, a meno che, esaminata la materia e la forma verbale usata nel conferimento del battesimo, considerata inoltre l'intenzione del battezzato adulto e del ministro battezzante, non persista una seria ragione per dubitare della validità del battesimo.
§ 3. Se nei casi di cui ai §§ 1 e 2 il conferimento o la validità del battesimo rimanessero dubbi, il battesimo non venga conferito se non dopo che al battezzando sia stata esposta la dottrina sul sacramento del battesimo, se adulto, e che al medesimo o ai suoi genitori, se si tratta di un bambino, siano state illustrate le ragioni della dubbia validità del battesimo celebrato.
Can. 870 - Il bambino esposto o trovatello sia battezzato, a meno che, condotta una diligente ricerca, non consti del suo battesimo.
Can. 871 - I feti abortivi, se vivono, nei limiti del possibile, siano battezzati.
Capitolo IV
I PADRINI
Can. 872 - Al battezzando, per quanto è possibile, venga dato un padrino, il cui compito è assistere il battezzando adulto nell'iniziazione cristiana, e presentare al battesimo con i genitori il battezzando bambino e parimenti cooperare affinché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli obblighi ad esso inerenti.
Can. 873 - Si ammettano un solo padrino o una madrina soltanto, oppure un padrino e una madrina.
Can. 874 - § 1. Per essere ammesso all'incarico di padrino, è necessario che:
      1° sia designato dallo stesso battezzando o dai suoi genitori o da chi ne fa le veci oppure, mancando questi, dal parroco o dal ministro e abbia l'attitudine e l'intenzione di esercitare questo incarico;
      2° abbia compiuto i sedici anni, a meno che dal Vescovo diocesano non sia stata stabilita un'altra età, oppure al parroco o al ministro non sembri opportuno, per giusta causa, ammettere l'eccezione;
      3° sia cattolico, abbia già ricevuto la confermazione e il santissimo sacramento dell'Eucarestia, e conduca una vita conforme alla fede e all'incarico che assume;
      4° non sia irretito da alcuna pena canonica legittimamente inflitta o dichiarata;
      5° non sia il padre o la madre del battezzando.
§ 2. Non venga ammesso un battezzato che appartenga ad una comunità ecclesiale non cattolica, se non insieme ad un padrino cattolico e soltanto come testimone del battesimo.
Capitolo V
PROVA E ANNOTAZIONE DEL BATTESIMO CONFERITO
Can. 875 - Colui che amministra il battesimo faccia in modo che, qualora non sia presente il padrino, vi sia almeno un testimone mediante il quale possa essere provato il conferimento del battesimo.
Can. 876 - Per provare l'avvenuto conferimento del battesimo, se non si reca pregiudizio ad alcuno, è sufficiente la dichiarazione di uno solo testimone al di sopra di ogni sospetto, o il giuramento dello stesso battezzato, se egli ha ricevuto il battesimo in età adulta.
Can. 877 - § 1. Il parroco del luogo dove si celebra il battesimo, deve diligentemente e senza alcun indugio registrare nel libro dei battezzati i nomi dei battezzati, facendo menzione del ministro, dei genitori, dei padrini e, se vi sono, dei testimoni, del luogo e del giorno del battesimo conferito, indicati simultaneamente il giorno e il luogo della nascita.
§ 2. Trattandosi di un bambino nato da madre non sposata, si deve annotare il nome della madre, se consta pubblicamente della sua maternità o lei stessa spontaneamente lo richiede, per iscritto o davanti a due testimoni; ugualmente si deve scrivere il nome del padre, se la sua paternità è provata con documento pubblico, o per altri casi si iscriva il battezzato senza porre alcuna indicazione circa il nome del padre e dei genitori.
§ 3. Se si tratta di un figlio adottivo, si scrivano i nomi degli adottanti, e, almeno se così viene fatto nell'atto civile della regione, dei genitori naturali a norma dei §§ 1 e 2, attese le disposizioni della Conferenza Episcopale.
Can. 878 - Qualora il battesimo non sia stato amministrato né dal parroco, né alla sua presenza, il ministro del battesimo, chiunque egli sia, è tenuto a informare del suo conferimento il parroco, perché lo annoti a norma del can. 877, § 1.
Titolo II
Il sacramento della confermazione
Can. 879 - Il sacramento della confermazione, che imprime il carattere e per il quale i battezzati, proseguendo il cammino dell'iniziazione cristiana, sono arricchiti del dono dello Spirito Santo e vincolati più perfettamente alla Chiesa, corrobora coloro che lo ricevono e li obbliga più strettamente ad essere con le parole e le opere testimoni di Cristo e a diffondere e difendere la fede.
Capitolo I
LA CELEBRAZIONE DELLA CONFERMAZIONE
Can. 880 - § 1. Il sacramento della confermazione viene conferito mediante l'unzione del crisma sulla fronte, unzione che si fa con l'imposizione della mano e con le parole prescritte nei libri liturgici approvati.
§ 2. Il crisma da usarsi nel sacramento della confermazione, deve essere consacrato dal Vescovo, anche se il sacramento viene amministrato dal presbitero.
Can. 881 - E' conveniente che il sacramento della confermazione venga celebrato in chiesa e normalmente durante la Messa; tuttavia per una giusta e ragionevole causa può essere celebrato fuori della Messa e in qualsiasi luogo degno.
Capitolo II
IL MINISTRO DELLA CONFERMAZIONE
Can. 882 - Ministro ordinario della confermazione è il Vescovo; conferisce validamente questo sacramento anche il presbitero provvisto di questa facoltà in forza del diritto comune o per speciale concessione della competente autorità.
Can. 883 - Per il diritto stesso hanno facoltà di amministrare la confermazione:
      1° entro i confini della propria circoscrizione, coloro che sono equiparati dal diritto al Vescovo diocesano;
      2° relativamente alla persona di cui si tratta, il presbitero, che, in forza dell'ufficio o del mandato del Vescovo diocesano, battezza uno fuori dell'infanzia o ammette uno già battezzato nella piena comunione della Chiesa cattolica;
      3° in riferimento a coloro che si trovano in pericolo di morte, il parroco, anzi ogni presbitero.
Can. 884 - § 1. Il Vescovo diocesano amministri personalmente la confermazione o provveda che sia amministrata da un altro Vescovo; qualora lo richiedesse una necessità, può concedere la facoltà di amministrarlo a uno o più sacerdoti determinati.
§ 2. Per una causa grave il Vescovo e similmente il presbitero che possiede la facoltà di confermare in forza del diritto o per speciale concessione della competente autorità possono, in singoli casi, associarsi dei presbiteri, perché anch'essi amministrino il sacramento.
Can. 885 - § 1. Il Vescovo diocesano è tenuto all'obbligo di curare che il sacramento della confermazione sia conferito ai sudditi che lo richiedono nel dovuto modo e ragionevolmente.
§ 2. Il presbitero che gode di questa facoltà deve usarla per coloro in favore dei quali la facoltà venne concessa.
Can. 886 - § 1. Il Vescovo nella sua diocesi amministra legittimamente il sacramento della confermazione anche ai fedeli non sudditi, a meno che non si opponga una espressa proibizione del loro Ordinario proprio.
§ 2. Per amministrare lecitamente la confermazione in un'altra diocesi, il Vescovo, a meno che non si tratti dei suoi sudditi, deve avere la licenza almeno ragionevolmente presunta del Vescovo diocesano.
Can. 887 - Il presbitero che gode della facoltà di amministrare la confermazione, conferisce lecitamente questo sacramento anche agli estranei, entro il territorio per lui designato, a meno che non si opponga il divieto del loro Ordinario proprio; fuori del proprio territorio non lo conferisce validamente a nessuno, salvo il disposto del can. 883, n. 3.
Can. 888 - Entro il territorio nel quale validamente conferiscono la confermazione, i ministri la possono amministrare anche nei luoghi esenti.
Capitolo III
I CONFERMANDI
Can. 889 - § 1. E' capace di ricevere la confermazione ogni battezzato e il solo battezzato, che non l'ha ancora ricevuta.
§ 2. Fuori del pericolo di morte per ricevere lecitamente la confermazione si richiede, se il fedele ha l'uso di ragione, che sia adeguatamente preparato, ben disposto e sia in grado di rinnovare le promesse battesimali.
Can. 890 - I fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente questo sacramento; i genitori e i pastori d'anime, soprattutto i parroci, provvedano affinché i fedeli siano bene istruiti per riceverlo e vi accedano a tempo opportuno.
Can. 891 - Il sacramento della confermazione venga conferito ai fedeli all'incirca all'età della discrezione, a meno che la Conferenza Episcopale non abbia determinata un'altra età o non vi sia il pericolo di morte oppure, a giudizio del ministro, non suggerisca diversamente una grave causa.
Capitolo IV
I PADRINI
Can. 892 - Il confermando sia assistito per quanto è possibile dal padrino, il cui compito è provvedere che il confermato si comporti come vero testimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso sacramento.
Can. 893 - § 1. Affinché uno possa adempiere l'incarico di padrino, è necessario che soddisfi le condizioni di cui al can. 874.
§ 2. E' conveniente che come padrino venga assunto colui che ebbe il medesimo incarico nel battesimo.
Capitolo V
PROVA E ANNOTAZIONE DELL'AVVENUTA CONFERMAZIONE
Can. 894 - Per provare l'avvenuta confermazione si osservi quanto disposto nel can. 876.
Can. 895 - I nomi dei cresimati, fatta menzione del ministro, dei genitori e dei padrini, del luogo e del giorno del conferimento della confermazione, siano trascritti nel libro dei cresimati della Curia diocesana, o, se lo avrà stabilito la Conferenza Episcopale o il Vescovo diocesano, nel libro da conservarsi nell'archivio parrocchiale; il parroco deve informare dell'avvenuta confermazione il parroco del luogo del battesimo, affinché l'annotazione sia fatta nel libro dei battezzati, a norma del can. 535, § 2.
Can. 896 - Se il parroco del luogo non fu presente, il ministro personalmente o per mezzo di altri lo informi quanto prima dell'avvenuta confermazione.
Titolo III
La santissima Eucarestia
Can. 897 - Augustissimo sacramento è la santissima Eucarestia, nella quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto ed è assunto, e mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Il sacrificio eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il Sacrificio della Croce, è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l'unità del popolo di Dio e si compie l'edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri sacramenti infatti e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono strettamente uniti alla santissima Eucarestia e ad essa sono ordinati.
Can. 898 - I fedeli abbiano in sommo onore la santissima Eucarestia, partecipando attivamente nella celebrazione dell'augustissimo Sacrificio, ricevendo con frequenza e massima devozione questo sacramento e venerandolo con somma adorazione; i pastori d'anime che illustrano la dottrina di questo sacramento, istruiscano diligentemente i fedeli circa questo obbligo.
