IL SERVO ARBITRIO
INTRODUZIONE
Tu dici - o Erasmo - che non ami le
affermazioni teologiche assolute e che seguiresti volentieri l’opinione degli
scettici.. ma non è da cristiani il temere le affermazioni: al contrario, un
cristiano deve essere felice di affermare la sua fede oppure non è un cristiano.
E - innanzi tutto - per non giocare sulle parole, cosa significa questa
espressione: « Una affermazione teologica? ». Significa: rimanere fermamente
attaccati alla propria convinzione, affermarla, confessarla e difenderla fino
alla morte con perseveranza. Io non credo che questa parola "assertio"
significhi altra cosa in latino né secondo l’uso del nostro secolo... nulla è
più noto e più usato presso i cristiani dell’affermazione teologica (assertio).
Se tu respingi le affermazioni teologiche, tu respingi il cristianesimo...
Infatti, se tu pensi che non sia necessario conoscere la questione del libero
arbitrio e che questa questione non abbia nulla a che fare con il Cristo, tu
parli bene e tuttavia giudichi come un empio. Se al contrario tu pensi che
questa discussione sia necessaria, tu parli come un empio e tuttavia giudichi
bene. Ma allora non c’era ragione che tu ti lamentassi circa le affermazioni
inutili e le varie discussioni... E’ vero - invece - che un cristiano parlerà
piuttosto così: «L’opinione degli scettici mi piace così poco che - se non fosse
per l’infermità della carne - vorrei non solo aderire costantemente e pienamente
a ciò che dice la Scrittura, ma per di più vorrei possedere la più grande
certezza possibile sulle cose non necessarie ed estranee alla Scrittura ». Che
c’è - infatti - di più miserevole dell’incertezza?
E che cosa ancora dobbiamo pensare di
quest’altro tuo pensiero? Tu dici: « alle loro decisioni io sottometto
volentieri sempre il mio sentimento, che io capisca o non capisca ciò che esse
mi ordinano ».
Che dici tu mai o Erasmo? Non è
sufficiente sottomettere il proprio giudizio alla Sacra Scrittura? Vuoi tu
sottometterlo anche ai decreti della Chiesa? Che cosa può ordinare quest’ultima
che non sia già ordinato dalla Scrittura?... Riassumendo, mi sembra che risulti
dalle tue parole che ti importa poco chi crede questo o quello, purché la pace
esteriore sia salvaguardata.
Tu distingui, fra i dogmi cristiani,
quelli che è necessario conoscere e quelli che non è necessario conoscere e tu
dici che alcuni di loro ci sono nascosti mentre altri ci sono accessibili... Che
ci siano in Dio molto cose nascoste che noi ignoriamo ‘ di ciò nessun dubbio....
ma che ci siano nella Scrittura cose oscure ed inaccessibili a tutti , questa e’
una opinione che e stata divulgata dai sofisti empi per bocca dei quali tu parli
qui o Erasmo... è con spauracchi di questo genere che Satana ha distolto la
gente dalla lettura della Sacra Scrittura ed ha reso questa disprezzabile onde
introdurre la sua peste nella Chiesa... Quando sappiamo che tutte le cose
contenute nella Scrittura sono situate in piena luce, e insensato ed empio
sostenere che sono oscure per via di qualche parola difficile da comprendere. Se
in certi passi le parole sono oscure, in altri passi esse sono chiare... Poco
importa, quando una cosa è in piena luce, che uno dei suoi segni si trovi nelle
tenebre, quando molti altri segni suoi sono illuminati... Perciò tu sbagli
quando parli della caverna di Corycios Non è così che si presentano le cose
nella Scrittura. E per quel che concerne i misteri più profondi e più sublimi,
essi non sono affatto nascosti, ma so presentati ed esposti in pubblico agli
occhi di tutti. Cristo infatti ci ha aperto lo spirito onde comprendessimo le
Scritture; e l’Evangelo è predicato a tutte le creature. « Il suono della sua
voce esce fuori per tutta la terra » (Salmo XIX, 4) «tutto ciò che fu scritto fu
scritto per ammaestramento» (Romani XV, 4) ed ancora: « Ogni scrittura è
ispirata da Dio e utile per istruirci » (Il Timoteo 111, 16). Io pertanto sfido
te e gli altri sofisti a produrre un sol mistero ancora nascosto nelle
Scritture. Pertanto, se molte cose restano ancora oscure agli occhi di molti,
ciò non è dovuto all’oscurità-della Scrittura ma alla cecità’ di quei molti e
alla loro mancanza di intelligenza, essi che non compiono alcuno sforzo per
vedere la verità’ splendente . E’ ciò che Paolo dice degli Ebrei nella II
Córinzi III, 15: « un velo è stato gettato sui loro cuori ». Ed ancora: « Se il
nostro Evangelo è ancora velato lo è per quelli che periscono, per gli increduli
dei quali il Dio di questo secolo ha accecato l’intelligenza » (11 Corinzi IV, 3
sg.)...
Ciò che tuttavia è intollerabile è che tu
situi la questione del libero arbitrio nel novero di quelle inutili e non
necessarie. Tu elenchi le cose che giudichi sufficienti per la pietà cristiana
come lo potrebbe fare un qualunque ebreo o un pagano che non conoscesse
assolutamente nulla del Cristo. Infatti tu non fai neppure menzione del Cristo,
come se tu pensassi che ci possa essere pietà cristiana senza Cristo purché si
adorasse con tutte le proprie forze , un Dio sovranamente buono per natura. Che
dovrò io dire di ciò o Erasmo?...
E' forse empio, temerario e superfluo, come
tu sostieni sapere se la prescienza di Dio è contingente, se la nostra volontà
può agire in ciò che riguarda la nostra Salvezza eterna o deve invece soltanto
subire l’azione della grazia; se ciò che noi facciamo di bene o di male noi lo
facciamo o piuttosto lo subiamo per pura necessita’? Ma allora io ti domando che
cosa e ancora da considerarsi come religioso ? Che cosa è ancora importante? Che
cosa è ancora utile a sapersi?... Si potrebbe almeno pretendere, anche da un
nemico dei cristiani, che sapesse che cosa i cristiani considerano ancora come -
utile, e necessario. Ma tu, teologo e dottore dei cristiani, pretendi mostrar
loro in che consiste la vita cristiana e non chiedi neppure, malgrado il tuo
abituale scetticismo, ciò che possa essere per loro più utile... Che cosa potrai
mai tu scrivere di buono e di giusto riguardo al libero arbitrio se le tue
parole rivelano una così grande ignoranza della Scrittura e della pietà?
La vita cristiana, come tu la descrivi,
implica, tra l’altro, che noi dobbiamo tendere con tutte le nostre forze alla
pietà, ricorrere al rinnovo della penitenza e cercar di acquisire con ogni mezzo
la misericordia di Dio senza la quale la volontà e lo sforzo umani sono
impotenti.
Inoltre, nessuno deve disperare del
perdono concesso da un Dio sommamente buono per natura. Parole siffatte, senza
il Cristo, senza lo Spirito, sono più fredde dello stesso ghiaccio... E’ empio -
tu dici - temerario e superfluo cercar di sapere se la nostra volontà agisca
nelle cose che concernono la salvezza eterna, o se essa debba limitarsi a
ricevere la grazia agente. Ma tu qui dici il contrario. La pietà cristiana
consiste - secondo te - a sforzarsi verso la salvezza; ma la nostra volontà è
inefficace senza la misericordia di Dio. Tu - d’altronde - non definisci ciò che
bisogna intendere per « agire » e per « subire » e noi ignoriamo ciò che può la
nostra volontà e ciò che può la misericordia di Dio, mentre tu pretendi
giustamente d’insegnarci cosa sia questa volontà e cosa sia questa misericordia.
Così la tua saggezza, quella saggezza che ti ha ispirato la neutralità tra le
due parti in causa e ti ha spinto a bordeggiare abilmente tra Scilla e Cariddi,
si torce contro se stessa e, sballottato dai flutti dell’alto mare, tu finisci
con l’affermare ciò che neghi, pur negando ciò che vai affermando...
Tu domandi di agire; ma ci proibisci di
provare, di misurare o di conoscere le nostre forze prima della tenzone, come se
ciò fosse temerario, superfluo empio. E mentre con la tua eccessiva saggezza
tu disprezzi gli atti irriflessivi ed ostenti prudenza, arrivi perfino ad
insegnare la più grande temerarietà. Infatti, se i sofisti sono insensati e
temerari quando discutono di vuoti problemi ‘ peccano tuttavia meno di te che
insegni ed ordini di essere temerari ed insensati. E onde la follia sia più
grande tu vuoi persuaderci che questa temerarietà è il colmo della pietà
cristiana e che in essa risiede la salvezza.
Se noi non facciamo così, tu affermi (tu,
il nemico giurato delle affermazioni) che noi siamo empi, temerari e vani; ed
hai con ciò fortunosamente evitato Scilla ‘ pur riuscendo a non incappare in
Cariddi. E’ la fiducia eccessiva nel tuo giudizio che ti ha condotto lì... Non è
dunque empio temerario e vano sapere se la volontà può agire nelle cose
concernenti la salvezza: è al contrario, d’importanza capitale per il cristiano.
E’ il perno della nostra discussione ; qui si trova il nodo del problema. Ciò
che noi cerchiamo di sapere è questo: cosa può il libero arbitrio? Che cosa
subisce? Quali sono i suoi rapporti con la grazia divina? Se noi non sappiamo
questo, nulla sappiamo di ciò che importa ad un cristiano e noi siamo peggio dei
pagani...
Tu vuoi scrivere a proposito del libero
arbitrio e cominci col gettare a mare il tutto insieme con le parti. E' infatti
impossibile sapere ciò che è il libero arbitrio se prima non si sa cosa può la
volontà umana, ciò che fa Dio e se la sua prescienza ha o non ha un carattere di
necessità... Ma tu spogli questo libero arbitrio, già di per sé così miserabile,
di tutti i suoi attributi e non dai alcuna definizione delle questioni che lo
concernono, salvo una: esiste il libero arbitrio? E lo fai con argomenti così
poveri - come vedremo - che non ho mai letto un libro così debole sul libero
arbitrio, salvo - beninteso - l’eleganza dello stile. Su questo punto i sofisti
ragionano meglio di te perché, ignorando i fiori della retorica, si attaccano
subito alla sostanza del problema del libero arbitrio, dando tutte le
definizioni che lo concernono: se è, ciò che è, ciò che può fare , come opera,
ecc., anche se il loro tentativo non sortisce a nulla...
Cosa vuoi tu dire quando pretendi che
certe verità non devono essere rivelate al volgo? Intendi forse situare nel
novero di queste anche la -tesi relativa al libero arbitrio?... Perché allora
non sei tu più coerente con te stesso e non abbandoni la discussione? Se tu hai
ragione di trattar del libero arbitrio perché biasimi tu quelli che lo fanno? E
se non è bene trattar di questa questione, perché tu lo fai? Ma se il libero
arbitrio non è del numero dei soggetti da evitare, tu t’allontani una volta di
più dalla questione e chiacchieri su argomenti il cui posto non è qui... Per
quel che riguarda il tuo primo esempio: non dobbiamo noi insegnare che il Figlio
di Dio è stato portato nel seno di una Vergine e che è nato da un ventre
materno) Che differenza c’è tra un ventre umano e non importa qual altro luogo
impuro?... Cristo non ha forse parimenti a noi avuto un corpo umano simile al
nostro? Che cosa c’è di più impuro? Forse che questo ci impedirà di dire che Dio
ha corporalmente abitato in Cristo, come fa Paolo? Per il secondo esempio che tu
fai, ammetto che ci possa essere qualche cosa di scandaloso nell’insegnare - se
lo si insegna - che ci sono tre Dèi. Ma ciò non è vero, e la Scrittura non lo
insegna. Sono i sofisti che parlano così e che hanno inventato una nuova
dialettica. Ma in che cosa ciò ci concerne? Rimane l’esempio della confessione e
dell’assoluzione. A questo proposito io non posso non ammirare con quale
meravigliosa prudenza tu sappia difendere la tua tesi ed avanzare - secondo il
tuo costume - su punte di spilli in modo da non parer né di condannare puramente
e semplicemente la nostra tesi, né di attentare alla tirannia papale... Tu
accusi il popolo di abusare della dottrina che noi predichiamo - quella cioè
della libertà di confessione e di asservirla alle concupiscenze della carne. Tu
pretendi che la confessione obbligatoria impedirebbe questo abuso...
Ma io ti dico che] le coscienze non sono legate che dal comandamento di Dio onde
sia abolita la tirannia papale, la quale con falsi timori tormenta le anime e le
uccide e che sottopone il corpo a varie macerazioni . Infatti il Papa ha un bel
imporre alla gente la confessione così come impone. altri fardelli, egli non
sottomette i cuori, anzi li eccita ancora di più all’odio di Dio e degli uomini.
Ed è invano che impone ai corpi crudeli mortificazioni: non riesce ad altro che
a fare degli ipocriti. Perciò i tiranni che impongono queste leggi non sono che
lupi rapaci, omicidi e ladri di anime. E sono queste persone - o buon
consigliere d’anime - che tu vorresti ristabilire presso di noi onde riempiano
il mondo di ipocriti, maledicenti e disprezzatori di Dio nel loro cuore, anche
se esteriormente con le apparenze salve ... ? Ci sono dici tu - certe malattie,
come la lebbra, che e’ più agevole sopportare che guarirne... E’ permesso,
secondo te, dire la verità; ma la verità, aggiungi, non e’ utile in tutti i
tempi, in ogni luogo e per non importa chi. Ah! Come sai parlare bene!
Malauguratamente tu non sai quel che ti dici... Tu credi che per salvare la pace
esteriore conviene essere pazienti e fare concessioni onde evitare che il mondo
sia turbato... Se tu puoi scrivere simili cose vuol dire che non leggi le
Scritture con sufficiente attenzione: altrimenti tu avresti notato che la vera
natura della Parola di Dio è di suscitare continuamente una rivoluzione nel
mondo. E’ ciò che afferma pubblicamente il Cristo dicendo: « Non sono venuto a
portar pace ma spada » (Matteo : X, 34)... Il mondo che ha per Dio Satana non
può e non vuole sopportare la parola del vero Dio. Il vero Dio non può e non
vuole tacere. E quando Dio e Satana entrano in guerra come non potrebbe esserci
una grande rivoluzione nel mondo intero? Voler soffocare la rivoluzione è voler
cacciare dal mondo la Parola di Dio. Infatti la Parola di Dio viene per
trasformare e rinnovare il mondo intero... Quanto a me, se io non vedessi questi
rivolgimenti, direi che la Parola di Dio non è nel mondo. Ma siccome li vedo mi
rallegro fin nel fondo del cuore, certo come sono che il regno del Papa e dei
suoi satelliti crollerà, grazie alla Parola di Dio che penetra dappertutto. Vedo
bene, o Erasmo mio caro, che in molte tue opere tu ti lamenti di questi
sconvolgimenti e ti rammarichi che pace e concordia stiano sparendo dal mondo...
E’ dunque a ciò che mira la tua bella sentenza: « Ci sono malattie che è meglio
sopportare che guarirne, dato che la loro guarigione comporterebbe mali
peggiori». Ma tu fai un cattivo uso del tuo paragone. Avresti dovuto dire: « Le
malattie che conviene sopportare sono appunto questi rivolgimenti , queste
rivoluzioni, queste sedizioni , queste discordie, queste guerre , in altre
parole tutte quelle cose che fanno saltare in aria il mondo e lo dilacerano a
causa della Parola di Dio. Val meglio - infatti - soffrire mali temporanei
piuttosto che lasciar sussistere false dottrine destinate necessariamente a
produrre la perdita delle anime se queste non sono trasformate dalla Parola di
Dio... Per ciò che concerne il dogma della libertà di confessione e di
assoluzione tu neghi oppure ignori come essa sia fondata sulla Parola di Dio.
Noi sappiamo tuttavia con ogni certezza che la Parola di Dio afferma e proclama
la libertà del cristiano, onde le leggi umane non lo imprigionino nei legami
della servitù. t ben ciò che noi abbiamo sempre, in svariate occasioni,
sostenuto ed insegnato; e se tu lo desideri, siamo pronti ancora o a discuterne
con le o ad esportelo dettagliatamente. I libri nei quali noi abbiamo trattato
della questione non mancano.
Citi poi assai male a proposito la frase
di Paolo: « Tutto mi è permesso, ma non tutto è utile» di 1 Corinzi VI, 12.
Infatti, in questo passo, Paolo non parla della dottrina della verità che deve
essere insegnata (contrariamente alla tu falsa affermazione ). Ciò che Paolo
vuole è che la verità sia annunziata in tutti i tempi, in ogni luogo ed in ogni
modo; giunge fino al punto di rallegrarsi che il Cristo sia predicato « comunque
sia » ed anche « in uno spirito di contestazione ». « Che importa - egli dice -
Cristo è comunque annunziato, me ne rallegro e me ne rallegrerò ancora » (Filippesi
1, 15, 18). Ma nel versetto che tu citi, Paolo parla dell’uso che si deve fare
della dottrina e parla specialmente di quelli che si vantano della loro libertà
cristiana, non cercando che il proprio bene e non preoccupandosi degli scandali
che possono suscitare nell’animo dei deboli. La Verità e la dottrina devono
essere predicate sempre, apertamente e costantemente; non si deve edulcorarle o
passarle sotto silenzio poiché in esse non c’è alcun motivo di scandalo. Esse
sono uno scettro di giustizia.
Ti ho già dimostrato che tutte le verità
contenute nelle Scritture sono accessibili a tutti e sono necessarie per la
salvezza. P- d’altronde ciò che tu stesso hai scritto e sostenuto nella tua
Paraclesis : allora eri certamente più ispirato di oggi... Ed è questa medesima
umana saggezza che ti fa dire che se un Concilio ha adottato una decisione
errata, non lo si deve denunziare apertamente onde questa stessa critica non
conduca a disprezzare l’autorità dei venerabili padri. Ecco qui una frase che
deve far piacere al Papa: egli preferisce di certo ascoltare simili
dichiarazioni piuttosto che ascoltare l’Evangelo. Sarebbe un Papa ingrato se non
ti concedesse il cappello cardinalizio con tutti i benefizi che questa
concessione comporta!... . Ma bisogna ,Considerare l’autorità dei Padri come
indifferente e respingere tutte le decisioni che non sono conformi ala parola di
Dio. Infatti Cristo è superiore all’autorità dei padri. Riassumendo: se la tua
opinione concerne la Parola di Dio, questa opinione è empia; se essa concerne -
invece - altre cose, non dobbiamo neppure parlarne. E’ la Parola stessa di Dio
che agisce. Verso la fine della tua introduzione tu cerchi seriamente di
distoglierci da questa dottrina e sembri quasi sicuro di aver riportato la
vittoria. Cosa c’è di più inutile - dici tu - che di portare questo paradosso a
conoscenza di tutti e di affermare pubblicamente che tutto ciò che noi facciamo
risulta non opera del nostro libero arbitrio ma di una pura necessità? Tu citi
le parole di Agostino: « t Dio che determina in noi il bene ed il male; sono le
sue buone opere che Egli ricompensa in noi e sono le sue cattive azioni che Egli
punisce in noi » e ti dilunghi sulle funeste conseguenze di questa dottrina che
aprirebbe - dici tu - largamente la strada all’empietà . Quale malvagio vorrà
più condurre una vita migliore? Chi potrà credersi amato da Dio? Chi lotterà
ancora contro gli assalti della carne?
Mio caro Erasmo, te lo ripeto una
volta di più: se tu reputi che questi paradossi sono invenzioni. umane, perché
compi tu sforzi così appassionati per combatterli?... Ma se tu reputi che questi
paradossi sono parole divine, non dovresti vergognarti? Che cosa sono diventati
presso di te il timore ed il rispetto dovuti a Dio se osi dire: « Non c’è nulla
di più inutile che insegnare la Parola di Dio »? Senza dubbio il Creatore deve
apprendere da te - sua creatura - ciò che è utile e ciò che è inutile predicare!
