L'UOMO E GESU'.


Gesù può aiutare qualcuno e interessarsi di lui soltanto se si riesce ad instaurare una comunione personale con lui. Egli non bada alla nostra collocazione professionale, alla nostra preparazione teologica né alla nostra ortodossia: ci accoglie così come siamo, vestiti della nostra miseria e della nostre debolezze, ma sempre nel rispetto della nostra libertà.
Egli non si impone, ma si propone: Io sto alla porta e busso. Se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me. (Ap. 3:20).
Così è Gesù Cristo.
Egli non mi pone condizioni che io dovrei aver adempiuto per poterlo trovare.
Egli non mi dice: mi stai cercando in una direzione sbagliata, ma succede invece che non appena egli scorge in me anche una sola traccia di fame, di sete, di desiderio di pace, è subito a mia disposizione in maniera totale e senza riserve.
Non c'è deserto, per quanto desolato nella nostra vita, nel quale Gesù non desideri e non possa incontrare.
Non è necessario che noi diventiamo diversi da quello che siamo, soprattutto non importa che diventiamo religiosi per poterci avvicinare a lui.
Egli ci viene a prendere, ovunque noi ci troviamo e qualunque sia la nostra condizione. Poiché questa è la sua gloria: essere a tutti vicino e per ciascuno fratello e prendere su di sé il nostro fardello, mentre noi ne siamo liberati.
Per questo fa parte dei misteri del miracolo di Pentecoste che tutti, "Parti, Medi ed Elamiti..." maghi e sapienti, marxisti ed esistenzialisti, buddhisti e nichilisti gli possano andare incontro con i loro concetti e che tutti siano in grado di cogliere e anche esprimere nel loro linguaggio le grandi gesta di Dio.
Non è necessario imparare prima la lingua di Canaan per poterlo comprendere. Non è necessario ricevere prima un'educazione cristiano-occidentale per capirlo. Poiché egli abbraccia non soltanto il globo terrestre, ma abbraccia anche i linguaggi e i valori, i pensieri e i sentimenti di tutti i popoli.

Una errata teologia della fede non è certamente così inaccetta a Dio, quanto lo è invece una ortodossia corretta, chimicamente pura, che tarpa le ali all'avventura e in fondo è fredda come il ghiaccio.
Gesù capisce ciascuno quando nella sua mentalità e nel suo linguaggio esprime la sua angoscia e la sua fame di pace.
E ci capisce ancora perfino quando non abbiamo più dei concetti, ma ci limitiamo a sospirare e siamo in grado solo di balbettare in maniera inarticolata come i moribondi nella loro estrema agonia.
Ci capisce quando siamo aridi e la nostra fede vacilla, perché Gesù è più grande della nostra fede. Ed è anche più grande di tutto ciò che vuole frapporsi fra lui e noi.
Egli è sempre più grande del mio cuore e mi rimane fedele anche se io lo perdo di vista. Quando arrivano le paure o le angosce che sono prestabilite per tutto ciò che è umano e delle quali i cristiani non vanno esenti, in questi istanti, ci capita di non vivere più della nostra fede. Non ci rendiamo nemmeno più conto di essere credenti.
No, sulla nostra fede non possiamo fondare la nostra vita. In tali momenti soffocati dalla nostra nullità e impotenza non ci resta che rivolgerci a lui dicendo: "Io non so chi tu sia, Gesù di Nazareth, ma tu sei diverso da me e da noi tutti, e io voglio osare di tenermi fisso a te. Sii per un sostegno quando tutto intorno a me vacilla."
Questo sarebbe in realtà meno e qualcosa di più misero di quanto troviamo nei rituali e nel catechismo.
Ma Gesù lo udrebbe, e per lui sarebbe sufficiente.

Questa infatti è la grandezza di Gesù: prima che noi ci siamo liberati dall'impaccio dei nostri falsi presupposti, egli è già a nostra disposizione.
Molto prima che avvertiamo un soffio della sua pace, egli ci cinge già con il suo braccio salvatore.
Egli sa benissimo quali sono i tuoi problemi e le tue necessità, ma desidera che la persona che lo cerca non si avvicini a lui nascondendosi in una anonima marea di gente, ma che si faccia anche conoscere che gli si presenti con il suo bisogno e il suo grido di aiuto, e che gli si metta a disposizione in maniera aperta confessandolo.

Non basta perciò che ci adattiamo passivamente ai costumi cristiani collettivi, se vogliamo avvicinarci a Gesù; che seguiamo le pratiche correnti della liturgia e delle celebrazioni religiose.
La pratica cristiana di routine non alleggerisce affatto del peso della insoddisfazione e non mi dà la pace.

                                                    MIRACOLI E FEDE.


Posso io veramente fondare la mia fede sul racconto di un miracolo? Posso fondare la mia fede su qualcosa che è a sua volta incerto e potrebbe anche essere una favola o una notizia manipolata ad un certo fine?
E anche ammesso che mi fosse tramandata notizia di un miracolo, inoppugnabile in un senso critico-moderno, che poggiasse su escussioni di testi, su perizie fisiche e psicologiche rilasciate da competenti e quindi si avvicinasse almeno alla certezza di un'esperienza personale: sarei poi su un terreno migliore e avrei un fondamento più attendibile per la mia fede?
Forse lo stesso Gesù ci impedirebbe di fondare la nostra fede su di un tale miracolo. Perché egli ha sempre censurato aspramente la smania di miracoli e si è sempre rifiutato di compiere miracoli per legittimare se stesso e per rendere alla gente la fede più facile?
Perché rinunciò a gettarsi dal pinnacolo del tempio e a generare qualcosa come la fede servendosi di una specie di terapia d'urto?
Egli sapeva benissimo: questa gente, in fondo, vuole vedere e non credere, essa vuole l'esperienza dell'evidenza e non l'avventura della fiducia, con la quale ci si abbandona a me per la vita e per la morte. Quando io faccio miracoli, così pensa Gesù di Nazareth, riesco a far breccia nel loro sistema nervoso, ma non guadagno affatto il loro cuore.
E così accadde talvolta che dopo avere operato un miracolo proibisse agli astanti di riferirlo agli altri.
Egli non voleva che gente soggiacesse alla suggestione di voci genericamente diffuse di miracoli e crescesse in essa fino a raggiungere quel determinato surriscaldamento psichico che i moderni strateghi delle masse sanno produrre così bene, e a considerarlo fede.
Nessuno ha mai rifiutato il miracolo in maniera così decisiva come Gesù nel momento stesso in cui stava per diventare surrogato della fede.



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