Capitolo I
LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
Can. 899 - § 1. La celebrazione eucaristica è azione di Cristo stesso e della Chiesa; in essa Cristo Signore, mediante il ministero del sacerdote, offre a Dio Padre se stesso, sostanzialmente presente sotto le specie del pane e del vino, e si comunica in cibo spirituale ai fedeli associati nella sua offerta.
§ 2. Nella Sinassi eucaristica il popolo di Dio è chiamato a radunarsi in unità sotto la presidenza del Vescovo o, in dipendenza dalla sua autorità, del presbitero, che agiscono nella persona di Cristo, e tutti i fedeli che prendono parte, sia chierici sia laici, concorrono partecipandovi ciascuno a suo modo secondo il proprio ordine e la diversità di compiti liturgici.
§ 3. La celebrazione eucaristica sia ordinata in modo che tutti coloro che vi partecipano traggano da essa abbondanza di frutti, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il Sacrificio eucaristico.
Art. 1
Il ministro della santissima Eucarestia
Can. 900 - § 1. Ministro, in grado di celebrare nella persona di Cristo il sacrificio dell'Eucarestia, è il solo sacerdote validamente ordinato.
§ 2. Celebra lecitamente l'Eucarestia il sacerdote che non sia impedito per legge canonica, osservando le disposizioni dei canoni che seguono.
Can. 901 - Il sacerdote ha diritto di applicare la Messa per chiunque, sia per i vivi sia per i defunti.
Can. 902 - A meno che l'utilità dei fedeli non richieda o non consigli diversamente, i sacerdoti possono concelebrare l'Eucarestia, rimanendo tuttavia intatta per i singoli la libertà di celebrarla in modo individuale, non però nello stesso tempo nel quale nella medesima chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione.
Can. 903 - Un sacerdote sia ammesso a celebrare anche se sconosciuto al rettore della chiesa, purché esibisca le lettere commendatizie del suo Ordinario o del suo Superiore, date almeno entro l'anno, oppure si possa prudentemente ritenere che non sia impedito di celebrare.
Can. 904 - Memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l'opera della redenzione, i sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è sempre un atto di Cristo e della Chiesa, nel quale i sacerdoti adempiono il loro principale compito.
Can. 905 - § 1. Eccettuati i casi in cui, a norma del diritto, è lecito celebrare o concelebrare l'Eucarestia più volte nello stesso giorno, non è consentito al sacerdote celebrare più di una volta al giorno.
§ 2 Nel caso vi sia scarsità di sacerdoti, l'Ordinario del luogo può concedere che i sacerdoti, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto.
Can. 906 - Il sacerdote non celebri il sacrificio eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele, se non per giusta e ragionevole causa.
Can. 907 - Nella celebrazione eucaristica ai diaconi e ai laici non è consentito proferire le orazioni, in particolare la preghiera eucaristica, o eseguire le azioni che sono proprie del sacerdote celebrante.
Can. 908 - E' vietato ai sacerdoti cattolici concelebrare l'Eucarestia con i sacerdoti o i ministri delle Chiese o delle comunità ecclesiali, che non hanno la piena comunione con la Chiesa cattolica.
Can. 909 - Il sacerdote non ometta di prepararsi diligentemente con la preghiera alla celebrazione del Sacrificio eucaristico, e, dopo averlo terminato, di renderne grazie a Dio.
Can. 910 - § 1. Ministro ordinario della sacra comunione è il Vescovo, il presbitero e il diacono.
§ 2. Ministro straordinario della sacra comunione è l'accolito o anche un altro fedele incaricato a norma del can. 230, § 3.
Can. 911 - § 1. Hanno il dovere e il diritto di portare l'Eucarestia sotto forma di Viatico agli infermi, il parroco e i vicari parrocchiali, i cappellani, come pure il Superiore della comunità negli istituti religiosi clericali o nelle società di vita apostolica, nei riguardi di tutti coloro che si trovano nella casa.
§ 2. Ciò deve fare qualsiasi sacerdote o un altro ministro della sacra comunione, in caso di necessità o con la licenza almeno presunta del parroco, del cappellano o del Superiore, i quali debbono poi essere informati.
Art. 2
Partecipazione alla santissima Eucarestia
Can. 912 - Ogni battezzato, il quale non ne abbia la proibizione dal diritto, può e deve essere ammesso alla sacra comunione.
Can. 913 - § 1. Per poter amministrare la santissima Eucarestia ai fanciulli, si richiede che essi posseggano una sufficiente conoscenza e una accurata preparazione, così da percepire, secondo la loro capacità, il mistero di Cristo ed essere in grado di assumere con fede e devozione il Corpo del Signore.
§ 2. Tuttavia ai fanciulli che si trovino in pericolo di morte la santissima Eucarestia può essere amministrata se possono distinguere il Corpo di Cristo dal cibo comune e ricevere con riverenza la comunione.
Can. 914 - E' dovere innanzitutto dei genitori e di coloro che ne hanno le veci, come pure del parroco, provvedere affinché i fanciulli che hanno raggiunto l'uso di ragione siano debitamente preparati e quanto prima, premessa la confessione sacramentale, alimentati di questo divino cibo; spetta anche al parroco vigilare che non si accostino alla sacra Sinassi fanciulli che non hanno raggiunto l'uso di ragione o avrà giudicati non sufficientemente disposti.
Can. 915 - Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto.
Can. 916 - Colui che è consapevole di essere in peccato grave, non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza premettere la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l'opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che includa il proposito di confessarsi quanto prima.
Can. 917 - Chi ha già ricevuto la santissima Eucarestia, può riceverla una seconda volta nello stesso giorno, soltanto entro la celebrazione eucaristica alla quale partecipa, salvo il disposto del can. 921, § 2.
Can. 918 - Si raccomanda vivissimamente che i fedeli ricevano la sacra comunione nella stessa celebrazione eucaristica; tuttavia a coloro che la chiedono per una giusta causa fuori della Messa venga data, osservando i riti liturgici.
Can. 919 - § 1. Chi intende ricevere la santissima Eucarestia si astenga per lo spazio di almeno un'ora prima della sacra comunione da qualunque cibo o bevanda, fatta eccezione soltanto per l'acqua e le medicine.
§ 2. Il sacerdote, che nello stesso giorno celebra due o tre volte la santissima Eucarestia, può prendere qualcosa prima della seconda o terza celebrazione, anche se non sarà intercorso lo spazio di un'ora.
§ 3. Gli anziani, coloro che sono affetti da qualche infermità e le persone addette alle loro cure, possono ricevere la santissima Eucarestia anche se hanno preso qualcosa entro l'ora antecedente.
Can. 920 - § 1. Ogni fedele, dopo che è stato iniziato alla santissima Eucarestia, è tenuto all'obbligo di ricevere almeno una volta all'anno la sacra comunione.
§ 2. Questo precetto deve essere adempiuto durante il tempo pasquale, a meno che per una giusta causa non venga compiuto in altro tempo entro l'anno.
Can. 921 - § 1. I fedeli che si trovano in pericolo di morte derivante da una causa qualsiasi, ricevano il conforto della sacra comunione come Viatico.
§ 2. Anche se avessero ricevuto nello stesso giorno la sacra comunione, tuttavia si suggerisce vivamente che quanti si trovano in pericolo di morte, si comunichino nuovamente.
§ 3. Perdurando il pericolo di morte, si raccomanda che la sacra comunione venga amministrata più volte, in giorni distinti.
Can. 922 - Il santo Viatico per gli infermi non venga differito troppo; coloro che hanno la cura d'anime vigilino diligentemente affinché gli infermi ne ricevano il conforto nel pieno possesso delle loro facoltà.
Can. 923 - I fedeli possono partecipare al Sacrificio eucaristico e ricevere la sacra comunione in qualunque rito cattolico, fermo restando il disposto del can. 844.
Art. 3
Riti e cerimonie della celebrazione eucaristica
Can. 924 - § 1. Il sacrosanto Sacrificio eucaristico deve essere celebrato con pane e vino, cui va aggiunta un po' d'acqua.
§ 2. Il pane deve essere solo di frumento e confezionato di recente, in modo che non ci sia alcun pericolo di alterazione.
§ 3. Il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato.
Can. 925 - La sacra comunione venga data sotto la sola specie del pane o, a norma delle leggi liturgiche, sotto le due specie; però, in caso di necessità, anche sotto la sola specie del vino.
Can. 926 - Nella celebrazione eucaristica, secondo l'antica tradizione della Chiesa latina, il sacerdote usi pane azzimo, ovunque egli celebri.
Can. 927 - Non è assolutamente lecito, anche nel caso di urgente estrema necessità, consacrare una materia senza l'altra o anche l'una e l'altra, fuori della celebrazione eucaristica.
Can. 928 - La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati.
Can. 929 - I sacerdoti e i diaconi, nel celebrare e nell'amministrare l'Eucarestia, indossino le vesti sacre prescritte dalle rubriche.
Can. 930 - § 1. Il sacerdote infermo o avanzato in età, se non può rimanere in piedi, può celebrare il Sacrificio eucaristico stando seduto, osservando sempre le leggi liturgiche; non però davanti al popolo, se non con licenza dell'Ordinario del luogo.
§ 2. Il sacerdote cieco o affetto da qualche altra infermità celebra lecitamente il Sacrificio eucaristico usando un testo qualsiasi, tra quelli approvati, della Messa, con l'assistenza, se il caso lo esige, di un altro sacerdote o si un diacono o anche di un laico debitamente istruito, che lo aiuti.
Art. 4
Tempo e luogo della celebrazione eucaristica
Can. 931 - La celebrazione e la distribuzione dell'Eucarestia può essere compiuta in qualsiasi giorno e ora , eccettuati quelli che sono esclusi dalle norme liturgiche.
Can. 932 - § 1. La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso.
§ 2. Il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale.
Can. 933 - Per una giusta causa e con licenza espressa dell'Ordinario del luogo, è consentito al sacerdote celebrare l'Eucarestia nel tempio di qualche Chiesa o comunità ecclesiale non aventi piena comunione con la Chiesa cattolica, allontanato il pericolo di scandalo.
Capitolo II
CONSERVAZIONE E VENERAZIONE DELLA SANTISSIMA EUCARESTIA
Can. 934 - § 1. La santissima Eucarestia:
      1° deve essere conservata nella chiesa cattedrale o a questa equiparata, in ogni chiesa parrocchiale e nella chiesa o oratorio annesso alla casa di un istituto religioso o di una società di vita apostolica;
      2° può essere conservata nella cappella privata del Vescovo e, su licenza dell'Ordinario del luogo, nelle altre chiese, oratori o cappelle private.
§ 2. Nei luoghi sacri dove viene conservata la santissima Eucarestia, vi deve essere sempre chi ne abbia cura e, per quanto possibile, il sacerdote vi celebri la Messa almeno due volte al mese.