Questo Dio stupido ed ignorante non sapeva ciò che conveniva insegnare finché è
venuto Erasmo ad insegnarglielo! Come se Dio non conoscesse, prima che tu glielo
indicassi, le conseguenze di questo paradosso)!...
Chi dunque - dici tu - si sforzerà di
correggere e di migliorare la sua vita? Rispondo: nessuno lo può; infatti quelli
che pretendono di farlo senza l’aiuto dello Spirito sono degli ipocriti che Dio
abbandona alla loro sorte. Gli eletti e gli uomini pii saranno corretti e
migliorati grazie allo Spirito Santo; quanto agli altri essi periranno senza
esser stati corretti. Agostino - d’altronde - non dice affatto che nessuna opera
umana o che tutte le opere umane sono ricompensate, ma che le opere di qualche
uomo lo saranno . Ci saranno dunque alcuni uomini che emenderanno e
miglioreranno la loro vita.
Chi può credersi amato da Dio? dici tu
ancora. Rispondo: nessun uomo può crederlo; ma gli eletti lo crederanno, e gli
altri - quelli che non lo credono- saranno perduti e bestemmieranno contro Dio,
come fai tu nel tuo libro . Ci saranno pertanto alcuni uomini che crederanno. Ma
se questi dogmi aprono la via all’empietà, eh bene, che cosa sia! Un effetto
di quella lebbra della quale parlavamo più su e che val meglio sopportare che
volerne guarire. Ma è anche grazie a questi dogmi che si aprirà per gli eletti e
gli uomini pii la porta che conduce alla giustizia e che conduce al cielo ed a
Dio.
Qual è dunque - dirai tu - l’utilità o
la necessità di divulgare questa dottrina quando può risultarne del male?
Risponderò semplicemente: è sufficiente che Dio l’abbia voluto; noi non-dobbiamo
ricercare le ragioni della volontà divina , ma adorare questa volontà e
rendere gloria a Dio .Infatti Dio, siccome e’ giusto e saggio , non può far
nulla che non sia giusto e saggio, anche se ai nostri occhi non sembra che sia
così. Questa risposta deve essere sufficiente agli uomini pii. Ma, in più, ti
darò ancora due ragioni che giustificano la necessità di predicare questa
dottrina. La prima è l’umiliazione del nostro orgoglio e la conoscenza della
grazia di Dio. La seconda e’ la fede cristiana stessa. In primo luogo - infatti-
e’ certo che dio ha promesso la sua grazia agli umili di cuore, vale a dire a
quelli che confessano il loro peccato e la loro miseria. Ma l’uomo non può
umiliarsi veramente finché non saprà che i suoi sforzi e le sue risoluzioni, la
sua volontà e le sue opere non servono a nulla, ma che la sua salvezza dipende
unicamente dalla decisione, dalla volontà e dall’azione di Dio... In secondo
luogo, la fede concerne cose che non si vedono . Per conseguenza c’è fede solo
se le cose alle quali io credo sono nascoste. Ma dove sarebbero meglio nascoste
queste cose che sotto un’apparenza, un sentimento o un’esperienza contraria? Se
dunque Dio vuol renderci viventi, ci uccide; se vuole giustificarci lo fa
rendendoci colpevoli; se vuole aprirci il cielo, ci piomba nell’inferno; come
dice la Scrittura: « L’Eterno fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno
dei morti e ne fa risalire » (I Sam. 11, 6)... Così Dio nasconde la sua bontà e
la sua misericordia sotto la collera eterna e la sua giustizia sotto l’iniquità.
t proprio qui che è richiesto il più alto grado di fede: credere che sia
clementi Colui che salva così pochi uomini e ne danna un sì gran numero...
Tu dici che il libero arbitrio non ha che
una forza minima, al punto di essere inefficace senza la grazia di Dio. Proprio
questo che tu affermi? Allora ti pongo questa domanda e ti prego di rispondere:
« Che cosa può fare, questa forza minima se la grazia di Dio le viene a mancare?
». Resta inefficace - dici tu - e non fa nulla di buono. Dunque, questa forza
non farà nulla di ciò che Dio (o la sua grazia) vuole, poiché noi abbiamo
riconosciuto che la grazia le viene a mancare. Ma tutto ciò che non è fatto
dalla grazia di Dio non può essere buono. Dal che ne segue che il libero
arbitrio, privato della grazia di Dio, non è libero, ma prigioniero e schiavo
del male, dato che non può, da solo, volgersi verso il bene. Verso la fine della
tua introduzione tu dici che, seguendo l’esempio di Paolo, dovremmo predicare
Cristo crocifisso e la sapienza per quelli che sono maturi; che il linguaggio
della Scrittura è adattato all’intendimento dei diversi uditori ai quali si
rivolge e che è di ciascun predicatore, guidato dalla saggezza e dall’amore
cristiano, insegnare ciò che può convenire al prossimo. Tutto ciò non è esatto e
testimonia della tua ignoranza. Infatti anche noi non insegniamo altro che
Cristo crocifisso. Ma Cristo crocifisso porta con sé tutte queste cose, ivi
compresa la sapienza che si deve predicare presso quelli che sono maturi... Più
avanti tu citi queste espressioni della Bibbia: « Dio si mette in collera, Dio
odia, Dio si affligge, Dio ha pietà; Dio si pente » e dici che nessuna di queste
espressioni si addice a Dio. Ma ciò è quel che si chiama cercare difficoltà là
dove non ce ne sono. Queste espressioni non rendono la Scrittura oscura e non
obbligano ad adattarli ai diversi uditori, a meno di voler gettare l’oscurità
la dove non c’e’ ne. Queste sono espressioni grammaticali e figure retoriche
che tutti i fanciulli conoscono. Ma è di dogmi che noi trattiamo e non di
espressioni grammaticali.
Proprio all’inizio della discussione tu
prometti di appoggiarti sugli scritti canonici, dato che Lutero non accetta
alcuna altra autorità. Sta bene; prendo atto della promessa, ancorché essa
significhi non già che tu consideri gli autori non canonici come inutili, ma che
vuoi solo evitare un lavoro inutile. Infatti tu non approvi la mia audacia o la
mia temerarietà. Tu infatti sei impressionato dal numero dei sapienti teologi,
riconosciuti per consentimento unanime di tanti secoli, fra i quali trovi
esegeti esperti nella conoscenza della Scrittura, trovi santi, qualche martire,
molti uomini celebri per i loro miracoli. Aggiungici ancora i teologi recenti,
le numerose scuole, i concili, i vescovi, i papi. In totale: da un lato si
trovano l’erudizione, lo spirito, il numero, la grandezza, l’elevazione, la
forza, la santità, i miracoli, e che so io ancora. Dalla parte di Lutero invece
non ci sono che Wyclif e Lorenzo Valla, ancorché Agostino - che tu passi sotto
silenzio - sia interamente dalla mia. Ma questi pochi qua - per te - non hanno
peso di fronte a quei molti là. Rimane dunque il solo Lutero, un povero isolato,
un uomo recentemente apparso con i suoi amici, presso i quali non c’è ne quella
erudizione , né quella intelligenza, né quel numero, né quella grandezza, né
quella santità, né quei miracoli e che pertanto non sarebbero capaci di guarire
neppure un cavallo zoppo .
Riconosco, mio caro Erasmo, che sei
giustamente colpito da tutto ciò. Sono ormai più - di dieci anni che anch’io
sono colpito e penso che non ci sia nessuno che possa essere più di -me e più sconvolto...
Dio, che conosce il mio cuore, sa che sarei rimasto dove ero se la voce della
mia coscienza e l’evidenza delle cose non mi avessero obbligato a parlare... Ma
non è questo il luogo per scrivere una storia della mia vita o delle mie opere:
se ho incominciato questo lavoro non è per farmi valere, ma per esaltare la
grazia di Dio. Chi io sia o quale spirito mi abbia spinto ad agire, è Dio che lo
sa: Egli sa anche che tutto ciò si compie per sua volontà e non certo per mio
volere...
D’accordo dunque: noi siamo semplici
uomini e voi personaggi importanti; siamo un piccolo gruppo e siete legione;
siamo ignoranti e siete eruditi; siamo incolti e siete ripieni di spirito; siamo
nati ieri e siete vecchi come Deucalione ; non siamo mai stati accettati e voi
siete stati approvati per secoli. Infine, noi siamo peccatori, carnali, senza
intelligenza; e voi per santità, spirito e miracoli ispirate paura anche ai
demoni. P- inteso. Ma concedeteci almeno il diritto che si riconosce ai Turchi e
agli Ebrei: cioè di chiedervi conto della vostra dottrina, come il vostro
Pietro vi ha ordinato. La nostra domanda e’ stata modesta: ... diteci dunque
quale specie di opere questa forza del libero arbitrio esige che si facciano e
quali opere produce... Non solo non siete capaci di portarci un esempio
qualunque, ma anzi - cosa inaudita - voi non potete neppure dimostrare
chiaramente la natura del vostro « libero arbitrio », onde noi si possa per lo
meno rappresentarcelo. 0 i bei dottori del libero arbitrio! Cosa siete voi
dunque se non una voce e null’altro che una voce?...
Sarebbe incredibile secondo te che Dio
avesse lasciato la sua Chiesa nell’errore per così tanti secoli e che non.
avesse rivelato ad alcun santo ciò che costituisce - ai nostri occhi - l’essenza
della dottrina evangelica. Innanzi tutto noi non diciamo che Dio abbia tollerato
questo errore nella sua Chiesa né presso alcuno dei santi. La Chiesa -infatti -
è retta dallo Spirito di Dio ed i santi sono condotti dallo Spirito, come dice
Paolo in Romani VIII, v. 14... Ma qui occorre subito chiarire un equivoco. ciò
che tu chiami Chiesa, è veramente Chiesa?... Al tempo del Profeta Elia tutta la
comunità israelitica era caduta nell’idolatria al punto che Elia credeva
d’essere rimasto il solo credente ; tuttavia, mentre, capi, preti, profeti e
tutto ciò che poteva essere chiamato popolo o Chiesa di Dio era perduto, Dio si
riservò settemila uomini. Ma chi riconobbe allora che quegli uomini erano il
popolo di Dio? Chi dunque oserà negare che Dio si sia riservato una Chiesa nel
popolo, al disotto degli uomini ragguardevoli e titolati da te citati, ed abbia
lasciato cadere questi ultimi nell’errore, come fece con il regno d’Israele?
Infatti Dio è abituato a colpire l’élite d’Israele e ad uccidere i migliori di
essi , e conservare invece i disprezzati che formano il resto d’Israele, come
dice Isaia . Che cosa è dunque accaduto al tempo di Gesù Cristo stesso, quando
tutti gli apostoli si scandalizzavano e lo abbandonavano 21 , quando era
rinnegato e condannato da tutto il popolo, mentre, appena due o tre persone,
Nicodemo, Giuseppe ed il ladro, ne erano salvati presso la croce? Queste persone
che lo rinnegavano non eran forse chiamate « il popolo di Dio »? E rimasto,
infatti, un popolo di Dio, ma non gli si è dato questo nome; e quello al quale è
stato dato questo nome non era, in realtà, il popolo di Dio.
Chissà se, fin dall’origine, non è stata
questa la situazione permanente della Chiesa di Dio: gli uni eran chiamati «
popolo di Dio » e « santi di Dio » e non lo erano; gli altri, quelli che Dio si
era riservati, non erano chiamati « popolo di Dio », così come ci dimostrano le
storie di Caino ed Abele, di Ismaele ed Isacco, di Esaù e Giacobbe". Ricordati
ancora il tempo dell’arianesimo, nel qual. appena cinquanta erano i vescovi
rimasti cattolici nel mondo intero: eppure anche questi furono cacciati dalla
loro cattedra, mentre gli Ariani tenevano il governo della Chiesa. Cristo non ha
di meno conservato la sua Chiesa durante il trionfo delle eresie, ma essa non
era considerata come tale. E sotto il regno del Papa mostrami un sol vescovo che
abbia esercitato il suo ufficio, mostrami un sol concilio nel quale non si sia
discusso che delle cose di Dio e non invece di cappelli, di dignità, di prebende
e di altre bazzecole profane che nessuno, a meno di essere folle, potrebbe
attribuire allo Spirito Santo.
Eppure quella gente lì è chiamata « la
Chiesa », benché siano figli della dannazione e non della Chiesa. Tuttavia, al
di sopra di loro, Dio ha conservato una Chiesa, benché essa non portasse il nome
di chiesa . Quanti santi pensi tu che gli inquisitori hanno bruciato da qualche
secolo a questa parte? Pensa a Giovanni Hus Il ed ai suoi; non c’è dubbio che
all’epoca loro son vissuti molti uomini pii e santi, animati dal medesimo
Spirito...
La vera chiesa, mio caro Erasmo, non è un
termine così corrente come il termine Chiesa di Dio ;ed i veri « santi di Dio »
si trovano assai meno frequentemente di quelli ai quali si dà questo titolo.
Sono perle e gioie che lo spirito non getta ai porci , ma tiene nascoste onde
l’empio non veda la gloria di Dio... Io non dico che rifiuto di considerare come
santi o come membri della Chiesa di Dio quelli che tu citi, dico soltanto che
ciò non è certo e che non lo si può dimostrare, se qualcuno avanzasse dubbi.
Perciò la loro santità non costituisce una ragione sufficiente per affermare la
verità di una dottrina. lo voglio ben chiamarli santi e considerarli tali;
voglio ben considerarli come membri della Chiesa: ma se ciò faccio lo faccio in
virtù della carità cristiana e non della fede. Infatti la carità che non
sospetta il male e che crede tutto , vuole che io faccia il più largo credito al
mio prossimo e che chiami « santi » tutti quelli che sono stati battezzati...
Se consideriamo scienza ed erudizione ci
sono sapienti dottori dalle due partì; se consideriamo la vita ci son peccatori
da entrambe le parti; se ci riferiamo alla Scrittura, tutte e due le parti
rivendicano di considerarla come la loro autorità. Infatti non è sulla Scrittura
che verte la nostra discussione, bensì sul senso che conviene darle (poiché - tu
dici - essa non è sufficientemente chiara) . Orbene: da tutte e due le parti non
ci sono che uomini... restiamo perciò nel dubbio... non faremmo bene -di
schierarci dalla parte degli scettici? Tu te la cavi abilmente dicendo che non
puoi affermare nulla di certo ma che cerchi e vorresti apprendere la verità: in
attesa ti volgi verso il partito che afferma il libero arbitrio fino a quando
beninteso la verità si manifesterà! A tutto ciò rispondo: tu non dici tutto
quello che ci sarebbe da dire. Infatti non è per
mezzo della scienza, della vita, del dignità, dell’ignoranza, del l’assenza di
cultura, né per mezzo del piccolo numero e dell’umiltà che noi proviamo gli
spiriti. lo non approvo quelli che si vantano di essere i soli detentori dello
Spirito e ho dovuto proprio quest’anno( ed ancora adesso) sterrare una violente
contro questi fanatici che interpretano le scritture sottomettendole al proprio
loro spirito.
E anche per questo che ho combattuto il
Papa. Sotto il suo regno s’è diffusa l’opinione - divenuta comune - secondo la
quale le Scritture essendo oscure ed ambigue , si deve chiedere alla sede romana
la vera interpretazione...
Noi diciamo dunque: gli spiriti devono
essere provati da un doppio giudizio. Innanzi tutto, un giudizio interiore
grazie al quale ogni uomo, illuminato dallo Spirito Santo o da un dono
particolare di Dio in vista della sua salvezza, giudica e discerne con certezza
le dottrine, così come dice l’apostolo in I Corinzi II, (v. 15): « L’uomo
spirituale giudica di tutto e non è giudicato da nessuno »... e questo giudizio
non può essere giovevole che a colui che lo formula... Il secondo giudizio è un
giudizio esterno, in virtù del quale noi giudichiamo gli spiriti e le dottrine
non solo per noi stessi, ma anche per gli altri ed in vista della loro salvezza.
Questo secondo giudizio spetta a quelli
che esercitano il ministero della Parola, della predicazione e
dell’insegnamento, e ce ne serviamo quando si tratta di confermare quelli che
sono deboli nella fede e quando dobbiamo convincere i contraddittori ... Noi
diciamo dunque che la Scrittura deve essere il giudice che mette alla prova
tutti gli spiriti nella Chiesa. Infatti i cristiani devono essere fermamente
rassicurati su questo punto: la Scrittura santa è una luce spirituale ben più
chiara del sole , specialmente per le cose concernenti la salvezza o che è
necessario conoscere...
Se dunque il dogma del libero arbitrio è
oscuro o ambiguo è perché non concerne ne i cristiani ne la scrittura ; bisogna
per conseguenza abbandonarlo e metterlo nel novero di quelle favole a proposito
delle quali i cristiani litigano e che Paolo ordina di evitare . Se, al
contrario, questo dogma concernesse i cristiani e le Scritture, dovrebbe essere
chiaro, evidente e luminoso coma §no tutti gli altri articoli di fede ...
Tu poni due affermazioni ... Da un lato
dici che questi uomini santi, più sopra citati, sono degni d’ammirazione per la
loro conoscenza delle Scritture, la loro vita ed il loro martirio. D’altra parte
ti lasci andare a dire che la Scrittura non è chiara... Io ti dico che entrambe
le tue affermazioni sono false: la Scrittura infatti è perfettamente chiara ed
inoltre tutti quei dottori, nella misura in cui hanno affermato il libero
arbitrio, non hanno confermato questa dottrina né con la loro vita, né con la
loro morte, ma soltanto con ía loro penna in un momento di smarrimento del loro
spirito... Se la Scrittura è oscura, come tu dici, è impossibile trovarvi una
definizione precisa del libero arbitrio: tu stesso ne sei testimone...
Avrei dunque potuto - su queste
considerazioni - metter fine a questa discussione sul libero arbitrio...
Tuttavia, siccome Paolo ci ordina di chiudere la bocca ai cianciatori, ci
attaccheremo all’oggetto stesso della disputa. Per far ciò seguiremo l’ordine
della Diatriba. Innanzi tutto, confuteremo i tuoi argomenti in favore del libero
arbitrio; poi difenderemo gli argomenti che tu pretendi aver confutato; infine
combatteremo contro il libero arbitrio, per la grazia di Dio.
PRIMA, PARTE
Cominceremo dalla definizione del libero
arbitrio. Questa definizione, tu la formuli così 1: « Intendiamo per libero
arbitrio un potere della volontà umana in virtù del quale l’uomo può sia
applicarsi a tutto ciò che lo conduce all’eterna salvezza, sia, al contrario,
allontanarsene ». Ti sei saggiamente limitato a porre questa definizione, senza
spiegarne alcun termine (come altri han l’abitudine di fare); infatti devi aver
avuto timore di far naufragio più d’una volta...
Potrai forse a buon diritto accordare
all’uomo una volontà: ma attribuirgli una volontà libera nelle cose divine è
troppo. Infatti, per mezzo di questa espressione « volontà libera » o « libero
arbitrio », ciascuno intende una volontà che può fare e che fa, nei confronti di
Dio, tutto ciò che le piace; una volontà che non sarebbe ostacolata da alcuna
legge, né da alcuna forza superiore...
Sarebbe meglio parlare d’un « arbitrio
variabile » o di un « arbitrio vacillante », così come fanno Agostino e,
seguendo lui, i sofisti, i quali riducono ed attenuano ciò che quella parola «
libero » ha di troppo forte e glorioso e pertanto parlano di variabilità del
libero arbitrio... Ma, onde non ci si accusi di compiacerci di battaglie
verbali, chiuderemo momentaneamente gli occhi sull’abuso dell’espressione «
libero arbitrio » (ancorché questo abuso sia grande e pericoloso) e concederemo
ad Erasmo che il libero arbitrio sia la forza della volontà umana... Tu parli
chiaramente quando dici: « Il libero arbitrio è una forza della volontà umana ».
Ma tu somigli ad un gladiatore il cui elmo gli nasconde la vista quando parli di
" applicarsi alle cose che conducono o di applicarsi alle cose che se ne
allontanano ». Cosa dobbiamo noi intendere per « applicarsi » o per «
allontanarsi »? Quali sono le cose che ci conducono alla salvezza? Dove ci
condurrà dunque tutto ciò? Ho a che fare - e ben lo vedo! - ad un Scoto o ad un
Eraclìto di modo che devo compiere una doppia e penosa fatica. Innanzi tutto
devo cercare il mio avversario nell’oscura fossa dove si nasconde, barcollando
nelle tenebre per cercare di individuarlo onde poterlo - dopo averlo trovato -
affrontare validamente e non come se avessi a combattere contro fantasmi. In
secondo luogo devo - dopo aver condotto il mio avversario alla luce del sole -
combattere con lui ad armi uguali...
Le cose « che conducono all’eterna
salvezza » devono essere - io penso - le parole e le opere di Dio che sono
offerte alla volontà umana, onde questa possa volgersi ad esse o da esse
allontanarsi. Ma ciò che io chiamo le parole di Dio sono la Legge e
l’Evangelo... Ma questa via, questa eterna salvezza è una cosa incomprensibile
per l’umana intelligenza così come dice Paolo, seguendo Isaia , nella I corinzi
cap. II, v. 9 : sono cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano"..
Infatti fra gli articoli supremi della nostra fede si trova il seguente: « ... e
la vita eterna ». Per quel che concerne il potere del libero arbitrio riguardo a
questo articolo, ecco ciò che ne dice Paolo nella 1 Corinzi cap. Il, v. 10: «
Dio ci ha rivelato queste cose per mezzo dello Spirito. Ciò significa che se lo
Spirito non ce le avesse rivelate, nessun uomo ne avrebbe saputo alcunché, - a
più forte ragione nessun uomo avrebbe mai saputo cercarle e desiderarle. Guarda
cosa ci dice l’esperienza: considera ciò che gli spiriti più eminenti fra i
pagani han pensato della vita futura e della resurrezione. Non ti accorgi dunque
che più la loro intelligenza era grande, e più la resurrezione e la vita eterna
sono parse loro cose ridicole?
Non eran forse filosofi molto intelligenti
quei Greci che, udendo Paolo predicare questa dottrina ad Atene, lo trattavano
da cianciatore e da annunziatore di divinità straniere? I. Perciò Festo, udendo
Paolo predicare la vita eterna, gli gridò: « Tu vaneggi, la molta dottrina ti
mette fuor di senno! ». Plinio non si prende forse giuoco di questa credenza nel
suo settimo libro? I. E che ne dice Luciano, uomo di pur alta intelligenza?
Tutte queste persone non erano degli imbecilli! Infine - oggi ancora - noi
vediamo che più si ha scienza e spirito e più ci si prende giuoco di questa
dottrina che viene considerata come una favola, e ciò apertamente, Ciò accade
perché - in fondo -non c’è un sol uomo - a meno che non sia stato ripieno di
Spirito Santo - che conosca, creda e desideri la salvezza eterna (anche se non
cessa dal parlarne e dallo scriverne). Piaccia a Dio che tu ed io possiamo
essere mondi e puri di questo cattivo lievito, mio caro Erasmo; sono infatti
molto rari quelli che credono in questo articolo...
Abbiamo più sopra detto che il libero
arbitrio era un nome divino e designava una forza divina. Ma nessuno gli ha fin
qui i attribuito questo carattere, salvo i Pelagiani che distinguono nel libero
arbitrio due parti: la facoltà di discernimento e la facoltà di scelta ed
attribuiscono la prima alla ragione e la seconda alla volontà. Ma Erasmo,
respingendo nell’ombra la facoltà di discernimento, si limita ad esaltare la
facoltà di scelta e così facendo deifica questo libero arbitrio...
trovo più accettabile l’opinione dei
sofisti o per lo meno del padre loro Pietro Lombardo I. Essi dicono
il libero arbitrio è la facoltà di
discernere e di scegliere il bene se la grazia è presente ed il male se la
grazia è assente . D’accordo con Agostino Pietro Lombardo pensa che il libero
arbitrio abbandonato a se stesso , non può che fallire e condurre al peccato. E’
per questo che nel suo secondo libro contro Giuliano , Agostino lo chiama «
servo » piuttosto che « libero » arbitrio. Ma tu, tu attribuisci al libero
arbitrio una doppia facoltà e dici che da se stesso, senza la grazia, può
volgersi al bene e al male... Ma allora tu escludi lo Spirito Santo con tutta la
sua potenza, come se fosse una cosa inutile e superflua.
Tu citi, innanzi tutti, un passo del libro
di Sirach XV, v. 14 e seguenti... Potrei a buon diritto respingere questo libro
11; tuttavia lo accetterò perché non voglio perdere il mio tempo a discutere sui
libri ammessi nel canone degli Ebrei...
Questo passo di Sirach è da te invocato
per provare che il libero arbitrio esiste e può effettivamente fare qualche
cosa... Conviene che esaminiamo attentamente questo passo: esso, innanzi tutto,
dice: « Dio creò l’uomo all’inizio ». Qui parla della creazione dell’uomo e
nulla dice ancora del libero arbitrio e dei comandamenti. Dice in seguito: « ...
e lo lasciò nelle mani del suo consiglio ». Che cosa significa? Queste parole
dimostrano forse il libero arbitrio?... Bisogna comprendere queste parole nel
senso del primo e del secondo capitolo della Genesi nei quali è detto che l’uomo
è stabilito signore di tutte le cose onde liberamente regni su di esse... e non
si può cavare altro da queste parole, se non che l’uomo può agire secondo il suo
beneplacito verso tutte le creature che gli erano state sottoposte. Questo viene
chiamato « il consiglio dell’uomo » perché è altra cosa del consiglio di Dio.
Ma, poi, dopo aver detto che l’uomo è stato creato e lasciato nella mano del suo
consiglio, l’autore continua: « e Dio aggiunse i suoi comandamenti ed i suoi
precetti »... Dunque - secondo Sirach- l’uomo è diviso tra due regni. Nel primo
egli si comporta conformemente alla sua volontà, al di fuori dei comandamenti di
Dio, per le cose che gli sono sottoposte. Là egli regna e governa. conformemente
al suo proprio consiglio... Nell’altro regno l’uomo non è lasciato al suo volere
ed al suo consiglio, ma è condotto e guidato dalla volontà e dal consiglio di
Dio. Perciò nel primo regno l’uomo si conduce secondo il proprio libero
arbitrio, senza essere sottomesso alla legge d’un altro; sotto il regno di Dio
invece egli è guidato dalla legge di un Altro, senza intervento alcuno della sua
volontà... Se Sirach avesse voluto affermare l’esistenza del libero arbitrio sul
regno divino, avrebbe dovuto dire: « L’uomo può osservare i comandamenti di Dio
», oppure: « l’uomo ha la facoltà di osservare questi comandamenti »... Ma a
questo punto Erasmo mi obbietterà sottilmente dicendo: « se tu vuoi osservare i
comandamenti divini » Sirach dimostra che l’uomo possiede la facoltà di
osservare o di non osservare i comandamenti... Al che io rispondo: questi sono
gli argomenti che l’umana ragione usa per manifestare la sua saggezza. E’ dunque
con la ragione umana e non con Sirach che dobbiamo discutere; infatti qui la
ragione interpreta la Parola di Dio conformemente alle proprie deduzioni ed ai
propri sillogismi e ne fa quello che vuole. Noi la lasciamo fare volentieri
poiché sappiamo che dalla sua bocca escono solo stupidaggini ed assurdità,
specialmente quando essa pretende manifestare la sua saggezza nelle cose sacre.
Se in primo luogo io domandassi perché il
semplice fatto di dire « se tu vuoi », « se tu fai », « se tu intendi »
significhi o provi l’esistenza del libero arbitrio, la ragione umana direbbe: «
Perché il senso delle parole e l’uso del linguaggio convenuto fra gli uomini
esige così ». Quindi la ragione giudica le cose e le parole divine secondo l’uso
ed i costumi degli uomini. Il che è assurdo, poiché le une sono celesti e le
altre terrestri! La ragione stessa tradisce la sua follia applicando a Dio le
forme del pensiero umano...
La Diatriba sogna che l’uomo sia un essere
integro e sano, così come può esteriormente apparire nelle cose puramente umane.
Perciò essa ragiona nel seguente modo: « se tu vuoi », « se tu fai », « se tu
intendi » significano che l’uomo ha il libero arbitrio sennò non avrebbero senso
e sarebbero una presa in giro. Ma la Scrittura ci dice che l’uomo è corrotto,
asservito al peccato, e che - inoltre - disprezza Dio nel suo orgoglio ed ignora
la sua corruzione ed il suo servaggio...
Citi l’esempio di Adamo. Questo terribile
esempio, ben adatto per mortificare il nostro orgoglio, ha mostrato ciò che può
il nostro libero arbitrio quando è abbandonato a se stesso e quando non è più
del continuo diretto e fortificato dallo Spirito di Dio. Adamo non ha potuto
progredire in questo Spirito, del quale possedeva le primizie, ma - al contrario
- ha perduto queste primizie. Come potremmo noi dunque, noi che siamo caduti,
ritrovare con le sole nostre forze le primizie dello Spirito? Tanto più che ora
Satana regna in noi con tutta la sua potenza, lui che, con una sola tentazione,
ha fatto precipitare ed ha abbattuto Adamo, quando ancora non regnava nel suo
cuore. Non ci sarebbe argomento più forte contro il libero arbitrio di un
accostamento tra il passo di Sirach e la caduta di Adamo...
La nostra Diatriba cita ancora un passo
della Bibbia in Genesi IV (v. 7) 1’, nel quale il Signore dice a Caino: « Non
lascerai agire il peccato, ma dominerai su di lui ». Ciò’ mostra- dice la
Diatriba- che le inclinazioni dell’anima verso il male possono essere vinte e
non comportano necessariamente il peccato. Per ambigua che possa essere questa
frase (« Le inclinazioni dell’anima al male possono essere vinte »), non ne
risulta meno, per una conseguenza necessaria, che è proprio del libero arbitrio
vincere le proprie inclinazioni al male e che queste inclinazioni non comportano
la necessità di peccare. Ma che rimane allora che non sia attribuito al libero
arbitrio? Che bisogno c’e’ dello Spirito Santo? Che bisogno c’è del Cristo? Che
bisogno c’è di Dio? Che bisogno c’è di tutto ciò se il libero arbitrio può
vincere le sue inclinazioni al male?... Risponderò brevemente. Come ho già
detto, parole di tal genere mostrano all’uomo ciò, che deve fare, non ciò che
può fare. Il Signore-dice a Caino che deve dominare il suo peccato e reprimere
le sue cattive inclinazioni: ma in realtà Caino non lo ha fatto e non lo poteva
fare, perché era già sottoposto al dominio di Satana. E’ infatti ben risaputo
che gli Ebrei usano frequentemente il futuro indicativo invece dell’imperativo,
come in Esodo XX: « Non avrai altri dei; non ucciderai; non commetterai
adulterio, ecc. ». Se noi dessimo a queste frasi il senso indicativo esse
sarebbero delle promesse di Dio; e siccome Egli non può mentire, ne risulterebbe
che nessun uomo pecca ed i comandamenti sarebbero stati dati invano.
Il nostro traduttore avrebbe dunque dovuto
scrivere: « Tu non devi lasciar agire il peccato, ma devi dominarlo », e
parimenti si dovrebbe dire alla moglie: « Devi essere sottomessa a tuo marito ed
egli deve dominare su di te » (Genesi 111, 17). Se la frase indirizzata a Caino
fosse stata espressa in indicativo, sarebbe stata una promessa divina; ma non
era una promessa, dato che il contrario è avvenuto per la colpa di Caino. Si
tratta -dunque - di un imperativo.
Citi poi il passo di Mosè 13: « Io ti ho
posto davanti la vita e la morte... scegli dunque la vita, ecc. » (Deuteronomio
XXX, 19). Che c’è di più chiaro". Dice la Diatriba. Viene lasciata all’uomo la
libertà di scelta. Al che io rispondo: che c’è di più del tuo accecamento, o
Erasmo? Dove dunque - io domando - è lasciata libertà di scelta? Nel fatto che è
detto « scegli »? Dunque è sufficiente che Mosè dica « scegli » perché essi
scelgano? Una volta di più ‘per conseguenza - lo Spirito non è necessario...
Ascoltiamo il tuo paragone.
Sarebbe ridicolo - dici tu - dire a
qualcuno che fosse all’incrocio di due strade: « Tu vedi due strade, prendi
quella che vuoi », quando una delle strade fosse accessibile. Ma questi sono
proprio quegli argomenti che io ho più su chiamato elementi della umana
ragione: essa crede che sia prendersi gioco dell’uomo presentargli un
comandamento impossibile ad osservarsi; ma noi diciamo che il comandamento ha
per scopo di strappare l’uomo dal suo torpore , onde prenda atto della sua
impotenza. Siamo effettivamente all’incrocio di due strade, ma una sola strada è
accessibile: o, per meglio dire , nessuna delle due strade è accessibile. Noi
vediamo che quella delle due vie che conduce al bene è inaccessibile se Dio non
ci accorda il suo Spirito...
Citi il passo di Isaia 1, 19... e di Isaia
XXI, 12 1’. A che serve esortare persone che non posseggono alcun potere? Come
se si dicesse a qualcuno che è incatenato: « Spostati! ». Così parla la
Diatriba. Ma a che serve citare testi biblici che di per loro stessi non provano
nulla e che, una volta che si è aggiunta loro una deduzione (vale a dire una
volta che si è deformato il loro senso), attribuiscono tutto al libero arbitrio,
mentre si trattava solo di dimostrare l’esistenza di una possibilità di sforzo
verso il bene che non dovrebbe neppure quello essere attribuito al libero
arbitrio. Diremo la stessa cosa del passo di Isaia XLV, v. 22 e di Isaia LII, v.
1 e seguenti e così pure di Geremia XV, v. 19 e di Zaccaria I, v. 3... In tutti
questi passi la nostra Diatriba non distingue tra le parole della legge e quelle
dell’Evangelo, tanto è accecata, ed ignora ciò che è la legge e ciò che è
l’Evangelo. Di tutto il libro di Isaia... la Diatriba non cita neppure una delle
parole dell’Evangelo in esso contenute, parole mediante le quali viene offerta
agli afflitti ed a quelli che hanno il cuore rotto, la grazia apportatrice di
consolazione. Anzi, la Diatriba fa, delle parole di Isaia, parole di legge. Ed
allora io domando: Che può fare, in materia di teologia e di esegesi un uomo
come Erasmo che non è ancora arrivato a sapere ciò che è la legge e ciò che è
l’Evangelo, o che, se lo sa, trascura di tenerne conto? Non può che fare una
solenne confusione: mescola il cielo, l’inferno, la vita, la morte e rischierà
così di non saper nulla del Cristo...
Vediamo ora come la Diatriba tratta quel
mirabile passo biblico che è Ezechiele XVIII, v. 23 15. Innanzi tutto - dice la
Diatriba - noi troviamo frequentemente ripetute in questo capitolo espressioni
come queste: « Se l’empio si ritrae, se l’empio fa... » ecc. Dove sono dunque
coloro che negano che l’uomo possa fare qualche cosa? Ammirate dunque questa
formidabile conseguenza: la Diatriba aveva intenzione di dimostrare un certo
zelo ed un certo sforzo ricollegabili al libero arbitrio, ed ora essa dimostra
che grazie al libero arbitrio tutto è compiuto. La Diatriba fa dire ad
Ezechiele: « se l’empio si ritrae dal male e compie la giustizia vivrà; dunque
l’empio senz’altro farà tutto ciò e può farlo perché ne ha il potere ». Ma
Ezechiele indica ciò che deve essere fatto; la Diatriba invece intende il passo
di Ezechiele come se la cosa fosse effettivamente già fatta; di nuovo essa ci
insegna una nuova grammatica secondo la quale « dovere » ed « avere », « esigere
» e « compiere ».« domandare » e « dare » sono sinonimi. Inoltre essa volge a
modo suo questa parola evangelica piena di dolcezza: « Non desidero la morte del
peccatore » e pone la domanda: « Il Signore potrebbe deplorare la morte del suo
popolo se questa morte venisse da Lui? ». Se Egli non vuole la nostra morte, è
sulla nostra volontà che occorre fa ricadere intera la colpa e la responsabilità
del fatto che siamo destinati a perire... Riconosciamo qui la solfa di Pelagio
che attribuisce al libero arbitrio non solo lo zelo e lo sforzo, ma il potere
effettivo ed intero di adempiere ai comandamenti. Infatti, come spesso abbiamo
già detto, le conclusioni della Diatriba, se provano qualche cosa, provano
l’esistenza di questo potere.
Ma queste conclusioni sono, così, in
contraddizione con la Diatriba stessa che nega questo potere e non accorda al
libero arbitrio che uno sforzo verso il bene; e queste conclusioni sono anche in
contraddizione con noi che neghiamo totalmente il libero arbitrio. Ma lasciamo
da parte la Diatriba e la sua ignoranza ed esponiamo la nostra tesi. P- una
parola evangelica ed una assai dolce consolazione per i miserabili peccatori ciò
che riferisce Ezechiele XXXII I (v. 11): « Non desidero la morte del peccatore
ma che si converta e viva ».
Questa frase non è altro che l’annunzio al
mondo della misericordia di Dio, misericordia accolta con gioia ed azioni di
grazia da quelli che sono tormentati ed afflitti e presso i quali la legge ha
già compiuto la sua opera portandoli a riconoscere il loro peccato. Ma quelli
presso i quali la legge non ha ancora compiuto la sua opera, quelli che non
riconoscono il loro peccato e non temono la morte, quelli disprezzano la
misericordia promessa con questa parola.
Ma perché certi uomini sono raggiunti
dalla legge nella loro coscienza ed altri non lo sono, di modo che i primi
accolgono la grazia offerta mentre gli altri la disprezzano?
Questa è una questione che non è stata
trattata in questo passo da Ezechiele. Egli parla della misericordia di Dio
predicata e offerta, ma non parla della volontà nascosta e tremenda di Dio che
ordina ogni cosa secondo il suo consiglio e che decide quali uomini e quanti
saranno resi partecipi di questa misericordia predicata ed offerta. Questa
volontà non bisogna indagarla ma adorarla con timore e tremore come il mistero più
venerabile della maestà divina, mistero riservato a Dio solo ed interdetto agli
uomini ed assai più recondito di tutte le caverne coriciane...
Il ragionamento della Diatriba Il è il
seguente: tutte queste esortazioni che noi troviamo nelle Scritture, tutte
queste promesse, queste minacce, queste esigenze, questi rimproveri, queste
benedizioni e queste maledizioni, così come questi innumerevoli comandamenti
sarebbero necessariamente inutili se non fosse in potere di ciascuno di noi di
fare ciò che ci è prescritto. Continuamente la Diatriba dimentica ciò che è in
questione e tratta d’un argomento diverso da quello propostosi e non si avvede
che tutti questi passi citati confutano assai più fortemente la sua tesi che la
nostra. Infatti, con l’aiuto di quei passi, la Diatriba prova la libertà
dell’uomo e la facoltà di osservare i suoi comandamenti mentre il suo
proponimento era di provare che il libero arbitrio non può volere il bene senza
l’aiuto della e che può pertanto solo sforzarsi verso il bene ma senza che
questo sforzo possa essere attribuito alle sue proprie forze. L’ho già detto
molte volte e non sarei obbligato a ripetermi se la Diatriba stessa non
ripetesse il medesimo errore sommergendo il lettore sotto un mare di parole
inutili.
Per terminare, tu citi un passo del
Deuteronomio, al cap. XXX, v. 11 e seguenti. Questo passo mostra chiaramente,
secondo la Diatriba. non solo che dipende da noi osservare la legge, ma anche
che ciò è facile. Ringraziamo la Diatriba per il suo prezioso insegnamento! Se
Mosè dice chiaramente che noi abbiamo la facoltà ed chiara anche la facilità di
osservare la legge, perché dunque sudar sangue a discutere questa questione?
Perché non aver citato subito questo passo e non aver proclamato il libero
arbitrio su tutte le pubbliche piazze? A che pro il Cristo? A che pro lo
Spirito Santo? Abbiamo finalmente trovato il passo che chiude la bocca a tutto
il mondo e che, non contento di affermar chiaramente il libero arbitrio, ci
insegna ancora che è facile osservare i comandamenti. Quanto fu stolto Cristo ad
aver versato il suo sangue per procurarci questo Spirito, dato che esso non ci è
necessario visto che anche senza di lui siamo capaci di osservare i
comandamenti!