Can. 935 - Non è lecito ad alcuno conservare presso di sé la santissima Eucarestia o portarsela in viaggio, a meno che non vi sia una necessità pastorale urgente e osservate le disposizioni del Vescovo diocesano.
Can. 936 - Nella casa di un istituto religioso o in un'altra pia casa, la santissima Eucarestia venga conservata soltanto nella chiesa o nell'oratorio principale annesso alla casa; l'Ordinario può tuttavia permettere per una giusta causa che venga conservata anche in un altro oratorio della medesima casa.
Can. 937 - Se non vi si oppone una grave ragione, la chiesa nella quale viene conservata la santissima Eucarestia, resti aperta ai fedeli almeno per qualche ora al giorno, affinché possano trattenersi in preghiera dinanzi al santissimo Sacramento.
Can. 938 - § 1. La santissima Eucarestia venga custodita abitualmente in un solo tabernacolo della chiesa o dell'oratorio.
§ 2. Il tabernacolo nel quale si custodisce la santissima Eucarestia sia collocato in una parte della chiesa o dell'oratorio che sia distinta, visibile, ornata decorosamente, adatta alla preghiera.
§ 3. Il tabernacolo nel quale si custodisce abitualmente la santissima Eucarestia sia inamovibile, costruito con materiale solido non trasparente e chiuso in modo tale che sia evitato il più possibile ogni pericolo di profanazione.
§ 4. Per causa grave è consentito conservare la santissima Eucarestia, soprattutto durante la notte, in altro luogo più sicuro e decoroso.
§ 5. Chi ha cura della chiesa o dell'oratorio, provveda che la chiave del tabernacolo, nel quale è conservata la santissima Eucarestia, sia custodita con la massima diligenza.
Can. 939 - Le ostie consacrate vengano conservate nella pisside o in un piccolo vaso in quantità sufficiente alle necessità dei fedeli e, consumate nel debito modo le precedenti, siano rinnovate con frequenza.
Can. 940 - Davanti al tabernacolo nel quale si custodisce la santissima Eucarestia, brilli perennemente una speciale lampada, mediante la quale venga indicata e sia ornata la presenza di Cristo.
Can. 941 - § 1. Nelle chiese e negli oratori a cui è concesso conservare la santissima Eucarestia, si possono compiere esposizioni sia con la pisside, sia con l'ostensorio, osservando le norme stabilite nei libri liturgici.
§ 2. Durante la celebrazione della Messa non vi sia nella stessa navata della chiesa o dell'oratorio l'esposizione del santissimo Sacramento.
Can. 942 - Si raccomanda che nelle stesse chiese e oratori ogni anno si compia l'esposizione solenne del santissimo sacramento prolungata per un tempo conveniente, anche se non continuo, affinché la comunità locale mediti e adori con intensa devozione il mistero eucaristico; però tale esposizione si faccia soltanto se si prevede una adeguata affluenza di fedeli e osservando le norma stabilite.
Can. 943 - Ministro dell'esposizione del santissimo sacramento e della benedizione eucaristica è il sacerdote o il diacono; in speciali circostanze sono ministri della sola esposizione e riposizione, ma non della benedizione, l'accolito, il ministro straordinario della sacra comunione o altra persona designata dall'Ordinario del luogo, osservando le disposizioni del Vescovo diocesano.
Can. 944 - § 1. Ove, a giudizio del Vescovo diocesano, è possibile, si svolga, quale pubblica testimonianza di venerazione verso la santissima Eucarestia e specialmente nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la processione condotta attraverso le pubbliche vie.
§ 2. Spetta al Vescovo diocesano stabilire delle direttive circa le processioni, con cui provvedere alla loro partecipazione e dignità.
Capitolo III
L'OFFERTA DATA PER LA CELEBRAZIONE DELLA MESSA
Can. 945 - § 1. Secondo l'uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l'offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione.
§ 2. E' vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei poveri, anche senza ricevere alcuna offerta.
Can. 946 - I fedeli che danno l'offerta perché la Messa venga celebrata secondo la loro intenzione, contribuiscono al bene della Chiesa, e mediante tale offerta partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere.
Can. 947 - Dall'offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l'apparenza di contrattazione o di commercio.
Can. 948 - Devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l'offerta, anche se esigua, è stata data e accettata.
Can. 949 - Chi è onerato dall'obbligo di celebrare la Messa e di applicarla secondo l'intenzione di coloro che hanno dato l'offerta, vi è ugualmente obbligato anche se , senza sua colpa, le offerte percepite sono andate perdute.
Can. 950 - Se viene offerta una somma di denaro per l'applicazione di Messe senza indicare il numero delle Messe da celebrare, questo venga computato in ragione dell'offerta stabilita nel luogo ove l'offerente dimora, a meno che non debba legittimamente presumersi che fu un'altra la sua intenzione.
Can. 951 - § 1. Il sacerdote che celebra più Messe nello stesso giorno, può applicare ciascuna di esse secondo l'intenzione per la quale è stata data l'offerta, a condizione però che, al di fuori del giorno di Natale, egli tenga per sé l'offerta di una sola Messa e consegni invece le altre per le finalità stabilite dall'Ordinario, essendogli consentito di percepire una certa retribuzione a titolo estrinseco.
§ 2. Il sacerdote che concelebra nello stesso giorno una seconda Messa, a nessun titolo può percepire l'offerta per questa.
Can. 952 - § 1. Spetta al concilio provinciale o alla riunione dei Vescovi della provincia definire per tutta la provincia, mediante decreto, quale sia l'offerta da dare per la celebrazione e l'applicazione della Messa, né è lecito al sacerdote chiedere una somma maggiore; gli è tuttavia consentito accettare una offerta data spontaneamente, maggiore e anche minore di quella stabilita per l'applicazione della Messa.
§ 2. Ove manchi tale decreto si osservi la consuetudine vigente nella diocesi.
§ 3. Anche i membri di tutti gli istituti religiosi debbono attenersi allo stesso decreto o alla consuetudine del luogo, di cui ai §§ 1 e 2.
Can. 953 - Non è lecito ad alcuno accettare tante offerte di Messe da applicare personalmente, alle quali non può soddisfare entro l'anno.
Can. 954 - Se in talune chiese o oratori vengono richieste celebrazioni di Messe in numero maggiore di quante ivi possono essere celebrate, è lecito farle celebrare altrove, eccetto che gli offerenti non abbiano manifestato espressamente una volontà contraria.
Can. 955 - § 1. Chi intendesse affidare ad altri la celebrazione di Messe da applicare, le trasmetta quanto prima a sacerdoti a lui accetti, purché gli consti che sono al di sopra di ogni sospetto; deve trasmettere l'intera offerta ricevuta, a meno che non consti con certezza che la parte eccedente l'offerta dovuta nella diocesi, fu data in considerazione della persona; è tenuto anche all'obbligo di provvedere alla celebrazione delle Messe, fino a che non avrà ricevuto la prova sia dell'accettazione dell'obbligo sia dell'offerta pervenuta.
§ 2. Il tempo entro il quale debbono essere celebrate le Messe, ha inizio dal giorno in cui il sacerdote che le celebrerà, le riceve, se non consti altro.
§ 3. Coloro che affidano ad altri Messe da celebrare, annotino senza indugio nel registro sia le Messe che hanno ricevuto sia quelle che hanno trasmesso ad altri, segnando anche le loro offerte.
§ 4. Qualsiasi sacerdote deve annotare accuratamente le Messe che ha ricevuto da celebrare e quelle cui ha soddisfatto.
Can. 956 - Tutti e ciascuno degli amministratori di cause pie o coloro che in qualunque modo sono obbligati a provvedere alla celebrazione di Messe, sia chierici sia laici, consegnino ai propri Ordinari, secondo modalità che essi dovranno definire, gli oneri di Messe ai quali non si sia soddisfatto entro l'anno.
Can. 957 - Il dovere e il diritto di vigilare sull'adempimento degli oneri di Messe, competono, nelle chiese del clero secolare, all'Ordinario del luogo, nelle chiese degli istituti religiosi o delle società di vita apostolica, ai loro Superiori.
Can. 958 - § 1. Il parroco come pure il rettore di una chiesa o di un altro luogo pio ove si è soliti ricevere offerte di Messe, abbiano un registro speciale, nel quale annotino accuratamente il numero delle Messe da celebrare, l'intenzione, l'offerta data e l'avvenuta celebrazione.
§ 2. L'Ordinario è tenuto all'obbligo di prendere visione ogni anno di tali registri, personalmente o tramite altri.
Titolo IV
Il sacramento della penitenza
Can. 959 - Nel sacramento della penitenza i fedeli, confessando i peccati al ministro legittimo, essendone contriti ed insieme avendo il proposito di emendarsi, per l'assoluzione impartita dallo stesso ministro ottengono da Dio il perdono dei peccati, che hanno commesso dopo il battesimo e contemporaneamente vengono riconciliati con la Chiesa, che, peccando, hanno ferito.
Capitolo I
LA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO
Can. 960 - La confessione individuale e integrale e l'assoluzione costituiscono l'unico modo ordinario con cui il fedele, consapevole di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa; solamente una impossibilità fisica o morale scusa da una tale confessione, nel qual caso la riconciliazione si può ottenere anche in altri modi.
Can. 961 - § 1. L'assoluzione a più penitenti insieme senza la previa confessione individuale non può essere impartita in modo generale se non:
      1° vi sia imminente pericolo di morte ed al sacerdote o ai sacerdoti non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti;
      2° vi sia grave necessità, ossia quando, dato il numero dei penitenti, non si ha a disposizione abbondanza di confessori per ascoltare, come si conviene, le confessioni dei singoli entro un tempo conveniente, sicché i penitenti, senza loro colpa, sarebbero costretti a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale o della sacra comunione; però la necessità non si considera sufficiente quando non possono essere a disposizione dei confessori, per la sola ragione di una grande affluenza di penitenti, quale può aversi in occasione di una grande festa o di un pellegrinaggio.
§ 2. Giudicare se ricorrano le condizioni richieste a norma del § 1, n. 2, spetta al Vescovo diocesano, il quale, tenuto conto dei criteri concordati con gli altri membri della Conferenza Episcopale, può determinare i casi di tale necessità.
Can. 962 - § 1. Affinché un fedele usufruisca validamente della assoluzione sacramentale impartita simultaneamente a più persone, si richiede che non solo sia ben disposto, ma insieme faccia il proposito di confessare a tempo debito i singoli peccati gravi, che al momento non può confessare.
§ 2. I fedeli, per quanto è possibile anche nell'occasione di ricevere l'assoluzione generale, vengano istruiti circa i requisiti di cui al § 1 e all'assoluzione generale, anche nel caso di pericolo di morte, qualora vi sia tempo sufficiente, venga premessa l'esortazione che ciascuno provveda a porre l'atto di contrizione.