La Diatriba stessa contraddice le sue
parole, essa che ha sempre detto che il libero arbitrio non poteva volere il
bene senza la grazia. Ed ora, secondo lei, la potenza del libero arbitrio è tale
che non solo vuole il bene ma anche può osservare con facilità tutti i
comandamenti... Abbiamo parlato di questo passo del Deuteronomio. Ora vogliamo
brevemente spiegarlo. Anche se facciamo astrazione dal commento potente che
Paolo ne dà in Romani X (v. 6 e seguenti), vedrai che qui non è assolutamente
questione di facilità o di difficoltà, di potenza o di impotenza, di libero
arbitrio dell’uomo per la osservanza o meno dei comandamenti, salvo che per
quelli che, deformando la Scrittura per mezzo delle loro deduzioni e dei loro
commentari; la rendono talmente oscura ed ambigua da poterne fare ciò che si
vuole. Ma se tu o Erasmo non puoi vedere, ascolta almeno e tocca con mano! Mosè
dice: « questo comandamento non è troppo alto da te... non è nel cielo... né di
là del mare ». Cosa significa «-troppo alto », « troppo lontano », « nel cielo
», « di là dal mare?". Secondo la nostra grammatica queste parole designano non
già la qualità o la quantità della forza umana, ma la distanza tra i luoghi...
Cosa vuol dunque dire Mosè con queste parole così chiare e luminose, se non che
ha compiuto in modo perfetto il suo lavoro di legislatore? Non è colpa sua se
gli uomini sono disubbidienti: egli infatti ha insegnato loro tutto ciò che essi
dovevano sapere ed ha loro presentato i comandamenti di modo che essi non hanno
scuse e non possono pretendere di ignorarli.
Se dunque non li osservano, non è per
colpa della legge o del legislatore, ma è per colpa loro: infatti la legge è lì,
il legislatore ha loro insegnato, essi non hanno la scusa dell’ignoranza e sono
colpevoli di negligenza e di disobbedienza. Non è necessario andar a cercare
lontano le leggi - dice quel passo biblico - nel cielo o al di là del mare, e tu
non puoi pretendere di dire che non le conosci. Esse sono vicine a te, infatti
Dio te le ha date per mezzo della mia bocca, tu le hai ricevute nel tuo cuore,
preti e leviti le predicano continuamente conformemente alla testimonianza della
mia Parola e di questo libro. Non c’è più che una cosa sola da fare: che tu le
metta in pratica. - Ti domando perciò con insistenza: in che tutto ciò riguarda
il libero arbitrio? Che si esiga da noi di mettere la legge in pratica e che
ogni scusa, fondata sull’ignoranza o sull’assenza della legge, ci sia tolta?...
Una volta confutato questo, tutti quelli che la Diatriba potrebbe ancora citare
si trovano parimenti e di colpo confutati: infatti sono tutti imperativi che non
indicano ciò che noi possiamo fare o tacciamo ma ciò che dobbiamo fare e
ché-facciamo , ma ciò che dobbiamo fare e che si richiede da noi , onde noi
possiamo conoscere la nostra impotenza e possiamo prendere coscienza del nostro
peccato...
Veniamo ora al Nuovo Testamento... C’è
dapprima quel passo di Matteo XXIII (v. 37). La Diatriba dice : se tutto avviene
in virtù d’una pura necessità, Gerusalemme non potrebbe a buon diritto
rispondere al Signore: « Perché versi tu lacrime vane? Se tu non volevi che noi
ascoltassimo i profeti, perché li hai tu inviati? Perché ci reputi tu colpevoli
di un peccato che, noi abbiamo dovuto necessariamente compiere a causa della Tua
volontà? ». Ecco ciò che dice la Diatriba.
Al che io rispondo: ammettiamo per un
istante che questa conclusione sia giusta: ... essa proverebbe solo l’esistenza
d’una Volontà libera, capace di fare tutto ciò che i profeti hanno predicato. Ma
non è questo che la Diatriba s’è proposta di dimostrare. La Diatriba ribatte il
concetto secondo il quale, se il libero arbitrio non può volere il bene, sarebbe
un non senso imputare agli uomini la colpa di non aver ascoltato i profeti dato
che non lo potevano fare con le loro proprie forze... Ma noi ripetiamo ciò che
abbiamo già detto: non si deve incominciare a discutere riguardo alla segreta
volontà della maestà divina e bisogna allontanarsi da quella ragione umana
temeraria e perversa che vorrebbe discuterne. La ragione umana non deve
occuparsi di sondare questi misteri della maestà divina che, stando a quel che
ne dice Paolo, abita una luce inaccessibile. Si occupi essa - invece - del Dio
incarnato o, per parlare come Paolo del Cristo crocifisso nel quale sono
nascosti tutti i tesori della scienza e della saggezza. Infatti e’ per mezzo suo
che noi abbiamo in abbondanza tutto ciò che dobbiamo sapere o non sapere. E’
questo Dio incarnato che dice:"Io ho voluto e tu non hai voluto ».
L’altro passo è quella parola di Matteo
XIX (v. 17): « Se tu vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti ».
Con che faccia si potrebbe dire « se tu vuoi » se la volontà non fosse libera?
Così parla la Diatriba 22. E così parla anche di altri passi, quali Matteo XIX,
21; Luca IX, 23; Matteo XVI, 25; Giovanni XIV, 15 e XV, 7. Riuniamo tutte queste
particelle « se » e tutte queste locuzioni imperative onde fornire almeno alla
Diatriba un certo numero di parole che essa possa utilizzare. Tutti questi
comandamenti - dice essa - sono vani se non attribuiamo alcun potere alla
volontà umana: infatti la parolina « se » mal si accorda con la pura necessità.
A ciò rispondo: se questi comandamenti
sono vani è colpa tua, di te o Erasmo, che affermavi non potersi attribuire
nulla alla volontà umana poiché il libero arbitrio non può volere il bene,
mentre poi - al contrario - tu s i a che il libero arbitrio può volere tutto il
bene. Così il libero arbitrio - secondo te - può nello stesso tempo tutto e
nulla: ecco ciò che si dice soffiare contemporaneamente sul freddo e sul
caldo... Se la legge ci parlasse di cose che sono impossibili a farsi perché Dio
stesso non ce ne dà mai il potere, allora saremmo in diritto di dire che i
comandamenti sono stati dati invano. Ma questi comandamenti non ci rivelano
soltanto l’impotenza del libero arbitrio: ci mostrano anche la possibilità di
osservarli ed adempierli mercé un aiuto esterno, cioè mediante la grazia di Dio.
Se accordiamo loro questo significato, possiamo interpretarli così: « Se tu vuoi
osservare i comandamenti, vale a dire se tu hai la volontà di osservarli (ma
questa volontà non viene da te, ma viene da Dio che la concede a chi Egli
vuole), i comandamenti ti preserveranno ». Andiamo ancora più lontano: queste
parole - ed in particolare le parole condizionali - sembrano implicare la
predestinazione eterna di Dio ed affermano che questa predestinazione è ignorata
da noi. « e tu vuoi », « se tu volessi » significano allora: « se tu sei uno di
quelli ai quali Dio giudica bene accordare la volontà di osservare i
comandamenti », allora questi comandamenti ti salveranno. Questa maniera di
esprimersi vorrebbe dire da un lato che noi nulla possiamo e d’altro lato che se
facciamo qualche cosa è Dio che opera in noi. Ecco ciò che io direi a quelli che
non si accontentano di vedere in queste parole l’affermazione della nostra
impotenza, ma pretendono di trovarci la prova di un certo potere di osservare i
comandamenti. E così è ben vero che noi non possiamo osservare alcun
comandamento, ma è parimenti vero che possiamo osservare tutta la legge, non per
le nostre forze ma per la grazia di Dio.
La Diatriba, poi, si preoccupa di questo:
spesso nelle Scritture è questione di buone e di cattive azioni, di punizioni e
di ricompense ed essa Diatriba non può comprendere come tutto ciò si accordi
con la pura necessità..... A misura che il libro ingrandisce e che la
discussione si svolge, il libero arbitrio continua a crescere. All’inizio
possedeva solo un cero zelo per il bene ( ed ancora non per forze proprie) poi
e’ divenuto capace di volere il bene e di farlo; ed ora può anche meritare la
vita eterna, secondo Matteo V 9 versetto 12): « Rallegratevi e giubilate perché
il vostro premio è grande nei cieli ». Il « vostro premio: vale a dire quello
del libero arbitrio. E’ così che la Diatriba comprende questa parola, di modo
che Cristo e lo -Spirito di Dio non contano niente. Che bisogno, infatti, ci
sarebbe del Cristo e dello Spirito Santo se grazie al libero arbitrio noi
possiamo compiere buone azioni ed acquistare meriti ?
Qui ci sono due punti da considerare:
innanzi tutto i comandamenti del Nuovo Testamento ed in seguito il merito.
Questi due punti li tratterò ora brevemente, dato che più diffusamente ne ho già
parlato altrove . Il Nuovo Testamento contiene essenzialmente promesse ed
esortazioni, mentre l’Antico Testamento contiene innanzi tutto leggi e minacce.
Infatti nel Nuovo Testamento è l’Evangelo che vien predicato, vale a dire la
parola che ci porta lo Spirito Santo e la grazia per la remissione dei nostri
peccati, ottenuta per mezzo di Gesù Cristo crocifisso: e tutto ciò gratuitamente
per la sola misericordia di Dio il Padre, che ci concede il suo soccorso a
dispetto della nostra indegnità, lo concede a noi che meritiamo la dannazione
assai più che la grazia.
Vengono poi le esortazioni, destinate a
stimolar quelli che son già giustificati e che hanno ottenuto misericordia, onde
siano sollecitati a portare i frutti della giustizia che è stata data loro per
mezzo dello Spirito Santo, onde pratichino la carità mediante le buone opere,
onde sopportino senza vacillare la croce e tutte le tribolazioni del mondo. Tale
è il sommario del Nuovo Testamento. A qual punto la Diatriba capisca poco queste
cose ne abbiamo la prova nel fatto che essa non fa alcuna differenza tra
l’Antico ed il Nuovo Testamento: essa non vede infatti nell’uno e nell’altro che
leggi e comandamenti destinati ad inculcare agli uomini buoni costumi. Quanto
alla nuova nascita, al rinnovamento dell’uomo ed alla sua rigenerazione, a tutto
ciò che è opera dello Spirito, la Diatriba l’ignora. t per me oggetto di stupore
senza limiti il fatto che un uomo che ha così a lungo studiato la santa
Scrittura e con tanto zelo, non la conosca - per così dire - affatto.
Dunque, questo versetto: « rallegratevi e
giubilate poiché la vostra ricompensa è grande nei cieli » si accorda con il
libero arbitrio come la luce con le tenebre! Mediante questa parola, Cristo
esorta non già il libero arbitrio, ma gli apostoli, i quali non solo erano
giustificati e situati dalla grazia al di sopra di ogni libero arbitrio, ma
avevano ricevuto il ministero della Parola, che è il più alto segno della
grazia; e con queste parole Cristo li esorta a sopportare le tribolazioni del
mondo... Per dire le cose in ‘~breve: quando si tratta del merito e della
ricompensa, si :considera sia la dignità dell’opera compiuta, sia la conseguenza
che essa produce. Se tu consideri la dignità, non c’è né merito né ricompensa.
Infatti, se il libero arbitrio non può volere il bene per se stesso, ma solo per
effetto della grazia (noi parliamo infatti di libero arbitrio senza grazia), chi
è che non vede che è alla grazia solo che spettano la buona volontà, il merito e
la ricompensa?...
I figliuoli di Dio, al contrario, non
fanno il bene per ottenere una ricompensa, ma per la gloria di Dio e per
obbedienza alla sua volontà e sarebbero ancora pronti farlo anche se - caso
impossibile - non ci fosse né Regno di Dio, né inferno. Il che è confermato
sufficientemente dalle parole del Cristo (Matteo XXV, 34): « Venite, voi che
siete benedetti dal Padre; prendete possesso del regno che vi è stato preparato
fin dalla fondazione del mondo »...
Noi diciamo ancora: è piaciuto a Dio di
accordare all’uomo il Santo Spirito per mezzo della Parola onde noi si diventi «
collaboratori di Dio » . Dobbiamo annunziare esteriormente ciò che Dio stesso ci
suggerisce interiormente, quando e come Egli vuole. Egli potrebbe benissimo
anche farlo senza il mezzo della Parola, ma non lo vuole. Chi siamo noi per
voler indagare la ragione riposta della volontà divina? Ci sia sufficiente
sapere che Dio vuole così, e riveriamo questa volontà, amiamola ed adoriamola,
riducendo al silenzio la nostra temeraria ragione... Una cosa è dunque ben
stabilita: la ricompensa non dimostra il merito, almeno secondo la Scrittura. In
secondo luogo: il merito non dimostra il libero arbitrio, soprattutto un libero
arbitrio come la Diatriba ha assunto il compito di dimostrarci e che per se
stesso non può volere il bene...
Ecco per esempio un bel sofisma . Tu citi
queste parole: « Voi li riconoscerete dai loro frutti (Matteo VII, 20) ». Ciò
che Gesù chiama « frutti » sono le opere: e le chiama le « nostre » opere. Ma -
dici tu - come potrebbero delle opere essere chiamate « nostre » se tutto
accadesse per pura necessità? -Ma, ti scongiuro: non possiamo forse noi a buon
diritto chiamare « nostre » quelle opere che non abbiamo fatto noi stessi, ma
che abbiamo ricevuto da qualcun altro?...
La Diatriba poi - allo stesso modo - si
prende giuoco della Parola del Cristo sulla croce (Luca XXIII, 34)
« Padre, perdona loro perché sanno quello
che si fanno ». Mi aspettavo qui una frase che dimostrasse l’esistenza del
libero arbitrio; ma di nuovo la Diatriba mi presenta le sue deduzioni. Essa
dice: il Signore avrebbe potuto scusarli molto più giustamente se non avessero
avuto il libero arbitrio e se non avessero potuto agire altrimenti. Ma questa
deduzione non prova quel libero arbitrio che non può volere il bene e del quale
si tratta qui; essa prova quel libero arbitrio che può tutto e che tutto il
mondo è d’accordo nel negare, salvo i Pelagiani. Quando Cristo dichiara
pubblicamente che non sanno quello che fanno, non afferma forse nello stesso
tempo che non possono volere il bene?... Tu citi ancora Giovanni I (v. 12) 21: «
La Parola ha dato loro il potere di diventare figliuoli di Dio ». Ed ecco come
tu comprendi quella frase: « Come potrebbe la Parola dare il potere di diventare
figliuoli di Dio se la nostra volontà non fosse libera?_». Ma ecco proprio un
testo biblico che come un pesante martello , schiaccia il libero arbitrio (come
d’altronde quasi tutto l’Evangelo di Giovanni)! E tuttavia tu lo citi in
appoggio al libero arbitrio! Esaminiamo dunque questo testo. Giovanni non parla
affatto di alcuna opera umana, grande o piccola che sia, ma parla della
trasformazione del vecchio uomo, che è un figlio del diavolo, in un uomo nuovo,
che è un ,,figlio di Dio. L’uomo non svolge qui un ruolo passivo; egli non fa
nulla, è lo Spirito che fa tutto. Giovanni parla di diventar figli di Dio grazie
al potere che ci è dato da Dio e non grazie alla forza innata del libero
arbitrio che sarebbe in noi. Ma la Diatriba deduce da questo passo che il libero
arbitrio possiede il potere di fare di noi dei figliuoli di Dio: se così fosse
questa parola di Giovanni sarebbe, secondo la Diatriba, vana e ridicola...
Ma ecco quel che Giovanni vuol dire: con
la venuta del Cristo nel mondo e la predicazione del suo Vangelo che ci offre la
grazia, non è più richiesta alcuna opera umana , ma gli uomini ricevono questo
dono magnifico: il potere di diventare figliuoli di Dio, se vogliono credere...
La Diatriba arriva infine a Paolo, il nemico più irriducibile del libero
arbitrio. Anche lui è costretto da Erasmo a testimoniare in favore del libero
arbitrio . Citi Romani 11, 4 ed esclami: come potrebbe Dio imputare all’uomo il
disprezzo della legge se la sua volontà non fosse libera? Come Dio potrebbe
invitare a pentirsi se fosse Lui stesso fautore dell’impenitenza? Come la
condanna potrebbe essere giusta quando è il giudice stesso che costringe a fare
il male? A ciò rispondo: la Diatriba si occupa di questioni che non ci
riguardano . Aveva essa stessa dichiarato, conformemente alla sua probabile
opinione, che il libero arbitrio non può volere il bene e che è necessariamente
schiavo del peccato . Come dunque si può imputargli il disprezzo della legge, se
non può volere il bene, se non è libero ma asservito al peccato? ... Tutti
questi argomenti le ricadono sulla testa: oppure, se son prova di qualche cosa,
provano che il libero arbitrio può tutto, tesi peraltro respinta da tutti i
teologi e dalla stessa Diatriba...
Queste deduzioni della ragione, tratte
dalle citazioni della Scrittura, fan crollare la stessa Diatriba quando afferma
che è vano e ridicolo esigere così vivamente dall’uomo ciò che non può fare.
Tuttavia lo scopo perseguito dall’apostolo è di condurre con le minacce gli empi
e gli orgogliosi a prendere coscienza di loro stessi e della loro impotenza, ad
umiliarsi ed a riconoscere il loro peccato, in modo da essere pronti a ricevere
la grazia.
Che bisogno c’è di recensire una ad una
tutte queste citazioni di Paolo? Ed infatti la Diatriba si limita a collezionare
tutte le parole imperative o condizionali e cosi pure quelle nelle quali Paolo
esorta i cristiani a produrre i frutti della fede. Essa vi aggiunge le sue
deduzioni e concede finalmente al libero -arbitrio un tal potere che esso può
fare senza la grazia tutto ciò che Paolo prescrive. Ma i cristiani non sono
diretti dal libero arbitrio: sono condotti dallo Spirito di Dio, così come dice
Paolo in Romani VIII (v. 14); ora « essere costretti a » non vuol dire «
condurre » o « agire », ma « essere agiti »... Poi onde nessuno dubiti che è
Lutero ad aver detto simile assurdità - la Diatriba cita le sue stesse parole,
delle quali io rivendico interamente la responsabilità". Riconosco infatti che
la tesi di Wyclif (« tutto avviene per necessità ») è stata a torto condannata
dal Concilio di Costanza, o per meglio dire - dalla congiura e dalla sedizione
di Costanza. E la stessa Diatriba la difende con me quando afferma che il libero
arbitrio non può volere il bene con le sue proprie forze e che è necessariamente
schiavo del male, benché poi - nel corso della sua dimostrazione -finisca col
dire il contrario. Ma ora basta per quel che riguarda la prima parte della
Diatriba nella quale essa s’è sforzata di fondare il libero arbitrio.
SECONDA PARTE
La, Diatriba pretende che ci sia solo un
numero insignificante di passi biblici contro il libero arbitrio ed, anzi, non
si sofferma che su due, per di più per sbriciolarli senza gran fatica. Il primo
si trova in Esodo IX (versetto 12): « L’Eterno indurò il cuore di Faraone », ed
il secondo si trova in Malachia I ( versetti 2 e seguenti ): « Ho amato
Giacobbe e ho odiato Esaù». Commentando questi passi nella sua epistola ai
Romani Paolo non ha fatto - a giudizio di Erasmo - che un lavoro inutile e
gravido di seccature... Qui la Diatriba ha inventato una nuova arte di eludere i
passi più evidenti: pretende trovare nelle parole più chiare e più semplici un
senso figurato... Noi siamo dell’avviso che per nessun passo scritturale si
debbano ammettere deduzioni o figure di stile o sensi figurati.... ma che ci si
debba attendere al significato più naturale delle parole, quale risulta dalla
grammatica e dall’uso del linguaggio istituito da Dio fra gli uomini...
Bisogna dunque evitare come la peste ogni
interpretazione figurata alla quale non siamo obbligati dalla Scrittura stessa .
Considerate piuttosto quel ch’è capitato ad Origene, il quale più degli altri ha
praticato questa forma tropologica di interpretazione della Scrittura. Così
facendo ha fornito argomenti al calunniatore Porfirio a tal punto che lo stesso
Girolamo pensa che sia tempo perso difendere Origene. E che cosa è successo agli
Ariani. quando, con la loro interpretazione figurata hanno fatto del Cristo un
sedicente Dio? E che cosa avviene oggi con questi nuovi profeti che interpretano
in modo figurato la parola di Cristo: « questo è il mio corpo », l’uno prendendo
come figurata la parola « questo » e l’altro la parola « è » ed un terzo la
parola « corpo »? Ho osservato che tutte le eresie e tutti gli errori
nell’interpretazione delle Scritture non provengono dalla semplicità dei
termini( così come spesso si sente ripetere ), ma dal fatto che si trascura
questa semplicità e si aggiungono interpretazioni figurate partorite dal
cervello dei commentatori.
Dunque - o Erasmo - tu interpreti questo
versetto dell’Esodo: « indurirò il cuore di Faraone » nel modo seguente: « la
indulgenza con la quale lo supporto il peccatore conduce certi uomini al
pentimento , ma indurisce il cuore di Faraone nella sua cattiveria ». Sta bene.
Però la tua affermazione non è sufficiente : abbiamo diritto di reclamare una
prova. Parimenti per quel versetto di Paolo in Romani IX, 18: « Egli fa
misericordia a chi vuole ed indurisce chi vuole ». Tu l’interpreti così: « Dio
indurisce non punendo subito il peccatore; fa misericordia invitandolo al
pentimento mediante prove ». Ma come dimostri che questa tua interpretazione è
vera?... Per di più eravamo d’accordo di tenere in autorità solo la Scrittura e
non anche tale o tal altro dottore. Perché dunque la tua Diatriba, dimentica di
questo accordo, tira in ballo Origene e Girolamo, i quali - fra tutti gli
scrittori di cose ecclesiastiche - sono quelli che hanno commentato la Scrittura
nel modo più malaccorto ed assurdo? Basterà citare un esempio. Girolamo
interpreta in tutta libertà i testi sacri a suo modo usando una grammatica nuova
ed inaudita che sovverte ogni nozione acquisita. Quando Dio dice: « indurirò il
cuore di Faraone », egli cambia il soggetto della proposizione e così traduce: «
Faraone indurò il suo cuore a causa della mia indulgenza »...
Lo stesso testo di Mosè dimostra in modo
irrefutabile che le tue espressioni figurate sono una pura invenzione e non han
credito in questo luogo, e che quella parola: « indurirò il cuore di Faraone »
ha un significato completamente diverso ed assai più elevato di quello che tu
gli dai...
Se dunque non esiste che un solo libero
arbitrio, identico presso tutti gli uomini e presso tutti parimente impotente,
non c’è alcuna ragione perché uno pervenga alla grazia e l’altro no---, tanto
più se non si insegna altra cosa che l’indulgenza di Dio che sopporta il
peccatore e la punizione di Dio che fa misericordia. Infatti, in questo caso,
Dio non eleggerà nessuno e non ci sarà luogo ad elezione divina: non resterà che
il libero arbitrio che accetta o respinge la bontà e la collera di Dio. Ma se
noi spogliamo Dio del suo potere di elezione, che cosa diventerà Egli se non un
idolo della specie della dea Fortuna, simbolo del cieco Destino? Ed infine si
potrà dire che gli uomini sono salvati o dannati senza che Dio lo sappia, dato
che non avrà scelto con certa elezione quelli che devono essere salvati e quelli
che devono essere dannati, ma avrà semplicemente offerto agli uomini la sua
indulgenza mediante la quale li sopporta e li indurisce, e la sua misericordia,
mediante la quale li imprigiona e li punisce, lasciando loro la cura di
scegliere tra salvezza e perdizione - mentre Egli stesso sarà forse partito per
andare a banchettare al paese degli Etiopi, per dirla con Omero .
Dio diverrebbe così un dio simile a quello
dipintoci da Aristotele : un Dio che dorme e che lascia le persone usare ed
abusare a loro piacimento della sua bontà e del suo giudizio. E la ragione umana
non può giudicar diversamente da come giudica la Diatriba : infatti come essa
dorme e disprezza le cose divine parimenti pensa che anche Dio debba dormire e
russare e che , trascurando il suo potere di scegliere quelli che ha scelto e
trascurando di accordare loro lo Spirito ha abbandonato agli uomini il compito
penoso di accettare la sua bontà e la sua collera.
Ecco a che cosa giungiamo quando vogliamo
misurare e scusare Dio con la umana ragione e quando, invece di rivivere la
maestà divina nascosta, cerchiamo di penetrarne il mistero...
Cerchiamo tuttavia di capire per quale
ragione la Diatriba vede in questo passo dell’Esodo un’espressione figurata.
Sembra assurdo - essa dice- che Dio, il
quale non e’ solamente giusto, ma anche buono, abbia indurito il cuore di un
uomo onde manifestare la sua potenza mediante la cattiveria di quest’ultimo.
Perciò la Diatriba ricorre ad Origene il quale riconosce che l’occasione
dell’indurimento è stato dato da Dio, ma ne fa ricadere la colpa sul Faraone.
Origene nota - inoltre - che Dio ha detto: « Ti ho suscitato onde mostrare la
mia potenza» (Esodo IX, 16), ma non ha detto: « Ti ho creato ». Infatti, infatti
in questo secondo caso, Faraone non sarebbe stato empio poiché Dio, considerando
le sue opere, aveva detto in Genesi 1, 31: « tutto ciò che ho creato è bene ».
Così parla la Diatriba...
Risponderò ìnnanzitutto dicendo che la
prima parola è stata pronunciata prima della caduta, quando ciò che Dio aveva
fatto era senz’altro buono. Ma vediamo poi, ben tosto, come l’uomo sia diventato
malvagio, come sia stato abbandonato da Dio e lasciato a se stesso. Da quest’uomo
divenuto corrotto sono nati tutti gli empi compreso il Faraone, così come dice
Paolo(Efesini II,3) " noi pure eravamo per natura figliuoli della collera, come
gli altri »... Tu vorresti applicare alle opere di Dio dopo la caduta queste
parole:"esse erano molto buone". Ti farò osservare che queste parole sono
pronunziate non per noi ma per Dio. Non è infatti detto: « l’uomo vide ciò che
Dio aveva fatto e ciò che vide era molto buono ». Parecchie delle cose che sono
molto buone agli occhi di Dio sono molto cattive ai nostri occhi. Le afflizioni,
i mali, gli errori, l’inferno e anche le migliori opere di Dio sono cattive e
condannabili agli occhi del mondo. Che c’è di meglio che Cristo ed il suo
Evangelo? Ma che c’è di peggiore per il mondo? Dio solo sa in che cosa ciò che
ci pare cattivo è invece fatto per il nostro bene ed anche quelli che vedono con
gli occhi di Dio, vale a dire quelli che possiedono lo Spirito, lo sanno...
E’ così che Dio indurisce il cuore di
Faraone, presentando alla sua volontà malvagia la sua parola e le sue opere,
parola ed opere che quest’ultimo detesta a causa del suo peccato innato e della
sua naturale corruzione. Ma mentre la sua immaginazione si esalta al pensiero di
questa potenza e mentre considera con disprezzo Mosè e la parola di Dio, di più
in più s’incaponisce nel suo orgoglio e nel suo disprezzo; e più Mosè lo
minaccia, più egli si irrita ed indurisce il suo cuore ..
Vedi dunque che questa parola della Bibbia
e’ una conferma che il libero arbitrio non può volere che il male, poiché Dio,
che tutto sa e che non mente mai, predice con certezza l’indurimento di cuore
del Faraone: Egli sa, infatti, che una volontà malvagia non può volere che il
male e che quando le si presenta il bene che le e’ contrario non può che
diventare ancora più malvagia. Ma c’e’ ancora una obiezione; , si potrà chiedere:
perché Dio non sospende l’azione sua onnipotente, azione che mette in moto la
volontà degli empi in modo che questa volontà resti cattiva ed anzi lo divenga
sempre di più?
Risponderò: sarebbe come chiedere che Dio,
per un riguardo verso gli empi, cessi di essere Dio; infatti chiedere che la sua
potenza e la sua azione cassino e’ come volere che Dio cessi di essere buono
onde gli empi non peggiorino. Ma perché Dio non trasforma le volontà cattive che
mette in moto? E’ questo uno dei segreti della maestà divina i cui giudizi
restano incomprensibili alla nostra ragione. Non è affar nostro indagar questi
misteri e dobbiamo accontentarci di adorarli...
Vediamo ora il passo dell’epistola ai
Romaní (cap. IX, 17) dove Paolo commenta questo testo dell’Esodo. A quali
miserevoli arguzie la Diatriba è costretta per non perdere la causa in difesa
del libero arbitrio! 7. Certe volte essa dice che si tratta di una necessitas
consequentiae e non di una necessitas consequentis; ed altre volte che è una
volontà ordinata o significata da Dio, voluntas signi, alla quale si può
resistere, e che è una volontà secondo il suo volere, voluntas placiti, alla
quale non si può resistere. A volte essa dice che i passi citati di Paolo non si
contraddicono e che non parlano della salvezza dell’uomo. A volte la prescienza
di Dio presuppone la necessità ed a volte non la presuppone. A volte la grazia
previene la volontà, l’accompagna nel suo progredire e le assicura la salvezza
finale. A volte è la causa prima che fa tutto ed altre volte essa agisce per
mezzo delle cause seconde che intervengono mentre, essa riposa...
Noi sappiamo che un’eclisse di sole si
produce non perché noi l’abbiamo previsto, ma l’abbiamo previsto perché deve
prodursi. Ma che ci importa di questa prescienza? E’ della prescienza di Dio che
noi parliamo: se tu non gli riconosci la realizzazione necessaria delle cose da
Lui previste, tu abolisci la fede ed il timor di Dio, tu riduci a nulla tutte le
promesse e le minacce divine, anzi, tu neghi la stessa divinità. Ma ecco che
come un’anguilla tu nuovamente ci sfuggi e dici: invero Paolo non tratta questo
problema e biasima chi se ne occupa: « o uomo, chi sei tu per contendere con
Dio? » (Romani IX, 20). Quale mirabile scappatoia!...
Innanzi tutto Dio è onnipotente non solo
per il suo potere ma anche per la sua azione, altrimenti sarebbe un Dio
ridicolo. In secondo luogo sa tutto e prevede tutto, perciò’ non può errare ne
fallire. Se il nostro cuore e la nostra intelligenza approvano pienamente questi
due punti, siamo obbligati d ammettere , per una conseguenza ineluttabile, che
non siamo stati creati , per nostra volontà, ma per necessità ; e perciò non
facciamo ciò che ci piace in virtù del nostro libero arbitrio, ma ciò che Dio
ha previsto da ogni eternità e che fa accadere secondo il suo proponimento ed
il suo potere infallibili ed 8immutabili... Ritorno a Paolo. Se in Romani IX non
trattasse di ciò che qui ci occupa e non definisse la ineluttabilità che ne
viene per noi dalla prescienza e dalla volontà di Dio, perché introdurrebbe
allora il paragone del vasaio che, con la stessa argilla, fabbrica vasi di uso
nobile e vasi di uso vile?... Sono gli uomini che egli paragona all’argilla e
Dio al vasaio. Questo paragone non avrebbe alcun senso e sarebbe stato fatto
invano se non volesse significare che noi non siamo liberi. Anzi, tutto quello
che Paolo dice circa la grazia e la sua funzione sarebbe inutile e senza
oggetto.
Qual’e ,infatti , lo scopo che Paolo
persegue nella sua epistola? Quello di far vedere che noi non possiamo far
nulla, anche quando sembriamo fare il bene... Insomma, la Diatriba tratta questi
testi paolinici con tanto timore ed esitazione che la sua coscienza sembra
essere in disaccordo con le sue parole. Là dove essa potrebbe e dovrebbe
continuare e concludere la sua dimostrazione, si interrompe quasi sempre
dicendo: « ma ora basta », oppure : « non esaminerò questo punto nei suoi
particolari »... essa lascia la questione in sospeso... Siamo poi costretti ad
ammirare l’eleganza con la quale la Diatriba cerca di salvare capra e cavoli,
cioè la libertà e la necessità, dicendo:" ogni necessita’ non e’ detto che
escluda il libero arbitrio così il Padre genera il Figlio necessariamente e
tuttavia liberamente e volontariamente. Ma - dico io - stiamo parlando di
necessita’ o di forza maggiore , cioè’ di violenza ? Non abbiamo forse, in tante
pubblicazioni dimostrato che si tratta per noi di necessità immutabili e non di
forza maggiore, cioè di violenza? Noi sappiamo che il Padre genera
volontariamente e sappiamo che Giuda ha tradito il Cristo volontariamente; ma
noi diciamo che questa volontà doveva manifestarsi in Giuda in modo certo ed
infallibile dal momento che Dio l’aveva previsto...
Non ci s’aspettava da Erasmo che
sollevasse il proble ma di come si potesse spiegare che la prescienza di Dio sia
certa e che tuttavia i nostri atti si presentino contingenti. Questo problema
esisteva già ben prima della Diatriba: ma ci si poteva aspettare da Erasmo una
risposta ed una definizione. Invece egli si sottrae a quest’obbligo ricorrendo
ad un artifizio retorico e ci trascina con lui, noi che nulla sappiamo di
retorica, come se la questione fosse senza importanza e si trattasse di mere
sottigliezze, e si precipita lontano dalla battaglia, coronato di edera e di
alloro. Ma no, fratello mio!... Non sopportiamo che il retore scappi e si
dissimuli... siamo giunti al cuore stesso della questione: o il libero arbitrio
sarà schiacciato, oppure trionferà... Che m’importa, infatti, che il libero
arbitrio non sia costretto ma che faccia volontariamente ciò che fa? Mi è
sufficiente che tu conceda che necessariamente fa, volendolo, ciò che fa e che
non può comportarsi diversamente da quello che Dio ha previsto Se Dio ha
previsto che Giuda deve tradire, o se ha previsto che deve modificare la sua
volontà di tradire , quel che ha previsto deve necessariamente prodursi ;
infatti se cosi’ non fosse - Dio si sbaglierebbe in quel che prevede , il che è
impossibile...
Vediamo ora il secondo passo, quello
relativo a Giacobbe e ad Esaù, del quale è detto - prima ancora entrambi fossero
nati - « il maggiore servirà il minore » (Genesi XXV, 23). La Diatriba elude
questo passo dicendo che non concerne propriamente la salvezza dell’uomo: Dio
può infatti volere che un uomo sia schiavo e povero - che quest’uomo lo voglia
oppure no - senza escluderlo per questo dalla salvezza eterna... Ma Paolo ha
forse torto a citare questo passo? . Vogliamo forse, in una discussione così
seria, accusar Paolo di ridicolo o di incapacità? ... Paolo prova con questo
testo che non è per i meriti di Giacobbe e di Esaù, ma in virtù di una vocazione
che è detto a Sara « il maggiore servirà il minore ». Paolo discute la seguente
questione: è per ineluttabile necessità o per il merito del libero arbitrio che
essi sono giunti a quel che è stato annunziato nei loro riguardi? Dimostra che
non è per il libero arbitrio ma solo per la grazia di Colui che li ha chiamati,
che Giacobbe è giunto là dove non è giunto Esaù. ... In che cosa il libero
arbitrio ha aiutato Giacobbe? In che cosa ha nuociuto ad Esau’? In che cosa ha
giovato il libero arbitrio se, in virtù’ della prescienza e della
predestinazione divine, era gia’ stabilito, prima ancora che nascessero ed
avessero fatto alcunché, quale sarebbe stato il destino di ciascuno, vale a dire
che uno doveva servire e l’altro signoreggiare?...
In quanto al versetto di Malachia che
Paolo aggiunge alla sua citazione (Malachia 1, 2) di Romani IX, 13: « Ho amato
Giacobbe ed ho odiato Esaù », la Diatriba la deforma in tre modi. Innanzi tutto:
se ci atteniamo alla lettera - essa dice - Dio non ama come noi amiamo e non
odia come noi odiamo, anzi non odia alcuno perché una passione del genere non si
addice a Dio... Noi sappiamo bene che Dio non ama e non odia come noi: infatti i
nostri amori ed i nostri odi sono mutevoli, mentre l’amore e l’odio di Dio sono
eterni ed immutabili per natura...
Tutto capita quindi in noi
necessariamente, a seconda che Dio ami o non ami, per l’eternità; perciò non è
solo lo l’amore di Dio, ma anche - il suo modo di amare che produce in noi la
necessità... E’ dunque con ragione che Paolo ha citato Malachia in appoggio alle
parole di Mosè secondo le quali Dio ha chiamato Giacobbe prima della sua nascita
perché lo amava e non perché Giacobbe avesse amato Dio per primo o avesse
meritato questa grazia in qualche modo; e ciò onde si potesse constatare, con
l’esempio di Giacobbe e di Esaù, di cosa il nostro libero arbitrio fosse capace!
In secondo luogo, tu - o Erasmo - ti
sforzi di dimostrare che Malachia non sembra parlare dell’odio che danna gli
uomini per l’eternità, ma di una afflizione limitata nel tempo. Però, quelli che
sono rimproverati - in Malachia -sono gli uomini che volevano ricostruire Edom...
e Paolo prova, con questo testo di Malachia, che questa afflizione (per gli
Edomiti) non viene da un merito o da un demerito, ma dal solo odio di Dio per
Esaù e ne conclude che, perciò, il libero arbitrio non esiste...
Dimmi dunque: per quale ragione Dio ha
amato Giacobbe ed odiato Esaù? E ciò quando essi non erano ancora nati?
Innanzitutto è falso che Malachia parlò solo di una afflizione temporanea: per
di più non è della distruzione di Edoni che gli importa. Tu sovverti tutto il
pensiero del profeta. Malachia mostra chiaramente qual è il suo proposito: egli
rimprovera agli Israeliti la loro ingratitudine verso Dio che li ha amati, es
si, per contro, che non lo amano come loro Padre e non lo temono come loro
Signore...
Non è pertanto la temerarietà degli
Edomiti che vien qui biasimata, ma l’ingratitudine dei figli di Giacobbe che non
vedono ciò che vien concesso loro e ritirato ai loro fratelli Edomiti,
senz’altra ragione che l’odio di Dio per questi ed il suo amore per quelli. Come
possiamo dire, in queste condizioni, che il profeta parli d’una afflizione
temporanea? Le sue parole mostrano infatti chiaramente che egli parla di due
popoli, nati da due patriarchi, l’uno dei quali è gradito e salvato mentre
l’altro è reietto ed infine distrutto. Ma gradire o respingere un popolo non
vuol dire soltanto accordargli o rifiutargli beni temporali, vuol dire
accordargli o rifiutargli tutto. Infatti il nostro Dio non è solo un Dio delle
cose temporali, ma anche un Dio delle cose eterne...
Il terzo modo che tu hai trovato per
eludere i testi di Malachia e di Paolo è dire che, in un senso figurato, il
passo di Romani IX, 6 sg., non significa che Dio ama tutti i pagani e che odia
tutti gli Ebrei, ma che ama qualcuno e dell’una e dell’altra razza. Mercé questa
interpretazione la Diatriba perviene alla seguente conclusione: quando Dio ha
odiato uomini non ancora nati, ciò è potuto accadere perché Egli aveva la
prescienza delle cose odiose che essi avrebbero fatto; così odio ed amor di Dio
non intaccano il libero arbitrio... Ma noi non vediamo alcuna delle immagini
figurate, peraltro senza prove, dalla Diatriba. Sappiamo che gli uomini sono
rigenerati dalla fede e risospinti al male dall’incredulità e che occorre
esortarli a credere, onde non siano nuovamente occasione di caduta. Ma ciò non
vuol dire che essi possano credere o non credere in virtù del loro libero
arbitrio, ed è precisamente qui che sta il chiodo della questione... Discutiamo
per sapere in virtù di qual merito o in virtù di quale opera gli uomini possono
pervenire alla fede, grazie alla quale saranno rigenerati, o pervenire
all’incredulità per la quale saranno dannati: ciò è affare del dottore. Ma tu,
definisci dunque una buona volta questo merito! Paolo insegna che ciò avviene
non per merito nostro, ma solo per amore o odio di Dio. E quando ciò accade,
egli esorta a perseverare nella fede onde non essere reietti da Dio. Ma questa
esortazione non ci mostra quel che possiamo fare, bensì quello che dovremmo
fare...