Can. 963 - Fermo restando l'obbligo di cui al can. 989, colui al quale sono rimessi i peccati gravi mediante l'assoluzione generale, si accosti quanto prima, offrendosene l'occasione, alla confessione individuale, prima che abbia a ricevere un'altra assoluzione generale, a meno che non sopraggiunga una giusta causa.
Can. 964 - § 1. Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa o l'oratorio.
§ 2. Relativamente alla sede per le confessioni, le norme vengano stabilite dalla Conferenza Episcopale, garantendo tuttavia che si trovino sempre in un luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene.
§ 3. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale, se non per giusta causa.
Capitolo II
IL MINISTRO DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
Can. 965 - Ministro del sacramento della penitenza è il solo sacerdote.
Can. 966 - § 1. Per la valida assoluzione dei peccati si richiede che il ministro, oltre alla potestà di ordine, abbia la facoltà di esercitarla sui fedeli ai quali imparte l'assoluzione.
§ 2. Il sacerdote può essere dotato di questa facoltà o per il diritto stesso o per concessione fatta dalla competente autorità a norma del can. 969.
Can. 967 - § 1. Oltre al Romano Pontefice, anche i Cardinali godono per il diritto stesso della facoltà di ricevere ovunque le confessioni dei fedeli; così i Vescovi, i quali se ne avvalgono lecitamente ovunque, a meno che, in un caso particolare, il Vescovo diocesano non ne abbia fatto divieto.
§ 2. Coloro che godono della facoltà di ricevere abitualmente le confessioni sia in forza dell'ufficio, sia in forza della concessione dell'Ordinario del luogo di incardinazione o del luogo nel quale hanno domicilio, possono esercitare la stessa facoltà ovunque, a meno che l'Ordinario del luogo, in un caso particolare, non ne abbia fatto divieto, ferme restando le disposizioni del can. 974, §§ 2 e 3.
§ 3. Per il diritto stesso hanno ovunque la medesima facoltà verso i membri e verso quanti vivono giorno e notte nella casa dell'istituto o della società, coloro che in forza dell'ufficio o della concessione del Superiore competente, a norma dei cann. 968, § 2 e 969, § 2, sono provvisti della facoltà di ricevere le confessioni; essi inoltre se ne avvalgono lecitamente, a meno che qualche Superiore maggiore per quanto riguarda i propri sudditi in un caso particolare non ne abbia fatto divieto.
Can. 968 - § 1. In forza dell'ufficio, ciascuno per la sua circoscrizione, hanno facoltà di ricevere le confessioni l'Ordinario del luogo, il canonico penitenziere, come pure il parroco e chi ne fa le veci.
§ 2. In forza dell'ufficio hanno facoltà di ricevere le confessioni dei propri sudditi e degli altri che vivono giorno e notte nella casa, i Superiori di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, clericali di diritto pontificio, i quali a norma delle costituzioni godano della potestà di governo esecutiva, fermo restando il disposto del can. 630, § 4.
Can. 969 - § 1. Solo l'Ordinario del luogo è competente a conferire a qualunque presbitero la facoltà di ricevere le confessioni di tutti i fedeli; tuttavia i presbiteri che sono membri degli istituti religiosi non ne useranno senza licenza almeno presunta del proprio Superiore.
§ 2. Il Superiore di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, di cui al can. 968, § 2, è competente a conferire a qualunque presbitero la facoltà di ricevere le confessioni dei suoi sudditi e degli altri che vivono giorno e notte nella casa.
Can. 970 - La facoltà di ricevere le confessioni non venga concessa se non ai presbiteri che sono stati riconosciuti idonei mediante un esame, oppure la cui idoneità consti da altra fonte.
Can. 971 - L'Ordinario del luogo non conceda la facoltà di ricevere abitualmente le confessioni ad un presbitero, anche se ha il domicilio o il quasi-domicilio entro la sua circoscrizione, se prima non avrà udito, per quanto possibile, l'Ordinario dello stesso presbitero.
Can. 972 - La facoltà di ricevere le confessioni data dalla competente autorità di cui al can. 969, può essere concessa per un tempo sia indeterminato, sia determinato.
Can. 973 - La facoltà di ricevere abitualmente le confessioni sia concessa per iscritto.
Can. 974 - § 1. L'Ordinario del luogo come pure il Superiore competente, non revochino la facoltà concessa per ricevere abitualmente le confessioni, se non per grave causa.
§ 2. Revocata la facoltà di ricevere le confessioni da parte dell'Ordinario del luogo che l'ha concessa di cui al can. 967, § 2, il presbitero perde tale facoltà ovunque; revocata la stessa facoltà da un altro Ordinario del luogo, la perde solo nel territorio del revocante.
§ 3. Qualunque Ordinario del luogo che avrà revocata a qualche sacerdote la facoltà di ricevere le confessioni, informi l'Ordinario proprio del presbitero in ragione dell'incardinazione oppure, trattandosi di un membro di un istituto religioso, il suo Superiore competente.
§ 4. Revocata la facoltà di ricevere le confessioni dal proprio Superiore maggiore, il presbitero perde la facoltà di ricevere le confessioni ovunque verso i sudditi dell'istituto; revocata invece la stessa facoltà da un altro Superiore competente, la perde verso i soli sudditi della sua circoscrizione.
Can. 975 - Oltre che per revoca, la facoltà di cui al can. 967, § 2, cessa con la perdita dell'ufficio o con l'escardinazione o con la perdita del domicilio.
Can. 976 - Ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ricevere le confessioni, assolve validamente e lecitamente tutti i penitenti che si trovano in pericolo di morte, da qualsiasi censura e peccato, anche quando sia presente un sacerdote approvato.
Can. 977 - L'assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo è invalida, eccetto che in pericolo di morte.
Can. 978 - § 1. Ricordi il sacerdote che nell'ascoltare le confessioni svolge un compito ad un tempo di giudice e di medico, ricordi inoltre di essere stato costituito da Dio ministro contemporaneamente della divina giustizia e misericordia, così da provvedere all'onore divino e alla salvezza delle anime.
§ 2. Il confessore, in quanto ministro della Chiesa, nell'amministrazione del sacramento aderisca fedelmente alla dottrina del Magistero e delle norme date dalla competente autorità.
Can. 979 - Il sacerdote nel porre le domande proceda con prudenza e discrezione, avendo riguardo anche della condizione e dell'età del penitente, e si astenga dall'indagare sul nome del complice.
Can. 980 - Se il confessore non ha dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chieda l'assoluzione, essa non sia negata né differita.
Can. 981 - A seconda della qualità e del numero dei peccati e tenuto conto della condizione del penitente, il confessore imponga salutari e opportune soddisfazioni; il penitente è tenuto all'obbligo di adempierle personalmente.
Can. 982 - Colui che confessa d'aver falsamente denunziato un confessore innocente presso l'autorità ecclesiastica per il delitto di sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, non sia assolto se non avrà prima ritrattata formalmente la falsa denuncia e non sia disposto a riparare i danni, se ve ne siano.
Can. 983 - § 1. Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa.
§ 2. All'obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l'interprete, se c'è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta notizia dei peccati dalla confessione.
Can. 984 - § 1. E' affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualsiasi pericolo di rivelazione.
§ 2. Colui che è costituito in autorità ed ha avuto notizia dei peccati in una confessione ricevuta in qualunque momento, non può avvalersene in nessun modo per il governo esterno.
Can. 985 - Il maestro dei novizi e il suo aiutante, il rettore del seminario o di un altro istituto di educazione, non ascoltino le confessioni sacramentali dei propri alunni, che dimorano nella stessa casa, a meno che gli alunni in casi particolari non lo chiedano spontaneamente.
Can. 986 - § 1. Tutti coloro cui è demandata in forza dell'ufficio la cura delle anime, sono tenuti all'obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente lo chiedano, e che sia ad essi data l'opportunità di accostarsi alla confessione individuale, stabiliti, per loro comodità, giorni e ore.
§ 2. In caso di urgente necessità ogni confessore è tenuto all'obbligo di ricevere le confessioni dei fedeli; in pericolo di morte vi è tenuto qualunque sacerdote.
Capitolo III
IL PENITENTE
Can. 987 - Il fedele per ricevere il salutare rimedio del sacramento della penitenza, deve essere disposto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di emendarsi, si converta a Dio.
Can. 988 - § 1. Il fedele è tenuto all'obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame.
§ 2. Si raccomanda ai fedeli di confessare anche i peccati veniali.
Can. 989 - Ogni fedele, raggiunta l'età della discrezione, è tenuto all'obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell'anno.
Can. 990 - Non è proibito confessarsi tramite l'interprete, evitati comunque gli abusi e gli scandali e fermo restando il disposto del can. 983, § 2.
Can. 991 - E' diritto di ogni fedele confessare i peccati al confessore che preferisce, legittimamente approvato, anche di altro rito.
Capitolo IV
LE INDULGENZE
Can. 992 - L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.
Can. 993 - L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati.
Can. 994 - Ogni fedele può lucrare per se stesso o applicare ai defunti a modo di suffragio indulgenze sia parziali sia plenarie.
Can. 995 - § 1. Oltre alla suprema autorità della Chiesa possono elargire indulgenze solamente quelli cui questa potestà viene riconosciuta dal diritto o è concessa dal Romano Pontefice.
§ 2. Nessuna autorità sotto il Romano Pontefice può comunicare ad altri la facoltà di concedere indulgenze, se ciò non sia stato ad essa concesso espressamente dalla Sede Apostolica.
Can. 996 - § 1. E' capace di lucrare indulgenze chi è battezzato, non scomunicato, in stato di grazia almeno al termine delle opere prescritte.
§ 2. Per lucrare di fatto le indulgenze il soggetto capace deve avere almeno l'intenzione di acquistarle e adempiere le opere ingiunte nel tempo stabilito e nel modo dovuto, a tenore della concessione.
Can. 997 - Per quanto attiene alla concessione e all'uso delle indulgenze, debbono essere inoltre osservate le altre disposizioni che sono contenute nelle leggi peculiari della Chiesa.
Titolo V
Il sacramento dell'unzione degli infermi
Can. 998 - L'unzione degli infermi, con la quale la chiesa raccomanda al Signore sofferente e glorificato i fedeli gravemente infermi affinché li sollevi e li salvi, viene conferita ungendoli con olio e pronunciando le parole stabilite nei libri liturgici.
Capitolo I
LA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO
Can. 999 - Oltre al vescovo possono benedire l'olio da usare nell'unzione degli infermi:
      1° coloro che per diritto sono equiparati al Vescovo diocesano;
      2° in caso di necessità, qualunque presbitero, però nella stessa celebrazione del sacramento.
Can. 1000 - § 1. Le unzioni siano compiute accuratamente con le parole, l'ordine e il modo stabiliti nei libri liturgici; tuttavia in caso di necessità è sufficiente un'unica unzione sulla fronte, o anche in altra parte del corpo, pronunciando integralmente la formula.
§ 2. Il ministro compia le unzioni con la propria mano, salvo che una grave ragione non suggerisca l'uso di uno strumento.
Can. 1001 - I pastori d'anime e i parenti degli infermi provvederanno che a tempo opportuno gli infermi siano alleviati mediante questo sacramento.
Can. 1002 - La celebrazione comune dell'unzione degli infermi, per più infermi simultaneamente, i quali siano adeguatamente preparati e ben disposti, può essere compiuta secondo le disposizioni del Vescovo diocesano.
Capitolo II
IL MINISTRO DELL'UNZIONE DEGLI INFERMI
Can. 1003 - § 1. Amministra validamente l'unzione degli infermi ogni sacerdote e soltanto il sacerdote.
§ 2. Hanno il dovere e il diritto di amministrare l'unzione degli infermi tutti i sacerdoti ai quali è demandata la cura delle anime, ai fedeli affidati al loro ufficio pastorale; per una ragionevole causa, qualunque sacerdote può amministrare questo sacramento con il consenso almeno presunto del sacerdote di cui sopra.
§ 3. A qualunque sacerdote è lecito portare con sé l'olio benedetto, perché sia in grado di amministrare, in caso di necessità, il sacramento dell'unzione degli infermi.
Capitolo III
A CHI VA CONFERITA L'UNZIONE DEGLI INFERMI
Can. 1004 - § 1. L'unzione degli infermi può essere amministrata al fedele che, raggiunto l'uso di ragione, per malattia o vecchiaia comincia a trovarsi in pericolo.
§ 2. Questo sacramento può essere ripetuto se l'infermo, dopo essersi ristabilito, sia ricaduto nuovamente in una grave malattia o se, nel decorso della medesima, il pericolo sia divenuto più grave.
Can. 1005 - Nel dubbio se l'infermo abbia già raggiunto l'uso di ragione, se sia gravemente ammalato o se sia morto, questo sacramento sia amministrato.
Can. 1006 - Si conferisca il sacramento a quegli infermi che, mentre erano nel possesso delle proprie facoltà mentali, lo abbiano chiesto almeno implicitamente.
Can. 1007 - Non si conferisca l'unzione degli infermi a coloro che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto.
Titolo VI
Ordine
Can. 1008 - Con il sacramento dell'ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a pascere il popolo di Dio, adempiendo nella persona di Cristo Capo, ciascuno nel suo grado, le funzioni di insegnare, santificare e governare.
Can. 1009 - § 1. Gli ordini sono l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.
§ 2. Vengono conferiti mediante l'imposizioni delle mani e la preghiera consacratoria, che i libri liturgici prescrivono per i singoli gradi.
Capitolo I
CELEBRAZIONE E MINISTRO DELL'ORDINAZIONE
Can. 1010 - L'ordinazione si celebri durante la Messa solenne, in giorno di domenica o in una festa di precetto, ma per ragioni pastorali si può compiere anche in altri giorni, non esclusi i giorni feriali.
Can. 1011 - § 1. L'ordinazione si celebri generalmente nella chiesa cattedrale; tuttavia per ragioni pastorali può essere celebrata in un'altra chiesa od oratorio.
§ 2. All'ordinazione debbono essere invitati i chierici e gli altri fedeli, affinché vi partecipino nel maggior numero possibile.
Can. 1012 - Ministro della sacra ordinazione è il Vescovo consacrato.
Can. 1013 - A nessun Vescovo è lecito consacrare un altro Vescovo, se prima non consta del mandato pontificio.
Can. 1014 - A meno che dalla Sede Apostolica non sia stata concessa dispensa, il Vescovo consacrante principale nella consacrazione episcopale associ a sé almeno due Vescovi consacranti; è però assai conveniente che tutti i Vescovi presenti consacrino l'eletto insieme ad essi.
Can. 1015 - § 1. Ogni promovendo sia ordinato al presbiterato e al diaconato dal Vescovo proprio o con le sue legittime lettere dimissorie.
§ 2. Il Vescovo proprio, che per una giusta causa non sia impedito, ordini personalmente i suoi sudditi; non può tuttavia ordinare lecitamente un suddito di rito orientale, senza indulto apostolico.
§ 3 Chi può dare le lettere dimissorie per ricevere gli ordini, può anche conferire personalmente i medesimi ordini, se è insignito del carattere episcopale.
Can. 1016 - Vescovo proprio, relativamente all'ordinazione diaconale di coloro che intendono essere ascritti al clero secolare, è il Vescovo della diocesi nella quale il promovendo ha il domicilio, o della diocesi alla quale il promovendo ha deciso di dedicarsi; relativamente all'ordinazione presbiterale dei chierici secolari, è il Vescovo della diocesi nella quale il promovendo è stato incardinato con il diaconato.
Can. 1017 - Il Vescovo fuori della propria circoscrizione non può conferire gli ordini, se non con licenza del Vescovo diocesano.
Can. 1018 - § 1. Possono dare le lettere dimissorie per i secolari:
      1° il Vescovo proprio, di cui al can. 1O16;
      2° l'Amministratore apostolico e, con il consenso del collegio dei consultori, l'Amministratore diocesano; con il consenso del consiglio di cui al can. 495, § 2, il Pro-vicario e il Pro-prefetto apostolico.
§ 2. L'Amministratore diocesano, il Pro-vicario e il Pro-prefetto apostolico non concedano le lettere dimissorie a coloro ai quali l'accesso agli ordini venne negato dal Vescovo diocesano oppure dal vicario o dal Prefetto apostolico.
Can. 1019 - § 1. Spetta al Superiore maggiore di un istituto religioso clericale di diritto pontificio o di una società clericale di vita apostolica di diritto pontificio, concedere ai propri sudditi, ascritti secondo le costituzioni in modo perpetuo o definitivo all'istituto o alla società, le lettere dimissorie per il diaconato e per il presbiterato.
§ 2. L'ordinazione di tutti gli altri alunni di qualsiasi istituto o società è retta dal diritto dei chierici secolari, revocato qualsiasi indulto concesso ai Superiori.
Can. 1020 - Le lettere dimissorie non vengano concesse senza aver avuto tutti i certificati e i documenti, che per diritto sono richiesti a norma dei cann. 1050 e 1051.
Can. 1021 - Le lettere dimissorie possono essere inviate a qualsiasi Vescovo in comunione con la Sede Apostolica, eccettuato soltanto, tranne che per indulto apostolico, un Vescovo di rito diverso dal rito del promovendo.
Can. 1022 - Il Vescovo ordinante, ricevute le legittime lettere dimissorie, non proceda all'ordinazione se non consti chiaramente della sicura attendibilità delle lettere.
Can. 1023 - Le lettere dimissorie possono essere revocate o limitate dallo stesso concedente o dal suo successore, ma una volta concesse non si estinguono venuto meno il diritto del concedente.
Capitolo II
GLI ORDINANDI
Can. 1024 - Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile.
Can. 1025 - § 1. Per conferire lecitamente gli ordini del presbiterato o del diaconato, si richiede che il candidato, compiuto il periodo di prova a norma del diritto, sia in possesso delle dovute qualità, a giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, non sia trattenuto da alcuna irregolarità e da nessun impedimento e abbia adempiuto quanto previamente richiesto a norma dei cann. 1033-1039; vi siano inoltre i documenti di cui al can. 1050 e sia stato fatto lo scrutinio di cui al can. 1051.
§ 2. Si richiede inoltre che, a giudizio dello stesso legittimo Superiore, risulti utile per il ministero della Chiesa.
§ 3. Al Vescovo che ordina un proprio suddito, che sarà destinato al servizio di un'altra diocesi, deve risultare che l'ordinando sarà ad essa assegnato.
Art. 1
Requisiti negli ordinandi
Can. 1026 - Chi viene ordinato deve godere della debita libertà; non è assolutamente lecito costringere alcuno, in qualunque modo, per qualsiasi causa a ricevere gli ordini, oppure distogliere un candidato canonicamente idoneo dal riceverli.
Can. 1027 - Gli aspiranti al diaconato e al presbiterato siano formati mediante un'accurata preparazione, a norma del diritto.
Can. 1028 - Il Vescovo diocesano o il Superiore competente provvedano che i candidati, prima che siano promossi a qualche ordine, vengano debitamente istruiti su ciò che riguarda l'ordine e i suoi obblighi.
Can. 1029 - Siano promossi agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio del Vescovo proprio o del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le circostanze, hanno fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita, godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotati di tutte quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l'ordine che deve essere ricevuto.
Can. 1030 - Soltanto per una causa canonica, anche occulta, il Vescovo proprio o il Superiore maggiore competente possono interdire l'accesso al presbiterato ai diaconi loro sudditi ad esso destinati, salvo il ricorso a norma di diritto.
Can. 1031 - § 1. Il presbiterato sia conferito solo a quelli che hanno compiuto i 25 anni di età e posseggono una sufficiente maturità, osservato inoltre l'intervallo di almeno sei mesi tra il diaconato e il presbiterato; coloro che sono destinati al presbiterato, vengano ammessi all'ordine del diaconato soltanto dopo aver compiuto i 23 anni di età.
§ 2. Il candidato al diaconato permanente, che non è sposato, non vi sia ammesso se non dopo aver compiuto almeno i 25 anni di età; colui che è sposato, se non dopo aver compiuto i 35 anni di età e con il consenso della moglie.
§ 3. E' diritto delle Conferenze Episcopali stabilire una norma con cui si richieda un'età più avanzata per il presbiterato e per il diaconato permanete.
§ 4. La dispensa dall'età richiesta a norma dei §§ 1 e 2, che superi l'anno, è riservata alla Sede Apostolica.
Can. 1032 - § 1. Gli aspiranti al presbiterato possono essere promossi al diaconato soltanto dopo aver espletato il quinto anno del curricolo degli studi filosofico-teologici.
§ 2. Compiuto il curricolo degli studi, il diacono per un tempo conveniente, da definirsi dal Vescovo o dal Superiore maggiore competente, partecipi alla cura pastorale esercitando l'ordine diaconale prima di essere promosso al presbiterato.
§ 3. L'aspirante al diaconato permanente non sia promosso a questo ordine se non espletato il tempo della formazione.
Art. 1
Requisiti previi all'ordinazione
Can. 1033 - E' promosso lecitamente agli ordini soltanto chi ha ricevuto il sacramento della sacra confermazione.
Can. 1034 - § 1. L'aspirante al diaconato o al presbiterato non sia ordinato se non avrà ottenuto in antecedenza mediante il rito liturgico dell'ammissione da parte dell'autorità di cui ai cann. 1016 e 1019, la ascrizione tra i candidati, fatta previa domanda, redatta e firmata di suo pugno, e accettata per iscritto dalla medesima autorità.