La terza citazione è tratta da Isaia XLV,
9: « L’argilla dice forse a colui che la modella: che cosa fai? » e da Geremia
XVIII, 6: « Come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nella mia
mano ». Nuovamente la Diatriba pretende che Paolo dia a queste parole un senso
più esteso di quello che esse hanno presso i profeti... Vorrei, innanzitutto,
dire questo: Paolo non sembra aver preso questo paragone dai profeti, e la
Diatriba non dimostra che l’abbia tratto da loro. Infatti Paolo ha l’abitudine
di citare l’autore dal quale trae questa o quella parola della Scrittura: qui,
non lo fa. t dunque verosimile pensare che Paolo abbia qui utilizzato, in
appoggio alla sua tesi, un paragone assai diffuso... Vale però la pena di vedere
come la Diatriba dimostri che questo paragone usato da Paolo non esclude il
libero arbitrio. Essa tira in ballo due assurdità, tratte l’una dalla Scrittura
e l’altra dalla ragione naturale . Ecco ciò che essa deduce dalle Scritture.
Paolo ha detto in Il Timoteo 11, 20: « in una grande casa non ci son soltanto
vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di terracotta; gli uni sono vasi
d’uso nobile e gli altri d’uso volgare ». Ed aggiunge subito: « se dunque
qualcuno si conserva puro, astenendosi da queste cose sarà un vaso d’uso nobile,
ecc. »... La Diatriba dice che questo discorso ha un senso solo se ammettiamo
nei vasi un uso della ragione ed un uso libero... Ma Paolo non ha detto: « se
qualcuno si purifica delle sue impurità », ma ha detto: « se qualcuno si
purifica da quelle cose », vale a dire dei vasi di uso volgare. Il senso è
dunque il seguente: se qualcuno rimane appartato e non si mescola con i maestri
di empietà, sarà un vaso d’uso nobile, ecc. ecc.
La Diatriba pecca in questo che,
trascurando la ragione per la quale il paragone è fatto (che è pur sempre la
cosa principale da considerare), si attiene unicamente alle parole. Ma il segno
di una affermazione - dice Ilario Il deve essere ricercato non solo nel
significato delle parole, ma nel perché di quell’affermazione. Parimenti
l’efficacia di un paragone dipende dalla ragione per cui vien fatto.
Perché dunque la Diatriba trascura la
ragione per la quale Paolo si serve di quel paragone e si sofferma solo su ciò
che è estraneo al motivo per cui se ne serve? Quando Paolo dice: « se qualcuno
si purifica » si tratta d’una esortazione, ma quando dice: « in una grande casa
ci sono vasi, ecc ... . » ciò deve essere interpretato alla luce della sua
teologia. Possiamo così comprendere - tenendo conto delle parole e del senso
-che Paolo parla di diversità di vasi e di diversità del loro uso. Il senso è
allora il seguente: quando tanti uomini si allontanano dalla fede volgendole le
spalle, la nostra consolazione risiede unicamente nella certezza che il
fondamento posto da Dio rimane saldo perché porta il suo sigillo... La parabola
del vasaio in Romani IX ha il medesimo significato. Perciò il paragone di Paolo
mantiene tutta la sua efficacia: dimostra che di fronte a Dio il libero arbitrio
non esiste. Poi viene l’esortazione: « se dunque qualcuno si conserva puro,
ecc... ». Il significato di queste parole appare chiaro alla luce di quel che
abbiamo detto più sopra. Infatti non ne risulta che l’uomo abbia il potere di
purificare se stesso, ma se questo testo dovesse provare qualche cosa in questo
senso, sarebbe che il libero arbitrio può purificarsi anche senza la grazia...
15. Il paragone non è messo, d’altronde, 729
al condizionale, ma all’indicativo: come
ci sono eletti e reprobi, così ci sono vasi pregiati e vasi di nessun valore. La
seconda assurdità messa in campo dalla Diatriba è presa a prestito alla Signora
Ragione, più comunemente chiamata ragione umana: non è il vaso che bisogna
accusare ma il vasaio, tanto più che è il vasaio stesso il creatore dell’argilla
. Questo vaso, dice la Diatriba, è gettato nel fuoco eterno pur non avendo
commesso colpa alcuna se non quella di non essere l’artefice di se stesso. In
nessun altro punto la Diatriba si tradisce più apertamente di qui. Essa ripete,
infatti, sia pure con parole diverse, ciò che Paolo fa dire agli empi: « Perché
biasimi ancora? Chi può resistere alla sua volontà ? ».E’ proprio questo che la
ragione non puo ne comprendere né sopportare: è questo che ha scandalizzato
tanti spiriti eminenti, riveriti per tanti secoli. Essi pretendono che Dio
agisca in modo conforme al diritto umano e faccia ciò che a loro pare sia giusto
; senno’ non e’ piu’ Dio . Che cosa importa loro dei misteri della divina
maestà? Egli deve rendere dei conti, dirci perché è Dio, perché vuole e fa
questa o quella cosa che non sembra giusta, esattamente come se noi citassimo in
giudizio un calzolaio o un fabbricante di cinture. La carne non considera Dio
degno d’essere chiamato giusto e buono se dice cose che vanno oltre le
definizioni giuridiche del Codice di Giustiniano o del quinto libro dell’Elica
di Aristotele...
La Diatriba arriva infine ai passi citati
da Lutero contro il libero arbitrio ‘. Il primo è quello di Genesi VI, 3: « il
mio spirito non dimorerà nell’uomo perché egli non è che carne ». Essa confuta
questo passo in diversi modi. Innanzitutto dice che « carne » qui non significa
disposizione empia dell’uomo, ma debolezza. Inoltre, aggiungendo del proprio al
testo di Mosè, la Diatriba dice che questo versetto concerne gli uomini di
quell’epoca e non il genere umano tutto intero... Esaminiamo il testo ebraico: «
il mio spirito non sarà sempre giudice nell’uomo, poiché egli non è che carne ».
Tali sono i termini dei quali si serve Mosè... le parole sono - mi sembra -
sufficientemente chiare ed evidenti. Sono parole di un Dio irritato, come lo
dimostra ciò che precede e ciò che segue, in particolar modo la storia del
diluvio... Il senso, pertanto, di questo testo di Genesi è il seguente: « il mio
Spirito, che è in Noè ed in altri uomini p-li, accusa questi empi con la
predicazione e la vita degli uomini pii ». Essere giudice fra gli uomini
significa infatti esercitare fra di loro il ministero della Parola, agire,
punire, esortare, minacciare sia al momento opportuno, sia in modo inopportuno.
Ma ciò invano: gli uomini infatti sono accecati ed induriti nel loro cuore dalla
carne; più ricevono l’insegnamento e la Parola, più diventano malvagi. Ed è ciò
che ha attirato la collera di Dio ed il diluvio, infatti gli uomini non solo
peccavano, ma anche disprezzavano la grazia ,così come dice il Cristo: « la luce
è venuta sul mondò-, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce »
(Giovanni 111, 19)...
La seconda citazione è tratta da Genesi
VIII, 21: « 1 pensieri del cuore dell’uomo sono malvagi fin dalla sua giovinezza
» ed al capitolo VI (v. 5): « I pensieri del cuore umano ogni giorno si volgono
al male ».
La Diatriba elude questi passi biblici nel
seguente modo 19: l’inclinazione al male esistente presso la più gran parte
degli uomini non elimina totalmente il libero arbitrio. Ma - ti supplico - Dio
parla forse « della più gran parte degli uomini »? Non parla forse - piuttosto -
di tutti gli uomini, dato che, dopo il diluvio, come se si pentissero se,
promette agli uomini presenti e futuri di non più far venire il diluvio su di
loro, a causa degli uomini? E dà come ragione la seguente: se si dovesse
prendere in considerazione la cattiveria degli uomini il diluvio non finirebbe
mai... Vedi dunque che prima e dopo il diluvio Dio afferma che gli uomini sono
malvagi; e quel « la più gran parte » della Diatriba non ha più senso... La
terza citazione è tratta da Isaia XL, 2: « Gerusalemme ha ricevuto dalla mano
dell’Eterno il doppio per tutti i suoi peccati ». Secondo Girolamo - dice la
Diatriba 21 -si tratta qui della vendetta divina, non della grazia concessa per
i nostri peccati. Mi si dice: è opinione di Girolamo, dunque è vera. Ma io mi
occupo di Isaia che si esprime in termini molto chiari; ed ecco che mi si oppone
Girolamo, un uomo sprovvisto di ogni giudizio e di ogni attenzione... Il passo
di Isaia significa non solo la remissione dei peccati ma anche la fine dei «
servizio di guerra ». Così, essendo stata abolita la legge che era una potenza
del peccato, ed essendo stato perdonato il peccato, che era il dardo della morte
21, essi regneranno, doppiamente liberi, per mezzo della vittoria di Gesù
Cristo. Isaia lo dice bene: « per mano dell’Eterno ». Non è quindi per mezzo
delle loro forze o dei loro meriti, ma hanno ricevuto tutto gratuitamente dal
Cristo vittorioso... Il mio testo di Isaia rimane perciò vittorioso sul libero
arbitrio: esso dimostra infatti che la grazia non è concessa per i meriti o gli
sforzi del libero arbitrio, ma per i peccati ed i demeriti e che il libero
arbitrio, lasciato a se stesso, non può che servire il peccato... Ma qui la
Diatriba ricomincia a ragionare: è possibile - essa dice - che per la legge il
peccato abbondi e che là dove il peccato abbonda la grazia pure abbondi. Ma da
ciò non consegue che, prima di ricevere la grazia, l’uomo non possa. con l’aiuto
di Dio, prepararsi moralmente per mezzo di buone opere a questo favore divino...
Ma perché la Diatriba dice che l’uomo può, con l’aiuto di Dio, prepararsi alla
grazia mediante opere buone? Di che parliamo noi dunque? Del soccorso di Dio o
del libero arbitrio? Che c’è, infatti, di impossibile con il soccorso di Dio?
Ma, ritorno a quel che ho già detto, la Diatriba disprezza l’argomento di cui
tratta... essa cita l’esempio del centurione Cornelio le cui preghiere ed
elemosine furono gradite a Dio quando ancora non era stato battezzato e non
aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo I’. Ho letto anch’io questo racconto
negli Atti degli Apostoli, ma non vi ho trovato una sola sillaba dalla quale si
possa concludere che le opere di Cornelio siano state moralmente buone senza lo
Spirito Santo, così come pensa la Diatriba. Leggo - al contrario - che Cornelio
era « giusto e timorato di Dio »: è ciò che Luca dice di lui . Ora, dire di un
uomo che non abbia ricevuto lo Spirito Santo, che è « giusto e timorato di Dio »
è pressappoco come se si chiamasse Cristo l’Anticristo!... E’ vero che Cornelio
non aveva ancora ricevuto il battesimo e non aveva ancora udito predicare Cristo
risorto. Ma da ciò dobbiamo concluderne che non aveva ricevuto lo Spirito Santo
? In questo caso dovremmo pure dire che Giovanni Battista ed i suoi genitori,
che la madre del Cristo e Simeone non avevano ricevuto lo Spirito. Lasciamo la
Diatriba alle sue tenebre opache! La quarta citazione è tratta dal medesimo
quarantesimo capitolo di Isaia, v. 6 e seguenti: « ogni carne è come l’erba e
tutta la sua grazia è come il fiore del campo. L’erba si secca il fiore
appassisce quando il soffio dell’Eterno vi passa sopra ». La Diatriba pensa che
è eccessivo vedervi qui un’allusione al libero arbitrio, ed alla grazia". E
perché? Perché Girolamo - essa dice - dà alla parola « soffio » il senso di
collera ed alla parola « carne » il senso di debolezza umana, debolezza che
nulla può di fronte a Dio... Abbiamo già espresso la nostra opinione riguardo a
ciò che dice Gerolamo... L’interpretazione del passo che si deve dare è assai
più suggestiva: il fiore dei campi è la gloria quale risulta dal successo delle
cose corporali. Gli Ebrei si gloriavano del loro tempio, della loro
circoncisione, dei loro sacrifici, i Greci si gloriavano della loro saggezza.
Dunque, il fiore dei campi e la gloria della carne è la giustizia quale risulta
dalle opere e dalla saggezza del mondo. Come può la Diatriba chiamare la
giustizia e la saggezza « cose corporali »? Che cosa ha a che fare questo con
Isaia che dà lui stesso l’interpretazione delle sue parole dicendo: « certamente
il popolo è come l’erba »; non dice: « l’erba è la debolezza umana », ma dice: «
l’erba è il popolo »... « Il popolo » - perciò’ - non è solo la carne o la
debolezza della natura umana: questa parola racchiude tutto ciò che fa parte del
popolo: i ricchi, i sapienti, i giusti, i santi... il « fiore dei campi »
designa in effetti la gloria della quale gli uomini si inorgogliscono a causa
del regno e dello Stato, ma soprattutto a causa della legge, di Dio, della
giustizia e della saggezza, di tutto ciò insomma di cui parla Paolo in Romani II,
III e IX, [11, 17; III, l; IX, 4]... Dicendo: « ogni carne è come l’erba » il
profeta non esclude nessuno, salvo io Spirito che - appunto - fa seccare l’erba.
E quando dice: « il popolo è come l’erba », non tralascia alcun membro « di
questo popolo »...
Ed ecco ciò che dice Giovanni (111, 6): «
quel che è nato dalla carne è carne; e quel che è nato dallo Spirito è spirito
». Questo passo prova in modo irrefutabile che ciò che non è unto dallo Spirito
è carne: senza ciò, la distinzione fatta dal Cristo che divide gli uomini in due
parti, carne e spirito, non sussisterebbe. Ma tu - o Erasmo - sorvoli
rapidamente su questo passo, come se non insegnasse ciò che tu cerchi e corri -
secondo il tuo solito - in altra direzione, dopo averlo interpretato così:
Giovanni vuol dire che tutti i credenti nascono a nuova vita e diventano
figliuoli di Dio, diventano cioè degli dei e delle nuove creature.
Non ti preoccupi della divisione stabilita
dal Cristo e ti limiti a mettere in risalto lo spirito senza parlar della
carne... Allo stesso modo gli Ebrei sostengono che le Scritture non dimostrano
ciò che il Cristo, gli Apostoli e tutta la Chiesa hanno insegnato; gli eretici
non possono essere in alcun modo istruiti dalle Scritture ed i papisti non hanno
imparato nulla dalla Bibbia, benché le pietre stesse proclamassero la verità...
Quando tu dici che la parte affettiva
dell’uomo non è tutta carnale, ma che c’è una parte dell’uomo chiamata anima ed
una parte chiamata spirito che possono sforzarsi verso il bene come han fatto i
filosofi insegnando che val meglio morir mille volte piuttosto che commettere
azioni vergognose, anche se fossimo sicuri che gli uomini nulla ne saprebbero. e
che Dio non ne terrebbe conto, rispondo: colui che non ha la certezza della fede
può facilmente credere e dire tutto quello che vuole. Non sono io ma il tuo
Luciano che ti domanda: puoi tu mostrarci in tutto il genere umano un uomo solo
( fosse pure due o sette volte migliore di Socrate) che abbia effettivamente
fatto ciò che tu dici che essi insegnano? A che conduce tutto questo tuo
cianciar senza senso? Come avrebbero essi potuto sforzarsi verso il bene, essi
che non sapevano neppure che cosa fosse il vero bene? Forse tu dirai, per citare
gli esempi piu’ famosi , che fare il bene è morir per la-propria patria, per la
propria moglie ed i propri figli, o sopportare i peggiori supplizi per non
mentire o tradire, come fecero Muzio Scevola ed Attilio Regolo. Ma che cosa puoi
mostrare presso le persone che hanno compiuto questi atti, se non l’aspetto
esteriore delle opere loro? Hai tu forse visto il cuore loro? Ma c’è di più: se
consideriamo il puro aspetto esterno dei loro atti, appare evidente che han
fatto tutto quello in vista unicamente della loro propria gloria personale, a
tal punto’ da non aver scrupoli di vantarsene e di gloriarsene. E’ per orgoglio
che i Romani, per loro stessa testimonianza, hanno compiuto tutti questi atti di
virtù; e ne è lo stesso per i Greci, per gli Ebrei e per tutti gli uomini. Ma se
tutto ciò appare onorevole agli occhi degli uomini, non c’è nulla di più
disonesto, più empio e più sacrilego agli occhi di Dio che le azioni compiute
non per la gloria di Dio, ma - al contrario - per strappargli quella gloria nel
modo più empio ed attribuirsela.
Ed infatti essi non sono mai stati così
vili come quando le loro virtù rifulgevano in tutto il loro splendore. Come
avrebbero potuto agire per la gloria di Dio se ignoravano Dio e la sua gloria?
Non che questa non fosse visibile: ma la carne che li spingeva a ricercar
follemente la loro propria gloria, non permetteva loro di vederla.
Eccolo dunque questo spirito, « principio
direttore dell’azione », questa miglior parte dell’uomo che si sforza verso il
bene :è lui che priva Dio della sua gloria ed offende la sua maestà e che
l’offende tanto più gravemente quanto più l’uomo brilla per le sue proprie
virtù. Oserai tu negare, dopo ciò, che questi uomini siano carne e siano dannati
a causa della loro empietà?...
L’altra citazione che tu riporti è tratta
da Geremia 1 (v. 23): « 0 Eterno, io so che la via dell’uomo non è in suo potere
e che non è in poter dell’uomo che cammina il dirigere i suoi passi ». Questo
testo - dice la Diatriba 21 - Si riferisce più al buon o cattivo esito degli
avvenimenti che al libero arbitrio...E’ sufficiente che l’abbia detto Erasmo
perché sia vero? Se dessimo ai nostri contraddittori ogni facoltà di fare delle
glosse marginali di commento alle Scritture, a quali risultati giungeremmo?...
Ammiriamo però questa glossa erasmiana che nega la libertà dell’uomo per
sostenere gli avvenimenti temporali e senza importanza e li predica come se
fossero avvenimenti divini. P- come se si dicesse: Codro non può pagare uno
statère ma può pagare migliaia di pezzi d’oro. Ed ammiro la Diatriba che, dopo
aver tanto attaccato la tesi di Wyclif, secondo la quale tutto avviene per
necessità, riconosce lei stessa che per noi gli accadimenti avvengono
necessariamente... Lo stesso dicasi per questo passo dei Proverbi XVI (v. 1): «
all’uomo i disegni del cuore; ma la risposta della lingua vien dall’Eterno ». La
Diatriba pretende qui ancora che si tratti dell’esito degli eventi, come se
questa affermazione fondata unicamente sulla sua autorità dovesse essere
sufficiente... ma vedete la sottigliezza [di Erasmo]: come può l’uomo formulare
progetti nel suo cuore se Lutero afferma che tutto avviene per pura necessità?
Rispondo: se il destino degli avvenimenti non è in nostro potere - come tu dici
- come può l’uomo eseguire i suoi progetti ?...
La Diatriba ritorna tuttavia alla sua
vecchia litania sostenendo che nel libro dei Proverbi ci sono molti passi in
favore del libero arbitrio, quale il seguente (XVI, 3): « rimetti le tue cose
nell’Eterno »... Forse che il fatto che ci siano in questo libro verbi
all’imperativo ed al congiuntivo e pronomi personali in seconda persona, ciò
fonda il libero arbitrio? Per esempio: « rimetti le tue cose nell’Eterno » vuol
forse dire che tu puoi veramente rimetterle? Vuol forse dire che effettivamente
lo fai? Parimenti questa parola: « lo sono il tuo Dio » significa forse per te:
« tu fai di me il tuo Dio? ». « La tua fede ti ha salvato » vuol proprio dire la
« tua »? Se sì, allora devi intendere il passo nel senso che tu sei il
produttore della tua fede ed allora veramente avrai provato il libero
arbitrio...
Inoltre, dopo aver detto che le
testimonianze raccolte n gran numero da Lutero possono essere interpretate sia
pro sia contro il libero arbitrio, la Diatriba cita il testo di Giovanni XV, 5:
« Senza di me voi non potete far nulla », passo incontestabile del quale Lutero
ha fatto la sua lancia d’Achille 31.
Vediamo come la magnifica ed eroica
Diatriba si comporta per vincere il mio Achille, lei che fin qui non è stata
capace di battere un semplice soldato od anche un Tersite, ma anzi si è
miserevolmente ferita lei stessa con le proprie mani. Essendosi dunque
impadronita di questa piccola parola « nulla » (« senza di me voi non potete far
nulla ») essa la soffoca in un mare di esempi e (con una interpretazione
appropriata!) la conduce a significare « poco » o « qualche cosa », corne - cioè
- se il senso del passo di Giovanni fosse: « senza di me voi potete tuttavia
fare qualche cosa, sia pure imperfettamente », ovvero come se il senso del passo
fosse quello che i sofisti gli attribuiscono: « senza di me non potete far nulla
dí perfetto »...
Vediamo come la Diatriba riesce a
dimostrare che « nulla » vuol dire a qualche cosa ». Innanzi tutto essa tira in
ballo Paolo (I Corinzi 111, 7): « Non è colui che pianta che è qualche cosa né
colui che innaffia, ma Dio che fa crescere ». Ciò che è in sé di poca importanza
ed inutile di per se stesso è chiamato - dice la Diatriba - « nulla ». Da chi,
dico io. Da te, o Diatriba, che pretendi che il ministero della Parola sia in sé
inutile e di poco conto, mentre dappertutto Paolo lo esalta e lo glorifica
particolarmente in II Corinzi 111, 9 dove lo chiama « un ministero di vita e di
gloria ». Tu, o Erasmo, confondi gli argomenti e metti sullo stesso piano il «
nulla » dell’uomo innalzandolo a « qualche cosa » ed abbassi il tutto della
Parola operante nel suo ministro parimenti a « qualche cosa ».
Parimenti per il versetto 2 del cap. XIII
della I Corinzi: « Se non ho carità non sono nulla ». Non vedo perché la
Diatriba citi questo esempio. Infatti colui che non ha carità non è veramente
nulla davanti a Dio. t pure ciò che noi insegniamo riguardo al libero arbitrio
... Infatti non parliamo dell’essere della natura, ma dell’essere della grazia
(come si dice). Noi sappiamo che il libero arbitrio, per sua natura, può fare
qualche cosa: per esempio, mangiare, bere, generare, regnare. Che la Diatriba
non venga pertanto a prenderci in giro con un argomento pazzesco come il
seguente: « non possiamo neppur pensare senza Cristo se ci ostiniamo a dare un
significato assoluto alla parola « nulla ». Infatti io stesso, Lutero, ho
riconosciuto che il libero arbitrio non val niente, salvo che per peccare.
Ma la Diatriba ama raccontar frottole,
anche nelle cose serie... Parimenti per il versetto di Giovanni 111, 27: «
L’uomo non può ricevere cosa alcuna, se non gli è data dal cielo". Giovanni
parla qui di un uomo che era già qualche cosa; nega che possa attribuirsi
alcunché, vale a dire lo Spirito ed i suoi doni; infatti è di ciò che parla e
non della natura. Infatti non ha avuto bisogno che glielo insegnasse la Diatriba
per sapere di avere occhi, naso, orecchie, bocca, mani, spirito, volontà,
ragione e tutto ciò che appartiene all’uomo. A meno che la Diatriba non creda
che il Battista, parlando dell’uomo, fosse così matto da pensare al caos di
Platone o al vuoto di Leucippo o all’infinito di Aristotele o a qualche altro
nulla che sarebbe diventato qualche cosa per un dono del cielo ...
Così facendo la Diatriba non cita però
alcun esempio, alcun passo biblico nel quale « nulla » sia preso nel senso di «
poco » così come si era proposto di fare; in compenso essa dimostra con evidenza
di non preoccuparsi di comprendere ciò che è il Cristo e ciò che è la grazia, né
di comprendere in che cosa la natura differisce dalla grazia, cosa che pure i
sofisti più ignoranti hanno capito: infatti nelle loro scuole questa distinzione
era insegnata... Dopo di che la Diatriba si preoccupa solo di mettere giù, un
lungo elenco di paragoni , il cui unico scopo è di distogliere l’attenzione del
lettore ignorante e di fargli dimenticare ciò di cui si tratta...
Noi non discutiamo per sapere ciò che
possiamo fare grazie all’azione di Dio, ma per sapere ciò che possiamo fare , in
quanto uomini fatti di niente, per prepararci a diventare nuove creature. E’ qui
che bisognerebbe rispondere senza cercare diversivi. Ed ecco come noi
rispondiamo : come l’uomo - prima della sua creazione - non fa nulla per
diventare una creatura, ed una volta creato non fa nulla per restare tale (l’una
e l’altra cosa si producono infatti unicamente per volontà di Dio sommamente
buono ed onnipotente che ci ha creati e ci conserva in vita senza alcuna nostra
partecipazione, di Dio che tuttavia non agisce in noi senza di noi perché ci ha
creati e conservati per agire in noi e farci collaborare con lui, sia fuori del
suo regno per una onnipotenza generale o nel suo regno per la potenza del suo
Spirito), così l’uomo, prima della sua nuova nascita non fa nulla che possa
prepararlo a questo rinnovamento ed a questo Regno...
Fermiamo qui la nostra difesa dei testi
che la Diatriba pretendeva confutare, onde non dare a questo libro proporzioni
eccessive. Il resto, se ne vale la pena, lo tratteremo in seguito quando
formuleremo le nostre affermazioni teologiche...
Non credo - te ne prego, mio caro Erasmo -
aver trattato questa questione più con ardore che con ragionamento . Non
sopporto tuttavia che mi si accusi di ipocrisia né che si dica ch’io penso in
modo diverso da come scrivo e che, nell’ardore della discussione - come tu
pretendi Il io mi sia lasciato trascinare a negare il libero arbitrio, mentre
prima gli attribuivo un certo qual potere. Non potrai trovar nulla di simile nei
miei libri, lo so. Le mie tesi ed i miei trattati, nei quali non ho cessato di
affermare che il libero arbitrio non è altro che nulla, non è altro che una
parola (res de solo titulo), son sempre lì. Vinto dalla verità, costretto e
spinto dalla discussione, ho così espresso la mia opinione. Se sono stato
violento, riconosco la mia colpa (se colpa è!) e mi rallegro grandemente che il
mondo mi renda questa testimonianza, trattandosi della causa di Dio. Possa Dio
stesso confermarmi questa testimonianza il giorno del giudizio!
Chi sarà allora più felice di Lutero per
aver difeso la causa della verità senza tiepidezza od ipocrisia ma con tutta la
passione della quale era capace?... Ma se son parso troppo violento verso la tua
Diatriba, perdonami... Chi è sufficientemente padrone di sé da impedire alla
propria penna di scaldarsi ed arroventarsi di tanto in tanto?
Tu che, per mancanza d’ardore, hai scritto
un libro sprovvisto di fiamma, lanci tuttavia spesso strali acuminati al punto
tale che un lettore mal disposto ti potrebbe considerare un polemista assai
velenoso. Ma tutto ciò non c’entra: dobbiamo perdonarci reciprocamente; infatti
noi siamo uomini e nulla d’umano ci è estraneo.
TERZA PARTE
Arriviamo a quella parte di questo libro,
l’ultima, nella quale dobbiamo, conformemente alle promesse, fare avanzare il
grosso delle nostre truppe contro il libero arbitrio: ma non le faremo entrare
tutte in linea. Come potrebbe un piccolo libro come il nostro compiere uno
schieramento def genere quando la Scrittura tutta intera, fino all’ultimo iota,
è dalla parte nostra?... Di tutta la nostra grande armata faremo avanzare
soltanto due capi con qualcuna delle loro legioni: Paolo e Giovanni
l’evangelista.
Paolo, scrivendo ai Romani, comincia così
la discussione contro il libero arbitrio ed in favore della grazia (Romani 1,
18): « La collera di Dio si scatena dal cielo contro ogni empietà ed ogni
ingiustizia degli uomini che considerano la verità prigioniera dell’ingiustizia
»... Che cosa significa ciò se non che sono degni della collera e del castigo
divini? E la causa di questa collera sta nel fatto che essi fanno soltanto cose
degne di collera e di castigo, vale a dire sono empi ed ingiusti e considerano
la verità prigioniera dell’ingiustizia. Dove è dunque questo potere del libero
arbitrio capace di sforzarsi al bene?... Quando Paolo parla dicendo « contro
tutte le empietà degli uomini », è come se dicesse « contro l’empietà di tutti
gli uomini »... Dice infatti, un po più su [in Romani I. 161: « L’Evangelo è
potenza di Dio per la salvezza d’ogni credente, del Giudeo prima e poi del Greco
»... L’Evangelo della potenza di Dio è pertanto necessario agli Ebrei come ai
Greci, vale a dire a tutti gli uomini; affinché credano e siano salvati dalla
collera divina... Quali uomini potresti citarci che non siano sottoposti a
questa collera quando anche i migliori, Ebrei e Greci, cadono sotto la
condanna?... Paolo sottopone tutti gli uomini alla collera di Dio e dichiara che
tutti gli uomini sono ingiusti ed empi Questo passo paolinico condanna pertanto
con forza il libero arbitrio,’; afferma che, malgrado tutte queste cose
eccellenti, cioè la legge, la giustizia, la saggezza e tutte le virtù delle
quali possa essere fornito, l’uomo resta empio, ingiusto e degno della collera
divina ... Paolo stabilisce una netta linea di divisione: ai credenti la
salvezza per mezzo dell’Evangelo; agli altri la collera; i credenti sono
dichiarati giusti, gli increduli son dichiarati empi ed ingiusti e sottoposti
alla collera divina. Tutto ciò significa che la giustizia di Dio e’ rivelata
nell’Evangelo, vale a dire per mezzo della fede: perciò tutti gli uomini sono
empi ed ingiusti...
Quando Paolo parla dell’Evangelo come di «
uno scandalo per i Giudei ed una pazzia per i pagani » [in I Corinzi 1, 23], non
esclude nessuno, salvo i credenti. « Per noi - egli, dice - che siamo salvati,
la predicazione della croce è una potenza di Dio » (I Corinzi 1, 18)... Non è
forse ancora ai più famosi Greci che Paolo fa allusione quando dice che i più
saggi fra di loro hanno lo spirito turbato, hanno il cuore immerso nelle tenebre
2 e che le loro discussioni filosofiche non sono state che vane ciancie senza
significato? Dimmi, non è forse la suprema saggezza greca quella alla quale
Paolo qui si attacca?... Ed è questa saggezza che altrove egli taccia di follia
e qui di vanità: infatti più essi progredivano in questa falsa saggezza, più
diventavano malvagi al punto che con il loro cuore indurito finirono per adorare
degli idoli e si abbandonarono a tutte quelle serie di abominazioni che
l’apostolo enumera in Romani 1, 23 e seguenti. Se dunque i più grandi sforzi e
l’opera dei migliori fra i pagani sono cose cattive ed empie, che cosa pensare
del popolo comune, di quelli, cioè, che erano i peggiori fra i pagani?...
Dov’è dunque il libero arbitrio? Tutti -
egli dice -Giudei e Greci, sono sotto l’imperio del peccato...
Vediamo ora come Paolo dimostra la sua
tesi per mezzo della Sacra Scrittura e se le parole ch’egli cita prendono più
forza sotto la sua penna che nel testo dal quale sono prese in prestito (Romani
111, 10-12): « non c’è nessun giusto, neppure uno; nessun intelligente, né
alcuno che cerchi Dio; tutti sono sviati, tutti sono pervertiti; nessuno fa il
bene, neppure uno »... t certo che si tratta qui di tutti gli uomini... Tu vedi
dunque: tutti i figliuoli degli uomini, tutti quelli che son sotto la legge, sia
i pagani che gli Ebrei, cadono sotto il giudizio di Dio perché sono ingiusti,
non intelligenti, perché nessuno di loro cerca Dio e tutti si allontanano da
Lui. Ed io credo fermamente che fra i figli degli uomini che vivono sotto la
legge si devono anche contare i migliori fra di loro, quelli che si sforzano
verso il bene con la forza del libero arbitrio e dei quali la Diatriba pretende
che portino dentro di loro il senso innato di ciò che è bene; a meno che tu non
pensi che siano figli degli angeli? Come potrebbero sforzarsi verso il bene
tutti questi uomini che ignorano Dio, non si preoccupano di Lui e non lo
cercano?...
Tutto ciò è così chiaro che nessuno può
obbiettare alcunché. Ma Erasmo ha l’abitudine di eludere questo passo paolino
dicendo che ciò che egli chiama le opere della legge .sono le opere rituali,
opere che, di certo, dopo la morte del Cristo conducono alla perdizione.
Rispondo: questo è l’errore e l’ignoranza di Girolamo al quale Agostino ha
vigorosamente resistito ; ma Dio essendosi ritirato e Satana avendo preso il
sopravvento, questo errore s’è sparso sul mondo ed ha persistito sino ai, nostri
giorni...
Anche se non ci fossero stati altri errori
nella Chiesa, questo solo errore era già di per sé così grave e pericoloso da
distruggere l’Evangelo; e se una grazia particolare non è intervenuta, di certo
Girolamo ha maggiormente meritato l’inferno che il paradiso. Quanto al
canonizzarlo e dichiararlo santo, è cosa che non oserei mai fare. Non è dunque
vero che Paolo parli soltanto delle cerimonie rituali; altrimenti cosa
significherebbe questa discussione la cui conclusione è che tutti gli uomini
sono giusti e che tutti hanno bisogno della grazia?... Le cerimonie rituali
erano richieste nell’Antico Testamento allo stesso modo con cui era richiesta
l’osservanza del Decalogo ed avevano lo stesso valore di quest’ultimo...
Ma Paolo dichiara in piena fiducia e con
piena autorità [Romani 111, 21 sgg: « Ora - però - indipendentemente dalla
legge, è stata manifestata una giustizia di Dio, attestata dalla legge , vale a
dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù, per tutti i credenti; poiché’
non vi e’ distinzione ; difatti tutti hanno peccato e son privi della gloria di
Dio, e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione
che è in Gesù Cristo, il quale Dio ha prestabilito come propiziazione mediante
la fede nel suo sangue ». Tutte queste parole sono altrettanti colpi di fulmine
contro il libero arbitrio.
In primo luogo: la giustizia di Dio - egli
dice - è manifestata senza la legge. Egli distingue tra la giustizia di Dio e la
giustizia della legge. Infatti la giustizia della fede vien dalla grazia, senza
la legge. Questa espressione « senza legge » non può che significare una cosa
sola: la giustizia cristiana sussiste senza le opere della legge, di modo che le
opere della legge non servono affatto per ottenerla. E’ ciò che dice subito dopo
[v. 28]: « noi pensiamo che l’uomo è giustificato per fede, senza le opere della
legge ». Così pure aveva detto prima [v. 20]: « Nessuna carne sarà giustificata
davanti a Lui per le opere della legge ». Da tutto ciò risulta evidente che lo
sforzo e lo zelo del libero arbitrio non sussistono. Infatti, se la giustizia di
Dio sussiste senza la legge e senza le opere della legge, a qual più forte
ragione non dovrebbe essa sussistere senza il libero arbitrio? Il più chiaro
sforzo del libero arbitrio consiste infatti nel ricercare la giustizia che vien
dalle opere della legge e ciò non fa che aumentare la sua cecità e la sua
impotenza.
Questa piccola parola di Paolo: « senza la
legge », sopprime le opere moralmente buone, sopprime la giustizia. morale,
sopprime ogni preparazione alla grazia. Inventa pure a tuo piacimento altre
facoltà delle quali sarebbe dotato il libero arbitrio, Paolo rimane fermo nella
sua opinione e dichiara: la giustizia di Dio sussiste senza tutte queste cose.
Ed anche se concedessi che il libero arbitrio possa fare qualche cosa con le sue
proprie forze, per esempio compiere buone opere oppure osservare la legge civile
o morale, con tutto ciò non potrebbe aver diritto alla giustizia di Dio; e Dio
non tiene in alcun conto questo sforzo del libero arbitrio- infatti dice che la
sua giustizia dimora senza la legge. Se dunque il libero arbitrio non può
accedere alla giustizia di Dio, a che gli servirebbe di poter giungere, con le
sue opere ed i suoi sforzi (se fosse possibile), alla santità degli angeli?
Penso che queste parole non siano né
ambigue né oscure e non autorizzano alcuna interpretazione figurata. Infatti
Paolo distingue chiaramente due tipi di giustizia: quella della legge e quella
della grazia e dichiara che la seconda ci è data senza la prima e senza le opere
di giustizia umana, mentre la prima non può giustificarci senza la seconda.
Vorrei ben sapere come si possa ancora, dopo tutto ciò, difendere il libero
arbitrio!
L’altro colpo di fulmine è quella parola
di Paolo che dice la giustizia di Dio esser manifestata e messa in opera per
tutti quelli che credono in Gesù Cristo, senza distinzione. Di nuovo Paolo
divide molto chiaramente il genere umano in due categorie: ai credenti egli
concede la giustizia di Dio, ai non credenti la ritira...
E non è neppure inoffensivo il colpo di
fulmine che Paolo lancia in Romani 111, 23: « tutti hanno peccato e son privi
della gloria di Dio; e non c’è distinzione ». Io ti domando - o Erasmo -: è
possibile esprimersi più chiaramente di così?...
Se dunque lo sforzo o lo zelo del libero
arbitrio non fossero peccato ma trovassero grazia agli occhi di Dio, giustamente
esso potrebbe gloriarsi e dire in tutta fiducia: ciò piace a Dio, Dio è
favorevole ai miei propositi, li approva o - per lo meno - li tollera e li
perdona. Tale è, infatti, la gloria dei fedeli del Signore e quelli che godono
di questa gloria non son confusi davanti a Dio. Ma è proprio questo che Paolo
nega affermando che il libero arbitrio ed i suoi poteri sono privi di questa
gloria.
D’altronde ciò è anche provato
dall’esperienza. Interroga tutti quelli che si sforzano in virtù del libero
arbitrio e cerca di mostrarmene uno solo che possa dire seriamente e dal
profondo del cuore, pensando al suo zelo ed ai suoi sforzi: « So che ciò piace a
Dio ». Se ci riesci ti concedo la palma della vittoria. Ma so che non ne
troverai neppure uno. Se dunque questa gloria viene a mancare, di modo che la
coscienza non osa affermare con certezza che ciò che fa piace a Dio, è certo che
essa non è gradita a Dio. Infatti la coscienza possiede ciò in cui crede.
Orbene, essa non crede con certezza di piacere a Dio, il che sarebbe pur
necessario; infatti il delitto di incredulità è appunto quello di dubitare del
favore di Dio, il quale vuole che si creda con fede certa alla sua grazia.
Perciò noi possiamo dimostrare, per mezzo
della testimonianza della loro stessa coscienza, che il libero arbitrio di
coloro che lo affermano, privo com’è della gloria di Dio, è perpetuamente
colpevole del delitto di incredulità, a dispetto di tutto lo zelo e di tutti gli
sforzi che esso compie.
Ma che cosa dicono i difensori del libero
arbitrio di quel che segue [v. 24, sempre di Romani III]: « essi son
giustificati gratuitamente per la sua grazia »? Che cosa significa «
gratuitamente »? Che cosa vuol dire « per la sua grazia »? Come possono andar
d’accordo sforzo e merito con il dono gratuito? Forse essi diranno che concedono
molto poco al libero arbitrio e che in ogni caso non gli attribuiscono un merito
sufficiente per ottenere la grazia (nierittim condignum). Ma son parole vuote.