§ 2. Non è tenuto a richiedere la medesima ammissione chi è stato cooptato in un istituto clericale mediante i voti.
Can. 1035 - § 1. Prima che uno venga promosso al diaconato sia permanete sia transeunte, si richieda che abbia ricevuto i ministeri di lettore e accolito e li abbia esercitati per un tempo conveniente.
§ 2. Tra il conferimento dell'accolitato e del diaconato intercorra un periodo di almeno sei mesi.
Can. 1036 - Il candidato, per poter essere promosso all'ordine del diaconato o del presbiterato, consegni al Vescovo proprio o al Superiore maggiore competente, una dichiarazione, redatta e firmata di suo pugno, nella quale attesta che intende ricevere il sacro ordine spontaneamente e liberamente e si dedicherà per sempre al ministero ecclesiastico, e nella quale chiede simultaneamente di essere ammesso all'ordine da ricevere.
Can. 1037 - Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il promovendo al presbiterato, non siano ammessi all'ordine del diaconato, se non hanno assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l'obbligo del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto religioso.
Can. 1038 - Il diacono che si rifiuta di essere promosso al presbiterato, non può essere impedito di esercitare l'ordine ricevuto, a meno che non vi sia trattenuto da un impedimento canonico o da altra grave causa, da valutarsi a giudizio del Vescovo diocesano o del Superiore maggiore competente.
Can. 1039 - Tutti coloro che debbono essere promossi a qualche ordine, attendano agli esercizi spirituali per almeno cinque giorni, nel luogo e nel modo stabiliti dall'Ordinario; il Vescovo, prima di procedere all'Ordinazione, deve accertarsi che i candidati li abbiano debitamente compiuti.
Art. 3
Irregolarità e altri impedimenti
Can. 1040 - Non siano ammessi a ricevere gli ordini coloro che vi sono trattenuti da qualche impedimento sia perpetuo, che viene sotto il nome di irregolarità, sia semplice; non si contrae, però, alcun impedimento all'infuori di quelli elencati nei canoni che seguono.
Can. 1041 - Sono irregolari a ricevere gli ordini:
      1° chi è affetto da qualche forma di pazzia o da altra infermità psichica, per la quale, consultati i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero;
      2° chi ha commesso il delitto di apostasia, eresia o scisma;
      3° chi ha attentato al matrimonio anche soltanto civile, o perché lui stesso è impedito da vincolo matrimoniale o da ordine sacro o da voto pubblico perpetuo di castità dal contrarre il matrimonio, oppure ha attentato il matrimonio con una donna sposata validamente o legata dallo stesso voto.
      4° chi ha commesso omicidio volontario o ha procurato l'aborto, ottenuto l'effetto, e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;
      5° chi ha mutilato gravemente o dolosamente se stesso o un altro o ha tentato di togliersi la vita;
      6° chi ha posto un atto di ordine riservato a coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione del suo esercizio in seguito a pena canonica dichiarata o inflitta.
Can. 1042 - Sono semplicemente impediti di ricevere gli ordini:
      1° l'uomo sposato, a meno che non sia legittimamente destinato al diaconato permanente;
      2° chi esercita un ufficio o un'amministrazione vietata ai chierici a norma dei cann. 285 e 286 di cui deve render conto, fintantoché, abbandonato l'ufficio e l'amministrazione e fatto il rendiconto, è divenuto libero;
      3° il neofita, a meno che, a giudizio dell'Ordinario, non sia stato sufficientemente provato.
Can. 1043 - I fedeli sono tenuti all'obbligo di rivelare gli impedimenti ai sacri ordini, se ne sono a conoscenza, all'Ordinario, o al parroco, prima dell'ordinazione
Can. 1044 - § 1. Sono irregolari a esercitare gli ordini ricevuti:
      1° colui che mentre era impedito da irregolarità a ricevere gli ordini, li ha ricevuti illegittimamente;
      2° colui che ha commesso uno dei delitti di cui al can. 1041 nn. 3, 4, 5, 6.
§ 2. Sono impediti di esercitare gli ordini:
      1° colui che, trattenuto da impedimenti per ricevere gli ordini, li ha ricevuti illegittimamente;
      2° colui che è affetto da pazzia o da altre infermità psichiche di cui al can. 1041, n. 1, fino a che l'Ordinario, consultato il perito, non avrà consentito l'esercizio del medesimo ordine.
Can. 1045 - L'ignoranza delle irregolarità e degli impedimenti non esime dai medesimi.
Can. 1046 - Le irregolarità e gli impedimenti si moltiplicano a seconda delle loro diverse cause, non però per ripetizione della stessa causa, a meno che non si tratti dell'irregolarità da omicidio volontario o da procurato aborto, ottenuto l'effetto.
Can. 1047 - § 1. La dispensa da tutte le irregolarità è riservata esclusivamente alla Sede Apostolica, se il fatto su cui si fondano sia stato deferito al foro giudiziale.
§ 2. Ad essa è anche riservata le dispensa dalle seguenti irregolarità e impedimenti a ricevere gli ordini:
      1° dalle irregolarità provenienti dai delitti pubblici di cui al can. 1041, nn. 2 e 3;
      2° dall'irregolarità provenienti da delitto sia pubblico sia occulto di cui al can. 1041, n. 4;
      3° dall'impedimento di cui al can. 1042, n. 1.
§ 3 E' inoltre riservata alla Sede Apostolica la dispensa dalle irregolarità per l'esercizio dell'ordine ricevuto, delle quali al can. 1041, n. 3, soltanto nei casi pubblici, e al n. 4 del medesimo canone, anche nei casi occulti.
§ 4. L'Ordinario può validamente dispensare dalle irregolarità e impedimenti non riservati alla Santa Sede.
Can. 1048 - Nei casi occulti più urgenti, se non si possa ricorrere al Vescovo o quando si tratti delle irregolarità di cui al can. 1041, nn. 3 e 4, alla Penitenzieria, e se incomba il pericolo di grave danno o infamia, colui che è impedito dalla irregolarità di esercitare l'ordine, può esercitarlo, fermo però restando l'onere di ricorrere quanto prima all'Ordinario o alla Penitenzieria, taciuto il nome e tramite il confessore.
Can. 1049 - § 1. Nelle domande per ottenere la dispensa dalle irregolarità e dagli impedimenti, debbono essere indicate tutte le irregolarità e gli impedimenti; tuttavia, la dispensa generale vale anche per quelli taciuti in buona fede eccettuate le irregolarità di cui al can. 1041, n. 4, o le altre deferite al foro giudiziale, ma non per quelle taciute in cattiva fede.
§ 2. Se si tratta di irregolarità per omicidio volontario o procurato aborto, deve essere espresso anche il numero dei delitti, per la validità della dispensa.
§ 3. La dispensa generale delle irregolarità e dagli impedimenti a ricevere gli ordini, vale per tutti gli ordini.
Art. 4
Documenti richiesti e scrutinio
Can. 1050 - Perché uno possa essere promosso ai sacri ordini si richiedono i seguenti documenti:
      1° certificato degli studi regolarmente compiuti a norma del can. 1032;
      2° certificato di diaconato ricevuto, se si tratta di ordinandi al presbiterato;
      3° se si tratta di promovendi al diaconato, certificato di battesimo e di confermazione e dell'avvenuta ricezione dei ministeri di cui al can. 1035; ugualmente il certificato della dichiarazione di cui al can. 1036, e inoltre, se l'ordinando che deve essere promosso al diaconato permanente è sposato, i certificati di matrimonio e del consenso della moglie.
Can. 1051 - Per quanto riguarda lo scrutinio circa le qualità richieste nell'ordinando, si osservino le norme che seguono:
      1° vi sia l'attestato del rettore del seminario o della casa di formazione, sulle qualità richieste per ricevere l'ordine, vale a dire la sua retta dottrina, la pietà genuina, i buoni costumi, l'attitudine ad esercitare il ministero; ed inoltre, dopo una diligente indagine, un documento sul suo stato di salute sia fisica sia psichica;
      2° il Vescovo diocesano o il Superiore maggiore, perché lo scrutinio sia fatto nel modo dovuto può avvalersi di altri mezzi che gli sembrino utili, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, quali le lettere testimoniali, le pubblicazioni o altre informazioni.
Can. 1052 - § 1. Il Vescovo che conferisce l'ordinazione per diritto proprio, per poter ad essa procedere deve essere certo che siano a disposizione i documenti di cui al can. 1050, che l'idoneità del candidato risulti provata con argomenti positivi, dopo aver fatto lo scrutinio a norma del diritto.
§ 2. Perché il Vescovo proceda all'ordinazione di un suddito altrui, è sufficiente che le lettere dimissorie riferiscano che gli stessi documenti sono a disposizione, che lo scrutinio è stato compiuto a norma del diritto e che consta dell'idoneità del candidato; che se il promovendo è membro di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, le medesime lettere debbono testimoniare inoltre che egli è stato cooptato definitivamente nell'istituto o nella società e che è suddito del Superiore che dà la lettere.
§ 3. Se nonostante tutto ciò il Vescovo per precise ragioni dubita che il candidato sia idoneo a ricevere gli ordini, non lo promuova.
Capitolo III
ANNOTAZIONE E CERTIFICATO DELL'AVVENUTA ORDINAZIONE
Can. 1053 - § 1. Compiuta l'ordinazione, i nomi dei singoli ordinandi e del ministro ordinante, il luogo e il giorno dell'ordinazione, siano annotati nell'apposito libro da custodirsi diligentemente nella curia del luogo dell'ordinazione, e tutti i documenti delle singole ordinazioni vengano conservati accuratamente.
§ 2. Il Vescovo ordinante consegni a ciascun ordinato un certificato autentico dell'ordinazione ricevuta; essi, se sono stati promossi da un Vescovo estraneo con lettere dimissorie, lo presentino al proprio Ordinario per l'annotazione nel libro speciale da conservarsi in archivio.
Can. 1054 - L'Ordinario del luogo, se si tratta dei secolari, oppure il Superiore maggiore competente, se si tratta dei suoi sudditi, comunichi la notizia di ciascuna ordinazione celebrata al parroco del luogo del battesimo, il quale la annoterà nel suo libro dei battezzati a norma del can. 535, § 2.
Titolo VII
Il matrimonio
Can. 1055 - § 1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
§ 2. Pertanto tra battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento.
Can. 1056 - Le proprietà essenziali del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento.
Can. 1057 - § 1. L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana.
§ 2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.
Can. 1058 - Tutti possono contrarre il matrimonio, se non ne hanno la proibizione dal diritto.
Can. 1059 - Il matrimonio dei cattolici, anche quando sia battezzata una sola delle parti, è retto non soltanto dal diritto divino, ma anche da quello canonico, salva la competenza dell'autorità civile circa gli effetti puramente civili del medesimo matrimonio.
Can. 1060 - Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto nel dubbio si deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario.
Can. 1061 - § 1. Il matrimonio valido tra battezzati si dice solamente rato, se non è stato consumato; rato e consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l'atto per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e per il quale i coniugi divengono una sola carne.
§ 2. Celebrato il matrimonio, se i coniugi hanno coabitato, se ne presume la consumazione, fino a che non sia provato il contrario.
§ 3. Il matrimonio invalido si dice putativo, se fu celebrato in buona fede da almeno una delle parti, fino a tanto che entrambe le parti non divengano consapevoli della sua nullità.
Can. 1062 - § 1. La promessa di matrimonio, sia unilaterale sia bilaterale, detta fidanzamento, è regolata dal diritto particolare stabilito dalla Conferenza Episcopale, nel rispetto delle eventuali consuetudini e leggi civili.
§ 2. Dalla promessa di matrimonio non consegue l'azione per esigere la celebrazione; consegue, invece, quella per la riparazione dei danni, se dovuta.
Capitolo I
LA CURA PASTORALE E GLI ATTI DA PREMETTERE ALLA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO
Can. 1063 - I pastori d'anime sono tenuti all'obbligo di provvedere che la propria comunità ecclesiastica presti ai fedeli quell'assistenza mediante la quale lo stato matrimoniale perseveri nello spirito cristiano e progredisca in perfezione. Tale assistenza va prestata innanzitutto:
      1° con la predicazione, con una adeguata catechesi ai minori, ai giovani e agli adulti, e anche con l'uso degli strumenti di comunicazione sociale, mediante i quali i fedeli vengano istruiti sul significato del matrimonio cristiano e sul compito dei coniugi e genitori cristiani;
      2° con la preparazione personale alla celebrazione del matrimonio, per cui gli sposi si dispongano alla santità e ai doveri del loro nuovo stato;
      3° con una fruttuosa celebrazione liturgica del matrimonio, in cui appaia manifesto che i coniugi significano e partecipano al mistero di unione e di amore fecondo tra Cristo e la Chiesa.
      4° offrendo aiuto agli sposi perché questi, osservando e custodendo con fedeltà il patto coniugale, giungano a condurre una vita familiare ogni giorno più santa e più intensa.
Can. 1064 - Spetta all'Ordinario del luogo curare che tale assistenza sia debitamente organizzata, consultando anche, se sembra opportuno, uomini e donne di provata esperienza e competenza
Can. 1065 - § 1. I cattolici che non hanno ancora ricevuto il sacramento della confermazione, lo ricevano prima di essere ammessi al matrimonio, se è possibile senza grave incomodo.
§ 2. Si raccomanda vivamente agli sposi che, per ricevere fruttuosamente il sacramento del matrimonio, si accostino ai sacramenti della penitenza e della santissima Eucarestia.
Can. 1066 - Prima di celebrare il matrimonio, deve constare che nulla si oppone alla sua celebrazione valida e lecita.
Can. 1067 - La Conferenza Episcopale stabilisca le norme circa l'esame degli sposi, nonché circa le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi opportuni per compiere le necessarie investigazioni prematrimoniali, dopo la cui diligente osservanza il parroco possa procedere all'assistenza del matrimonio.
Can. 1068 - In pericolo di morte, qualora non sia possibile avere altre prove, né sussistano indizi contrari, è sufficiente l'affermazione dei contraenti, anche giurata se il caso lo richiede, che essi sono battezzati e non trattenuti da impedimento.
Can. 1069 - Prima della celebrazione di un matrimonio, tutti i fedeli sono tenuti all'obbligo di rivelare al parroco o all'Ordinario del luogo, gli impedimenti di cui fossero a conoscenza.
Can. 1070 - Se eseguì le investigazioni un parroco diverso da quello cui compete assistere al matrimonio, informi questo quanto prima del loro esito mediante un documento autentico.
Can. 1071 - § 1. Tranne che in caso di necessità, nessuno assista senza la licenza dell'Ordinario del luogo:
      1° al matrimonio dei girovaghi;
      2° al matrimonio che non può essere riconosciuto o celebrato a norma della legge civile;
      3° al matrimonio di chi è vincolato da obblighi naturali derivati da una precedente unione verso l'altra parte o i figli;
      4° al matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica;
      5° al matrimonio di chi è irretito da censura;
      6° al matrimonio di un figlio minorenne, se ne sono ignari o ragionevolmente contrari i genitori;
      7° al matrimonio da celebrarsi mediante procuratore, di cui al can. 1105.
§ 2. L'Ordinario del luogo non conceda la licenza di assistere al matrimonio di chi ha notoriamente abbandonato la fede cattolica, se non dopo che siano state osservate, con opportuno riferimento, le norme di cui al can. 1125.
Can. 1072 - I pastori d'anime si adoperino a distogliere i giovani dal celebrare il matrimonio prima dell'età in cui si è soliti farlo secondo le usanze della regione.
Capitolo II
GLI IMPEDIMENTI DIRIMENTI IN GENERE
Can. 1073 - L'impedimento dirimente rende la persona inabile a contrarre validamente il matrimonio.
Can. 1074 - L'impedimento si ritiene pubblico se può essere provato in foro esterno; altrimenti è occulto.
Can. 1075 - § 1. Spetta solo alla autorità suprema della Chiesa dichiarare autenticamente quanto il diritto divino proibisca o dirima il matrimonio.
§ 2. E' pure diritto della sola autorità suprema stabilire altri impedimenti per i battezzati.
Can. 1076 - E' riprovata ogni consuetudine che introduca un nuovo impedimento o che sia contraria a quelli esistenti.
Can. 1077 - § 1. L'Ordinario del luogo può vietare il matrimonio ai propri sudditi, dovunque dimorino, e a tutti quelli che vivono attualmente nel suo territorio, in un caso peculiare, ma solo per un tempo determinato, per una causa grave e fin tanto che questa perduri.
§ 2. Solo l'autorità suprema della Chiesa può aggiungere al divieto una clausola dirimente.
Can. 1078 - § 1. L'Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi, dovunque dimorino, e quanti vivono attualmente nel suo territorio, da tutti gli impedimenti di diritto ecclesiastico, eccetto quelli la cui dispensa è riservata alla Sede Apostolica.
§ 2. Gli impedimenti la cui dispensa è riservata alla Sede Apostolica sono:
      1° impedimento proveniente dai sacri ordini o dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso di diritto pontificio;
      2° l'impedimento di crimine, di cui al can. 1090.
§ 3. Mai si dà dispensa dall'impedimento di consanguineità nella linea retta o nel secondo grado della linea collaterale.
Can. 1079 - § 1. In urgente pericolo di morte , l'Ordinario del luogo può dispensare i propri sudditi, dovunque dimorino, e quanti vivono attualmente nel suo territorio, sia dalla osservanza della forma prescritta per la celebrazione del matrimonio, sia da tutti e singoli impedimenti di diritto ecclesiastico, pubblici e occulti, eccetto l'impedimento proveniente dal sacro ordine del presbiterato.
§ 2. Nelle medesime circostanze di cui al § 1, ma solo nei casi in cui non sia possibile ricorrere neppure all'Ordinario del luogo, hanno uguale facoltà di dispensare, sia il parroco sia il ministro sacro legittimamente delegato sia il sacerdote o diacono che assiste al matrimonio a norma del can. 1116, § 2.
§ 3. In pericolo di morte il confessore ha la facoltà di dispensare dagli impedimenti occulti nel foro interno, sia durante sia fuori della confessione sacramentale.
§ 4. Nel caso di cui al § 2, si ritiene impossibile il ricorso all'Ordinario del luogo, se lo si può fare solo tramite telegrafo o telefono.
Can. 1080 - § 1. Ogniqualvolta si scopra un impedimento mentre tutto è già pronto per le nozze, e non è possibile, senza probabile pericolo di grave male, differire il matrimonio finché non si ottenga la dispensa dell'autorità competente, hanno facoltà di dispensare da tutti gli impedimenti, eccetto quelli di cui al can. 1078, § 2, n. 1, l'Ordinario del luogo e, purché il caso sia occulto, tutti quelli di cui al can. 1079, §§ 2-3, alle condizioni ivi determinate.
§ 2. Tale facoltà vale anche per la convalidazione del matrimonio, qualora vi sia il medesimo pericolo nell'attesa e manchi il tempo di ricorrere alla Sede Apostolica o all'Ordinario del luogo, relativamente agli impedimenti da cui questi può dispensare.
Can. 1081 - Il parroco oppure il sacerdote o il diacono, di cui al can. 1079, § 2, informino subito l'Ordinario del luogo della dispensa da essi concessa in foro esterno; e la medesima sia annotata nel libro dei matrimoni.
Can. 1082 - Se il rescritto della Penitenzieria non dispone diversamente, la dispensa da impedimento occulto concessa nel foro interno non sacramentale, sia annotata nel libro che si deve conservare nell'archivio segreto della curia; né occorre altra dispensa per il foro esterno, qualora l'impedimento occulto in seguito divenisse pubblico.
Capitolo III
GLI IMPEDIMENTI DIRIMENTI IN SPECIE
Can. 1083 - § 1. L'uomo prima dei sedici anni compiuti, la donna prima dei quattordici pure compiuti, non possono celebrare un valido matrimonio.
§ 2. E' diritto della Conferenza Episcopale fissare una età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio.
Can. 1084 - § 1. L'impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell'uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio.
§ 2. Se l'impedimento di impotenza è dubbio, sia per dubbio di diritto sia di fatto, il matrimonio non deve essere impedito né, stante il dubbio, dichiarato nullo.
§ 3. La sterilità né proibisce né dirime il matrimonio, fermo restando il disposto del can. 1098.
Can. 1085 - § 1. Attenta invalidamente il matrimonio chi è legato dal vincolo di un matrimonio precedente, anche se non consumato.
§ 2. Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa, nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarre un altro prima che si sia constatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente.
Can. 1086 - § 1. E' invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale, e l'altra non battezzata.
§ 2. Non si dispensi da questo impedimento se non dopo che siano state adempiute le condizioni di cui ai cann. 1125 e 1126.
§ 3. Se al tempo della celebrazione del matrimonio una parte era ritenuta comunemente battezzata o era dubbio il suo battesimo, si deve presumere a norma del can. 1060 la validità del matrimonio finché non sia provato con certezza che una parte era battezzata e l'altra invece non battezzata.
Can. 1087 - Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri ordini.
Can. 1088 - Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso.
Can. 1089 - Non è possibile costituire un valido matrimonio tra l'uomo e la donna rapita o almeno trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio.