Infatti ciò ‘ che si vuole dal libero arbitrio è che permetta di riconoscere un
posto al merito. Ed è proprio questo che la Diatriba non ha cessato di chiedere:
se non ci fosse libero arbitrio, come potrebbero esserci ricompense? E dove
andrebbe a finire la ricompensa se si può essere giustificati senza meriti?
Paolo risponde dicendo che non c’è merito,
ma che tutti quelli che sono giustificati lo sono gratuitamente e che ciò deve
essere attribuito alla sola grazia di Dio. Se la giustizia è data gratuitamente,
il Regno di Dio e la vita eterna sono anche dati gratuitamente.
Dove è dunque lo sforzo? Dove è lo zelo?
Dove sono le opere del libero arbitrio? Dove sono i suoi meriti? A che serve
tutto ciò? Tu non puoi qui tirare in ballo l’oscurità o l’ambiguità: parole e
cose sono assolutamente semplici e perfettamente chiare.
Ammettiamo che essi non attribuiscano al
libero arbitrio che un assai piccolo potere: essi insegnano tuttavia che noi
possiamo ottenere grazia e giustizia per mezzo di questo piccolo potere. E
quando si tratta di sapere perché Dio giustifica uno ed abbandona al suo destino
un altro, essi non possono rispondere altrimenti che affermando il libero
arbitrio: nel caso dell’uno esso s’è sforzato verso il bene, nel caso
dell’altro, invece, non si è sforzato e Dio perciò ha guardato al primo con
occhio favorevole proprio per questo suo sforzo ed ha disprezzato, per l’opposta
ragione, l’altro; sarebbe infatti ingiusto se non agisse così. E benché
pretendano, con la parola e con gli scritti, che non riusciamo ad ottenere la
grazia in virtù di un merito sufficiente di per sé (meritum condignum) e benché
non usino neppure questo termine, ci ingannano con una parola e mantengono la
sostanza della cosa...
Ai difensori del libero arbitrio capita,
conformemente al proverbio, di cadere dalla padella nella brace. Infatti nel
loro sforzo per distinguersi dai Pelagiani cominciano e con il negare il merito
sufficiente e, con gli stessi argomenti usati per negarlo affermano questo
merito in modo ancora più forte; lo negano a parole e con gli scritti, ma lo
affermano dal fondo del cuore e così son due volte peggiori dei Pelagiani.
Infatti i Pelagiani affermano e confessano il merito sufficiente con tutta
semplicità, con tutto candore e con tutta ingenuità. Essi un gatto lo chiamano
gatto, un fico fico ed insegnano ciò che pensano. I nostri avversari - invece -
benché pensino ed insegnino la stessa cosa ci ingannano con parole e menzognere e
con false apparenze; come se non fossero d’accordo con i Pelagiani. Così, stando
al loro modo di presentarsi, si potrebbe crederli i più grandi nemici dei
Pelagiani; ma se consideriamo i loro veri sentimenti, essi sono doppiamente
Pelagiani. Infatti questi ultimi non dicono che c’è in noi un veramente piccolo
potere capace di procurarci la grazia, ma riconoscono al nostro zelo ed alle
nostre opere la pienezza e la perfezione necessarie per ottenerla. I nostri
avversari, invece,. dicono che è sufficiente una forza minima e quasi
inesistente per meritarci la grazia. Se c’è errore, quello dei Pelagiani è più
onorevole e meno orgoglioso: infatti essi sostengono che la grazia costa cara e
che è preziosa, mentre gli Erasmiani sostengono che essa si acquista a vile
prezzo, ne fanno qualche cosa di disprezzabile ed a portata di tutti.
Ma Paolo li schiaccia tutti insieme, con
una parola sola, quando dice che tutti sono giustificati gratuitamente, vale a
dire senza le opere della legge. Affermando infatti questa gratuita
giustificazione per tutti quelli che devono essere giustificati, egli non lascia
sussistere né opere, né preparazione, né merito - si tratti di un meritum
condignum o di un meritum congruum - e tartassa sia i Pelagiani col loro merito
totale, sia i sofisti umanisti col loro merito minuscolo. La giustificazione
gratuita non ammette uomini giustificati dalle opere perché c’è una
contraddizione evidente tra il dono gratuito e l’acquisizione per mezzo delle
opere. Inoltre, la giustificazione gratuita non fa eccezione per nessuno, così
come Paolo dice al capitolo XI, 6: « se è per grazia, non è più per opere,
altrimenti la grazia non sarebbe più grazia ». Dice parimenti al capitolo IV, 4:
« a chi opera, la mercede non è messa in conto di grazia, ma di debito ». Così
Paolo trionfa sul libero arbitrio e, con una sola parola, rovescia due poderose
armate. Infatti se siamo giustificati senza le opere, tutte le opere sono
condannabili siano esse grandi o piccole, Paolo non ne esclude alcuna ma le
fulmina ugualmente tutte...
E’ dunque evidente che nessun uomo può in
alcun modo ottenere giustizia per mezzo delle proprie opere e che nessuna opera,
nessuno zelo, nessun proposito del libero arbitrio ha un qualche valore davanti
a Dio... La vera giustizia è quella della fede: essa non risiede nelle opere, ma
nel favore di Dio che ce la concede per grazia. Osserva con quale forza Paolo
insiste sul verbo « mettere in conto », quando egli ripete e sottolinea questo
concetto [Romani IV, 4 sgg)..
In breve, Paolo contrappone colui che fa
le opere a colui che non le fa e non lascia sussistere nessuno tra i due,
affermando che la giustificazione del peccatore è accordata da Dio non a colui
che compie le opere, ma a colui che non le compie purché abbia la fede...
Sorvolo rapidamente sugli argomenti più
forti che noi possiamo invocare, tratti dal piano dell’opera salvifica della
grazia, della promessa divina, dell’efficacia della legge, del peccato originale
e dell’elezione divina. Ciascuno di essi sarebbe sufficiente ad abolire il
libero arbitrio. Infatti, se la grazia ci viene in virtù del disegno di Dio o
della sua predestinazione deve venire in modo necessario e non per effetto del
vostro zelo o del nostro sforzo, così come abbiamo già detto. Parimenti, se Dio
ha promesso la grazia prima della legge - come dice Paolo sia in Romani che in
Galati - essa non viene né dalle opere né dalla legge, altrimenti la promessa
non servirebbe a nulla. Ed anche la fede non servirebbe a nulla (quella fede per
mezzo della quale Abramo è stato pur giustificato prima ancora che esistesse la
legge) se le opere avessero un valore...
Vorrei qui avvertire i difensori del
libero arbitrio onde sappiano bene quanto segue: essi, affermando che il volere
degli uomini è libero, negano Cristo. Infatti, se io posso ottenere la grazia
con le mie proprie forze, che bisogno c’è della grazia di Cristo? E’ d’altra
parte, cosa mi mancherebbe se possedessi la grazia di Dio? Ma la Diatriba dice -
e con essa tutti i sofisti - che noi otteniamo la grazia di Dio con il nostro
sforzo e che possiamo prepararci a riceverla non già - è vero - mediante uno
sforzo de condigno, ma mediante uno sforzo de congruo. Ho già, infatti, detto
più sopra che questa distinzione tra il meritum condignum ed il meritum congruum
è fatta di parole vuote di senso. In realtà essi pensano al meritunì condignum e
così si rendono colpevoli di una empietà più grande ancora di quella dei
Pelagiani, come ho già detto... Ascoltiamo ancora un esempio di libero arbitrio.
Nicodemo è un uomo che, a colpo sicuro, non lascia nulla a desiderare sotto
questo aspetto 1’. 1 suoi sforzi ed il suo zelo non sono forse esemplari? Egli
contessa che Gesù è veramente il Cristo e che è venuto da Dio, proclama i suoi
miracoli, viene di notte per ascoltare ancora il Maestro ed intrattenersi con
lui. Quest’uomo non sembra forse essersi applicato, con tutta la forza del suo
libero arbitrio, alle cose che concernono la pietà e la salvezza? Ma ecco ciò
che gli capita. Quando ode il Cristo insegnargli la vera strada della salvezza
mediante la nuova nascita, riconosce egli forse questa verità? Confessa egli
forse di averla cercata? No, anzi: la verità provoca in lui un così gran
turbamento ed una così gran repulsione da dichiarare di non comprenderla e di
doversene allontanare tanto gli pare assurda ed impossibile: « Come - egli dice
infatti - possono avvenire queste cose? ». E ciò non ha nulla di sorprendente.
Chi ha mai inteso dire che l’uomo deve nascere di nuovo per mezzo di acqua e di
Spirito per essere salvato? Chi ha mai pensato che bisognava che il Figlio di
Dio fosse innalzato affinché chiunque credesse in Lui non perisse ma avesse la
vita eterna? 1 filosofi più penetranti e più acuti di tutti han mai sognato una
cosa simile? I capi di questo mondo han mai riconosciuto una verità di tal
fatta? Un uomo che sia uno ha mai messo in opera il suo libero arbitrio per
afferrare una verità di tal genere? Paolo non dice forse trattarsi di una verità
affatto misteriosa e nascosta preannunziata è vero dai profeti, ma rivelata solo
dall’Evangelo, di modo che per tutta l’eternità è rimasta nascosta ed ignorata
dal mondo?
E che dirò ancora? Rifacciamoci
all’esperienza: il mondo intero, la stessa ragione umana, lo stesso libero
arbitrio sono obbligati a confessare di non aver conosciuto il Cristo e di non
aver inteso parlare di Lui prima che l’Evangelo fosse diffuso nel mondo. Se il
mondo non lo ha riconosciuto, a più forte ragione non poteva cercarlo o
sforzarsi verso di Lui. Ora, Cristo è la via, la verità, la vita e la
salvezza...
Il Cristo dice ancora in Giovanni VI [v.
44]. « nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira ».
Che spazio viene ancora lasciato qui al libero arbitrio? Egli dice infatti che
ogni uomo deve essere istruito dal Padre, che noi dobbiamo essere ammaestrati da
Dio stesso. Ci insegna dunque non solo che le opere e lo zelo del libero
arbitrio sono vani, ma anche che la parola stessa dell’Evangelo (di cui qui si
tratta) è intesa invano se il Padre stesso non la pronunzia in noi e non ce la
insegna. « Nessuno - egli dice - può venire a me »: infatti questa benedetta
forza, in virtù della quale l’uomo potrebbe tendere a Cristo, vale a dire alle
cose che conducono alla salvezza, il Cristo afferma che non esiste.
Parimenti, il passo di Agostino che la
Diatriba cita 13 per criticare ed indebolire questo testo molto chiaro e forte
non è che giovi molto al libero arbitrio. Secondo il, paragone usato da
Agostino, Dio ci attira come noi attiriamo un agnello mettendogli davanti al
muso un verde ramoscello. Questo paragone dovrebbe provare che c’è in noi una
forza capace di rispondere all’appello di Dio. Ma, in pratica, nel caso
specifico, esso non prova un bel niente! Infatti Dio non ci presenta un
beneficio isolato, ma tutti i suoi benefici.
Cristo stesso, cioè il proprio Figliuolo;
e tuttavia nessuno risponde a questo invito, a meno che il Padre stesso non lo
attiri in altro modo, interiormente; anzi, il mondo intero perseguita il
Figliuolo che il Padre gli presenta. Per contro, il paragone si attaglia
perfettamente ai credenti, che sono pecore e conoscono il loro pastore, essi
sono condotti e vivificati dallo Spirito e vanno là dove Dio li vuol condurre.
Ma l’empio non va, nemmeno dopo aver udito
la Parola; a meno che il Padre non l’attiri interiormente e non lo istruisca: è
ciò che fa concedendogli lo Spirito Santo. Ma, appunto, questa è una nuova
maniera di attrarre, non più esteriore ma interiore. Cristo è rivelato all’uomo
per mezzo dell’illuminazione dello Spirito che lo trascina verso Cristo con una
dolce violenza; e l’uomo subisce l’azione di Dio, assai più che non la ricerchi
lui stesso...
Insomma, poiché la Scrittura predica
dappertutto Cristo opponendolo, con una antitesi costante, a tutto ciò che
Cristo non è, dicendo che tutto ciò che è senza lo Spirito del Cristo è
sottoposto a Satana, all’empietà, all’errore, alle tenebre, al peccato, alla
morte ed alla collera di Dio, tutti i passi della Scrittura che parlano del
Cristo testimoniano contro il libero arbitrio. Orbene, questi passi sono
innumerevoli e formano quasi tutta la Scrittura...
Non mi fermerò sulla mia arma preferita,
vero giavellotto d’Achille, dato che la Diatriba l’ha accuratamente evitato,
vale a dire Romani VIII [v. 14 sg.] e Galati V [v. 16 sg.]. Paolo insegna che
presso gli uomini santi e pii lo spirito e la carne si combattono così
violentemente da non riuscire a fare quello che vogliono. Ne concludo quanto
segue: se la natura umana è così cattiva, anche presso quelli che sono stati
rigenerati dallo Spirito, da non sforzarsi verso il bene, non solo, ma - anzi -
da combatterlo ed opporsi a lui, come potrebbe dunque sforzarsi verso il bene in
quelli che non sono ancora stati spogliati del vecchio uomo e sono ancora
sottoposti a Satana? Infatti Paolo non parla solo delle più grosse debolezze
della carne, in virtù delle quali la Diatriba cerca di eludere le affermazioni
scritturali, ma enumera fra le opere della carne l’eresia, l’idolatria, i
dissensi, le dispute, che regnano soprattutto nelle parti più nobili dell’uomo,
vale a dire la ragione e la volontà.
Se dunque la carne combatte in tal modo
contro lo spirito presso i santi, combatterà ancor più accanitamente contro Dio
presso gli empi e nel libero arbitrio. Perciò Paolo chiama tutto ciò in Romani
VIII [v. 71 « inimicizia contro Dio ». Vorrei ben vedere come si potrebbe
indebolire questo argomento o difendere col suo mezzo il libero arbitrio...
Darò un esempio per affermare la nostra
fede e dare coraggio a quelli che sospettan Dio d’iniquità. Dio governa questo
mondo corporeo nelle cose esterne in modo tale che se ci si uniforma al giudizio
della ragione umana si è obbligati a dire o che Dio non esiste, oppure che è
ingiusto. Come dice il poeta: « spesso son portato a credere che gli dèi non
esistano »... Proprio qui che i più grandi spiriti sono incespicati e son
giunti a negare Dio e ad immaginare che tutto accada per caso, come han fatto
gli Epicurei e Plinio. Lo stesso Aristotele, trattando della sostanza prima,
pensa che Dio non veda altro che se stesso, perché gli pare molto difficile
ammettere che Dio possa tollerare tanti mali e tante ingiustizie...
Eppure, questa ingiustizia di Dio, che è
tanto probabile ed appare suffragata da argomenti irrefutabili dalla ragione e
dal lume naturale, è completamente abolita dalla luce dell’Evangelo e dalla
conoscenza della grazia che ci insegnano gli empi non prosperare che
materialmente, ma essere l’anima loro dannata. Questa questione insoluta è
brevemente risolta in una parola: c’è, dopo la vita presente, un’altra vita
nella quale ciò che non è stato punito o ricompensato in questa vita sarà punito
o ricompensato in quella; infatti questa vita presente non è che il segnale
premonitore o, meglio, l’inizio della vita futura.
Se dunque la luce dell’Evangelo, la quale
non agisce che per mezzo della Parola e per mezzo della fede, è tanto potente da
risolvere così facilmente questa questione dibattuta ma non risolta per tanti
secoli, che pensi tu che accadrà quando la luce della Parola e della fede avrà
lasciato il posto alla stessa realtà ed alla divina maestà che si rivelerà? Non
credi tu che allora la luce della gloria risolverà facilmente una questione
insolubile alla luce della Parola e della grazia, così come la luce della grazia
risolve facilmente una questione insolubile alla luce della natura?
Ci sono tre lumi: quello della natura,
quello della grazia e quello della gloria, secondo la distinzione comune mente
ammessa. Alla luce della natura è incomprensibile che il buono sia provato e che
ii cattivo prosperi... Ma questa questione è risolta dalla luce della grazia.
Alla luce della grazia è incomprensibile che Dio condanni un uomo che, per le
sue proprie forze, non può fare altro che peccare e rendersi colpevole. Su
questo punto, la luce della natura e la luce della grazia van d’accordo nel dire
che la colpa è non dell’uomo miserabile, ma di Dio che è ingiusto; infatti e’ se
non possono portare altro giudizio su Dio, il quale ricompensa gratuitamente e
senza merito un uomo empio, ma condanna un altro uomo che non è, forse,
né più né meno empio. Ma la luce della
gloria dice tutt’altra cosa: essa dimostra che il giudizio di Dio, che ci appare
oggi incomprensibile, è l’espressione d’una perfetta giustizia e di una
giustizia evidente, purché noi la crediamo tale veramente fin d’ora, resi edotti
dall’esempio della luce della grazia che compie un miracolo simile nei confronti
della luce naturale.
CONCLUSIONE
Concludo qui questo libro, pronto, se ce
ne fosse bisogno, a trattare ancora questa questione in altre opere; ancorché
pensi di averne detto abbastanza per gli uomini pii e per quelli che sono
disposti a cedere alla forza della verità. Se infatti noi crediamo che Dio
preveda e preordini tutte le cose, non può ingannarsi né essere ostacolato nella
sua prescienza e nella sua predestinazione; dunque, nulla può verificarsi se non
secondo il suo volere. La ragione stessa è obbligata ad ammetterlo. Dunque,
secondo la stessa testimonianza della ragione, non può esserci libero arbitrio
né presso l’uomo, né presso gli angeli, né presso alcuna creatura...
Quanto a te, mio caro Erasmo, ti prego in
nome di Cristo, di mantenere la tua promessa: hai promesso di cedere di fronte a
colui che ti avrebbe insegnato la migliore dottrina I. Rinunzia al rispetto
umano. Lo riconosco: sei un uomo eminente, che Dio ha dotato dei doni più
numerosi e più nobili, fra i quali menzionerò (per non citare che quelli)
l’intelligenza di spirito, la cultura ed una eloquenza miracolosa. Quanto a me,
non sono niente, salvo che - forse - potrei vantarmi d’essere un cristiano.
Inoltre ti lodo e te ne dò vanto: sei stato il solo a trattare il punto
essenziale dell’argomento e di non avermi seccato con questioni estranee al
dibattito, come il papato, il purgatorio, le indulgenze o altre simili fandonie
con le quali quasi tutti gli altri han tentato di accalappiarmi. Tu solo hai ben
visto il punto cruciale della questione, tu solo l’hai trattato; e te ne rendo
grazie dal fondo del cuore. Infatti mi occupo volentieri di queste cose quando
ne ho il tempo e l’opportunità...
Benché tu possa trattar questo argomento
altrimenti di quanto l’hai fatto nella tua Diatriba, mi auguro vivamente che tu,
accontentandoti dei tuoi doni, coltivi, favorisca e faccia progredire le lingue
e le lettere, come hai fatto fin qui con molto successo e molte lodi. 1 servizi
che tu mi hai reso con questi tuoi studi non sono affatto trascurabili; lo
riconosco: ti devo molto, e per questo ti ammiro sinceramente. Ma Dio non ha
voluto che tu fossi all’altezza dell’argomento trattato e non ti ha concesso i
mezzi per adeguatamente parlarne. Ti prego di non vedere in queste parole alcuna
arroganza. Prego, anzi, il Signore di renderti presto a me superiore in questo
campo teologico, così come tu lo sei già negli altri, specie nel campo
filologico. Che Dio si serva di Jethro per istruire Mosè o di Ananias per
insegnare a Paolo: ciò non sarebbe affatto una novità...
Tu dici di non aver voluto enunciare
affermazioni, ma solamente istituire paragoni I. Ma io ti dico: non si scrivono
cose simili se si ha ben penetrato e-ben colto il significato della questione.
Quanto a me, non ho, in questo libro,
stabilito paragoni: HO AFFERMATO ED AFFERMO. Non voglio lasciare a nessuno la
fatica di pronunziare un giudizio, ma consiglio a tutti di praticare
l’obbedienza alla Parola di Dio. Che il Signore, del quale qui si tratta, ti
illumini e faccia di te un vaso pregevole per la Sua gloria.
Amen.