Can. 1090 § 1. Chi, allo scopo di celebrare il matrimonio con una determinata persona, uccide il coniuge di questa o il proprio , attenta invalidamente tale matrimonio.
§ 2. Attentano pure invalidamente il matrimonio tra loro quelli che cooperano fisicamente o moralmente all'uccisione di un coniuge.
Can. 1091 - § 1. Nella linea retta della consanguineità è nullo il matrimonio tra tutti gli ascendenti e i discendenti, sia legittimi sia naturali.
§ 2. Nella linea collaterale il matrimonio è nullo fino al quarto grado incluso.
§ 3. L'impedimento di consanguineità non si moltiplica.
§ 4. Non si permetta mai il matrimonio, se sussiste qualche dubbio che le parti siano consanguinei in qualunque grado della linea retta o nel secondo grado della linea collaterale.
Can. 1092 - L'affinità nella linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado.
Can. 1093 - L'impedimento di pubblica onestà sorge dal matrimonio invalido in cui vi sia stata vita comune o da concubinato pubblico e notorio; e rende nulle le nozze nel primo grado della linea retta tra l'uomo e le consanguinee della donna, e viceversa.
Can. 1094 - Non possono contrarre validamente il matrimonio tra loro nella linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, quelli che sono uniti da parentela legale sorta dall'adozione.
Capitolo IV
IL CONSENSO MATRIMONIALE
Can. 1095 - Sono incapaci a contrarre matrimonio:
      1° coloro che mancano di sufficiente uso di ragione;
      2° coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente;
      3° coloro che per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.
Can. 1096 - § 1. Perché possa esserci il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale.
§ 2. Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà.
Can. 1097 - § 1. L'errore di persona rende invalido il matrimonio.
§ 2. L'errore circa una qualità della persona, quantunque sia causa del contratto, non rende nullo il matrimonio, eccetto che tale qualità sia intesa direttamente e principalmente.
Can. 1098 - Chi celebra il matrimonio, raggirato con dolo ordito per ottenere il consenso, circa una qualità dell'altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente.
Can. 1099 - L'errore circa l'unità o l'indissolubilità o la dignità sacramentale del matrimonio non vizia il consenso matrimoniale, purché non determini la volontà.
Can. 1100 - Sapere o supporre che il matrimonio sia nullo, non esclude necessariamente il consenso matrimoniale.
Can. 1101 - § 1. Il consenso interno dell'animo si presume conforme alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio.
§ 2. Ma se una o entrambe le parti escludono con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente.
Can. 1102 - § 1. Non si può contrarre validamente il matrimonio sotto condizione futura.
§ 2. Il matrimonio celebrato sotto condizione passata o presente è valido o no, a seconda che esista o no il presupposto della condizione.
§ 3. Tuttavia non si può porre lecitamente la condizione di cui al § 2, se non con la licenza scritta dell'Ordinario del luogo.
Can. 1103 - E' invalido il matrimonio celebrato per violenza o timore grave incusso dall'esterno, anche non intenzionalmente, per liberarsi dal quale uno sia costretto a scegliere il matrimonio.
Can. 1104 - § 1. Per contrarre validamente il matrimonio è necessario che i contraenti siano presenti contemporaneamente, sia di persona sia tramite procuratore.
§ 2. Gli sposi manifestino il consenso matrimoniale con le parole; se però non possono parlare, lo facciano con segni equivalenti.
Can. 1105 - § 1. Per celebrare validamente il matrimonio tramite procuratore si richiede:
      1° che vi sia un mandato speciale per contrarre con una persona determinata;
      2° che il procuratore sia designato dallo stesso mandante e che egli adempia di persona il suo incarico.
§ 2. Il mandato, perché sia valido, deve essere sottoscritto dal mandante e inoltre dal parroco o dall'Ordinario del luogo in cui il mandato viene dato o da un sacerdote delegato da uno di essi, o a almeno due testimoni oppure deve essere fatto con documento autentico a norma del diritto civile.
§ 3. Se il mandante non sa scrivere, lo si annoti nello stesso mandato e si aggiunga un altro testimone che firmi egli pure lo scritto; diversamente il mandato è invalido.
§ 4. Se il mandante, prima che il procuratore contragga in suo nome, revoca il mandato o cade in pazzia, il matrimonio è invalido, anche se lo ignoravano sia il procuratore sia l'altra parte contraente.
Can. 1106 - E' consentito contrarre matrimonio tramite interprete; tuttavia il parroco non vi assista se non gli costa della fedeltà dell'interprete.
Can. 1107 - Anche se il matrimonio fu celebrato invalidamente a motivo di un impedimento o per difetto di forma, si presume che il consenso manifestato perseveri finché non consti della sua revoca.
Capitolo V
LA FORMA DELLA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO
Can. 1108 - § 1. Sono validi soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell'Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonché alla presenza di due testimoni, conformemente, tuttavia, alle norme stabilite nei canoni seguenti, e salve le eccezioni di cui ai cann. 144, 1112, § 1, 1116, 1127, §§ 2-3.
§ 2. Si intende assistente al matrimonio soltanto colui che, di persona, chiede la manifestazione del consenso dei contraenti e la riceve in nome della Chiesa.
Can. 1109 - L'Ordinario del luogo e il parroco, eccetto che con sentenza o decreto siano stati scomunicati o interdetti o sospesi dall'ufficio oppure dichiarati tali, in forza dell'ufficio assistono validamente, entro i confini del proprio territorio, ai matrimoni non solo dei sudditi, ma anche dei non sudditi, purché almeno uno di essi sia di rito latino.
Can. 1110 - L'Ordinario e il parroco personali, in forza dell'ufficio assistono validamente soltanto al matrimonio di coloro di cui almeno un contraente sia suddito nell'ambito della sua giurisdizione.
Can. 1111 - § 1. L'Ordinario del luogo e il parroco, fintanto che esercitano validamente l'ufficio, possono delegare a sacerdoti e diaconi la facoltà anche generale di assistere ai matrimoni entro i confini del proprio territorio.
§ 2. Perché sia valida, la delega della facoltà di assistere ai matrimoni deve essere data espressamente a persone determinate; e se si tratta di delega speciale, deve essere data anche per un matrimonio determinato; se poi si tratta di delega generale, deve essere concessa per iscritto.
Can. 1112 - § 1. Dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la facoltà della Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni.
§ 2. Si scelga un laico idoneo, capace di istruire gli sposi e preparato a compiere nel debito modo la liturgia del matrimonio.
Can. 1113 - Prima di concedere la delega speciale, si adempia tutto ciò che stabilisce il diritto per provare lo stato libero.
Can. 1114 - L'assistente al matrimonio agisce illecitamente se non gli consti dello stato libero dei contraenti a norma del diritto e, se è possibile, del permesso del parroco, ogni volta che assiste in forza della delega generale.
Can. 1115 - I matrimoni siano celebrati nella parrocchia in cui l'una o l'altra parte contraente ha il domicilio o il quasi-domicilio o la dimora protratta per un mese, oppure, se si tratta di girovaghi, nella parrocchia in cui dimorano attualmente; con il permesso del proprio Ordinario o del proprio parroco, il matrimonio può essere celebrato altrove.
Can. 1116 - § 1. Se non si può avere o andare senza grave incomodo dall'assistente competente a norma del diritto, coloro che intendono celebrare il vero matrimonio, possono contrarlo validamente e lecitamente alla presenza dei soli testimoni:
      1° in pericolo di morte;
      2° al di fuori del pericolo di morte, purché si preveda prudentemente che tale stato di cose durerà per un mese.
§ 2. Nell'uno e nell'altro caso, se vi è un altro sacerdote o diacono che possa essere presente, deve essere chiamato e assistere, insieme ai testimoni, alla celebrazione del matrimonio, salva la validità del matrimonio in presenza dei soli testimoni.
Can. 1117 - La forma qui sopra stabilita deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta e non separata dalla medesima con atto formale, salve le disposizioni del can. 1127, § 2.
Can. 1118 - § 1. Il matrimonio tra cattolici o tra una parte cattolica e l'altra non cattolica battezzata sia celebrato nella chiesa parrocchiale; con il permesso dell'Ordinario del luogo o del parroco potrà essere celebrato in altra chiesa o oratorio.
§ 2. L'Ordinario del luogo può permettere che il matrimonio sia celebrato in altro luogo conveniente.
§ 3. Il matrimonio tra una parte cattolica e l'altra non battezzata potrà essere celebrato in chiesa o in un altro luogo conveniente.
Can. 1119 - Fuori del caso di necessità, nella celebrazione del matrimonio si osservino i riti prescritti dai libri liturgici approvati dalla Chiesa o recepiti per legittime consuetudini.
Can. 1120 - La Conferenza Episcopale può redigere un proprio rito del matrimonio, che dovrà essere autorizzato dalla Santa Sede, adeguato alle usanze dei luoghi e dei popoli conformate allo spirito cristiano, a condizione però, che l'assistente al matrimonio, di persona chieda e riceva la manifestazione del consenso dei contraenti.
Can. 1121 - § 1. Si annoti anche l'avvenuta celebrazione del matrimonio nel registro dei battezzati, in cui è iscritto il battesimo dei coniugi.
§ 2. Ogni volta che il matrimonio viene contratto a norma del can. 1116, il sacerdote o il diacono, se fu presente alla celebrazione, altrimenti i testimoni sono tenuti, in solido con i contraenti, a comunicare quanto prima al parroco o all'Ordinario del luogo l'avvenuta celebrazione del matrimonio.
§ 3. Quanto al matrimonio contratto con dispensa dalla forma canonica, l'Ordinario del luogo che la concesse provveda che dispensa e celebrazione siano registrate nel libro dei matrimoni sia della curia sia della parrocchia propria della parte cattolica, il cui parroco eseguì le indagini sullo stato libero; il coniuge cattolico è tenuto a comunicare quanto prima all'Ordinario e al parroco di cui sopra l'avvenuta celebrazione del matrimonio, indicandone anche il luogo nonché la forma pubblica usata.
Can. 1122 - § 1. Si annoti anche l'avvenuta celebrazione del matrimonio nel registro dei battezzati, in cui è iscritto il battesimo dei coniugi.
§ 2. Se un coniuge non ha contratto il matrimonio nella parrocchia in cui fu battezzato, il parroco del luogo della celebrazione trasmetta quanto prima la notizia del matrimonio celebrato al parroco del luogo in cui fu amministrato il battesimo.
Can. 1123 - Ogni volta che un matrimonio o è convalidato per il foro esterno, o è dichiarato nullo, o viene sciolto legittimamente fuori del caso di morte, deve essere comunicato al parroco del luogo della celebrazione del matrimonio, perché se ne faccia la dovuta annotazione nel registro dei matrimoni e dei battezzati.


--> parte 3^ (canoni 1124~1747)

Ikthys